A mio fratello,
che mi ha salvato
e che ogni giorno mi
insegna a vivere.
<3
YOU CAN'T BE CHASTE: LIFE FUCKS YOU
Nobody dies a vergin, life fucks us all.[1]
Susy aveva scritto questa frase con un pennarello indelebile color blu, sull'enorme poster di Kurt Cobain che aveva attaccato in camera. Era una sorta di buongiorno che il cantante dei Nirvana le faceva ogni mattina, e lei gli sorrideva di rimando, con un sorriso un po' sghembo.
Susy in effetti ci aveva pensato molto a quella frase, ed era arrivata a capire che la vita doveva essere vissuta davvero, assaporandone ogni minuscolo aspetto, sentendo sotto gli arti ogni più piccola scintilla, senza risparmiarsi mai.
Aveva capito che non doveva rimanere casta di fronte alla vita, ma doveva farsi penetrare da questa, fino a che il suo odore non le sarebbe rimasto attaccato sulla pelle. La vita era come un arcobaleno, e lei voleva immergersi dentro, fino a sporcarsi le mani e le ossa di colori.
Per questo aveva deciso di mandare a puttane tutte le diete, concedendosi i gelati ogni qualvolta voleva, fregandosene della prova costume prima dell'estate. Non voleva perdere il lume della ragione fissando l'ago della bilancia che non scendeva neanche di un etto e pasteggiare con insalate leggere.
Un altro modo per vivere appieno - aveva pensato poi - era il sesso.
Non che lei fosse una ragazza facile, ma non capiva davvero chi decideva di arrivare vergine al matrimonio, per preservarsi ad una persona sola.
Aspettare anni un appuntamento che magari non sarebbe arrivato mai.
Aspettare, e perdersi tutti quegli attimi, quei sospiri, quegli orgasmi.
Aspettare, rimanere casti, e perdere pezzi di vita.
A Susy sembrava quasi una blasfemia rinunciare a quelle sensazioni dirompenti che le schiudevano lo stomaco, che le facevano riempire i polmoni e volare, leggera.
Che poi, quando aveva perso la sua verginità, aveva cercato la parola casto sul vocabolario, e quando aveva letto la definizione - persona pura che non ha avuto alcun rapporto sessuale - aveva capito che lei non era più casta, ma che in un mondo del genere la purezza non esisteva veramente e che nessuno poteva rimanere casto per sempre.
Così Susy continuava la sua quotidianità di ragazza, svegliandosi la mattina, salutando Kurt e andando a scuola con l'autobus. E quando le sue amiche le chiedevano perché non volesse mai impegnarsi in una relazione, lei scrollava le spalle e diceva, citando il suo amato Bukowsy, che al mondo esistevano sei miliardi di persone: come poteva amarne una sola?
Susy aveva una luce negli occhi, una luce che forse aveva avuto anche l'Ulisse dantesco, e che tutti riuscivano a vedere. Aveva dentro una sorta di fuoco, che la portava a conoscere, a scoprire, a sperimentare. La sua vita era una ricerca continua, gioiosa, lenta e sempre diversa, nonostante facesse le stesse cose. Il fatto è che non aveva bisogno di grandi avvenimenti per emozionarsi: le bastava un libro buono, un sorriso dolce di un ragazzo, un colore più acceso, un gesto d'affetto.
Nella sua quotidianità - compiti in classe, shopping, casa, amiche, petulanti corteggiatori - Susy cercava ogni giorno una ragione per vivere.
E la trovava guardando le sfumature delle cose più piccole.
~
No light, no light in your
bright blue eyes
I never knew daylight
could be so violent
A revelation in the
light of day
Mia mamma diceva che la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita.[2]
Susy ride ripensando a quella vecchia frase di un film - quale era il titolo? Neanche lo ricorda più - e si ritrova a pensare che i registi sono dei geni, e che in tutte le pellicole c'è sempre qualche assurda verità. Ha la testa che le esplode, anche solo pensare fa male perché riesce a sentire tutte le idee che vorticano confuse. Basta - prova a dire sottovoce, per non urlare. Basta, basta, basta. Apre gli occhi e si tira su di scatto. Le pareti intorno a lei sono bianche e asettiche, caste.
“Ehi...” la voce viene dalla sua sinistra, e Susy si gira di scatto.
E' suo fratello Francesco. Ha la cravatta sciolta, la camicia stropicciata e gli occhi impastati di sonno. Ha dormito sulla sedia lì vicino.
“Non c'è il poster di Kurt” sussurra lei, e si accorge che la sua bocca è piena di un sapore strano, qualcosa che le fa venire un forte senso di nausea.
Lui ridacchia, una risata leggera e appena accennata, di quelle che non disturbano.
“Vuoi un altro cuscino?” dice lui, e prima che Susy possa rispondere si è già alzato, e sta sprimacciando un guanciale. Si tiene occupato, pensa Susy, è a disagio.
Lei lo conosce troppo bene, e sa che suo fratello è sempre stato il contrario di lei. Introverso, silenzioso, riflessivo, ha vissuto secondo la filosofia del chi va piano va sano e va lontano.
Solo nei momenti di imbarazzo - Susy lo ricorda benissimo - lui inizia a muoversi, cercando una qualsiasi cosa da fare.
“Ecco qua, così stai più comoda. Vuoi qualcos'altro? Non so se puoi mangiare tutto, ma...”
“Francesco... perché non mi guardi negli occhi?” la voce di Susy è uscita ancora una volta flebile e sottile. Sembra un sussurro che viene da lontano, un alito di vento dimenticato da qualche parte.
“Non riesco a guardare un fantasma.” risponde lui, gli occhi bassi a terra. Poi apre la porta, e se ne va. La stanza diventa fredda.
And I’d do anything to make you stay
No light, no light
No light
Susy rimane sola, vorrebbe piangere, ma quello che le esce è solo una risata strana, invasata.
E' in un ospedale, questo l'ha capito dalle pareti bianche, il comodino sgombro e l'odore di anestetico. Sente una stanchezza antica, di quelle che fanno male, ma non ha sonno e non riesce a riaddormentarsi - sognare sarebbe dolce perché la realtà ha un sapore amaro.
Chiude gli occhi e prova a ricordare.
Ricorda che quando era piccola sua madre le si metteva seduta sul bordo del letto e raccontava a lei e a Francesco delle storie. Apriva quel grande libro, con il bordo color oro, e la sua voce si modulava a seconda dei vari personaggi.
Poi dopo un po' finiva e dava a tutti e due un bacio della buonanotte.
Appena la mamma usciva, lei e Francesco si rialzavano dai loro lettini e mimavano le scene che avevano appena sentito, duelli tra cavalieri, missioni nello spazio, avventure mozzafiato.
Susy aveva un po' paura di quei mostri spaventosi - gli orchi delle fiabe, i draghi sputa fuoco, i lupi ingannatori e famelici. Ma c'era suo fratello che le ripeteva all'orecchio che erano solo fiabe e che in ogni caso ci sarebbe stato lui a proteggerla. Le streghe invece non la spaventavano, perché erano solo delle brutte vecchie...
Susy ora scoppia ancora a ridere- una risata senza gioia, priva di felicità, che le rimbalza negli spazi tra le ossa del petto.
Il fatto è che crescendo era quasi sicura che tutti quei mostri non esistessero, ma in ogni caso era pronta con suo fratello a fronteggiarli.
Non pensava che sarebbe stata quella strega della vita ad ingannarla.
~
L'inverno, pensava Susy quando era bambina, era sicuramente una stagione subdola, che Dio aveva inventato per punire gli uomini. Di quei tre mesi, Susy amava solo il giorno di Natale, ma quello era un altro discorso.
Tutte le cose brutte succedevano d'inverno: lei aveva sempre la febbre, suo fratello partiva per le settimane bianche e gli alberi perdevano le foglie. Suo padre li aveva lasciati in una mattina di gennaio, perché si era stancato di suo madre - e Susy all'inizio aveva pensato che fosse stata colpa sua, perché tre giorni prima aveva rovesciato il caffè sul pavimento.
Poi la sua vita si era distrutta, e guarda caso era la fine di Novembre, il mese dei Morti.
Sua madre aveva una macchiolina scura - un cancro - e la dovevano operare - era già successo durante un'estate, guarirà.
Susy si era sentita fiduciosa - i dottori sono bravi e lei guarirà.
Aveva diciassette anni, e sognava di fare medicina- i dottori sono bravi e lei guarirà.
Ma non c'era stato niente da fare.
E quelle sei lettere le erano piombate addosso, come macigni - morirà.
Sua madre aveva deciso di andare a vivere con il suo compagno, perché due adolescenti non si sarebbero potuti prendere cura di lei, e lei come avrebbe potuto prendersi cura dei due figli?
Così Susy e Francesco si erano ritrovati ad abitare da soli. E all'inizio tutto sembrava andare bene. Studiavano ancora, ma avevano dovuto cercarsi un lavoro. Così era iniziato un periodo fatto di piccole mansioni, lavori part-time e colloqui.
Francesco aveva trovato posto in un ufficio, mentre lei andava, tre giorni alla settimana, a lavorare in un negozio di cucina. Non era il lavoro che aveva sognato, sapeva che la facoltà di medicina si stava allontanando giorno dopo giorno, quando consigliava a delle casalinghe quale pentola aderente prendere. Non avrebbe avuto il tempo di realizzare i suoi sogni, perché la realtà le si era mostrata davanti, di colpo. Così la sua quotidianità si era ribaltata e i compiti in classe erano diventati bollette da pagare, lo shopping doveva essere limitato e delle volte era troppo stanca per uscire.
Ora capiva i grandi che rimpiangevano il liceo e i tempi degli adolescenti. Il mondo degli adulti era complicato, pieno di regole e obblighi.
I due però tiravano avanti, mangiando spesso cose del take-away e bevendo birre ghiacciate sul divano. I parenti passavano ogni tanto, un'espressione di pietà dipinta sul volto, a chiedergli se avevano bisogno di qualcosa.
La risposta di Francesco, sempre garbata e accompagnata da un lieve sorriso, era no.
Non avevano bisogno di qualcosa, al massimo di qualcuno.
Ma se rimanevano insieme ce l'avrebbero fatta.
Lei però era crollata.
Francesco l'aveva vista farsi più sfuggente, meno sorridente.
L'aveva vista vagare per quella casa troppo grande per sole due persone.
L'aveva vista perdersi tra quelle mura e in se stessa.
Lei aveva lasciato il lavoro e non andava neanche più a scuola.
Capitava che la sera lui uscisse con gli amici, e quando rientrava la trovava seduta a leggere un libro. Ma poi vedeva che non voltava mai la pagina, ferma su quelle stesse parole. E quando le chiedeva cosa stesse leggendo, lei neanche rispondeva.
Mancava a Susy quella luce che aveva avuto, quando riusciva a rallegrarsi per le cose più insignificanti, quando trovava le ragioni per vivere.
Dopo un po' lei sembrava essersi ripresa. Aveva ricominciato ad uscire con le amiche, ad andare a letto con i ragazzi, a leggere i libri e a vedersi i film. Ma quella non era nient'altro che una maschera. Tutte le compagne di classe o le amiche di infanzia non vedevano cosa c'era veramente. Loro non riuscivano a vedere l'assenza di colore nei suoi occhi e sulle sue guance. Non vedevano che la sua anima si macchiava di nero.
Ma Francesco se ne accorse, anche se ormai era tardi.
Susy era sempre stata curiosa, ma la sua ricerca di vita era stata lenta, perché amava sentire appieno ogni sensazione, gustarla piano piano.
Ora il suo era diventato solo un assaggiare, un mordere frenetico. Sembrava bulimica di adrenalina, voleva fare, vedere, girare, andare. La sua non era più una ricerca sana, dettata dalla voglia di conoscere. Era qualcosa dato da un'ansia sbagliata, un continuo errare per perdersi nuovamente. Beveva, amava e usciva solo per cercare di riempire un vuoto che si faceva ogni giorno più grande. Si muoveva senza trovare pace, cercando di tappare una falla nella poppa, quando la prua era già stata completamente sommersa dagli avvenimenti burrascosi e dalle onde del dolore.
Rientrava a casa sempre più tardi, alzava la voce e poi si copriva le orecchie, piangeva e rideva insieme, tossiva forte, sputacchiando a volte sangue.
E poi si sedeva a gambe incrociate sul letto, affianco al poster di Kurt Cobain.
Un giorno ci rimase per diciotto ore di fila, immobile.
“Sto aspettando l'alba” ripeteva a se stessa. “Sto aspettando l'alba della mia vita, e poi ricomincerò a vivere. Arriverà, oh, sì che arriverà!”
Lo disse con il tono con cui si parla ai bambini quando devi inventarti una balla colossale per non comprargli qualcosa che costa troppo. Lo disse a se stessa, con quel tono che si usa con gli stupidi, quando si cerca di convincerli e di illuderli.
~
Susy era sempre stata contro le droghe.
Le odiava, perché l'avrebbero estraniata completamente dal mondo, non permettendole di vederlo in tutta la sua meraviglia e perché non sarebbe più riuscita ad essere padrona di se stessa.
Le odiava, perché le avrebbero amplificato tutto, e perché sapeva che agivano sul sistema nervoso, dando psicosi e mandando in pappa il cervello.
Ogni tanto si sfumacchiava la marijuana, ma quella non era droga vera, quella che ti da dipendenza e ti distrugge.
La marijuana non era uguale alle pasticche bianche, tonde e piccole, quelle che scendevano giù per la gola e non le facevano sentire più niente - dolore, pensieri, ricordi.
La marijuana non bruciava come la cocaina diluita che si iniettava nella vena.
Susy riaprì gli occhi.
Era stata ricoverata per overdose, ora ricordava.
Finalmente la sua testa aveva smesso di girare, il dolore era quasi sopportabile. Aveva dormito per molte ore. Guardò la finestra fuori: si stava facendo mattino.
I primi raggi penetravano attraverso la finestra, riflettendo un po' di luce sulla parete di fronte. Susy cercò di ricordare il calore del sole sulla faccia, ma non ci riuscì.
Sembrava passata una vita - la sua le era scivolata tra le mani, come piccoli granelli di sabbia, e non sarebbe ritornata più.
D'improvviso si sentì vecchia, i polsi deboli e la pelle raggrinzita. Pensò che anche le sue labbra dovevano essere screpolate e che gli occhi erano stanchi. Si immaginò il suo viso, di un pallore lunare, in netto contrasto con i capelli neri, che ora erano sparsi sul cuscino.
Provò a ricordarsi come era prima, quando il suo sorriso si apriva dolce e i denti erano una fila di conchiglie bianche.
Provò a ricordarsi della sua vita - ma quella era scappata via, e non sarebbe ritornata più.
Al suo fianco, sulla sedia, riposava suo fratello, russando placidamente. Era tornato, e lo avrebbe fatto sempre.
Lei allungò una mano, fino a sfiorargli un po' i capelli, con dolcezza.
Lui si mosse, mugugnando qualcosa, senza aprire gli occhi.
“Non volevo essere un fantasma, Francesco.” sussurrò lei, tornando a sdraiarsi. “Stavo solo cercando di sopravvivere, ma è troppo difficile.”
Poi si voltò su un fianco, attenta a non staccare il filo della flebo che si diramava dal suo braccio smagrito.
“Una nuova giornata inizia. E la mia vita tramonta...”
E mentre il sole prendeva il possesso del cielo, nel suo albeggiare giallo oro, Susy iniziò a piangere.
Tu che m'ascolti insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria. [3]
Note dell'autrice:
Questa storia ha partecipato al
contest Life
is hard classificandosi
PRIMA parimerito. Quando ho visto il tema su cui si basava il contest
non ho potuto metterci una parte di me, scrivendo qualcosa di
autobiografico, considerando che la mia vita non è proprio
rose e fiori. (Ma vabbeh, lasciamo stare). La storia
è dedicata a mio fratello, perché a differenza
del Fra della storia, lui si è accorto di quello che stava
succendo prima.
In fondo l'accuratissimo giudizi di Nan96.
La citazione finale si riferisce al fatto che chi si droga, secondo me,
è un vigliacco, perché non sa affrontare la vita
e preferisce rintanarsi in qualcosa che lo distrugge. La lyric che fa
da filo conduttore alla storia è la bellissima No light, no
light - che riprende anche uno dei prompt ricevuti. Le altre citazioni
appartengono a:
[1] Nessuno muore vergine, la vita ci fotte tutti.- Kurt Cobain
[2] Forrest Gump
[3] Il cantico dei Drogati- Fabrizio De André
PRIMA
CLASSIFICATA A PARIMERITO:
Ray08 con You
can't be chaste. 64
punti su 69
-Correttezza
grammaticale, ortografica e morfo-sintattica: 13/15
Correttezza grammaticale e ortografica:
8/10
Non ci sono
molti errori sotto questo punto di vista, anzi. In ogni caso, quei
pochi che ci sono te li segnalo qui sotto:
Se usi il trattino per segnalare un inciso devi necessariamente usare
il trattino lungo (preceduto e seguito da spazi); usare quello breve
è infatti errato. Il trattino lungo si ottiene premendo il
tasto “Ctrl” contemporaneamente al segno
“-” della tastiera numerica. Quest'errore
è ripetuto più volte nella fic, quindi purtroppo
ti ha penalizzato un po'.
Poi, in questa frase: “Solo nei momenti di
imbarazzo- Susy lo ricorda benissimo- lui iniziava a
muoversi, cercando una qualsiasi cosa da fare.”
forse avrei trovato più corretto l'uso del presente, visto
che finora per parlarne hai usato o quello o il passato prossimo, e
perché dopotutto il fratello è ancora vivo.
Qui, invece, hai dimenticato la virgola prima del
“ma”. “[...]Non so se puoi
mangiare tutto ma...”
Qui la “a” non ha bisogno dell'accento: “Frà...perché
non mi guardi negli occhi?[....]”. Inoltre, dopo i
tre puntini va uno spazio.
Poi ho trovato un errore a livello di tempi piuttosto pesante: vedi,
quando Susy si sveglia in ospedale con il fratello accanto, utilizzi il
presente. Poi il fratello se ne va, lei chiude gli occhi e ha vari
flashback, di conseguenza passi giustamente all'imperfetto.
Però, quando lei apre gli occhi perché si ricorda
come è finita in ospedale, dovresti tornare al presente,
cosa che invece non hai fatto.
Correttezza morfo-sintattica: 5/5
Niente da dire qui: utilizzi un lessico vario e anche ricercato,
costruisci frasi armoniose, legate dalla giusta punteggiatura e
arricchite con varie metafore.
Brava!
-Stile narrativo, caratterizzazione dei personaggi: 19/20
Stile
narrativo: 9/10
Che dire qui? Scrivi davvero bene, utilizzi uno stile fluido, rendendo
la narrazione liscia come l'olio. Nonostante le metafore, che se messe
male possono appesantire, e nonostante il tema piuttosto delicato, sei
riuscita a rendere il testo pulito ed elegante, direi anche leggero.
L'unica
piccola pecca che non mi ha permesso di darti 10 è questa
frase qui: “Perché come può
non mancarti la luce, quando se ne va?” La
costruzione mi pare un po' forzata, ma più che altro non ho
trovato collegamenti con quanto detto prima. Voglio dire, mi
è parso che non c'entrasse proprio nulla.
Inoltre hai
anche fatto una ripetizione in questo punto: “Lei
lo conosce troppo bene, e sa che suo fratello è sempre stato
il contrario di lei. Introverso, silenzioso, riflessivo, ha sempre vissuto
secondo la filosofia del chi va piano va sano e va lontano.”
Caratterizzazione
dei personaggi: 10/10
Anche qui
sei stata bravissima, non potevo non darti il massimo. La protagonista
è caratterizzata benissimo, la sua introspezione
è ben approfondita, tanto che sappiamo con certezza cosa
l'ha portata alla droga, come c'è arrivata, com'era prima...
e possiamo comunque immaginare come sarà dopo. Mi
è piaciuto molto questo personaggio, presentato come un
personaggio forte e deciso, ma che alla fine si rivela quasi debole. In
netto contrasto, invece, col fratello introverso che alla fine si
rivela straordinariamente forte.
Quello che
più mi ha colpito, a dir la verità, è
come tu riesca a far capire il carattere dei tuoi personaggi anche con
una sola frase buttata lì quasi per caso. Lo stesso
fratello, per esempio, io penso possa essere riassunto da questa frase:
“Era tornato, e lo avrebbe fatto sempre.”
Ma anche la
madre, secondo me sei stata capace di dire moltissimo su di lei, pur
nominandola solo un paio di volte, anche solo nel momento in cui lei
decide di andare a vivere con il suo compagno.
Davvero,
bravissima!
-Trama,
sfruttamento del tema proposto e drammaticità del testo: 14/15
Trama
e sfruttamento del tema proposto: 10/10
Ti ho messo
il massimo anche qui perché, sebbene la trama -vista la
traccia- non fosse proprio originale, sei stata capace di renderla
davvero bene, di svilupparla al massimo. Hai reso bene tutti i vari
flashback, non creando comunque confusione con il ritorno al presente.
Una bella storia, insomma, sviluppata veramente bene.
Anche per
quanto riguarda lo sfruttamento del tema, sei riuscita a rimanere
fedele a quanto richiesto. Hai centrato in pieno la traccia, e da
questa sei partita per creare una storia interamente tua.
Questa
storia è esattamente ciò che volevo!
Drammaticità
del testo: 4/5
Qui ero
indecisa se darti il massimo oppure un 4, ma alla fine ho optato per la
seconda scelta. Vedi, il tuo testo è sicuramente drammatico,
eppure io non ho avvertito proprio tristezza leggendolo, quanto
piuttosto soggezione. Mi ha certamente emozionata, ma più
che rattristarmi o commuovermi, mi ha fatto riflettere. Quindi
sì, un 4 te lo meriti di sicuro, perché comunque
mi hai emozionato, però non me la sono sentita di darti quel
punticino di più.
-Gradimento
personale + un totale di 20 punti bonus: 5/5 +
13/20
Gradimento
personale: 5/5
Che dire?
Penso che il punteggio parli da solo, però questa storia mi
è piaciuta un sacco. Mi ha lasciato qualcosa, ecco, mi ha
fatto riflettere. Non potevo non darti il massimo, perché in
qualche modo mi ha fatto riflettere.Scrivi
davvero bene, complimenti^^
Punti
bonus: 13/20
-3 punti
bonus per l’utilizzo del prompt “vita” [è
stato sfruttato pienamente]
-3 punti
bonus per l’utilizzo del prompt “casto” [è
stato sfruttato pienamente]
-3 punti
bonus per l’utilizzo del prompt “luce” [è
stato sfruttato pienamente]
-1 punto
bonus per l’utilizzo del prompt
“quotidianità” [è
stato appena accennato]
-2 punti
bonus per l’utilizzo dell'elemento “alba”
[è stato sfruttato pienamente]
-1 punto
bonus per l’utilizzo dell'elemento
“mattino” [è stato appena
accennato]
Allora, ti
ho assegnato il massimo a “vita”,
“casto” e “luce”
perché sono proprio i perni della storia, quelli che muovono
un po' tutta l'azione. In primis, questa luce che ha Susy, e che poi,
purtroppo, va spegnendosi. Poi la vita, che va assaporata fino in
fondo, e che quindi non ci si può concedere la
castità.
Stesso
discorso per “alba”, che ho trovato veramente ben
utilizzato. Quest'alba di una nuova vita, che Susy aspetta per 18 ore
finché poi, in ospedale, al mattino, nel momento dell'alba,
la sua vita tramonta. Ecco, ho davvero adorato questo contrasto.
Ti ho
assegnato un solo punto bonus a
“quotidianità”, che ho trovato accennato
solo quando spieghi, appunto, la quotidianità della sua
vita, che poi – certo – viene spezzata quando la
madre se ne va e lei si ritrova da sola col fratello. Ma di
più non potevo darti.
Un solo
punto anche per “mattino”, che ho trovato in
accompagnamento ad “alba”, eppure solo accennato.
Mi spiego meglio: mentre l'alba, nella tua fic, oltre ad essere un
momento ha anche un significato simbolico, il mattino no, quindi non li
ho considerati allo stesso livello.