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Autore: patronustrip    16/09/2011    8 recensioni
[Esperimenti di scrittura creativa.]
Di mare, lenzuola, onde. Vertigini e notti sporcate di stelle.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Harry/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Mi sono buttata di nuovo a capofitto sul mio libro preferito, Oceano Mare di Alessandro Baricco, perché avevo un'idea strana e mi sto cimentando in una long fiction piuttosto particolare, un insieme di stili e giochi di parole e impaginazione, così ho deciso di esercitarmi prima di buttare tutto al pubblico.
Ecco perciò questa One Shot che volevo scrivere da tempo, il risultato mi piace abbastanza.
Buona lettura.

 



Moby Dick

Erano solo in piedi.
Così, l’uno di fronte l’altra. Niente di nuovo in effetti, del resto era un’abitudine piuttosto scontata per loro, trovarsi così vicini, sorridere, toccarsi. Un po’ la mano, una carezza. Un ciuffo di troppo, entrambi ne avevano molti fuori posto – tanto da toccare. La spalla, una piccola spinta per lui se faceva “il solito scemo” o lei di pungente sarcasmo.
Occhi meravigliosi. Certo, mai dimenticare lo sguardo. Se lo annoverassimo nell’insieme del tatto allora potremmo azzardare che entrambi si toccano più spesso di quanto pensino, e in posti più audaci.
Loro due un po’ schivi, sempre stati così, molto riservati, piuttosto imbarazzati. Insieme mai.
Toccarsi con lo sguardo è una routine appurata e piacevole.
Mai avuto qualcuno di cui potersi fidare a tal punto – qualcuno da cui lasciarsi osservare nei momenti più vulnerabili, quelli di dita sgretolate come fatte di ghiaccio. Ghiaccio in cui guardare attraverso.
E gli sguardi bruciano.
Ma lui no. Ma lei no.
Non brucia. E sì, annoveriamo pure il suo sguardo nell’insieme del tatto – perché è come un tocco.
Carezza e solletico in luoghi bizzarri.
(Fra) le dita. Una spalla, sulla curva dolce che il tuo collo porta al mento. Intorno le pieghe di capelli carbone. Angolo di bocca che sorride - crea una fossetta stupenda. Ciglia schive. Profilo di un naso troppo bello per essere solo un naso.
Occhi.
È peggio che avere l’uno la mano nell’altra. Questo tatto è più profondo, arriva in luoghi dove la superficie non cadrà mai. Perfora il buio di sentimenti sopiti – sicuramente evitati – e li arpiona.
Trapassa l’acqua giù per sette leghe e centra il bersaglio. Sempre.
Adesso Moby Dick è di nuovo in superficie. Chi di voi due sarà Achab? Chi catturerà un desiderio ardito - preso per pazzo chi l’ha voluto – chi azzarderà il destino che ha corso sempre per le - vostre - strade tortuose, girando cartelli e contaminando le piste. Spingendo due mondi perpendicolari a divenire paralleli. Impedendogli ciò per cui erano nati: scontrarsi.
Chi si scontrerà adesso? In occhi troppo profondi – lo sono sempre stati – per essere oceano. In cuori troppo estenuati per essere “solita routine”. In respiri troppo ansiosi per essere indifferenti.
In labbra che “sono troppo buone” per essere solo amiche.
Bravo tu, azzardato Achab. Ti disperderai in mare ma morirai con l’animo pieno, strozzato dalla sagola, per un tuo desiderio.
Troppo buone per essere amiche.
Erano solo in piedi e parlavano di un nonnulla. Stelle a contaminare il cielo e luna a graffiare la veranda sghemba di una casa sghemba. 
Parole. Libri. Storie di navi e balene.
I nasi si toccano in strani, lenti, dolci movimenti, le mani si stringono forte per tentare di fermarsi a vicenda, svegliare la ragione – inutilmente. Dimentichi di tutto, labbra si muovono assaggiando più del dovuto, lingua su lingua – è un sussulto -, denti che mordono morbidi sorrisi incerti. Per la prima volta sentirono imbarazzo.
Né la ragione né l’idea di sbagliato li fermarono. Qualcuno la chiama passione.
Lei morde piano e tira verso di sé - una piccola mano sul collo e ancora più verso di sé.
E tu, è lei. La stringi, affondi le mani nel suo corpo. Il corpo.
Avevano, i tuoi occhi, osservato tutto con vago apprezzamento. Dannato Achab, tu vuoi Moby Dick, era ora che salpassi per mari.
Mari. Onde sotto le dita, non c’è terra ferma in quello che stai toccando, è tutto così burrascoso, vivo.
Hermione.
Labbra caldissime, piccole ma piene sul tuo collo. Non ansimare così, porta tempesta.
E tu, è lui. Preghi di non morirne. Non vuoi fargli male ma non riesci a trattenere le dita, affondandole nella maglietta – adesso così fastidiosa.
Non riesci a non graffiare, dannazione – è lui.
Harry.
Le sue mani sono attente ma ovunque, incerte in ogni dove di te stessa, in posti che non sapevi poter toccare in quella maniera. Non credevi neanche di volerlo.
È come stare in alto mare, col collo fuori dall’acqua, ad un pelo. Non senti niente sotto i piedi, è una sensazione disarmante.
Vuoi che stia in alto mare con te.
E lo sanno tutti, che le vesti in mare sono solo d’impiccio.

Come su una barca.
No, su un veliero. Vele candide le lenzuola, mare sotto.
Avanti e indietro, avanti e indietro. Ogni spinta, ogni remata.
Travolti dal mare in tempesta.
Le mani stringono mani e gli occhi non bastano più. Ansimi uniche parole, ne valgono più di mille.  Ogni occhio socchiuso – anche gli sguardi possono sussurrare – è un “non mi pento”.
Questi movimenti come su una nave, vicinissimi i volti, come tenuti abbracciati all’albero maestro in una notte di furia della natura. In cui ci si chiede: perché di tutto questo? perché mi trovo qui?
come ci sono finito?
Dio ce l’avrà con me per avermi portato qui

tra e braccia passionali del mare.
senza vestiti di impiccio.
inseguendo un desiderio.
mezza annegata nel mare.
su una nave in tempesta.
rombi di tuono nel petto.
lampi nel mio corpo.
fra le vele bianche di un letto, abbracciato/a a te, che non ti ho mai visto prima così, come non si sente la tempesta arrivare. Sembra solo pioggia, ma non c’è ombrello che tenga contro l’urgano.

E così, nella notte tempestosa in cui ci troviamo, vorrei solo chiamarti, almeno per una volta.
«Amore mio».
Avanti e indietro. Avanti e indietro. E siamo solo noi due.
E sei caldo/a come il sole, un’estate a portata di mano. Assenza come il respiro che manca, e sotto questa assurda idea mi stringo a te come se potessi soffocare. Il tuo profumo è pane quando sono affamato/a. Il tuo respiro è vento nelle giornate di bonaccia.
E le tue labbra – che Dio mi perdoni – facevano parte di me ancora prima di venire al mondo.
Lui. Tocchi onde, tra seni e fianchi e gambe accoglienti.
Lei. Tocchi il fondo, tra spalle e braccia e mani strette.
Questo piacere.

Così perdi la lancia.
Lasciato in balia delle onde a fine tempesta sei più vivo che morto – mai il contrario.
Tutto per inseguire un desiderio.
La balena bianca è morta.
E tu perdi la lancia, Achab.

 



Da piccola avevo questo libro illustrato (disegni da lasciarci il fiato tra l'altro) che riassumeva Moby Dick, lo adoravo, ed ero sempre scovolta dal capitano Achab e la sua ossessione.

Chissà chissà quel'è la balena bianca dei nostri due.
I miei momenti malinconici tirano fuori stranezze.

  
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