Questo capitolo inizialmente nella mia testa sarà stato lungo 500
parole. E poi boh, all’improvviso si è allungato çOç
. NON VOLEVO CHE FOSSE COSI’ LUNGO. *morde lo schermo* Non volevo neanche fosse così seriosa. Pretendevo
una roba scialla, una cosa comica sull’orlo del
demenziale. Perché è venuto fuori… questo. E sì, ciccinafic, ho appena indicato tutta te [cit.]
Inoltre, volevo dire che sono scema e ho sbagliato a scrivere nell’intro scorsa: il capitolo IV avviene DUE settimane dopo il
terzo, e questo una soltanto, perciò avviene un mese dopo il capitolo I.
Questo capitolo lo dedico ATTE’, Hananas,
perché tu sopravviva più facilmente alle ore post-scolastiche.
Ma soprattutto: chi mi sa dire per primo che pozione potrebbe star
preparando Lavi? :D SENZA SBIRCIARIEJkfdsm Un premio
in palio! (no, che, oddio, boh).
Disclaimer: non mio blahblahblahblahblah.
I. II. III. IV. V. VI. VII.
. S E V E N
.
.
V.
Saluta
rapidamente Allen e le ragazze prima di riprendere il passo di Kanda e dirigersi insieme a lui a Pozioni.
“Come va con
Lenalee?” tira fuori dal nulla, giusto perché ha
voglia di imbarazzare Kanda.
Ma Kanda, come al solito, manca di soddisfare le sue saltuarie
e sadiche voglie. “Non sono affari tuoi, stupido coniglio,” ribatte
scontrosamente, accelerando l’andatura.
“Aww, Kanda, perché sei sempre così restio a mostrare il tuo lato
più umano?” chioccia Lavi. Si avvicina cautamente a lui, per poi sussurrare,
“L’avete già fatto? No perché è da qualche giorno che vedo questa strana luce
negli occhi di Lenalee…” Ed è solo la prontezza di
riflessi sviluppata al massimo grado in quei sette anni che gli permette di
schivare la mano che si lancia verso la sua gola, e la fortuna di essere
arrivati nei sotterranei che lo risparmia da ulteriori aggressioni.
L’aria
dell’Aula di Pozioni è intrisa di un insolito odore. Davanti alla scrivania del
professor Lee è disposto un calderone di ottone, semipieno di un liquido che
diffonde una luminosità madreperlacea intorno a sé.
Lavi
riconosce immediatamente le caratteristiche spirali di vapore che si innalzano
dalla pozione.
“Ragazzi,
non ci fate caso, ho tirato fuori questa piccola scorta per la lezione
successiva del sesto anno. Dovreste già conoscerla, questa suggestiva delizia.
Quindi datevi da fare con il vostro lavoro. Oggi ripassiamo una pozione che con
molta probabilità potrebbero chiedervi ai M.A.G.O. Le
istruzioni sono scritte alla lavagna, l’occorrente lo troverete sulla mia
scrivania e dentro l’armadietto delle scorte.”
Essendo
arrivati in ritardo, Lavi e Kanda occupano due posti
vuoti in prima fila, esattamente davanti al Filtro d’Amore più potente del
mondo.
La pozione
da preparare quel giorno non è così difficile, e Lavi ricorda alla perfezione
cosa deve fare perché venga più perfetta possibile; eppure, dopo dieci minuti
dall’inizio della lezione, quando ormai la sua pozione dovrebbe risplendere di
un lilla chiaro e luminoso, ciò che invece gorgoglia minacciosamente nel suo
consunto calderone è una sostanza di un ripugnante nero violaceo dalla
consistenza apparentemente mielosa. Persino quella di Kanda,
nota Lavi con agitazione, ha un aspetto più rassicurante.
E mentre Kanda continua a schiacciare Fagioli Sopoforosi
con il suo coltello e nel frattempo lanciargli dubbiose occhiate in tralice,
Lavi si asciuga il sudore dalla fronte e prega con tutto il cuore che l’altro
non gli rivolga la parola, non gli domandi perché la sua pozione faccia così schifo.
“Sì può
sapere che diavolo hai oggi? La tua pozione fa schifo.”
Lavi
sospira, scoraggiato dalla vita, e continua a gettare dentro il calderone
quantità casuali di polpa di Fagioli. Ormai la pozione ha cominciato a sibilare
pericolosamente, e il fumo che spira lentamente davanti a lui gli impedisce di
leggere le istruzioni alla lavagna – non che prima vi facesse molto caso,
comunque.
“Yuu…” mormora a disagio, indeciso se porre la domanda di
cui ha paura sentire la risposta.
Kanda deve avere
avvertito la preoccupazione e la stanchezza
nella sua voce, perché al suono del suo nome si limita a serrare la mandibola
con forza, in attesa che continui.
“Che odore
senti se annusi l’Amortentia?”
Le sue
parole colgono Kanda impreparato, e forniscono a Lavi
la visione di uno di quei rari e impagabili momenti in cui Kanda
arrossisce.
Questi
rimane zitto, con le mani tanto strette sul mestolo che le sue nocche diventano
bianche, ma Lavi attende, ammirando le sue guance, trepidante e ansioso allo
stesso tempo.
Dopo qualche
minuto, quando Lavi è ormai convinto che non riceverà alcuna risposta, Kanda si schiarisce la gola.
“Cosa pensi
che senta, idiota,” borbotta soltanto, ma per Lavi è più che sufficiente – in
realtà lo era già il rossore.
“Perché, tu
cosa senti?” chiede Kanda in tono così piatto che Lavi
non capisce se gli interessi davvero o l’abbia fatto solo per distogliere
l’attenzione da se stesso. In ogni caso Lavi si sente chiamato in causa, e
prontamente il sangue gli sale verso il viso e gli tinge le guance di rosso.
“Beh, sento
le solite cose, no?” risponde reticente, mescolando convulsamente la pozione, e
fingendo una risatina allegra che sembra più l’incipit di un attacco d’isteria,
“l’odore di pergamena vecchia, di inchiostro, di legno, quelle cose lì…” Il mestolo gli scivola di mano e affonda in quella
sostanza melmosa che è diventata la pozione. Lavi lo recupera con un certo
disgusto con mani tremanti e, esibendosi in un altro risolino pietoso, riprende
a mescolare, intervallando a breve distanza direzioni casuali.
Troppo tardi
registra il significato dello sguardo allarmato di Kanda e
l’esclamazione di sorpresa del professore seguita dall’imperativo comando di
fermarsi immediatamente.
In una
tragica frazione di secondo, la pozione esplode con un rumore assordante,
crepando i bordi del calderone e innaffiando di spruzzi di maleodorante melma
violacea la stanza, gli studenti nauseati e il professore sbigottito.
Svariati
minuti dopo, quando l’intera classe è ormai stata congedata in anticipo a causa
dell’incidente – e Kanda l’ha lasciato promettendogli
una morte lenta e dolorosa –, avvilito, Lavi si avvicina al professore, che sta
finendo di ripulire le ultime tracce dell’esplosione con un pratico tocco di
bacchetta.
“Mi… mi dispiace, professore.”
Il professor
Lee si gira verso di lui e sospira, ma gli sorride indulgente. “È in parte
colpa mia, avrei dovuto osservare meglio e non dare per scontato nulla… Di solito te la cavi così bene…
e quella pozione è difficile da far esplodere in quel modo.”
Gli lancia
uno sguardo indagatore e, un po’ preoccupato, aggiunge: “Cosa non andava questa
volta?”
Lavi apre la
bocca, ma l’unica cosa che riesce a pensare è che il professor Lee e sua
sorella Lenalee, seppur molto diversi tra loro,
condividono la stessa identica espressione angustiata. Perciò richiude subito
la mandibola con uno scatto, in mancanza di qualcosa di intelligente da dire.
Il suo occhio ricade automaticamente sul colpevole, quel calderone che poco
prima era riempito dal Filtro d’Amore.
“…Ah, haha…
dovrei smettere di fidarmi di Lenalee,” commenta
enigmaticamente il professore, a cui improvvisamente gli occhi brillano di
divertimento e comprensione, che Lavi non riesce assolutamente a motivare. …E cosa c’entrerebbe Lenalee in
tutto questo?
Il signor
Lee solleva gli occhiali dal naso e si strofina la mano sulla faccia in un
movimento lento e fiacco. “Penso che tu debba andare a pranzo tra poco, Lavi,”
dice tranquillo, ma Lavi non coglie subito l’invito ad andarsene: rimane lì in
piedi, confuso, pendolando imbarazzato sulle sue gambe. “Non…
non mi dà una punizione? Nulla?”
Il professor
Lee lo contempla per un attimo, con qualcosa misto a scetticismo negli scuri
occhi a mandorla, prima di ridacchiare tra sé e sé, con tono sorpreso. “Beh,
non ne avevo intenzione, ma visto che lo chiedi…”
Cinque minuti
dopo, Lavi fa il suo ingresso nella Sala Grande con una persistente faccia da
funerale e si accascia sulla panca al tavolo dei Grifondoro.
I pochi studenti già presenti si tengono lontani da lui, intimoriti dal modo in
cui squadra incupito il cibo servito come se questo gli avesse arrecato
un’indelebile offesa.
Non si
sorprende quando vede comparire Allen all’entrata – lui e Fou
hanno un’ora buca prima di pranzo, mentre Lenalee ha
la lezione di Babbanologia.
“Ciao,
bombarolo,” lo saluta l’altro con allegria.
“Haha, non è divertente. …Chi te
l’ha detto?”
“Kanda, ovviamente. L’abbiamo beccato poco fa. Mentre andava
a ripulirsi quella roba fetida che aveva addosso. Dovrei ringraziarti, per la
cronaca. È stato bellissimo prenderlo in giro.”
“Dov’è Fou?”
“In biblioteca,
doveva controllare una cosa.”
Allen si
lascia cadere vicino a lui, e comincia a servirsi con una lentezza insolita.
Lavi vorrebbe solo alzarsi ed allontanarsi da lì, da Allen, e da quello
stupido, stupidissimo—
È inutile
negarlo, realizza Lavi con un nodo alla gola: è inconfondibile
quell’indescrivibile odore lievemente dolciastro misto alla fresca fragranza di
menta. È tipico di Allen, e Lavi lo
conosce troppo bene per poterlo scambiare con qualsiasi altro. Forse dovrebbe
preoccuparsi del fatto che conosca Allen così bene, persino il suo odore – ma è
normale, crede. Sono stati vicini tante volte.
(Ma gli è
bastata la prima. Gli è bastato avvicinare a sufficienza una sola volta il naso
al suo collo e quell’odore non ha mai lasciato la sua memoria. In fondo, Lavi
non dimentica praticamente nulla – soprattutto se si tratta dei suoi amici.
Soprattutto se si tratta di Allen.)
“È insolito
che tu faccia esplodere un’aula, Lavi,” mormora Allen in un tono di voce così
lieve e pacato che per poco non sfugge al suo orecchio. Non aggiunge
nient’altro, ma Lavi comprende che sta aspettando una risposta – che non ha.
“Lo so,”
temporeggia, prendendo in mano la forchetta e spostando i pezzi di cibo qua e
là per il piatto, “ero un po’ sovrappensiero. Agitato, più che altro. Per i M.A.G.O., sai.”
Preferirebbe
non aver notato il corpo di Allen irrigidirsi di scatto. Ma come se niente
fosse, Allen gli sorride di nuovo. È un sorriso vuoto, senza alcuna felicità, e
fa male constatare che quel sorriso è causa sua.
“Capisco,
anche io sono un po’ sotto pressione.”
Lavi gli
rivolge una sorta di smorfia di comprensione, e torna a giocare con il suo
cibo.
Cala un
silenzio scomodo. Non è il solito, piacevole silenzio rilassante, che
s’instaura tra loro quando sono sfiniti, o sazi, o semplicemente non sentono il
bisogno di riempire gli attimi con discorsi vuoti e frivoli. Non è il solito
silenzio che Lavi ama condividere ogni tanto con lui e che, pensa, sia una
delle tante, tante prove della loro amicizia.
È invece un silenzio
spiacevole, carico di tensione, di dispiacere, di sensi di colpa, di respiri
trattenuti e parole non dette.
Ma è in quel
silenzio, seduto di fianco al suo migliore amico e con una cappa oppressiva che
si sorregge a stento sopra di lui, minacciando di crollare rovinosamente in
qualsiasi momento, che Lavi si rende conto, per la prima volta in quelle
quattro settimane, di essere stato un completo, irrecuperabile, imperdonabile
idiota.
Ha chiuso
gli occhi davanti all’evidenza quando i fatti parlavano da soli e meglio degli
infiniti dubbi, e ha ricamato con spudorata ipocrisia una verità fittizia sopra
di questi. Il bacio, l’Amortentia… persino la sua
stupida tazza da tè hanno indicato sempre e solo una strada, che lui si è rifiutato di camminare – o meglio, si è
rifiutato di credere di starla già
camminando, di essere troppo immerso per poterle sfuggire. Ha desiderato
baciare Allen, e poi ha stupidamente cercato di ingannarsi, convincendosi che
il ricordo di quel desiderio avverato, quel bacio rubato quella notte, il
tumulto di emozioni eruttate in lui in quel singolo istante, non siano
marchiati a fuoco nella sua memoria, nella sua coscienza, per tutti i giorni e
le notti, e che il desiderio di poterlo rifare,
di poter riavere tutto anche solo
un’altra volta…
‘L’Aritmanzia,’
gli sussurra una vocina lagnosa nella sua testa, ‘A me piace l’Aritmanzia. Perché non ci si può
fidare di lei?’
Ma Lavi
scaccia infastidito – e impaurito come non mai – quella vocina codarda, capendo
che il suo attaccamento all’Aritmanzia, a quella
stupida e insignificante differenza di una cifra, è dovuta a un problema più
profondo.
Al culmine
della sua agitazione e della sua insicurezza, ha desiderato mentire agli altri
sulla sua preoccupazione non solo per mentire a se stesso, ma anche per
rivedere il sorriso di Allen, che sembrava averlo abbandonato a causa sua; per
poter parlare di nuovo con lui liberamente, senza ulteriori ansie e timori; per
poter riavere l’amicizia che c’è sempre stata tra di loro e che ha temuto, per
un attimo, potesse sgretolarsi.
Non avrebbe
mai permesso che ciò accadesse, per nessuna cosa al mondo. La sua amicizia con
Allen è troppo preziosa, troppo importante per essere persa per colpa di
stupidi dubbi e indesiderati sentimenti, questo è ciò che ha pensato.
E questo è
ciò che pensa tutt’ora.
“Ti rendi
conto, l’anno prossimo non ci sarai più.”
Lavi
riemerge dai suoi pensieri come da un sogno. Gli sembra che la boccata d’aria
che prende allora sia più fresca di quella precedente, e che la luce di
mezzogiorno che entra dalle finestre e dal soffitto incantato sia
all’improvviso più luminosa. Si era dimenticato che Allen fosse lì, di fianco a
lui. Si rende conto di aver perso la cognizione del tempo. Ma non ha il
coraggio di chiedere quanto sia passato dall’ultima parola che si sono rivolti –
stranamente, gli pare un’eternità.
“Già, è un peccato… mi mancherà questa scuola.”
“E a me
mancherai tu.”
Lavi alza di
scatto la testa, e vede la smorfia di tristezza che segna il viso giovanile di
Allen. Scorge qualcosa nei suoi occhi, di così profondo che ha paura di
immergervisi, di scoprire, perciò ancora una volta si dimostra un codardo, e
sorride con leggerezza nel tentativo di compensare quell’atmosfera grave che è
calata su di loro formando una spessa cortina di depressione.
“Aw, mi mancherai
anche tu, Allenuccio,”
tuba scherzosamente Lavi, arruffandogli i capelli con una mano, e non si sforza
di trattenere il sorriso affettuoso che gli cresce sulle labbra quando Allen
cerca di sfuggire a quel trattamento, sfoggiando un’espressione altamente
contrariata.
“Comunque,”
riprende il più giovane, dopo essersi sistemato in qualche modo le sue ciocche
disordinate di capelli bianchi, “il tempo che hai a disposizione si accorcia
sempre di più. Ti conviene non lasciare rimpianti alle spalle una volta che
sarai uscito. Fai tutto quello che senti di dover fare, Lavi, e velocemente,
prima che sia troppo tardi.”
Segue un
silenzio pregno di un’atmosfera indecifrabile, in cui Lavi lo guarda con
confusione e malcelato sgomento, e Allen si limita a sorridergli affabilmente –
c’è qualcosa di strano e affascinante
nel suo sguardo. Lavi si distrae, osservando quegli occhi grigi che sembrano
trasmettergli una sorta di messaggio in codice, ma quando apre la bocca per
chiedergli cosa intenda dire, Fou fa il suo rumoroso
ingresso nella Sala Grande, lagnandosi a gran voce dell’impossibilità di
trovare una qualsiasi informazione utile in quella biblioteca maledettamente
immensa.