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Autore: Nadine_Rose    17/09/2011    0 recensioni
Questa è la storia di un amore nato tra la peggiore delle violenze e maturato per il desiderio inconscio d’amare, un amore capace d’intenerire il duro cuore di un soldato e di confondere l’animo di una prigioniera.
“Guardandomi attorno, mi resi conto che ero l’unica senza compagnia e di nuovo m’invase la tristezza. Mi avevano detto che per ogni persona sulla faccia della terra c’era un’anima gemella e la mia in quale parte del mondo si nascondeva? Mi domandavo chi fosse e cosa stesse provando in quel momento l’uomo che dall’alto mi era stato designato” [Rosa De Santis; tratto dal capitolo 5, False speranze].
“Mi voglio arruolare, voglio portare la Germania, la nostra Germania alla vittoria. Fra qualche mese tutta l’Europa saprà chi sono gli Von Hennen” [Karl Von Hennen; tratto dal capitolo 6, Orgoglio patriottico].
Storia scritta insieme a un mio amico.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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Capitolo 5

 

Karl Von Hennen

 

Gennaio 1943

( Terza parte )

 

Orgoglio patriottico

 

“Muovete il vostro sedere, signorine, gli inglesi non aspetteranno che vi mettiate a riparo!” urlò il tenente Hofferman dal suo cavallo nero. L’esercito tedesco stava marciando verso la Somme, dove secondo molti la morte si sarebbe abbattuta sull’esercito nemico. 
“Dai forza Fredrick, cerca di camminare!” disse un ragazzotto non ancora diciottenne con i capelli neri al suo compagno che sbuffò pesantemente. Fredrick era un ragazzo alto e robusto e faceva parte della 5 divisione. 
“Stasera passeggeremo fra le cucine da campo dei galletti” riprese con far vivo l’amico, nel tentativo di spronarlo.
“Ma stai un po’ zitto, Adolf!” lo rimproverò il camerata. Il cielo era nuvoloso e da un momento all’altro sembrava che dovesse venire a piovere. La colonna dell’esercito tedesco era in marcia dalla mattina senza fermarsi. Aveva ricevuto l’ordine di raggiungere la Somme dove si stavano accalcando gli eserciti anglo-francesi. La notizia era stata accolta con entusiasmo dalle truppe. Erano infatti stati richiamati dalla battaglia di Verdun.
“Alt! Va bene signorine dieci minuti di pausa.” Gridò un ufficiale nel suo cappotto grigio. Vi fu qualcuno che urlò dalla gioia.
“Voi due, andate a perlustrare la zona e vedete se è pulita, non vorrei trovarmi con una pallottola inglese nella tempia!” fece il caporal Hutstong rivolto ai due compagni. Adolf lo voleva fulminare con lo sguardo. Il caporale era il classico figlio della borghesia prussiana altolocata, abituato a guardare gli altri dall’alto verso il basso. Era entrato nell’esercito convinto di fare una brillante carriera, ma molti erano convinti che se non era per le conoscenze e il nome che portava, non sarebbe neanche stato sguattero nella peggiore locanda di Berlino.
“Andiamo, prima che prendo a calci questo idiota” riprese Fredrick scrollando l’amico che era rimasto a fissare l’ufficiale.
Presero gli zaini e si misero in cammino verso la collinetta brulla. Intanto iniziò a piovere. 
“Ecco ci mancava solo la pioggia, sai cosa penso: al diavolo la Somme la guerra e perfino le ballerine di can can” sbuffò Adolf.
“Dici così solo perché odi quello stupido caporale, voglio vedere quando sarai fra le grazie di qualche premier dame di Parigi, se odierai la guerra” sentenziò Fredrick.
I due arrivarono sul crinale della collina e si stesero a terra per perlustrare la zona. Presero i binocoli. Le trincee francesi sembravano deserte. Ogni tanto si vedeva qualche luce di qualche lanterna all’interno di baracche costruite alla meno peggio. Ad un tratto mentre stavano guardando una fossa si sentì uno sparò e subito Adolf gridò. Il suo urlo fece gelare il sangue nelle vene al suo compagno. Adolf era l’unico amico che aveva nell’esercito. Subito gettò il binocolo e cercò di soccorrere il compagno. 
“Adolf! Adolf” gridò il giovane in preda al panico. Il compagno stava disteso sull’erba bagnata e quando Fredrick lo girò trattenne a stento un urlo di terrore. Il suo elmetto era forato e un rivolo di sangue ne scendeva. Gli occhi del ragazzo sbarrati fissavano il vuoto.
“No!” Fredrick si svegliò nella sua stanza da letto. La sua fronte era imperlata di sudore. Da quando era iniziata la guerra faceva spesso quell’incubo. Guardò la moglie che gli dormiva accanto e sembrava non essersi accorta di nulla. Scese dal letto, infilò la vestaglia e si avvicinò alla finestra. Vide che c’era qualcuno nel giardino. Scese. 

“Come può pensare che io sia come lui!” pensò Karl andando avanti e indietro nel giardino di fronte alla casa. Proprio non riusciva a capire come suo padre era sempre così testardo e razionale. A volte credeva che di lui non gli importava proprio nulla. Si sedette sulla panchina di granito e sprofondò la sua chioma bionda fra le mani. Non voleva andare in guerra, anzi la odiava. Non capiva perché per colpa di qualche politico migliaia di ragazzi dovessero morire. Però poi, come un lampo gli venne in mente un’idea. Se accettava di arruolarsi e riusciva a sopravvivere sul campo di battaglia avrebbe ottenuto fama e gloria e suo padre magari lo avrebbe visto sotto un’altra luce. In fondo, quanto poteva durare ancora la guerra? Non molto pensò. Il fronte francese era crollato come neve al sole, e ad est c’era solo la Russia che rappresentava la minaccia. Sì, aveva deciso. Si doveva arruolare. All’improvviso un rumore alle sue spalle lo fece sobbalzare. Era suo padre. I due stettero per un attimo a guardarsi fermi, immobili, senza dire nulla, poi, quasi come se fossero in simbiosi si sedettero sulla panchina. Vi furono alcuni attimi di tensione nei quali i due si guardarono negli occhi. 
“Ti ho mai raccontato della Somme?” iniziò il padre sforzandosi di avere un atteggiamento cortese.
“Circa una cinquantina di volte … dei tuoi gesti eroici del tuo infiltramento dietro le linee francesi.” Rispose seccato Karl. L’incontro non era iniziato nei migliori dei modi.
“Ti vorrei raccontare un episodio che non ti ho mai raccontato a tal proposito” continuò imperterrito il padre, e iniziò a raccontare il suo sogno.
“Mi dispiace, non lo sapevo che avevi perso il tuo migliore amico, deve essere stato terribile” concluse il ragazzo che aveva gli occhi lucidi. 
“Sai mi sogno ancora il suo volto, tutte le notti” rispose il padre e aggiunse “Se non ti vuoi arruolare non fa niente, mi darai una mano nelle acciaierie. Saresti un ottimo direttore” 
“Ecco, di questo ti volevo parlare: ho preso una decisione. Mi voglio arruolare, voglio portare la Germania, la nostra Germania alla vittoria. Fra qualche mese tutta l’Europa saprà chi sono gli Von Hennen.” Disse il giovane in preda a un fervore patriottico.
“Sono orgoglioso di te, mi riempi di gioia.” 
“Andiamo a berci un buon whisky, in tuo onore” riprese il padre dando una pacca sulla spalla a Karl e i due entrarono in casa.
Quella settimana passò in fretta per Karl. Passò molto tempo con Ludwig inseparabile amico, ma il suo cuore era tormentato. Dal ballo non aveva più visto Annah, la ragazzina dai capelli neri. Era possibile che già si era dimenticata di lui? Non lo voleva accettare. 

“Treno per Berlino in partenza dal binario 3” annunciò l’altoparlante della stazione di Dortmund. 
“Sarà meglio che mi sbrighi, altrimenti faccio tardi” disse Karl nella sua divisa grigia. Era molto elegante. 
“Stai attento e non fare l’eroe” disse la madre col viso rigato dalle lacrime. 
“Mi raccomando fatti valere” disse a sua volta il padre facendo il saluto militare. 
“Non ti preoccupare, mi farò valere e cercherò di non fare l’eroe” ribatté il ragazzo abbracciando i genitori e si avviò.
Mentre percorreva il sottopassaggio si sentì chiamare a gran voce. Era Ludwig.
“Ehi che ci fai qua, non avevi detto che gli addii non ti piacciono?” disse ridendo il soldato.
“Ma dai, non potevo permettere al mio migliore amico di partire senza salutarlo”
I due compagni si abbracciarono. 
“ Ora non fare che ti prendi tutte le ragazze della città mi raccomando, lasciamene qualcuna.” Fece Karl ammiccando all’amico.
“Tu pensa a restare in vita che poi di ragazze ne trovi quante ne vuoi” rispose Ludwig.
I due si lasciarono e quando Karl risalì sul marciapiede vide una ragazza con i capelli neri che lo fissava. Era Annah. Il giovane posò la valigia e corse immediatamente da lei. L’abbracciò travolto dalla passione.
“Pensavo che non saresti venuta. Ma che fine hai fatto?” chiese Karl quando la lasciò andare dalle sue braccia.
“Ho avuto da fare, scusami.” Disse timidamente la ragazza che non si aspettava quella reazione.
“ Non importa, l’importante è che sei qui adesso. Ti ho pensato in questi giorni.” Ribatté Karl.
“Anch’io.” E aggiustò i suoi capelli che uscivano fuori dal cappello.
Il treno fischiò e Karl si affrettò a salutarla. 
“Non mi dimenticare Karl” gridò Annah. 
Il ragazzo si girò e batté la mano sul petto. Salì sulla carrozza e si affacciò al finestrino e salutando il treno partì.

 

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Questo capitolo è stato scritto da UgoCINQUE

 

   
 
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