Capitolo 5
Karl Von Hennen
Gennaio 1943
( Terza parte )
Orgoglio patriottico
“Muovete il vostro sedere, signorine, gli inglesi non
aspetteranno che vi mettiate a riparo!” urlò il tenente Hofferman dal suo
cavallo nero. L’esercito tedesco stava marciando verso la Somme, dove secondo
molti la morte si sarebbe abbattuta sull’esercito nemico.
“Dai forza Fredrick, cerca di camminare!” disse un
ragazzotto non ancora diciottenne con i capelli neri al suo compagno che sbuffò
pesantemente. Fredrick era un ragazzo alto e robusto e faceva parte della 5
divisione.
“Stasera passeggeremo fra le cucine da campo dei
galletti” riprese con far vivo l’amico, nel tentativo di spronarlo.
“Ma stai un po’ zitto, Adolf!” lo rimproverò il
camerata. Il cielo era nuvoloso e da un momento all’altro sembrava che dovesse
venire a piovere. La colonna dell’esercito tedesco era in marcia dalla mattina
senza fermarsi. Aveva ricevuto l’ordine di raggiungere la Somme dove si stavano
accalcando gli eserciti anglo-francesi. La notizia era stata accolta con
entusiasmo dalle truppe. Erano infatti stati richiamati dalla battaglia di
Verdun.
“Alt! Va bene signorine dieci minuti di pausa.”
Gridò un ufficiale nel suo cappotto grigio. Vi fu qualcuno che urlò dalla
gioia.
“Voi due, andate a perlustrare la zona e vedete se
è pulita, non vorrei trovarmi con una pallottola inglese nella tempia!” fece il
caporal Hutstong rivolto ai due compagni. Adolf lo voleva fulminare con lo
sguardo. Il caporale era il classico figlio della borghesia prussiana altolocata,
abituato a guardare gli altri dall’alto verso il basso. Era entrato
nell’esercito convinto di fare una brillante carriera, ma molti erano convinti
che se non era per le conoscenze e il nome che portava, non sarebbe neanche
stato sguattero nella peggiore locanda di Berlino.
“Andiamo, prima che prendo a calci questo idiota”
riprese Fredrick scrollando l’amico che era rimasto a fissare l’ufficiale.
Presero gli zaini e si misero in cammino verso la
collinetta brulla. Intanto iniziò a piovere.
“Ecco ci mancava solo la pioggia, sai cosa penso:
al diavolo la Somme la guerra e perfino le ballerine di can can” sbuffò Adolf.
“Dici così solo perché odi quello stupido
caporale, voglio vedere quando sarai fra le grazie di qualche premier dame di
Parigi, se odierai la guerra” sentenziò Fredrick.
I due arrivarono sul crinale della collina e si
stesero a terra per perlustrare la zona. Presero i binocoli. Le trincee
francesi sembravano deserte. Ogni tanto si vedeva qualche luce di qualche
lanterna all’interno di baracche costruite alla meno peggio. Ad un tratto
mentre stavano guardando una fossa si sentì uno sparò e subito Adolf gridò. Il
suo urlo fece gelare il sangue nelle vene al suo compagno. Adolf era l’unico
amico che aveva nell’esercito. Subito gettò il binocolo e cercò di soccorrere
il compagno.
“Adolf! Adolf” gridò il giovane in preda al
panico. Il compagno stava disteso sull’erba bagnata e quando Fredrick lo girò
trattenne a stento un urlo di terrore. Il suo elmetto era forato e un rivolo di
sangue ne scendeva. Gli occhi del ragazzo sbarrati fissavano il vuoto.
“No!” Fredrick si
svegliò nella sua stanza da letto. La sua fronte era imperlata di sudore. Da
quando era iniziata la guerra faceva spesso quell’incubo. Guardò la moglie che
gli dormiva accanto e sembrava non essersi accorta di nulla. Scese dal letto,
infilò la vestaglia e si avvicinò alla finestra. Vide che c’era qualcuno nel
giardino. Scese.
“Come può pensare che io sia come lui!” pensò Karl
andando avanti e indietro nel giardino di fronte alla casa. Proprio non
riusciva a capire come suo padre era sempre così testardo e razionale. A volte
credeva che di lui non gli importava proprio nulla. Si sedette sulla panchina
di granito e sprofondò la sua chioma bionda fra le mani. Non voleva andare in
guerra, anzi la odiava. Non capiva perché per colpa di qualche politico
migliaia di ragazzi dovessero morire. Però poi, come un lampo gli venne in
mente un’idea. Se accettava di arruolarsi e riusciva a sopravvivere sul campo
di battaglia avrebbe ottenuto fama e gloria e suo padre magari lo avrebbe visto
sotto un’altra luce. In fondo, quanto poteva durare ancora la guerra? Non molto
pensò. Il fronte francese era crollato come neve al sole, e ad est c’era solo
la Russia che rappresentava la minaccia. Sì, aveva deciso. Si doveva arruolare.
All’improvviso un rumore alle sue spalle lo fece sobbalzare. Era suo padre. I
due stettero per un attimo a guardarsi fermi, immobili, senza dire nulla, poi,
quasi come se fossero in simbiosi si sedettero sulla panchina. Vi furono alcuni
attimi di tensione nei quali i due si guardarono negli occhi.
“Ti ho mai raccontato della Somme?” iniziò il
padre sforzandosi di avere un atteggiamento cortese.
“Circa una cinquantina di volte … dei tuoi gesti
eroici del tuo infiltramento dietro le linee francesi.” Rispose seccato Karl.
L’incontro non era iniziato nei migliori dei modi.
“Ti vorrei raccontare un episodio che non ti ho
mai raccontato a tal proposito” continuò imperterrito il padre, e iniziò a
raccontare il suo sogno.
“Mi dispiace, non lo sapevo che avevi perso il tuo
migliore amico, deve essere stato terribile” concluse il ragazzo che aveva gli
occhi lucidi.
“Sai mi sogno ancora il suo volto, tutte le notti”
rispose il padre e aggiunse “Se non ti vuoi arruolare non fa niente, mi darai
una mano nelle acciaierie. Saresti un ottimo direttore”
“Ecco, di questo ti volevo parlare: ho preso una
decisione. Mi voglio arruolare, voglio portare la Germania, la nostra Germania
alla vittoria. Fra qualche mese tutta l’Europa saprà chi sono gli Von Hennen.”
Disse il giovane in preda a un fervore patriottico.
“Sono orgoglioso di te, mi riempi di gioia.”
“Andiamo a berci un buon whisky, in tuo onore”
riprese il padre dando una pacca sulla spalla a Karl e i due entrarono in casa.
Quella settimana passò in fretta per Karl. Passò
molto tempo con Ludwig inseparabile amico, ma il suo cuore era tormentato. Dal
ballo non aveva più visto Annah, la ragazzina dai capelli neri. Era possibile
che già si era dimenticata di lui? Non lo voleva accettare.
“Treno per Berlino in partenza dal binario 3”
annunciò l’altoparlante della stazione di Dortmund.
“Sarà meglio che mi sbrighi, altrimenti faccio
tardi” disse Karl nella sua divisa grigia. Era molto elegante.
“Stai attento e non fare l’eroe” disse la madre col
viso rigato dalle lacrime.
“Mi raccomando fatti valere” disse a sua volta il
padre facendo il saluto militare.
“Non ti preoccupare, mi farò valere e cercherò di
non fare l’eroe” ribatté il ragazzo abbracciando i genitori e si avviò.
Mentre percorreva il sottopassaggio si sentì
chiamare a gran voce. Era Ludwig.
“Ehi che ci fai qua, non avevi detto che gli addii
non ti piacciono?” disse ridendo il soldato.
“Ma dai, non potevo permettere al mio migliore
amico di partire senza salutarlo”
I due compagni si abbracciarono.
“ Ora non fare che ti prendi tutte le ragazze
della città mi raccomando, lasciamene qualcuna.” Fece Karl ammiccando
all’amico.
“Tu pensa a restare in vita che poi di ragazze ne
trovi quante ne vuoi” rispose Ludwig.
I due si lasciarono e quando Karl risalì sul
marciapiede vide una ragazza con i capelli neri che lo fissava. Era Annah. Il
giovane posò la valigia e corse immediatamente da lei. L’abbracciò travolto
dalla passione.
“Pensavo che non saresti venuta. Ma che fine hai
fatto?” chiese Karl quando la lasciò andare dalle sue braccia.
“Ho avuto da fare, scusami.” Disse timidamente la
ragazza che non si aspettava quella reazione.
“ Non importa, l’importante è che sei qui adesso.
Ti ho pensato in questi giorni.” Ribatté Karl.
“Anch’io.” E aggiustò i suoi capelli che uscivano
fuori dal cappello.
Il treno fischiò e Karl si affrettò a salutarla.
“Non mi dimenticare Karl” gridò Annah.
Il ragazzo si girò e batté la mano sul petto. Salì
sulla carrozza e si affacciò al finestrino e salutando il treno partì.
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Questo capitolo è stato scritto
da UgoCINQUE