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Autore: WhiteLight Girl    17/09/2011    3 recensioni
«Sotto il letto di Elena», ripeté Zick per la terza volta. Si rimboccò le maniche e si mise a carponi; sollevò la coperta e guardò con attenzione.
«Calma piatta, non c’è nulla», disse sicuro.
«Davvero?», domandò Charlie deluso. «Sei sicuro? Io l’ho visto, lo vedo sempre!», si lamentò con le lacrime agli occhi.
Zick si alzò, si inginocchiò davanti a lui e gli afferrò le manine: «Non c’è nulla qui, devi stare tranquillo, ma se mai dovessi vederlo di nuovo chiamami e sarò subito da te, ok?»
Charlie annuì deluso. «E se non arrivi in tempo?», domandò.
«Abito a meno di venti metri! Verrò anche in mutande se servirà!»
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Elena Patata, Zick Barrymore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Monster Allergy. Giochi



«E’ alto», borbottò Elena scrutando il pendio che Charlie le stava indicando.
«Se vuoi puoi restare qui ad aspettare Zick, mi sembri un po’ persa senza di lui»
Elena sussultò. «Come scusa? Io non sono persa senza Zick!», si lamentò.
Charlie controllò bene la roccia appena sopra di loro e iniziò l’arrampicata. «Allora sali».

Mentre si avviava verso il bosco scuro l’attenzione di Zick si focalizzò sul monte scuro che svettava sopra le fronde. Sentiva un gelo innaturale provenire da quella direzione, e decise che sicuramente, se Elena era nei paraggi si sarebbe diretta in quella direzione.
O almeno sperò che fosse così.
Si rimboccò le maniche e cominciò a pestare i piedi sulle foglie secche saltando di buona lena sulle radici. Il silenzio attorno a Zick era irreale, la luce fioca, quasi inesistente, e non si riusciva a capire da dove provenisse.
Il ragazzo non perse tempo a chiedersi la ragione di quel cupo silenzio e proseguì dritto, sperando di non sbagliare strada.
Voleva raggiungere Elena e Charlie al più presto; probabilmente non era mai stato più in ansia per qualcuno di quanto lo fosse in quel momento.
Camminò per una decina di minuti prima di accorgersi che invece che dal silenzio ora era circondato da sibili e sussurri.
In quella notte cupa, fino a poco prima, non si era preoccupato del fatto che non vi fossero grilli o altre forme di vita, ora si chiedeva da dove provenissero tutti quei mormorii.
Tenne d’occhio – per quanto riusciva – lo spazio alle sue spalle e ai sui lati. Un mormorio più chiaro degli altri lo distrasse e inciampò su un tronco. Si ritrovò steso sulle foglie, col mento sporco di terra e la mascella dolorante. «Dannazione!», borbottò.
Puntò le mani per terra per sollevarsi e si trovò le dita impigliate in qualcosa che sembrava stoffa.
Lo portò davanti agli occhi e lo osservò. Lo riconobbe subito, era il nastro che Elena portava sempre per legare i capelli in una coda bassa da quando aveva smesso di farsi i codini.
Sospirò sconsolato e scrutò nell’oscurità. Di lei e di suo fratello non c’era traccia.
Annusò il nastro e riconobbe il profumo dei capelli dell’amica. Legò il nastro al polso, per non perderlo, e si alzò.
«Elena!», gridò speranzoso di sentire una risposta. «Elena…», ripeté rassegnato.
Tornò sui suoi passi, quando l’urlo della ragazza lo raggiunse forte facendolo letteralmente sobbalzare.
«Elena!», gridò, correndo nella direzione da cui l’aveva sentita chiamare.
Superò i pochi metri che lo dividevano da lei e la vide; aveva una liana scura attorcigliata attorno ad una caviglia e sembrava che questa la stesse trascinando verso le radici di un albero terrificante.
«Elena!», gridò di nuovo correndole incontro e gettandosi a terra.
«Zick!», lo chiamò lei cercando di liberarsi dalla liana, che la strattonò e la trascinò tra i ciottoli per un paio di metri.
Zick la afferrò per la vita cercando di aiutarla a resistere alla presa. «Resisti, ci penso io». Provo a lanciare un Raggio Dom contro la liana, ma dovette fare un paio di tentativi prima di riuscire a liberarla. Provò a tirarla indietro, ma altre due liane la raggiunsero come fruste e la trascinarono di nuovo giù.
«Zick, ti prego, non mollarmi così», disse Elena al ragazzo.
Lui strinse forte le braccia attorno alla camicetta sporca di lei e lanciò altri due Raggi. Le due liane furono sostituite da altre cinque, e da quel momento tutto sembrò andare male. Zick non riusciva più ad utilizzare il Dom.
«Accidenti! Accidenti!», borbottò trattenendo una parolaccia.
Le liane strattonarono ancora Elena, graffiandole le gambe scoperte.
«Aih!», strillò.
Zick si guardò attorno alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarli. Vide una pietra appuntita un paio di metri alla loro destra e provò a raggiungerla. Era troppo lontana.
«Eih», disse all’orecchio di Elena. «Ti lascio un attimo per prendere una pietra», l’avvertì.
«Cosa? No! Ti prego! No!», lo supplicò terrorizzata.
«Solo tre secondi», insistette lui. La lasciò andare e lei fu trascinata velocemente per un paio di metri. Zick afferrò la pietra e si lanciò ai piedi della ragazza, iniziò a colpire le liane una per una. Ma Elena si avvicinava sempre di più alla radice, tanto che Zick dovette puntare i piedi su una delle radici per evitare che la ragazza ci scivolasse dentro.
«Zick», mormorò Elena.
Il ragazzo le afferrò i polsi mentre lei scivolava dentro alla fanghiglia che riempiva il vuoto tra due radici. «Elena», disse lui stringendo la presa. «Resisti»
«Ho tanta paura»
Zick sentì una morsa nello stomaco; il cuore rischiava di esplodergli in petto dal terrore di perderla.
Ci fu un altro strattone ed Elena finì sommersa fino alla vita. All’improvviso Zick non riuscì più a tenerla fuori dalla trappola. La vide scivolare sempre più a fondo, le spalle, il collo, il mento e la bocca.
La chiamò, ma lei non poteva rispondere, La vide chiudere gli occhi e sprofondare.
Non mollò la presa finche non ebbe immerso le sue stesse mani. Fu allora che sentì tutto svanire. L’albero era scomparso, e così le radici e il fango sulle sue mani. Doveva essere stata un’allucinazione.
Si alzò in piedi, con i brividi per il terrore. Aveva voglia di gridare per sfogarsi, e si accorse di avere le guancie bagnate di lacrime. Le asciugò con un gesto deciso e alzò gli occhi verso il cielo scuro. Da dov’era, per fortuna, vedeva ancora la cima del monte.
«Stupido Babau, questa me la paghi», ringhiò.
Raggiunse il confine del bosco a passi pesanti e scrutò il monte scuro con occhi infuocati.
La vallata era deserta e cupa, quindi Zick non faticò ad adocchiare un binocolo gigante poco lontano da lui.
Che cavolo ci faceva lì un binocolo gigante? Si chiese Zick.
Ci si avvicinò e ci guardò dentro; era diretto nella direzione del monte, e Zick riuscì ad individuare le sagome di Elena e Charlie Shuster su uno spuntone,
E ora che cavolo ci faceva Charlie Shuster lì? E perché si stavano addentrando in una caverna buia da cui una persona intelligente si sarebbe tenuta alla larga.
«Dannazione», borbottò Zick. Lasciò il binocolo dov’era, si assicurò di avere il nastro di Elena legato al polso e iniziò a correre.

Charlie afferrò la mano di Elena e la tirò su. «Ci sei quasi», le disse premuroso aiutandola a sollevare le gambe scoperte sullo spuntone davanti alla caverna che avevano raggiunto.
Appena fu sopra la ragazza si stese e prese fiato. «E’ stato pazzesco», disse sfiorandosi le mani ferite e doloranti.
«L’importante è non essere scivolati ed esserci sfracellati al suolo», sorrise Charlie.
Elena si alzò. «Andiamo», disse rabbrividendo per una ventata gelida proveniente da dentro la caverna.
Charlie la scrutò bene, la maglietta leggera sporca di terra e i capelli sciolti scompigliati con qualche foglia impigliata qua e là. Sorrise tra se, la sua amica reale – e sorella – era davvero carina. Zick non poteva non accorgersene, si disse. Poi guardò verso il bosco lontano e sperò che il domatore si desse una seria mossa a raggiungerli.
Seguì Elena nell’oscurità. Era buio, proseguirono a tentoni con le mani sulle pareti viscide.
«Quando finisce questo corridoio?», domandò Elena nervosa.
«Probabilmente mai», le rispose Charlie. «Spero che ci sia uno sbocco da qualche parte, o potremmo camminare per l’eternità senza neanche accorgerci dei secoli che passano»
Elena sbuffò. «Oh! Fantastico», poi si fermò. «Mio fratello è in questa oscurità?»
«Non credo, secondo me se lo tiene ben nascosto per evitare che lo troviamo. Sai, avere un domatore alle costole non deve essere piacevole»
Elena sentì gli occhi pizzicare. «E se non arrivasse? Se Zick non dovesse riuscire ad entrare? Che ne sappiamo noi se il varco si è richiuso dietro di noi?»
Charlie, seguendo la sua voce, la afferrò per un polso, poi fece scivolare la mano in quella di lei. «Ho preferito non pensare a questa possibilità», ma mi è tornata in mente una cosa. Con la mano libera trafficò con una tasca del pantalone, poi la tirò fuori. Elena sentì uno scatto e riuscì a vedere Charlie e l’accendino che aveva in mano.
«Che diavolo aspettavi a tirarlo fuori?», lo sgridò lei.
Il ragazzo le sorrise. «Un momento cupo come questo probabilmente»
Elena gli sorrise. «Zick non ci lascerebbe mai qui dentro, troverebbe un modo per entrare in ogni caso»
Charlie ridacchiò. «Sei tu quella che si è posta il problema per prima, io sono sempre stato certo che Zick non lascerebbe mai te nei guai. Di qualunque tipo siano»
La lasciò la mano per studiare le pareti verdognole. Ci fu un'altra venata, poi alcune rocce sotto Elena scomparvero e lei scivolò in quello che sembrava un tubo di roccia levigata senza fondo.
«ELENA!!»
La ragazza scivolò giù, e prima che Charlie riuscisse ad afferrarla o a lanciarsi dietro di lei il passaggio si chiuse.
«Oh cavolo!!», borbottò Charlie tra sé. «Zick mi ucciderà».
Si diresse di gran lena verso l’ingresso della caverna e pregò che andasse tutto bene.

Zick arrivò alla base del monte sfiancato. Guardò in alto rassegnato. Aveva sperato di arrivare in tempo per impedirgli di entrare ma evidentemente non vi era riuscito.
Strofinò le mani l’una con l’altra e iniziò la scalata. «Stupido viscido Babau», si issò per salire di venti centimetri. «Dannato».
Salì altri venti centimetri. «Giuro che se osi farle del male me la paghi di brutto!». Salì ancora. «Toccala solo con un dito – lei e suo fratello – e assaggerai i miei pugni».
Poi iniziò con alcuni borbotti confusi ed alcuni appellativi non proprio educati.
Quando arrivò in cima fu afferrato per un polso. Quando sollevò lo sguardo si ritrovò davanti Charlie Shuster.
«Charlie!», esclamò sorridendo. Lasciò che lo aiutasse a salire e, appena ebbe il sedere ben piantato per terra esclamò: «Sono felice di vederti, ma dov’è Elena?»
Charlie, che stava chinato verso di lui, si batté rammaricato un pugno sulla fronte. «L’hai mancata di poco»
«Come sarebbe, mancata?», lo afferrò per il colletto e, alzandosi, lo costrinse a sollevarsi a sua volta. «Dov’è Elena?»
Charlie batté due colpi sulle mani dell’amico. «Raffredda i bollenti spiriti, non ci guadagni nulla»
Zick lo lasciò andare, abbandonò le braccia lungo i fianchi e sospirò.
«Credevo foste insieme»
«Eravamo insieme», ammise Charlie, «Poi, quando siamo entrati nella grotta, lei è caduta in un buco apparso dal nulla»
Zick grugni, afferrò l’altro per un braccio e marciò dentro la grotta.

Elena gridava ancora mentre scivolava nel tubo freddo e umido. Non seppe quanto aveva scivolato, ma all’improvviso la caduta si fece meno ripida e presto si ritrovò con la faccia nel fango.
«Accidenti»
La melma era sinistramente fluorescente, tanto che Elena si trovò a sperare che non fosse radioattiva. Cosa ci stava a fare poi della melma radioattiva nel mondo dell’Uomo Nero?
Si ritrovò bagnata fin sotto la maglietta e trattenne un conato di vomito per la puzza.
La melma era gelida, e sembrava concentrata in una pozza circondata da fumante acqua limpida.
Elena si avvicinò al confine, dove la roccia separava i due liquidi.
Si strizzò i capelli disgustata, poi ne immerse le punte nell’acqua pulita sperando che si sciacquassero facilmente. Immerse anche le dita sentendole scottare. Comunque davanti a lei, a circa dieci metri, c’era una zolla di terra che conduceva ad una porta.
Elena si fece forza, scavalcò la barriera e immerse i piedi nell’acqua calda.
Strinse i denti tentando di abituarsi al calore. Appena le sembrò di esserci riuscita si lasciò scivolare. Non era profonda, le arrivava fin sopra la vita e le bruciava la pelle. «Porca bomba»
Avanzò fino alla terra e si arrampicò per uscirne. Quando fu fuori si chinò per sciacquarsi il viso e i capelli, assieme a collo e braccia. Quando finalmente si sentì libera dalla melma fosforescente si avvicinò alla porta. Afferrò la maniglia speranzosa e la abbassò.
La porta non si aprì. Elena la colpì con un pugno e crollò in ginocchio in lacrime. Si girò, appoggiò le spalle al legno marcio e strinse le ginocchia al petto poggiandovi sopra la fronte.

   
 
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