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Autore: Maggie_Lullaby    17/09/2011    0 recensioni
Samantha Sparks è una ventisettenne affascinante da un passato malinconico e un presente che non guarda il futuro che da due anni lavora come Agente Sotto Copertura per l'FBI. Quando viene chiamata a collaborare con l'Unità d'Analisi Comportamentale non ha idea che quel caso cambierà drasticamente il suo futuro.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7.


Quando la sveglia suonò Samantha la spense con un gesto secco e nascose la testa sotto il cuscino, gemendo. Per i successivi cinque minuti provò a cercare qualche ragione per cui avrebbe dovuto alzarsi così presto, omettendo quella di un serial killer che stava uccidendo delle giovani donne.

Si alzò, trascinando i piedi sino al bagno e si legò i capelli in una crocchia disordinata, buttandosi poi sotto la doccia cercando di non bagnare i capelli: non aveva il tempo per asciugarli.

Si vestì piano, con gli occhi chiusi, sentendo il tessuto degli abiti accarezzarle la pelle lisa e morbida. Quando li riaprì, si diede un'occhiata allo specchio: sotto quei due pozzi blu c'erano due pesanti occhiaie, chiaro segno che aveva riposato poco o male. Le coprì con un velo di fondotinta e si passò una matita viola sulle palpebre, accompagnata dal mascara.

Si aggiustò meglio la camicetta che aveva indossato e, dopo aver afferrato la fondina, pistola, distintivo e una giacca scura in seta, uscì dalla camera mentre mangiucchiava una barretta ai cereali: non aveva tempo per fare una colazione degna di essere chiamata tale.

Quando scese nell'atrio trovò già tutta la squadra già pronta, vestita di tutto punto, ad eccezione di Hotch.

«Buongiorno.», fece la ragazza, reprimendo a stento uno sbadiglio.

«Buongiorno.», le risposero gli altri, chi con più chi con meno enfasi, dovuta al sonno.

Reid le accennò un piccolo sorriso e lei ricambiò senza farsi notare dal resto della squadra.

«Hotch?», chiese poi la mora, guardandosi intorno.

«Ha ricevuto una telefonata.», spiegò Emily, «ci starà per raggiungere.».

Samantha annuì, comprensiva, mentre indossava la giacchetta.

Morgan e Reid iniziarono a chiacchierare del più del meno, approfittando degli ultimi momenti di relax prima che il lavoro tornasse ad incombere su di loro, parlando del bisogno impellente di trovare caffeina, in qualsiasi forma. Avrebbero bevuto con gioia anche quella brodaglia che in centrale osavano chiamare “caffè”.

«Spero che con O'Connor sia andato tutto bene.», disse JJ, voltandosi verso Samantha dopo aver finito una piccola conversazione con Rossi.

«Al solito, forse addirittura meglio.», disse, scrollando le spalle, «più che altro sono rimasta colpita dal fatto che non fosse lui l'S.I.».

«E di questo ne sei proprio sicura?», chiese Morgan, pentendosi delle sue parole non appena le pronunciò.

La ragazza si voltò verso di lui, trafiggendolo con i propri occhi blu. Se c'era una cosa che non le potevano toccare, era la sua bravura nel lavoro, perché, di quello ne era certa, lei era brava.

«Assolutamente.», sibilò.

«Scusami, non volevo.», disse subito Morgan, seriamente pentito, muovendo le mani.

«Non fa niente.», grugnì la ventisettenne, quando poi interruppe Hotch nel gruppo, un'espressione seria e dispiaciuta allo stesso tempo.

«Hanno trovato una nuova vittima», annunciò.

JJ si passò una mano sul viso ed Emily scosse il capo, abbassandolo, mentre tutti gli altri facevano una smorfia.

«Quando è stata uccisa?», domandò Rossi.

«Ieri sera, alle undici circa.».

«Questo esclude completamente O'Connor dalla lista dei sospettati.», disse Samantha. Nonostante la grande frustrazione per la morte di un'altra donna, e l'orribile sensazione di occlusione allo stomaco per il fatto che non avevano altri sospettati – nessuno di concreto, comunque – si sentiva lievemente soddisfatta di sé stessa per aver dimostrato di non essersi sbagliata. Emozione che sfumò nell'arco di tre secondi, sostituita dallo sgomento.

«Deve essere cambiato qualcosa, l'S.I, ha sempre ucciso il mattino, questa volta di notte», notò Rossi.

«Ci aspettano sulla scena del crimine.», disse ancora Hotch, dopo aver annuito alla riflessione di David.

«Io cosa posso fare?», domandò Samantha.

«Non lo so.», ammise Hotch. «Anzi, Reid, Morgan, voi restate in centrale con Sparks, cercate di perfezionare il profilo, poi chiamate Garcia e ditele di restringere il campo più che può.».

Morgan e Reid annuirono, sinceramente sollevati dal fatto che non dovessero vedere un altro cadavere, per quanto man mano negli anni diventasse una faccenda di routine ognuno dei membri della squadra odiava vedere il corpo privo di vita di una donna, un uomo, o un bambino, gente che aveva ancora da vivere e che non avrebbe mai potuto più farlo.

«Ci vediamo al commissariato non appena abbiamo finito di esaminare la scena del crimine.», disse Hotch, poi si separarono, prendendo strade diverse.


«La vittima si chiamava Barbra Oswell, trentadue anni, un figlio di sette mesi.», disse lo sceriffo Mars non appena Hotch, Prentiss, JJ e Rossi giunsero sulla scena del crimine.

Emily si accovacciò accanto al corpo privo di vita della donna, notando come al solito le mani posate sugli occhi, in posa, e uno sfogo sul collo che indicava che era stata soffocata.

«È stata stuprata?», domandò.

«Sì, post morte, come per le altre.», annuì Jason Mars.

«E i timpani...».

«Bucati.».

La donna si alzò.

«Barbra è stata uccisa esattamente come le altre vittime, l'unica cosa che cambia è l'ora in cui è stato compiuto l'omicidio».

«Cosa gli ha fatto cambiare idea?», rifletté ad alta voce Rossi, facendo scrollare le spalle agli altri.

«C'è dell'altro, però», disse Mars. «Abbiamo un testimone».

«Come?», domandò stupita JJ, attirando l'attenzione che si era di nuovo spostata sul corpo esanime di Barbra sullo sceriffo.

Mars indicò un uomo vicino a una delle macchine della polizia.

«Non voglio illudervi, non ha visto l'assassino in volto. Passava qui di fronte per andare a prendere la macchina e ha visto la sagoma di un uomo chinata sul corpo di Barba a scattare delle fotografie.»

«Foto?», domandò ancora Rossi.

Mars annuì.

«È stato un omicidio disorganizzato, quindi. Sin ora non aveva mai rischiato di farsi vedere», disse Hotch.

«Anche il luogo, se ci pensate.», intervenne JJ. «Ha ucciso tutte le altre vittime in zone solitarie, dove il rischio di farsi vedere era ben minore, qui invece siamo in un parcheggio sotto a numerosi uffici.».

«Era di fretta, forse il bisogno di uccidere era troppo impellente per essere soppresso sino al giorno dopo», ipotizzò Emily.

«Che uffici ci sono qui sopra?», domandò JJ a Jason Mars.

«Sono studi di moda, per servizi fotografici, sfilate.».

Rossi prese il cellulare e digitò il numero di Morgan.

**

«Non è possibile che quel bastardo sia sempre un passo avanti a noi!», sbottò Samantha, irritata, legandosi i capelli sciolti in una coda alta dietro la testa e camminando avanti e indietro per la stanza.

Reid la osservò mentre si lamentava e, infine, si lasciava cadere su una sedia girevole con uno sbuffo, le braccia incrociate e un broncio che la faceva assomigliare terribilmente a una bambina.

Sorrise, nonostante tutto, a quell'immagine. Samantha si era sempre presentata come una ragazza composta e seria, concentrata sul lavoro e che sapeva reprimere i propri sentimenti. Ma Reid sapeva che quella non era altro che una delle tante facciate di quella giovane, bellissima quanto pericolosa, donna.

Morgan era uscito per andare a recuperare tre bicchieri del cosiddetto caffè della centrale e loro due erano rimasti per cercare di inquadrare meglio che potevano l'S.I. e di riuscire a stringere il campo sui centosessantacinque nomi che aveva mandato loro Garcia.

Reid si rese conto che Samantha mostrava i propri sentimenti soltanto quando erano solo lei e lui, sembrava che non riuscisse ad aprirsi. Si domandò se fosse solo una sua impressione o era realmente così.

«Lo prenderemo.», la rassicurò con un piccolo sorriso consolatorio.

Samantha annuì, guardandolo nei suoi occhi da cerbiatto.

«Eccomi.», disse Morgan, interrompendo quel loro contatto visivo e lasciando sulla scrivania tre tazze colme di caffè. «Qualche nuova idea?».

«A parte il fatto che stavo pensando che questo S.I è terribilmente irritabile nulla.», disse Samantha, prendendo una delle tazze e bevendo un sorso della bevanda, reprimendo a stento una smorfia.

«Gli altri hanno chiamato?», chiese ancora il bell'uomo di colore, ricevendo una risposta negativa.

Rimasero in silenzio alcuni secondi, ognuno perso nei propri ragionamenti. Reid era appollaiato su una sedia e guardava quasi distrattamente la bacheca su cui avevano appuntato tutto ciò che sapevano sul Soggetto Ignoto; Morgan tamburellava le dita su una gamba, cercando di trovare elementi sufficienti per accorciare la lista dei sospettati; Samantha, invece, si sentiva inutile: lei non era una profiler, non era una di loro che, con un'occhiata, sapevano dire lo shampoo preferito dell'assassino, lei era un'Infiltrata Speciale, un'attrice, non era abituata a starsene ferma con le mani in mano cercando di dare una mano su un profilo quando non ne aveva le capacità.

Il rumore del cellulare di Morgan che squillava strappò ognuno di loro dai propri ragionamenti.

«Sì?», disse Derek, una volta aver risposto. «Come? Certo, aspetta, come si chiamano gli studi? Okay, ti facciamo sapere appena possibile. A tra poco, va bene.». Non aveva attaccato da nemmeno cinque secondi che subito digitò un altro numero.

«Oracolo di Quantico ai tuoi servigi!», trillò la voce entusiasta di Garcia.

«Bambolina, ho bisogno di un tuo miracolo.», rise Morgan sentendo la voce dell'amica.

«Era ora, cioccolatino, credevo ti fosti dimenticato di me», disse Penelope. Morgan sapeva che aveva montato un bellissimo broncio dopo aver parlato.

«Vedrò di farmi perdonare quando torno a casa.», disse ammiccante Derek mentre Samantha ascoltava la telefonata in viva voce a metà tra il divertito e lo sbalordito.

Reid rideva sotto ai baffi.

«Sai, io sono forte anche al tele...».

«Ciao Garcia!», la interruppe Reid, parlando ad alta voce, facendo zittire la donna.

«Oh, io odio il viva voce!», sbuffò divertita. «Ditemi, miei uomini, cosa vi serve sapere dall'Oracolo?».

«Devi fare un controllo incrociato tra la lista che abbiamo di sospettati e i dipendenti di uno studio fotografico chiamato Stylist», disse Morgan.

«Beccato!», esclamò Garcia nemmeno tre secondi dopo. «Jackson Utah, trentasette anni, ha divorziato due mesi fa da Patricia Goswald, la donna si era sottoposta per due interi anni a dei trattamenti per rimanere incinta».

«Senza successo, immagino.», commentò Samantha.

«Esatto, zuccherino! Piacere di sentirti, Samantha!», disse sorridendo la bionda informatica.

«Piacere mio.», sorrise la mora, ora in piedi, mentre si scioglieva i capelli e, dopo aver estratto uno specchietto dalla borsa, si passava del rossetto sulle labbra sotto gli sguardi confusi dei due uomini, poi si sbottonò i bottoni della camicetta sino a far intravedere per bene la scollatura e fece per uscire, nascondendo la pistola nella borsa.

«Dove pensi di andare?», fece Morgan inseguendola, allibito, attaccando il telefono.

«A fermare e incastrare quel bastardo, ovvio.», disse Samantha, stupita dal suo comportamento.

«No.», si intromise Reid. «Non puoi.».

«È il mio lavoro.», disse la ragazza, digrignando i denti.

«Non siamo preparati, non puoi entrare da lui come niente fosse. Non siamo preparati.», cercò di farla ragionare Derek, ripetendosi.

Samantha lo osservò un secondo, gli occhi ridotti a fessure.

«E' in pieno delirio, mi pare di aver capito», disse Samantha. «Quell'uomo, sempre che sia lui l'S.I., potrebbe uccidere qualcun altro questa sera stessa, come facciamo a sapere che aspetterà altri due giorni?», domandò irritata.

«Non lo sappiamo. Ma se piomberai nel suo ufficio e cercherai subito di estorcergli una confessione, o cercare delle prove, può scoprirlo e noi non possiamo essere lì per aiutarti. E l'ultima cosa che ci serve è che tu ti faccia ammazzare.», disse Reid prendendo i redini della situazione sotto l'occhiata sbalordita di Morgan e quella innervosita di Samantha.

«Va bene.», ringhiò alla fine, riallacciandosi la camicetta e prendendo una salvietta struccante dalla borsa levandosi il rossetto.

Poco dopo irruppe nella stanza il resto della squadra, che venne prontamente informata degli sviluppi.

Emily chiamò lo studio e, fingendosi interessata agli studi e a voler fare delle foto, prese un appuntamento con Jackson Utah il giorno dopo.

«Samantha, è molto semplice, tu ti fingerei la cliente e...», iniziò a spiegare Rossi.

«...inizierò ad attaccar bottone, parlando della mia famiglia sottolineando che sono una trentenne single con una figlia a carico e chiedendo della sua, se è veramente lui, essendo in pieno delirio, cercherà di aggredirmi. Io devo stare pronta all'eventualità e chiamarvi con la radio», concluse per lui, snocciolando il piano.

Rossi annuì.

Hotch lanciò un'occhiata all'orologio: si era fatto primo pomeriggio.

«Andate a riposarvi, sino a domani non possiamo fare nulla.», disse con una vena di impazienza nella voce. «Ci vediamo questa sera in hotel, per la cena.».

**

Erano le undici quando Reid sentì qualcuno che bussava alla porta della sua camera. Era salito da poco nella stanza dopo aver chiacchierato con tutto il resto della squadra sia del caso che di cose più tranquille, come prendere in giro Morgan per la sua ultima conquista o chiedendo a JJ di come stavano Will e il piccolo Henry.

Samantha aveva partecipato alla conversazione, ma Reid la sentiva più distante, probabilmente dovuto al fatto che ancora non li conosceva bene e non voleva far domande a tutti per capire esattamente di cose stessero parlando. Ogni tanto Spencer si voltava verso di lei e gli spiegava chi fossero Henry, Will o altre persone citate da loro che Samantha di certo non poteva conoscere. Ad ogni volta che le parlava la vedeva sorridere, un sorriso bellissimo, pieno di sincera riconoscenza.

«Sì?», chiese curioso.

«Sono io... Samantha.», disse la voce suadente della ragazza dall'altra parte della porta.

Reid fece girare la chiave e aprì la porta, trovandosela davanti in tutta la sua bellezza, gli occhi blu che splendevano.

«Ciao.», disse lui stupito.

«Ehi.», rispose la ragazza. «Ti disturbo?».

Reid scosse velocemente il capo e si spostò, facendola entrare nella propria camera.

Samantha si guardò un attimo intorno, era uguale alla sua l'unica cosa diversa erano gli enormi libri poggiati sopra al letto.

«Saggi sulla criminologia.», spiegò Reid alla sua occhiata confusa.

Samantha ne prese uno in mano e lo sfogliò.

«Prima o poi me ne dovrai prestare uno.», disse con un piccolo sorriso. «Il vostro lavoro sembra affascinante.».

Reid annuì, sorridendo.

Samantha si avvicinò a lui, il suo viso era mutato ed ora era maschera di dispiacere.

«Mi spiace per aver perso le staffe, oggi.», mormorò.

«Eri stressata e stanca, non è colpa tua.», disse subito Reid.

«Il fatto è che... Capisci, sono morte già tante donne, e sapere che quel bastardo forse ne sta uccidendo un'altra in questo stesso momento...», continuò lei, alternando i suoi sguardi tra gli occhi da cerbiatto del giovane uomo e il pavimento in moquette.

«Sono sicuro che questa notte non ucciderà nessuno. Puoi stare tranquilla.», la tranquillizzò lui, con voce pacata.

«Come fai a saperlo?».

«Me lo sento.».

Samantha provò a ridacchiare a quell'affermazione, il Dottor Reid che per una volta non usava statistiche e percentuali per descrivere un caso ma semplicemente il proprio sesto senso sembrava poco credibile.

«Beh, spero che tu abbia ragione.», disse.

Si sedettero intorno al piccolo tavolo a disposizione nella camera, Samantha si torturava le mani mentre Reid la guardava e osservava le mille emozioni che sembravano dipinte sul suo volto, le sfumature dei suoi occhi di zaffiro, i capelli che le accarezzavano le guance per poi scendere lungo la schiena quasi sino alle scapole.

«Posso chiederti una cosa?», domandò lei dopo quelle che sembrarono ora di silenzio scandite solamente dal ticchettio dell'orologio a muro.

«Certo.».

La ventisettenne sospirò.

«Credi che il mio lavoro sia simile a quello di una... puttana?», domandò infine, sostenendo lo sguardo di puro stupore del giovane.

«Che cosa? No, certo che no!», esclamò lui.

«Davvero? È solo che... Oggi, quando stavo per andare da Jackson Utah e mi sono slacciata la camicetta, ho osservato la reazione di Morgan, e mi sembrava scandalizzato.».

«Sparks...».

«Seriamente, lo posso capire, dopotutto...».

«Sparks...».

«...non è facile capire ciò che faccio.»

«Samantha!», allungò le mani e le mise un dito sulle labbra, rimanendone lui stesso più sorpreso dallo slancio che aveva avuto.

La ragazza lo fissò prima incuriosita, poi sorrise e annuì.

«Il mio lavoro è, in un certo senso, simile a quello di una prostituta. Cerco di ammaliare gli uomini con il mio corpo, con la mia voce, con le mie parole. So che ci sono voci di corridoio che dicono che vado a letto con ogni uomo con cui ho a che fare durante le indagini», fece una risata senza gioia. «mi chiamano la Cacciatrice di Uomini, sai? Ma io non ho mai fatto sesso con nessuno di loro. Mai. È una cosa troppo disgustosa, addirittura per me. Io sono una Cacciatrice, ma una Cacciatrice e basta.».

Reid la osservò.

«Perché mi dici queste cose?», domandò poi.

«Non lo so. Forse perché non voglio che tu pensi certe cose di me, quando la mia fama arriverà sino ai vostri uffici. Non volevo che tu mi giudicassi.», disse, scrollando le spalle.

«Non ti avrei giudicata comunque.».

«Grazie.».

Fu esattamente come la sera prima, ma questa volta con più intimità, con più dolcezza, e allo stesso tempo entrambi erano sempre più aperti l'uno con l'altra.

Man mano che parlavano Samantha si diceva che stava raccontando a Reid certe cose – questioni che, addirittura, non aveva mai rivelato a nessuno – solo perché quel ragazzo sapeva ascoltare ed era interessato a quello che gli veniva raccontato, piuttosto che ammettere che le parole le veniva via dalla bocca prima che potesse decidere il contrario.

Si sentiva affascinata da lui, dal suo modo di fare ed essere. Dal suo lato da genio incompreso chiuso nel suo mondo, dalla sua capacità di non restare mai a corto di argomenti, dal fatto che nonostante tutto anche lui amava i silenzi ma non erano mai imbarazzanti in sua presenza. E poi la faceva ridere.

«Come mai quella catenina?», chiese Reid, notando che la ragazza stava giocando con la targhetta che teneva al collo.

Samantha abbassò il capo e sospirò.

«Apparteneva a mio padre», iniziò a spiegare con voce improvvisamente roca.

«Oh, mi spiace, io non dovevo...», iniziò Reid, arrossendo impacciato per la brutta figura.

«No, non fa niente, io voglio raccontartelo». Ed era così dannatamente vero.

Fece un respiro profondo.

«Come sai, mio padre è morto quando ero ragazzina. Io sono nata a Londra, ho vissuto lì sino ai sedici anni. Mio padre, Kyle, era un generale dell'esercito, mia madre, Adison, era socia di un'associazione umanitaria. Sin da bambina recitavo...», i suoi occhi si illuminarono. «Forse è soprattutto grazie alla recitazione che faccio questo lavoro. A quattordici anni iniziai a recitare al Queen Theatre, un teatro londinese piuttosto importante. I miei erano... così orgogliosi di me. Della loro bambina.», abbassò il capo.

«A sedici anni, durante la prima di una nuova rappresentazione teatrale, un uomo, un cecchino nascosto tra il pubblico, sparò un colpo e uccise mio padre.», continuò i pugni chiusi talmente forte da far diventare le nocche bianche. «Un terrorista.».

Reid trattenne leggermente il fiato.

«Mio padre aveva tanti nemici, essendo un generale, ma mai nessuno aveva provato a...», la voce di Samantha si arrochì. «Comunque, mia madre era nata a Washington e dopo il funerale, appena due settimane dopo l'omicidio di mio padre, ci siamo trasferite qui. Io ho ripreso a recitare, a studiare con più impegno, mi allenavo quasi quotidianamente al poligono e in difesa personale... Sapevo cosa volevo fare della mia vita. Sono andata a studiare a Berkley e sono tornata a D.C. per continuare la specializzazione a Quantico e anche per mia madre, che ormai si era ammalata. Ed ora eccomi qui.».

«Questa targhetta», riprese, una volta resasi conto che si era aperta sulla propria vita ma non aveva risposto alla domanda di Spencer. «Mi ricorda ogni giorno perché faccio questo lavoro, perché sopporto quello che vedo e faccio: è il mio portafortuna.».

Il ragazzo la guardò.

«Crederai che sono una stupida.», quasi ridacchiava.

«Non è assolutamente vero, lo sai.».

Samantha allungò istintivamente una mano e prese la destra di Reid che era appoggiata sopra al tavolo.

«Grazie, Spencer.».

Si alzò pochi istanti dopo e si avvicinò alla porta, Reid si affrettò a raggiungerla.

«Buonanotte, Reid.», disse lei, velocemente, stampandogli un bacio a fior di labbra su una guancia per poi uscire di corsa dalla stanza.

Poco dopo, si udì una porta chiudersi. La sua.

Spencer si toccò la guancia, stupito e incredulo.

Il suo cervello, per la prima volta in vita sua, non sapeva dargli una risposta logica a ciò che provava.


Continua...


Non so perché non ho postato per secoli questa storia, essendo già finita e archiviata. o.o Non chiedetemelo, quindi.

Somewhere in my mind prometto che arriverà presto. Almeno lo spero.

Scusatemi. D:

  
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