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Autore: Aesir    18/09/2011    1 recensioni
Questa è la precedente versione della fanfiction "Le Ombre sopra il Mondo Emerso - Il Sigillo della Morte"
Genere: Azione, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dubhe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Scena Settima (VII): CHE COS'HO FATTO?

 How sall the burial rite be read?
The solemn song be sung?
The requiem for the loveliest dead,
That ever died so young?
- Edgar Allan Poe, A Paean

 L'accampamento era immobile. Nessuno si muoveva, gli ordini erano stati molto severi. Le sentinelle guardavano svogliate il bosco tutto attorno. Il re era paranoico, d'accordo, però era sempre meglio fare il proprio lavoro: le mancanze erano severamente punite. La struttura aveva una pianta ottagonale ed era relativamente spartana, edificata con sole assi di legno e senza l'impiego di mattoni o pietre. Pochi edifici erano più robusti. All'interno, vi erano inoltre tende, di un tessuto chiaro.
La figura in nero saltò giù dall'albero, atterrando con grazia.
Aveva visto abbastanza.
Avrebbe agito quella notte.

 Era una notte senza luna e senza stelle. Un vento fresco spirava sulla pianura, agitando le fronde degli alberi.
La figura, vestita di nero, era praticamente invisibile. Non aveva mentito a Theana. Stava davvero bene, anzi, era un bel pezzo che non si sentiva così. Aveva trovato un ruscello, e vi era rimasta a lungo immersa. Le sue armi erano state affondate nella cenere di un focolare, non avrebbero luccicato tradendola.
Era pronta.
Stava andando ad uccidere un uomo.
Dubhe, la ladra, l'Assassina, la Bestia, si fermò. Alzò la testa coperta dal cappuccio, ascoltando per un attimo i rumori della natura intorno a sè. Non si vedeva che a breve distanza ma i suoi occhi erano talmente potenziati dalla maledizione che portava addosso, che riusciva a vedere come se fosse stato pieno giorno. I suoi piedi, che calzavano gli stivali, si posavano uno dietro l'altro, con cautela, facendola camminare con un'andatura assolutamente silenziosa. Dietro le sue spalle c'erano l'arco con la faretra, nei foderi sui fianchi i coltelli da lancio, tre per lato. Al fianco sinistro era attaccato al cinturone il fodero del pugnale. A parte il volto, neanche un centimetro della sua pelle pallida era scoperto, e i suoi abiti erano ampi e comodi, ma aderivano al corpo e alle gambe, il genere di vestiti adatto al lavoro che doveva fare. Il mantello nero ondeggiava dietro di lei. Prese l'arco e ne controllò la tensione della corda, passò a rassegna le frecce una ad una per essere sicura che non avessero difetti. Si assicurò che i coltelli fossero nei foderi, ma non ebbe bisogno di cercare il pugnale. Quell'arma era parte di lei, era come un prolungamento della sua persona. Era l'arma del Maestro, ma era molto di più. Il suo pugnale non era nulla, in mano a qualcun'altro. Lei non era nulla, senza il suo pugnale. Lo sollevò, mettendoselo davanti agli occhi. “Sei nella mia vita da così tanto tempo... Non ricordo altro, ormai.”*
Sospirò. Se quella notte fosse andato tutto bene, non l'avrebbe usato mai più.

 La concentrazione si sposa alla pazienza, alla capacità di attendere. Si tratta di leggere il mondo come un libro, compenetrandosi con esso. Sentirlo nelle ossa e interpretarne i segnali, fino a trovare l'attimo, l'unico in cui colpire efficacemente...
Le parole le risuonavano nelle orecchie. Quella notte, per l'ultima volta, ne avrebbe avuto bisogno. Quella notte, per l'ultima volta, avrebbe udito mormorare la Bestia che dormiva nel suo petto.
Scivolò nell'accampamento, la mente svuotata dai pensieri.
Gli ultimi che aveva sentito erano: Stanotte ucciderò ancora.
E poi: Domani non ucciderò più.

 Non riusciva a prendere sonno. Faceva caldo, dannatamente caldo. E lui non aveva voglia di dormire. Si vestì, indossando l'armatura. Sapeva che lei sarebbe venuta, ad uccidere, a portare a termine ciò che non aveva fatto. Sarebbe venuta ma... non quella sera. L'uomo aprì appena la porta della catapecchia di legno, l'unica abitazione appena più decente delle altre, e scivolò fuori. Si fece riconoscere dalla sentinella, poi si avviò verso una zona alberata nei pressi della palizzata. Non vista, sopra di lui, una figura nera saltava di albero in albero.

 Dubhe osservava il suo nemico. Ogni gesto, ogni passo che faceva, in lui dicevano 'giusto'. Era colui che doveva uccidere. Aveva appena gettato una fiaschetta di una certa pozione, stando attenta a non annusarla, nell'accampamento. Avrebbero dormito tutti, non si sarebbero accorti di nulla. Il gas era più pesante dell'aria, e avrebbe aleggiato lì intorno. La sua preda si fermò al limitare di una zona alberata, il viso rivolto nella direzione opposta alla sua. Meglio. Anche se era il suo nemico, anche se era l'uomo che le aveva rovinato la vita, che l'aveva venduta per mera politica, era comunque un essere umano, e non ce l'avrebbe fatta a rivedere Gornar anche nei suoi occhi. Anche perchè ciò che stava facendo, significava tradire la persona che amava. Basta, si disse. Il mio cuore è di ghiaccio.
Si alzò con calma, un angelo oscuro stagliato contro la luna.
Prese bene la mira.
Tese al massimo la corda e tirò la freccia.
La distanza era breve, la ragazza era stata gelida mentre tirava e il lancio era preciso.
In quel momento, una possibilità su un milione, la figura si scostò.

 La freccia penetrò in profondità, e l'uomo cadde a terra. L'Assassina imprecò. Avrebbe dovuto sporcarsi le mani, avrebbe dovuto vedergli gli occhi. Saltò giù, e, sguainato il pugnale, si avvicinò all'uomo che odiava. Si fece forza e gli guardò il volto.
Solo l'istinto le impedì di urlare.
NO!!!!”

 In quel momento una lama le si posò al lato del collo.
Ti è piaciuto lo scherzo, sgualdrinella?”

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* Ellen Ripley, Alien Resurrection


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