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Autore: Aesir    18/09/2011    1 recensioni
Questa è la precedente versione della fanfiction "Le Ombre sopra il Mondo Emerso - Il Sigillo della Morte"
Genere: Azione, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dubhe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Scena Ottava (VIII): GLI ULTIMI EROI

 These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that time cannot erase
- Evanescence, My Immortal

 Dubhe trasalì. Odiava quella voce. Quella era la voce della persona che doveva ammazzare. Quella era la voce della persona che voleva ammazzare. Agì senza pensare, mossa solo dal suo odio. In fondo sono questi i grandi motori che ci muovono, l'odio e l'amore, no? Le emozioni che guidano le specie senzienti. La condanna degli esseri mortali, o forse il loro dono, e questo: bisogna vivere senza capire. Strinse la mano inguantata di nero sull'elsa. In seguito si disse quanto stupida e folle era stata in quel momento. Ma non c'era tempo per ragionare, non fu la parte umana di lei a reagire, ma la Bestia. Abbassò il capo, ruotò e conficcò il pugnale all'indietro. Era stata fulminea.
Re Dohor era a terra, la lama nel cuore.
Era morto all'istante, non aveva avuto neanche il tempo di urlare.
Dubhe si alzò.
Perfino da morto quell'uomo conservava la sua aria odiosa. Ma lei non nutriva alcuna pietà nei suoi confronti. Non degnò il suo corpo di uno sguardo, e si rivolse invece a Learco.
Lo guardò negli occhi. Le pupille avevano il tipico aspetto di una persona drogata con la scopolamina. Era una sostanza che conosceva, in grado di inibire la forza di volontà delle persone. Serrò i pugni. Dohor, maledetto bastardo! Avevi troppa paura di me per affrontarmi vero? Ti avrebbe ucciso l'Assassina, sì, così hai voluto architettare il gran piano. Tu saresti tornato come un eroe, dicendo come avevo ingannato e poi ucciso Learco, e ti saresti sbarazzato di due incomodi: tuo figlio, il principe che mai sarebbe diventato re, e la sua puttana, vero? Peccato che ti sia andata male. Ah, amore mio... “Cosa ti hanno fatto?”, sussurrò, in lacrime. E subito dopo: “Cos'ho fatto?”
Lui le sorrise debolmente. “Mi... dispiace... Dubhe. Sono... sono stato... uno sciocco...”
Non parlare! Tu porto fuori di qui, ti farò curare.”
No, non un'altra volta, non come il Maestro, non posso averlo ucciso io!
Learco rise debolmente, e del sangue gli spruzzò dalla bocca, segno che la freccia aveva leso i polmoni e il liquido li stava invadendo. “Mi ha... fregato... come uno stupido... Era il suo piano... tu.... mi avresti... ucciso... e poi.... lui... avrebbe... ucciso te...”
Ti prego, è morto. Ho sbagliato tutto, sono una stupida!” Ormai Dubhe piangeva. “Non piangere... non mi piace vederti così...”
Le scoprì l'avambraccio. “Vedo... che sei libera... ora...”
Si fermò, e la ragazza pensò che fosse morto. Poi le parlò di nuovo. “Mi... abbracci?”
Lei singhiozzò, fece un cenno convulso di sì, e lo sollevò delicatamente. Lo strinse a sé, e quasi inconsciamente cercò le sue labbra. Il sapore del suo sangue le scese in gola, ma Dubhe non si staccò. Rimasero lì, abbracciati, fermi in quell'ultimo bacio che doveva durare in eterno e invece finì anche troppo presto. Learco smise di respirare.
La ragazza si alzò, respirando affannosamente, asciugandosi gli occhi con furia.
Questa non è la mia vita, e questa non sono io.
Per un attimo pregò di non essersi salvata, pregò che la maledizione uscisse, che la portasse a sbranarli tutti, a sgozzarli, a lacerare i loro corpi. Pregò che la portasse a saziarsi di carne per la sua fame, sangue per la sua sete. Pregò che alla fine uccidesse anche lei, perchè che motivo aveva di vivere, quando l'unica persona che amava era morta uccisa proprio dalle sue mani? Se le guardò vedendole sporche di sangue, e le odiò. Ma non c'era nessun sigillo sul suo braccio, e nessuno ruggì dentro al suo cuore.
C'erano altri modi.
Appiccò il fuoco. Avrebbero dormito, sarebbero passati dal sonno alla morte senza accorgersene, ma i mezzi non le importavano. Avrebbe voluto sofferenza, darne e subirne, avrebbe voluto ferire, uccidere, e nel contempo gioire nel sentire delle lame straziarle la carne. Voleva veder consumato quel luogo, e tutte quelle persone, voleva vederle sparire.
Ma non ci riesco.
Sono una debole.
Mentre le fiamme salivano, alzò gli occhi al cielo, sperando di trovarvi consolazione. Ma ancora una volta, gli dei furono muti.

 Caricò il corpo di Learco sul cavallo, e si mise a correre. Corse fino a sfinire la bestia, a farla cadere per terra schiumante, poi ne rubò un'altra e andò avanti. Giunse una mattina davanti al palazzo di Laodamea.
Non aveva né mangiato, né dormito da quando il principe che mai sarebbe stato re era morto.
Aveva la vista annebbiata, non capiva più niente.
Vide solo Theana correre davanti a lei, cercare di sorreggerla.
Poi crollò.

 Passò una settimana in stato di totale confusione. Non ricordava chi era, se buona, o malvagia, se una ladra, o un'Assassina, e neanche le importava. Mangiava e beveva meccanicamente ciò che le veniva messo davanti, ma non avrebbe mai cercato nutrimento da sola. Era, e basta. Si lasciava portare dalla corrente, come aveva fatto per gran parte della vita. Tutti le dicevano che era un'eroina ma che le importava? Ogni notte, rivedeva il volto di Learco macchiato di sangue. Tutto questo, finchè non giunse il settimo giorno...

 Camminava per le vie di una città bianca, dove si affaccendavano persone intente a compiere i loro lavori quotidiani. Avevano qualcosa di strano che non riusciva però ad identificare. Lei passava attraverso i muri, scivolava fra le statue, e le occhiate la trapassavano. Era come uno spettro.
All'improvviso il cielo si fece scuro, scoppiò una terribile tempesta e la città si coprì delle urla dei suoi abitanti, mentre venivano trucidati uno ad uno. La ladra li osservò con distacco. Era un altro massacro che era venuta a sognare?
Una voce la chiamò, e, non seppe bene come, capì che le sue parole, parole tranquille, che contrastavano con l'ambiente circostante, erano rivolte a lei. “Vedi, Dubhe, questa è la verità. Tu hai ragione. Questo mondo non conosce che sangue, sangue e altro sangue, non ci sarà mai la pace che vorresti. So quello che stai per fare. Mi dispiace per te. Avresti avuto diritto ad un maggior riguardo, tu, che hai già visto la sorte portarti via tutto.”
Una figura venne verso di lei, le sorrise: “Vieni da me, Dubhe, ti stavo aspettando.”
La ragazza non si fidò, e rimase guardinga: “Chi sei?”
La creatura era molto piccola, un uomo a metà. Uno gnomo forse? No.
Le proporzioni erano diverse, sembrava piuttosto un bambino.
Le sorrise. Vide la sua bocca delicata da sotto il mantello, la vide dischiudersi in un sorriso talmente sincero che sarebbe stata disposta ad accettare qualunque cosa da lui. Ma gli occhi e .a parte superiore del volto le rimasero celati. La ladra si guardò intorno, e vide che ora erano in un prato pieno di fiori.
Sappi che non ti sto prendendo in giro, davvero mi dispiace, e...”
Si fermò, prendendosi la testa fra le mani: “No, è troppo tardi.”
Troppo tardi per cosa?”
Il bambino era triste. “Mi dispiace, Dubhe.”
So che dovresti, essere tu quella che soffre, ma mentre lo fai, non posso impedirmi di soffrire anch'io. È questa la strada che hai percorso, è la stessa che scelsi io, a mio tempo...”
Chi sei?”
Davvero non lo indovini, Dubhe?”
Lei si inginocchiò per portarsi alla sua altezza, e allungò una mano.
No! Non scoprirmi il viso!”
Lei rimase sorpresa dalla reazione. “Tranquillo... volevo solo accarezzarti...”
Ah... ok...”
Il bambino le lasciò allungare la mano, e lei fece di più che accarezzarlo: se lo strinse addosso.
Quel gesto le infuse una sicurezza inspiegabile, e si sentì stranamente sicura, stretta a quel personaggio che non conosceva neppure, a quel bambino che parlava come un adulto.
Quando si staccò, il piccolo le disse: “Grazie. Sei la prima persona che mi rivolge un gesto gentile, da... tanto, troppo tempo.”
Il bambino le sorrise ancora. Era tutto così perfetto, realistico, che la ragazza si sentì obbligata a chiedere: “Questo... questo è solo un sogno, vero?”
La risposta fu un ennesimo sorriso, e una frase sibillina: “Forse. Ma cos'è la vita, se non un sogno* Chiudi gli occhi, Dubhe della Terra del Sole.”
Lei ubbidì, e sentì le labbra del piccolo baciarle la fronte.

 La mattina dopo, la ragazza si ridestò senza ricordare nulla di ciò che aveva sognato. Eppure, dopo tanto tempo, si risvegliò da sola, e sentì il sole accarezzarle la pelle, sentì la sua mano protestare per come l'aveva tenuta durante la notte, e sentì la voglia di vivere rinascere in lei.

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* Lewis Carrol, Alice attraverso lo specchio


 

   
 
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