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Autore: Miyaki    16/05/2006    6 recensioni
[Partecipante al 21° Concorso]La ragazza sospirò, lanciando un occhiata a Remus Lupin, che tenendo fisso lo sguardo dinanzi a se pareva non aver udito una sola parola. Chiuse gli occhi con la stessa attesa di chi attende il colpo mortale. In attesa che Ginny finisse di parlare, dopo aver acceso l’ennesima sigaretta.
Genere: Triste, Dark, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Contenuti forti
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Liberi Fatali

Un viso angelico mi sorride

dietro a un titolo di tragedia

quel sorriso era solito darmi calore

Angel Fall First - Nightwish

Rumore di sirene nell’aria. Come ogni sera, scattò il coprifuoco. Come ogni sera da troppo tempo.

Un fascio di luce elettrica inondò la stanza accompagnato da una sirena assordante, passando accanto alla finestra e scomparve, lasciandola di nuovo sola al buio. L’ultimo riverbero di suono s’attutì e soffocò.

Con un gesto stizzito s’alzò dal letto e chiuse la tapparella, nascondendo la piccola camera angusta dalla vista di chiunque. Ammesso che ci fosse qualcuno disposto a girare per strada a quell’ora. Posò entrambe le mani sui fianchi snelli, forse anche troppo magri. Tornò a sedersi sul letto, sentendo la stoffa fredda rinfrescarle la pelle seminuda, coperta solo da un paio di slip e da una maglietta candida a maniche lunghe. Lanciò un occhiata ad una foto posata sul comodino e, con amarezza, la prese fra le dita esili, osservandola a lungo.

Un rituale che si ripeteva ogni sera, dopo il coprifuoco. Ogni sera da troppo tempo.

Tre bambini sorridevano gaiamente, agitando le mani. Tre bambini pieni di sogni e speranze, che avevano appena concluso il loro primo avventuroso anno scolastico. Due maschi e una femmina. Ricordi di un passato troppo lontano.

Posò la foto di nuovo la suo posto, poi afferrò dal letto i vestiti che si era preparata. Indossò un paio di pantaloni di pelle sintetica nera che le fasciavano le gambe flessuose e, sopra la maglietta bianca, una giacca della stessa stoffa e dello stesso colore dei pantaloni. Ora si curvò sul comodino, aprendo il piccolo cassetto, dove riposava, posata sopra una marea di chincaglierie disordinate, una busta di carta rigonfia in un punto. Osservò a lungo la busta sigillata, allungando l’indice sul punto più gonfio dove qualche piccolo oggetto si delineava nei bordi, indistintamente. Come se si fosse scottata ritirò la mano e chiuse di scatto il cassetto, facendolo dondolare.

Non ancora, si disse, con un lungo e profondo sospiro.

Riprese la foto e dopo averla osservata di nuovo a lungo, l’infilò nella taschina della giacca, aggrottando la fronte e dando un colpetto alla foto attraverso la stoffa sintetica, quasi a chiederle coraggio. Un vago senso di nostalgia prese possesso di lei, come ogni giorno. Il bramoso desiderio di tornare a quando la più grande paura era prendere un brutto voto all’esame di storia della magia. A quando lui compariva a sedare la solita lite sciocca. Avrebbe dato qualsiasi cosa anche per dover sentire ancora quei ragazzini parlare di Quidditch.

Scosse la testa per scacciare quei pensieri, e si diresse con lento passo verso la sala da pranzo, afferrò il giornale babbano, scorrendo un’altra volta gli articoli: come Voldemort era riuscito a conquistare il potere anche sull’Inghilterra babbana, senza rivelare nulla sulla natura della magia era un mistero. I giornali, come si voglia in qualsiasi buona dittatura totalitaria, parlavano delle grandi imprese del nuovo governatore, incitavano alla fedeltà e vagheggiavano sulla prossima conquista dei territori circostanti. Lo rilasciò cadere, disgustata dall’ennesima idealizzazione del tiranno che aleggiava sulle teste di maghi e non.

Si legò i capelli castani sulla nuca fissandoli con un elastico che portava al polso esile, e si diresse al centro della sala da pranzo, si avvicinò al tappeto scomposto sul pavimento e gli diede un colpo secco con la punta del piede, rivoltandolo. Un gesto fluido della bacchetta e si rivelò un passaggio segreto, con un saltò scivolo dentro il buco stretto e si mosse con camminata tranquilla e spedita nel corridoio in cui finì, dopo aver richiuso il passaggio e comandato al tappeto di tornare al suo posto.

Finalmente penetrò in una sala di pietra, con al centro un tavolo di legno semplice, sul soffitto delle luci elettriche babbane, una delle quali, guasta, andava a scatti. Si avvicinò e con un colpo di bacchetta la sistemò, girandosi verso i compagni che accerchiavano la tavola.

- Buonasera – disse, con voce secca, guardandosi intorno.

Una ragazza, d’incirca ventidue anni, roscia, la salutò con un cenno del capo, mentre aspirava una profonda boccata da una sottile sigaretta. Ginny.

- Buonasera, Hermione – disse la voce profonda di Remus Lupin, gli occhi profondamente segnati, i capelli castani lisci e lunghi raccolti in una coda. Accanto a lui Nimphadora Tonks, e a poca distanza Neville, Luna, Arthur, Molly, Bill, Charlie e i gemelli Weasley, tutti seduti in cerchio intorno al tavolo.

- Allora? – domandò quella che era stata la migliore studentessa di Hogwarts in tono sbrigativo – Che nuova? –.

- Siamo soli, Herm, – disse la voce lapidale di Ginevra Weasley, mentre aspirava ancora profondamente la sigaretta nonostante fosse praticamente terminata, e la spense sul posacenere – ciò che resta della Resistenza è tutta qui, in questa stanza. Nessuno ha voluto ascoltarci. Hanno paura, Hermione, non hanno più speranze… –

La ragazza sospirò, lanciando un occhiata a Remus Lupin, che tenendo fisso lo sguardo dinanzi a se pareva non aver udito una sola parola. Chiuse gli occhi con la stessa attesa di chi attende il colpo mortale. In attesa che Ginny finisse di parlare, dopo aver acceso l’ennesima sigaretta.

- …specialmente da quando Harry è morto. -

***

Mai aveva avuto paura di una sentenza. Neanche le numerose volte che aveva rischiato di essere espulsa. Tremava violentemente e neanche la stretta che Tonks le impose sulle spalle riuscì a calmarla. Il gozzo alla gola pareva soffocarla, faticava a vedere qualcosa al di là dello spesso muro di lacrime che rischiava di crollare fuori dagli occhi da un momento all’altro. Il labbro inferiore le tremava e le sembrò di non poter udire altro che i battiti impazziti del suo cuore.
Si asciugò con la manica gli occhi, fissandoli sulla schiena del ragazzo, circondato dai due carcerieri, di fronte a quel giudice che dall’alto lo guardava con malignità mescolata ad indignazione. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter toccare quelle spalle, ammirare di nuovo il colore puro di quei occhi.

Ma c’era quella maledetta protezione magica a dividerli. Il pubblico e la vittima sacrificale. Al suo fianco, i suoi compagni non erano più calmi di lei.

Il giudice batté due volte il martello, per imporre il silenzio, anche se nessuno aveva parlato. Hermione cercò ancora una volta il suo sguardo, ma lui non si girò, il capo ritto innanzi a se, fiero. Fiero come solo un leone avrebbe potuto essere.

- Questa corte condanna Harry James Potter, colpevole di duplice omicidio, a morte. La condanna verrà effettuata attraverso la maledizione Cruciatus, finché non sopraggiunga morte. -

Batté un'altra volta il martello, ma quel rumore non riuscì a soffocare le grida di disperazione che si erano alzate, violente e totali dal drappello di persone raccolte alle spalle del condannato.

- Harry! No! E’ innocente! E’ INNOCENTE! – gridò Hermione, sbattendo gli esili pugni sull’invisibile muro che li divideva.

- No! LASCIATELO! – gridò ancora quando i due carcerieri lo presero per le braccia per trascinarlo via. Si asciugava freneticamente gli occhi con il polso con la mano libera, per poterlo guardare senza che le lacrime le offuscassero la vista.

Voltati e dimmi che è solo un incubo.

Che mi sveglierò e sarò di nuovo l’undicenne che tu salvasti dal troll. Che mi sveglierò e riderò con te di questo.

Dimmi che mi guarderai come fossi impazzita. Dimmi che mi dirai che studio troppo.

Dimmi che tu e Ron vi guarderete di nuovo, tu chinando il capo e lui euforico per l’ennesima vittoria a scacchi magici. Dimmi che Ron mi guarderà di nuovo male la prossima volta che prenderò un ottimo voto. Che litigherò di nuovo con lui e che tu arriverai a ricordarci che sono solo sciocchezze. Dimmi che sto solo sognando, e domani mattina quando mi alzerò, sarete al mio fianco, a guardarmi preoccupati, perché mi agito nel sonno, addormentata sui libri di scuola.

Dimmi che la prossima volta che mi sveglierò saprò che sei vivo.

Poi quegli occhi, ancora una volta. L’ultima. Malinconici e rassegnati.

Una scusa silenziosa. Una richiesta di perdono. Quegli occhi che nel loro ultimo sguardo mostravano coraggio e amore, sofferenza e serenità.

L’ultimo pensiero di Harry Potter prima di essere torturato fino alla morte era stato di scuse. Perché lasciava sulle loro spalle il destino del mondo, salutando con l’ultima vittoria: la tortura senza un grido, la morte senza una lacrima. Il coraggio del leone morente.

***

Posò gli occhi scuri su di lei, annuendo. Era passato un anno dalla condanna a morte di Harry e buona parte dei membri della Resistenza, nata da quando il signore oscuro era riuscito con un colpo di stato a soppiantare Rufus Scrimgeour, avevano abbandonato, rassegnati, oppure erano stati brutalmente uccisi dai Mangiamorte. Il fatto di essere riusciti a distruggere tutti gli Horcrux non era servito a granché.

Furono giustiziati anche molti simpatizzanti o sospettati simpatizzanti. L’intero Esercito di Silente, che nel quinto anno aveva dimostrato la sua fedeltà al trapassato Silente, era stato annientato. Uccisa da Greyback, inoltre, Fleur.
Assassinio che era stato puntualmente vendicato: nei confronti del mannaro sia Bill e che Remus avevano ben poca pietà da elargire.

La mente provò a costringerla a tornare al giorno della cattura del giovane Potter, ma se lo impedì, ficcandosi le unghie nella pelle, con rabbia.

Troppo doloroso.

- Cosa possiamo fare? – mormorò stancamente, sebbene sapesse che non ci fosse risposta: le avrebbe permesso di non pensare al passato.

Si guardarono negli occhi, vicendevolmente, mentre Hermione si incurvava a prendere una sigaretta dal pacchetto di Ginny. Se la portò le labbra e l’accese, sospirando.

- Solo resistere. – disse la voce del maggiore dei figli Weasley, scrutando gli altri, che si limitarono ad annuire.
Era magro. Tutti sapevano che non aveva mai accettato la scomparsa della moglie.

- Ci metteranno poco – intervenne di nuovo Ginevra, ormai a metà di quella che credeva fosse la seconda sigaretta – A trovarci. Gli serve solo una scusa per ucciderci tutti. Mi meraviglio che siamo ancora vivi. –

- Abbiamo perso molto…- mormorò Hermione verso Ginny – Probabilmente si divertono così. –

L’altra annuì concordando, i signori Weasley si scambiarono un occhiata carica di dolore, Neville e Luna, invece, chinarono il capo.

Hermione deglutì, per poi aspirare nervosamente il fumo, e gettarlo fuori con la stessa ansia.

Mezzanotte, è un anno preciso, pensò, aspirando di nuovo e, questa volta, inghiottendo il fumo. E lei non si sentiva proprio di biasimare chi aveva lasciato la Resistenza, cercando la pace nella rassegnazione.

Ripeté per la terza volta il gesto, cercando una calma irraggiungibile. Tornò a parlare, e la voce non tradiva più la sua angoscia e il suo dolore.

Il gelido freddo di un cuore dissanguato. Impenetrabile.

- Abbiamo perso – disse, con una smorfia amara – E’ questo, alla fine. -

Chi aveva detto che i buoni vincono sempre?

- Venderò cara la mia pelle – ringhiò Lupin, lanciandole un occhiata penetrante, alla quale Hermione rispose con un mezzo sorriso rassegnato e divertito – E non sarai il solo. -.

Si scambiarono un vicendevole sorriso senza gioia ed annuirono. Tonks strinse con il palmo il dorso della mano del licantropo, senza aggiungere nulla. Gli altri si unirono in un debole cenno d’assenso. La vitalità e l’entusiasmo dell’Ordine della Fenice si erano trasformati nella disperazione e nella coraggiosa e strenua battaglia priva di speranze della Resistenza. I sorrisi erano diventati tirati e le risate ridotte al minimo. Ma una catena spessa legava i membri restanti, indistruttibile.

Luna guardò i suoi compagni, sistemandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, gli occhi azzurri, un tempo trasognati, carichi di una pesante amarezza che era stata costretta a conoscere. Si allungò anche lei verso il pacchetto di sigarette. Ne prese una e se la portò alle labbra, l’accese con la bacchetta e dopo aver aspirato e tossito, ancora poco abituata al fumo, disse – E se facessimo una cosa molto stupida? –

Tutti quanti si voltarono e lei dopo un altro colpo di tosse, continuò, spiegando in parole spicce il semplice piano.

I membri della resistenza si guardarono a lungo, indecisi sul momento.

Hermione sorrise freddamente, mentre spengeva la sigaretta nel posacenere – Ci sto. –

  
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