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Autore: chiaki89    18/09/2011    8 recensioni
Sono passati sei anni dall’arrivo dei Volturi. Leah, unica donna fra i licantropi, è sempre più insofferente verso tutto ciò che la circonda, nonostante ci siano stati piccoli miglioramenti.
Ma l’arrivo di un vampiro mai visto nella zona sconvolgerà di nuovo tutto.
Chi è Jeremy? Perché è arrivato a Forks?
Queste domande diventano superflue quando Leah si ritrova costretta con l’inganno a sorvegliarlo quotidianamente.
Ed è l’inizio di una nuova storia, nella quale incontrerete ancora tutti i personaggi che avete amato, e anche qualcuno in più.
“Quando il vampiro platinato si voltò ebbi la soddisfazione di vederlo stupito per un secondo buono. Presi fiato per dare libero sfogo alla mia volgarità ma lui mi precedette con una risata decisamente maleducata.
“E così, quel cosino è un lupo? Avete anche donne-lupo? Ridicolo! Inaudito!” continuò a sghignazzare.
“Ehm, lei è l’unica…” rispose cautamente Jacob, guardandomi.

[…]
Raccolsi un grosso masso di granito e lo scagliai con precisione. Gli staccai di netto un braccio. Mi permisi di rivolgergli un sorriso compiaciuto, consapevole che stavo giocando col fuoco.”
Tratto dal cap.3
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Leah Clearweater, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harvest Moon'
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Questo capitolo è dedicato a tutte le meravigliose persone che ho conosciuto grazie a EFP: preferisco non nominarle tutte, visto che la mia pessima memoria me ne farebbe sicuramente dimenticare qualcuna.

Vi ringrazio per il sostegno, per avermi fatto ridere quando era il momento e per avermi consolato quando ne avevo bisogno. Grazie, perché ci siete sempre, anche se non vi merito. Siete fantastici.

 

HARVEST MOON

 

 

 

Era davvero finita.

Inspirai profondamente, ancora incredula. Il nostro cerchio si spezzò e ci riunimmo tutti al centro della radura, di nuovo in forma umana. Frugai con gli occhi l’intera compagnia, sussultando ogni volta che mi accorgevo di un’assenza.

Brady. Collin. Tommy. Jared. Non sapevo cosa gli fosse successo, ma speravo fermamente che fossero sotto le cure di Carlisle. E vivi.

Quasi senza rendermene conto controllai anche i succhiasangue. Mancavano all’appello Kachiri e Senna, Carmen ed Eleazar, Garrett, Kiyoko, Tamaki e Fredrick. Qualcuno di loro era morto? O erano solo stati fatti a pezzi e si sarebbero ripresi entro il giorno dopo?

Una figura ai margini del mio campo visivo si avvicinò: mi voltai e rimasi a bocca aperta, attonita.

“Che c’è, lupastra? Non apprezzi il mio nuovo look?”, mi schernì Rosalie, toccandosi con intenzione i capelli biondi, che ora le sfioravano a malapena le spalle. Feci una smorfia, riprendendomi dallo stupore. “Più che altro me l’hai copiato. Non riuscivi proprio a trovare nulla di più originale?”. Lei rise. “La prossima volta chiederò a Felix di farmi un taglio all’ultima moda. Peccato che i nostri capelli non ricrescano…e che Felix ormai sia cenere”.

“Non potevi perdonargli un affronto simile, vero?”.

“Già”, rispose allegramente. Poi si incupì. “Hai saputo?”. Il mio stomaco si contrasse all’improvviso, presagendo brutte notizie.

“Kiyoko e Kachiri. Sono morte”. Rischiai di farmi sfuggire un sospiro di sollievo e un po’ me ne vergognai. Giusto un pochino. Non ero felice della loro fine, ma non le conoscevo così a fondo da poterne essere troppo addolorata.

“Mi dispiace”, dissi sinceramente, e lanciai un’occhiata rapida ai membri del clan giapponese che si stavano stringendo tra loro, prostrati dalla perdita. Zafrina era china su un mucchietto di macerie, probabilmente di guardia ai pezzi della sua sorella sopravvissuta, Senna.

“Tuo fratello come sta?”, chiese dopo un attimo di silenzio. Rabbrividii, improvvisamente agitata. “Deve stare bene, altrimenti se la vedrà con me. Sai per caso…”.

“Carlisle ha portato Seth a casa vostra”, mi interruppe Maggie, che si era avvicinata rapidamente. Si appoggiò un istante a Rosalie, come se non riuscisse a stare in piedi, poi si raddrizzò. “Tienimi informata sulla sua salute, per favore”, aggiunse titubante. Annuii seccamente e mi avviai verso casa. Vidi Jeremy accanto a quelli del suo clan. Mi fissò perplesso e io sillabai il nome di Seth; annuì e mi salutò con un cenno.

Poi iniziai a correre.

***

“Leah!”. La voce di mia madre mi fece sussultare e per un lunghissimo istante temetti il peggio. Poi mi abbracciò rapidamente, sussurrando un tranquillizzante “adesso va davvero tutto bene”. Sospirai sollevata.

“Seth?”, chiesi più brusca di quanto non volessi. Non parve neanche farci caso, troppa era l’angoscia che aveva patito in quella giornata. Tentò comunque di recuperare il suo contegno di donna forte e autoritaria.

“È sveglio e continua a chiedere cibo. Tutto sommato trovo che stia benissimo”. Grugnii un assenso ed entrai in casa. Trovai Seth in salotto, sdraiato sul divano che a stento lo conteneva.

“Finalmente, Lee! Cosa stavi facendo mentre il povero fratellino moribondo aveva bisogno del tuo conforto?”.

“Volevi che ti tenessi la manina?”, ribattei caustica, ma intimamente felice di vederlo così vivace e pronto a scherzare. Lui ridacchiò sventolando la suddetta manina. “Nah, penso di poterne fare a meno. Piuttosto, hai qualche novità che io non so?”, disse facendosi improvvisamente serio.

 “Kiyoko e Kachiri sono morte. Altri sono stati fatti a pezzi, ma si riprenderanno. Maggie sta bene”, sibilai nervosamente, anticipando la domanda. “I fratelli…alcuni non li ho visti quindi…”.

“Collin è grave, me l’ha detto Carlisle. Molto grave”. Sussultai, spaventata. Seth se ne accorse e aggiunse precipitosamente: “Però pensa che se la caverà, a patto di rimanere praticamente immobile per una settimana. Tommy e Jared avevano qualche ferita profonda, ma guariranno anche loro. Brady è piuttosto malconcio, ha cercato di difendere Collin quando è stato attaccato. Carlisle è ottimista, se la caverà anche lui”.

Non riuscii a trattenere un sospiro di sollievo. “E tu come fai a sapere tutto questo?”

“Lee, esiste un’invenzione straordinaria chiamata telefono. Mai sentita nominare?”. Una cuscinata ben piazzata mi risparmiò la fatica di rispondere. “Idiota”.

Mi sedetti sulla poltrona accanto al divano e gli spiegai a grandi linee quello che era successo nella radura dopo che era stato portato via: lui ascoltò con attenzione, intervenendo di quando in quando.

“Adesso che si fa?”, domandai al nulla, intrecciando le dita di fronte al mio viso. Io e Seth ci fissammo con serietà.

La mamma si sporse dalla cucina con sguardo severo. “Adesso si mangia”.

Benedetta quotidianità.

***

Nel pomeriggio, su precisa insistenza di mio fratello, mi recai a casa Cullen, visto che di mia spontanea volontà non mi sarei certo infilata in quel buco puzzolente. I succhiasangue si aggiravano con degli enormi sorrisi stampati sulle labbra, che mi fecero alzare gli occhi al cielo. Quando entrai –rigorosamente senza bussare- un piccolo gruppetto mi si fece incontro.

“Lupacchiotta! Sentivi già la mia mancanza?”.

“Sei venuta a chiedere il copyright sul look, lupastra?”.

“Come sta Seth?”.

“Sei passata a vedere come stanno i fratelli?”.

Era difficile capire chi fosse il più irritante tra Jeremy, Rosalie, Maggie e Jacob. Trattenni un buon numero di imprecazioni tra i denti e provai a rispondere civilmente.

“No, no, bene, sì. Soddisfatti?”. Maggie sembrava leggermente sconvolta dalla mia personale interpretazione di “civilmente”, gli altri non fecero una piega. Ormai ci erano abituati.

Mi guardai rapidamente intorno, registrando altre assenze. “I giapponesi?”.

Fu Jake a parlare per primo. “Rimarranno nella radura finché Tamaki non si sarà ripreso. Poi torneranno immediatamente in patria, per loro è troppo doloroso restare qui”. Tentai una faccia contrita. “Capisco. E…?”.

Jeremy mi strinse la mano appena sopra il gomito e mi spinse verso l’assembramento di succhiasangue riunito nel salone. “Non vuoi partecipare alla riunione strategica post-guerra? Otterrai tutte le spiegazioni necessarie”. Sfoggiò un sorriso così abbagliante che mi contagiò. Annuii e gli altri ci seguirono.

In realtà non c’era molto da dire, ma ovviamente vennero usate molte più parole del necessario. In questo modo l’intero pomeriggio venne occupato dalla famigerata “riunione”: mi scoprii a rimpiangere di aver partecipato.

Con i Volturi eliminati, rimaneva scoperta un’istituzione che da sempre aveva protetto la segretezza del mondo delle sanguisughe, benché con metodi discutibili. Apparentemente a malincuore i Cullen si offrirono di svolgere questo compito, chiedendo inoltre l’aiuto di tutti i vampiri che si sarebbero voluti unire alla causa. Solo il clan di Denali accettò al completo: Tanya e Kate avevano parlato anche per gli altri membri ancora a pezzi. A quello che avevo segretamente ribattezzato il “clan delle sanguisughe ipocrite” si unirono anche Maggie, Renata (che aveva espresso la preferenza di rimanere attaccata alle costole dei Cullen) e Jeremy.

D’accordo, sapevo che probabilmente non si sarebbero mai comportati come i Volturi, però c’era da ammettere che non era il massimo della coerenza una decisione del genere. L’unico aspetto positivo era che si sarebbero trasferiti tutti in Alaska, nelle vicinanze del clan di Jeremy. E io mi sarei liberata completamente dai succhiasangue.

Quella sera, mentre tornavo a casa, mi chiesi amaramente perché non stessi facendo i salti di gioia. Ma temevo che la risposta mi piacesse ancor meno della domanda.

***

Mi svegliai il mattino dopo per colpa del telefono. Lo afferrai di malagrazia, rischiando di romperlo - non sarebbe stata la prima volta- e ringhiai un “pronto” reso impercettibilmente meno minaccioso dalla voce impastata dal sonno.

“Leah! Ci sposiamo tra due settimane! Capisci? Due settimane!”.

“Jacob. Black. Sono le…”, sbirciai la sveglia. “…sei del mattino. A meno che tu non voglia rendere vedova la tua bella ancor prima del matrimonio, ti consiglio di non rifare mai più una cosa simile. Buonanotte”.

“Aspetta!”, urlò nelle mie orecchie già sufficientemente stanche. “Volevo chiederti di farmi da testimone!”.

Ogni intento omicida diretto contro il mio alfa si sciolse come neve al sole. Io? Testimone? Un’emozione travolgente si allargò nel mio petto, cancellando sonnolenza e preoccupazioni: una gioia sincera, che da tempo non provavo, e un senso d’orgoglio per l’affetto dimostratomi da Jake. Non avevo parole per esprimere quanto fossi felice. Ma dovevo mantenere un contegno.

Tossicchiai artificiosamente. “Beh, credo di poterlo fare, si tratta soltanto di stare in piedi un paio d’ore ad annoiarsi a morte. Niente di impossibile”. Silenzio dall’altro capo della cornetta. Era svenuto, per caso?

“Grazie, Leah. Anche io sono contento”. E mise giù. Sibilai qualche impropero e scesi a fare colazione.

***

Nel giro di un paio di giorni il matrimonio tra Jake e Nessie divenne l’argomento più gettonato di tutte le conversazioni, sia dei succhiasangue che dei licantropi. In sostanza la noia mortale era iniziata con due settimane d’anticipo: ero stata fin troppo ottimista nelle mie stime. Per sfuggire alla rottura di scatole –onnipresente persino nelle serate passate insieme al branco a Port Angeles- mi limitavo a parlare con l’unica persona che non sembrava particolarmente interessata alla composizione floreale del bouquet della sposa.

La sorveglianza non era più necessaria, ormai era diventato “il perfetto vampiro vegetariano”, ma passeggiare per Seattle o per la foresta insieme a Jeremy mi faceva stare bene. Ormai era impossibile mentire a me stessa: la paura e l’angoscia che avevo provato durante la battaglia, quando avevo compreso che lui stava per morire, erano impossibili da ignorare. Era perfettamente chiaro, nel mio cuore, che Jeremy per me era molto più importante di quanto non avessi mai ammesso.

Ogni giorno che passava mi stupivo di quanto lui avesse imparato di me, e io di lui. Leggere i reciproci pensieri attraverso le espressioni del viso non era difficile, entrambi l’avevamo imparato durante la sorveglianza e, con un certo stupore, mi resi conto che ormai faceva parte di noi. Avevo persino tentato di analizzare le mie sensazioni e mi ero resa conto che con lui io mi sentivo…giusta. Non dovevo preoccuparmi di dire o fare la cosa sbagliata, non dovevo mettere su una “facciata civile” per coprire la mia naturale irritabilità. Lui mi aveva accettato così come ero fin dal primo momento, e continuava a farlo. Era una sensazione così liberatoria da essere aliena.

Certo, rimaneva il solito rompiscatole irritante e vanesio…ma tutto quello che era successo nel giro di sei mesi aveva cambiato me. In particolare aveva cambiato l’idea che io avevo di lui. Lungi da me l’ammetterlo ad alta voce, comunque.

In quei giorni si congratulò più volte per il mio ruolo di testimone dello sposo –sospettavo che lo facesse per irritarmi ulteriormente- e mi raccomandò di non addormentarmi durante la funzione. Si offrì addirittura di tenermi sveglia a suon di pizzicotti. Che simpatico.

***

“Sai, ho scoperto chi era il nostro avversario durante la battaglia. Me l’ha detto Eleazar”, disse un giorno, dal nulla.

“Oh”, ribattei, poco interessata. Jeremy non parve far caso alla mia risposta decisamente non entusiasta.

“Si chiama Miroh, nella guardia era soprannominato ‘lo specchio dei ricordi’”.

“Mh”. Non capivo esattamente dove volesse arrivare, anche se un sospetto l’avevo: tuttavia era lui a dover fare il passo avanti, non potevo costringerlo io.

“La cosa buffa è che non sapevo che fosse in grado di mostrare ricordi pressoché dimenticati. Sai, io non ricordavo come avevo ucciso la mia famiglia. Sapevo solo di averlo fatto”. Il suo tono era calmo mentre parlava di questo argomento così doloroso. Mi fermai accanto a un masso e mi ci sedetti sopra, facendogli capire che ero intenzionata ad ascoltarlo con la massima attenzione. Lui prese posto vicino a me, senza toccarmi. Anche se avrei potuto giurare di aver visto un sospetto movimento della sua mano verso la mia, che mi causò una stretta allo stomaco sfortunatamente prevedibile.

“I miei primi momenti da neonato erano confusi e frammentari, prima di incontrarlo durante la battaglia. Probabilmente ci ho messo del mio, in quella parziale perdita di memoria, lo ammetto. Ma quando Miroh mi ha toccato ho rivisto tutto, istante per istante”. Fissò assorto la volta degli alberi sopra di noi e prese profondamente fiato, in un gesto estremamente umano. “La prima è stata mia sorella Rebecca, era accanto al mio letto quando mi sono svegliato. Penso non si sia neanche accorta di quello che stava accadendo, tranne che per pochissimi attimi di paura alla fine. Mio padre stava salendo le scale diretto verso la mia camera: stava probabilmente avvertendo Rebecca che era ora di cenare. Gli ho spezzato il collo prima che potesse capire cosa ero diventato. Mia madre era in cucina. Si era voltata verso di me dopo avermi sentito ringhiare. Non so cosa abbia visto in quel momento, ma l’ultima cosa che ricordo del suo viso è l’espressione di completo terrore. Ero coperto di sangue, eppure non mi bastava”.

“Basta, Jeremy. Hai già detto troppo. Quello che è successo non è colpa tua, ma di Kyla. E lei ha pagato”, lo interruppi, incapace di guardare oltre quella sofferenza così sincera. Era assurdo pensare che un tempo ero stata così sciocca da negare che Jeremy fosse una persona: quello che vedevo mi stava sbattendo in faccia la verità.

Non lo avevo convinto della sua innocenza, era impossibile. Ma parve sollevato dalle mie parole.

“Volevo che tu sapessi tutto. Non ti voglio nascondere niente, Leah. Siamo amici, no?”.

Io annuii, leggermente titubante. “Sì, lo siamo”.

Forse qualcosa di più.

Ma questo non riuscii a dirlo. Mi limitai, invece, a farglielo capire in qualche modo. Gli raccontai di quello che Miroh aveva mostrato a me –beh, non proprio tutto-, con la consapevolezza che era la prima volta che mi aprivo così tanto con qualcuno.

Ma andava bene così, no?

***

“Le scarpe! Santo cielo, Leah, non dimenticarti le scarpe!”. Sbuffai all’indirizzo di Alice che era appena entrata nella stanza sventolando un paio di strumenti di tortura generalmente denominati scarpe col tacco.

“Va bene, va bene”.

“L’acconciatura è a posto?”, chiese senza fermarsi un istante. Non capivo che motivo ci fosse per essere tutti così isterici. Era solo un matrimonio, accidenti!

“Considerato il mal di testa che mi stanno facendo venire queste forcine, direi che è più che a posto”, ringhiai.

“Sempre di buonumore, lupastra, a quanto vedo”. Era entrata anche Rosalie, fasciata in un bellissimo abito azzurro pallido. Era uno schianto, maledizione. Beh, lei sarebbe stata altrettanto bella anche con addosso il mio banale vestito di seta grigia. Insomma, era Rosalie.

“Non stuzzicarmi, fino a tre secondi fa ero intenzionata a non rovinare il grande evento e tu stai facendo a pezzi la mia determinazione”.

Esme infilò la testa nella stanza. “La sposa è pronta”, disse commossa, “Bella è con lei e a breve scenderà. Prendete i vostri posti?”. Colsi immediatamente l’occasione di sfuggire alle grinfie della nana e scattai –rallentata, sfortunatamente, dai tacchi- verso le scale. Un attimo dopo ero già accanto al povero Jacob, inchiodato vicino all’altare, che stava sudando abbondantemente strizzato dentro lo smoking blu notte. Gli rifilai la pacca più discreta che riuscii a dare. Lui mi fissò, vagamente smarrito.

“Leah, mi sto per sposare”, sussurrò con la stessa espressione di un bambino minacciato dall’uomo nero. Patetico.

“Bravissimo, te ne sei accorto. Adesso chiudi la bocca, respira, e cerca di dire “sì” al momento giusto, ok?”, sussurrai cercando di essere incoraggiante. A modo mio.

Una risatina dal pubblico mi distrasse un istante. Jeremy mi salutò, sulle labbra ancora l’ombra della risata. Sorrisi e gli feci un rapido cenno.

Nel giro di un paio di minuti tutti presero posizione, attentamente sorvegliati da Jasper che come sempre deteneva il ruolo di stratega/organizzatore. Osservai i miei fratelli in prima fila, alcuni accompagnati dalle fidanzate e, nel caso di Sam, da moglie e marmocchi. Non potei impedirmi di sorridere a tutti loro e quegli scemi dei miei fratelli si diedero di gomito, fingendosi totalmente sconvolti dal mio buonumore. Le suddette fidanzate si esibirono in espressioni esasperate e mi lanciarono occhiate solidali e piene di comprensione.

I succhiasangue erano tantissimi: tutti quelli che avevano presenziato alla battaglia, esclusi i giapponesi. Insomma, fin troppi. Mi toccava sopportare. Gli umani erano la minoranza e tra loro spiccava un commosso Charlie, seduto accanto a mia madre. Rosalie mi passò velocemente accanto, si concesse un rapido pizzicotto al mio fianco e infine si sedette al pianoforte. Cominciò a suonare la marcia nuziale e dopo qualche istante in cima alle scale apparve Renesmee Carlie Cullen in tutto il suo splendore, sostenuta dal padre. Era davvero bellissima, dovevo ammetterlo, con quel vestito bianco e semplice, le guance rosse e gli occhi raggianti. Sembrava brillare di luce propria. Controllai un attimo Jacob, per sapere se era necessario asciugargli la bava, ma mi aveva dato retta e aveva chiuso la bocca. Bravo ragazzo.

Tutti guardavano rapiti la sposa mentre scendeva i gradini con una grazia sovraumana. Sperai che si sbrigasse, comunque. Non avevamo tutta la giornata.

Fu meno noioso di quanto non mi aspettassi. Entrambi si comportarono bene, non svennero e non si incepparono sul “sì, lo voglio”. E io mi emozionai, nonostante tutto. Accidenti a loro.

***

Dovetti ammettere che anche il ricevimento non era male. Alice si era superata con le decorazioni, che erano curate senza essere eccessive. Azzardai persino un mezzo complimento che la fece rimanere in totale silenzio per un minuto intero: beh, qualcosa avevo guadagnato.

Mi lasciai trascinare nelle danze da Jacob, presto sostituito da altri fratelli desiderosi di approfittare del ballo per prendermi in giro con la loro proverbiale delicatezza. Il povero Collin zoppicava ancora, ma accettai lo stesso il suo invito. Era da tanto che non mi divertivo così.

Ballai persino con Emmett, che per tutto il tempo rievocò i momenti della battaglia che lui aveva trovato più memorabili, inframmezzando ogni tanto qualche complimento a noi licantropi, me compresa.

Dopo un po’, stanca dei troppi volteggi mi diressi verso gli ambiti drink. Nessuna paura di ubriacarsi, noi licantropi avevamo un metabolismo troppo rapido per poter risentire seriamente dell’alcool.

Lasciai scivolare pigramente gli occhi sulla pista: inciamparono immediatamente su Seth e Maggie, con il rischio di farmi strozzare con il mio drink. Ballavano insieme da fin troppo tempo. Poco distante da loro Tanya stava danzando con Richard e Sam aveva invitato Esme; Renata tentava di non farsi pestare i piedi da Chris, notoriamente un pessimo ballerino, ma entrambi sembravano comunque divertirsi. Ormai le barriere erano cadute. E, in fondo al cuore, sapevo che tutto questo non mi dispiaceva così tanto.

“È bello vederti sorridere”. Una voce alle mie spalle mi riscosse e fece allargare il mio sorriso. “Posso chiedertene il motivo?”.

“È un matrimonio, Jeremy”, spiegai con la pazienza di una madre con il figlio piccolo e un po’ stupido. “Sorridere è tra le condizioni obbligatorie per partecipare”.

“E lo è anche ballare?”, disse insinuante. Mi prese la mano e la tirò lievemente, in muto invito. Mi voltai con lentezza esasperante verso di lui. “Solo se il cavaliere è bravo”. Fece una smorfia, come se fosse indeciso tra il sentirsi oltraggiato e il ridere per la mia arguta presa in giro. Alla fine si limitò a portarmi al centro della pista, senza lasciarmi mai la mano. La canzone romantica di pochi istanti prima sfumò in una melodia allegra, che non conoscevo, ma Jeremy non si scoraggiò e mi impegnò in figure sempre più rapide e complicate finché, ridendo, non gli dissi di smettere. I tacchi mi stavano uccidendo.

“Devi ammettere che sono un ottimo ballerino”, si vantò puntando il naso in aria. Ridacchiai senza dargli soddisfazione e continuai a ballare. La musica cambiò e divenne un lento.

Prevedibile. Come minimo c’è lo zampino di Rosalie.

La notai accanto all’orchestra, il bel viso trasfigurato in un ghigno furbesco. Maledetta.

La mano di Jeremy sulla mia schiena mi avvicinò al suo petto e repressi a fatica un brivido. Intanto a livello dello stomaco sentivo delle strette sempre più forti, una dietro l’altra. Avevo per caso mangiato qualcosa di avariato?

Certo, come no.

Chiusi un istante gli occhi per calmarmi e aggrottai le sopracciglia. “Tutto bene?”, chiese subito. Accidenti a lui e alla sua mania di osservarmi sempre.

“Mal di testa”, grugnii poco elegantemente. “Forcine”, aggiunsi.

Mi squadrò meditabondo per qualche istante. Poi, veloce come il pensiero, mi tolse tutti quegli inutili fermagli: tintinnarono dolcemente sul pavimento e finirono calpestati dai ballerini. Che liberazione. Jeremy infilò un attimo le dita tra i miei capelli, per riavviarmeli, e dovetti costringermi a non abbandonare la testa contro la sua mano. “Alice ti ucciderà, sappilo”.

“L’ho fatto per salvare una damigella in difficoltà”. Sorrise e avvicinò le labbra al mio orecchio, per aggiungere sottovoce: “Una bellissima damigella”. Sentii un leggero calore a livello delle mie guance: con autentico orrore compresi che stavo arrossendo e nascosi precipitosamente l’imbarazzante fenomeno evitando in tutti i modi il suo viso. “Fino a prova contraria io ero la testimone di nozze”, ribattei acida. Scoppiò a ridere di gusto e dopo un attimo mi unii alla sua risata contagiosa.

Quasi inconsapevolmente diressi lo sguardo verso le vetrate del padiglione, riciclate dalla festa di fidanzamento di qualche mese prima. Il vetro mi restituì l’immagine di una donna sorridente, assurdamente felice, circondata dalle braccia di un uomo che mai avrebbe desiderato prima; intorno, amici e fratelli che ogni tanto le lanciavano un’occhiata velata d’affetto. Ed era sconvolgente rendersi conto che quella donna ero proprio io.

Non sono più sola.

Ma tutto questo non era solo merito mio. Era soprattutto di Joshua, il mio amato cugino, che sarebbe sempre rimasto nel mio cuore come il più prezioso dei talismani. E di Jeremy, il succhiasangue che si era fatto strada fino al mio cuore e lì aveva deciso di restare. Era decisamente il momento di ammettere la verità, almeno con me stessa.

“Vieni con me, voglio farti vedere una cosa”. Di nuovo parole sussurrate nell’orecchio, di nuovo brividi lungo la schiena. Quell’idiota faceva apposta.

Mi trascinò fuori dal padiglione quasi correndo. Si voltò, gettando una fugace occhiata alle nostre mani ancora unite, poi mi sorrise. “Vediamo se riesci a correre anche con quei cosi ai piedi”, mi sfidò. “Le sconfitte ti bruciano così tanto da obbligarti a usare questi mezzucci?”, gli sibilai sorpassandolo di un poco, giusto per mettere in chiaro chi era il migliore. Ossia la sottoscritta.

“Ehm, Leah, dovevamo andare a destra. Hai perso la svolta”.

“Ah”, risposi brillantemente. Poi scrollai le spalle. “Allora fai strada tu, no? Che imbecille…”, borbottai a mezza voce. Ridacchiò e mi guidò attraverso la foresta buia: respirai a fondo l’aroma dolciastro e pungente del terreno umido e il profumo familiare del legno, sentendomi finalmente al posto giusto. Lì, legata a Jeremy, e non soltanto a causa delle nostre mani unite. All’improvviso sbucammo fuori dalla vegetazione e io spalancai gli occhi per il panorama mozzafiato che avevamo di fronte.

A pochi passi da noi il terreno finiva e le ombre si gettavano in uno strapiombo dal quale proveniva un gorgoglio sommesso. Mi avvicinai cautamente, scorgendo un fiume argentato che scorreva placido sotto la luce della luna. Oltre il corso d'acqua una vastissima foresta si stendeva fin dove l’occhio poteva arrivare: le chiome degli alberi si piegavano docili alla brezza, come le onde del mare. Le foglie parevano minuscoli cristalli trasparenti, che rilucevano intermittenti seguendo il capriccio del vento e della luce lunare. In lontananza, incastonato nella foresta, brillava il lago Pleasant, simile a una lastra di candido alabastro sotto la luce della luna. Una luna piena e incantevole, che brillava con tale forza nel cielo notturno da oscurare le stelle.

“È bellissimo”, sussurrai, incapace di nascondere la mia meraviglia.

“Immaginavo che non l’avessi mai visto. Questo luogo fa parte del territorio dei Cullen”. Annuii senza spiccicare parola. Sapevo che avrebbe parlato lui per me. “Questa è la prima luna piena d’autunno. Dove sono nato io la chiamavano la ‘luna del raccolto’ e in quest’occasione tutti festeggiavamo fino all’alba la fine del nostro lavoro nei campi. Partecipavano tutti: vecchi, bambini, contadini, proprietari terrieri…nessuna distinzione”.

“Non doveva essere male”, dissi pigramente, spostando la vista sulla foresta frusciante.

“Già, non lo era. Fa parte di ciò che ho perso quando sono diventato un vampiro. Per fortuna il destino mi ha permesso di guadagnare qualcosa da questa maledizione eterna”. Sentii il suo sguardo su di me. Girai leggermente il viso per incontrare i suoi occhi, che poche volte erano stati così seri e intenti. Di nuovo una stretta allo stomaco.

Pititchu”, sussurrai piano, sicura che lui potesse sentirmi. La sua faccia perplessa era una vera soddisfazione. Ridacchiai tra me e me. “ Significa ‘luna’. È una parola del linguaggio Quileute”, spiegai.

“Ah, ehm, capisco”, balbettò.

No, non capiva. Non poteva sapere che ci era proibito insegnare anche una singola parola Quileute a qualcuno esterno alla tribù senza l’approvazione del consiglio degli anziani, tanto più se l’esterno in questione era una sanguisuga. Ma io lo sapevo perfettamente. E non l’avevo fatto per sbaglio o spinta da un impulso momentaneo. A Jeremy avevo concesso la mia fiducia, il permesso di superare delle barriere che fino a qualche mese prima erano insormontabili. Anzi, da tempo avevo abbassato parecchie difese con lui, altrimenti non si sarebbe spiegato il fatto che il mio cuore aveva iniziato a battere così forte da farmi pensare che potesse uscirmi dalle costole. E l’accorgermi improvvisamente che alla luce lunare lui era oggettivamente bello –nonostante le cicatrici- non aiutava di certo.

Tentando di nascondere questo groviglio di sentimenti e pensieri riportai lo sguardo alla luna.

“Leah”.

“Mh?”.

“Cosa faresti se, diciamo, io ti baciassi?”.

Probabilmente rischierei di morire d’infarto, come in questo momento.

Rievocare, anche solo vagamente, la morte di mio padre mi diede la lucidità necessaria per rispondere.

“Penso che ti tirerei un calcio nello stomaco”. La mia voce era perfettamente calma. Mi complimentai con me stessa.

Rimase zitto per parecchi secondi, apparentemente assorto nei suoi pensieri. Con la coda dell’occhio sbirciai il suo profilo elegante, la bocca leggermente contratta e il reticolo di cicatrici pallide che partivano dal sopracciglio destro e arrivavano al mento. Insomma, si arrendeva così facilmente? Era una vera delusione, lui non aveva neanche il coraggio di…

Le sue dita fredde mi sfiorarono il dorso della mano e poi si intrecciarono alle mie, trovando immediatamente l’incastro giusto. Inspirai bruscamente nel trovarmelo di fronte.

“Tutto sommato, direi che sono disposto a correre il rischio”.

Si chinò lentamente verso di me e per un istante fui totalmente terrorizzata. Sì, terrorizzata. Perché era tutto sbagliato, io non potevo volere lui, lui non doveva volere me. Era contro tutto quello in cui avevo creduto, era impossibile, era…

Poi un bacio delicato si posò sulla mia tempia e tutte le paranoie si sgonfiarono. Sospirai mentre le sue labbra sfioravano la fronte, la guancia, il mento. Ero incapace di muovermi e di parlare. Rosalie avrebbe pagato in oro per avere un risultato identico.

I pensieri futili evaporarono nel momento esatto in cui mi baciò davvero. Le labbra dure e fredde originarono un’esplosione di calore che attraversò ogni fibra del mio corpo, come un fuoco purificatore. Sentivo il cuore martellarmi nel petto, i battiti echeggiavano potenti fin dentro l’anima.

Jeremy era cauto, probabilmente spaventato dalla possibilità di un rifiuto che non sarebbe mai arrivato. Non ne avevo più la forza. Dopo alcuni leggeri sfioramenti a fior di labbra -che mi fecero quasi imprecare per l’impazienza- finalmente immerse una mano tra i miei capelli e mi portò più vicina. Il contatto improvvisamente più intimo mi fece tremare e mi aggrappai al tessuto morbido della sua camicia come in cerca di sostegno. Ma lui non mi avrebbe lasciata andare, lo sapevo bene. Lo capivo dal suo tremito, dalla mano che continuava ad accarezzarmi i capelli con insospettabile delicatezza, dalle nostre dita ancora saldamente intrecciate.

Si staccò un istante per darmi la possibilità di prendere fiato e mi baciò di nuovo, rubandomi il respiro e i frammenti della vecchia Leah che ormai avevo lasciato andare.

Quando ci separammo davvero tentai di calmare i battiti del mio cuore, mentre Jeremy regolarizzava il respiro con una certa difficoltà.

Il suo sguardo lieto, il suo sorriso così largo da farmi temere che si crepasse fino alle orecchie, la fronte appoggiata alla mia…parlavano di una felicità che lui non mi aveva mai mostrato prima d’ora e che rifletteva perfettamente la mia. Sentivo le labbra pulsare ed ero consapevole del fatto che stavo sorridendo come una tredicenne davanti al cantante dei suoi sogni, ma non potevo farci nulla.

Tuttavia, avevo una reputazione da mantenere. E una parola da rispettare.

Mi liberai velocemente dalla sua stretta e gli piantai un calcio nello stomaco. Volò contro un albero e lì rimase, a fissarmi più perplesso che mai. Scoppiai a ridere, spensierata, e feci per andarmene. Dopo pochi passi voltai leggermente la testa per guardarlo e piegai le labbra in un sorriso impertinente. “Lo sai che io mantengo sempre le promesse”. Mi girai di nuovo.

Non era passato neanche un secondo che sentii le sue braccia cingermi da dietro. “Sei davvero impossibile, Leah”. Posò le labbra sulla mia nuca, scatenando un brivido lungo tutta la spina dorsale. Torsi il collo per poterlo guardare negli occhi. “Sì, lo so”. Mi sporsi avanti e lo baciai. Si irrigidì per la sorpresa, ma si riprese in fretta e mi strinse così tanto da farmi quasi male. “Leah…”, mormorò contro le mie labbra.

Al diavolo tutto. Non avevo voglia di tornare a quel ricevimento rigurgitante di succhiasangue. Volevo stare lì, tra le braccia di Jeremy, fino a dove la notte ci avrebbe portato. Era un bene che i suoi baci avessero mandato in totale blackout il mio cervello; in caso contrario avrei continuato a essere preda delle mie paranoie e non avrei mai afferrato la felicità inaspettata -ma già intuita da tempo- che mi dava lo stare così, con lui.

Tuttavia era il matrimonio di Jake e io ero la testimone. Non potevo mancare alla festa e il muso lungo che mi avrebbe propinato l’adorabile alfa il giorno dopo non era l’unica motivazione per questa decisione. Volevo stargli vicina. E, insomma, dovevo ancora prendere in giro Rosalie per avermi scopiazzato il taglio di capelli.

Mi scostai un attimo da Jeremy, con il respiro leggermente accelerato. I suoi occhi brillavano nella semi-oscurità, offuscati e un po’ persi. “Lo so, dobbiamo tornare al ricevimento”, borbottò. Mi posò un ultimo bacio sulle labbra e sorrise. “Dai, andiamo”.

***

La strada del ritorno non fu propriamente lineare. Non che avessimo problemi di orientamento, ovvio. Semplicemente Jeremy –e anche io, giusto un pochino- era intenzionato a recuperare il tempo perduto in sei mesi di battibecchi e a fare scorta per…il futuro.

Santo cielo, sembravamo dei tredicenni alle prese con la prima cotta. Il che era poco meno che imbarazzante e poco più che disgustoso. Glielo –e mi- stavo concedendo quel momento di…ehm, decadenza neuronale solo perché ci eravamo appena scoperti, nulla più. Poi se la sarebbe sognata quell’arrendevolezza da parte mia. Ops, peccato, lui non sognava.

Leah, sei perfida.

Ridacchiai all’indirizzo della vocina della mia coscienza. Ormai avevo imparato ad accettare pure lei.

Entrammo lentamente nel padiglione, mano nella mano. Parecchi sguardi si diressero verso di noi, ma non lasciai quella stretta rassicurante. In ogni caso ero consapevole che non sarei mai riuscita a nascondere il lieve rossore sulle mie guance e l’espressione da “ho vinto un miliardo di dollari alla lotteria” spalmata sul viso di Jeremy.

La serata continuò, solo leggermente scombussolata dalla nostra apparizione, e mi resi improvvisamente conto che alla partenza di tutta la compagnia vampiresca mancava solo una settimana. Jacob e Nessie sarebbero rimasti qui, mentre tutti gli altri Cullen avevano come destinazione l’Alaska.

Detestavo ammetterlo, ma Rosalie mi sarebbe mancata, e pure parecchio. Accidenti a lei. Anche il suo compagno, Emmett…insomma, era decisamente spassoso quando ci si metteva. Carlisle ed Esme non erano male, li avrei potuti sopportare ancora per un po’, senza contare che il medico aveva fatto molto per la mia famiglia, il branco. Alice, per quanto rompiscatole, era sempre riuscita a farmi apparire dieci volte più bella di quanto non fossi grazie ai suoi trucchetti da modaiola incallita. Sospettavo inoltre che Jasper avesse cercato più volte, con discrezione, di calmarmi quando percepiva che ero sull’orlo di una crisi isterica. Bella ed Edward, quando non tubavano eccessivamente, erano persino tollerabili.

Quasi scoppiai a ridere quando mi resi conto che non mi sarei fatta troppi problemi ad avere tutti i Cullen tra i paraggi ancora per un po’. Il pacchetto completo, tra l’altro. Ormai, però, tutto era stato deciso.

Un’esplosione di risate mi distrasse. Jeremy era al centro della pista, circondato da alcuni dei miei fratelli e da qualche vampiro: l’allegria era così intensa che mi sembrava quasi di poterla toccare con mano. La luce di decine di lampade brillava sui capelli biondi del mio idiota platinato preferito –nonché l’unico, ecco perché- e mi ritrovai a sorridere senza motivo. Ma quella mia serenità durò poco.

Una settimana. Era quello tutto il tempo che avevamo.

 

 

 

 

*Note dell’autrice*: e anche il penultimo capitolo è andato. Il prossimo sarà l’epilogo e spero di riuscire a pubblicarlo entro il 23 settembre, giorno della mia partenza per l’Irlanda. Altrimenti, come al solito, la data di pubblicazione sarà tra due settimane. L’epilogo è già scritto, è solo da revisionare, quindi non dovrebbero esserci imprevisti.

Qualche parola riguardo a questo capitolo. Sono negata per fluff e scene romantiche in generale. Ci ho messo tutto il cuore in questa, ma capirò se non vi dovesse piacere. L’atmosfera da “romanzetto” (luna, stelle eccetera) in genere non mi piace, perché poco realistica: personalmente non mi è mai capitata una cosa simile, e ho sempre ritenuto l’ambientazione di certi momenti totalmente ininfluente. In questo caso, però, ho voluto inserire l’immagine della luna piena dalla quale l’intera storia prende il titolo: la luna del raccolto, ossia Harvest Moon. Penso che sia evidente che Leah ha “seminato” nel corso della storia e questo capitolo era il momento di “raccogliere”. È un po’ patetico, lo so, ma l’ho pensata così dal primo istante in cui ho ideato questa fanfiction. Non posso che sperare nella vostra approvazione.

Ringrazio come sempre tutti coloro che aggiungono la storia alle seguite, alle preferite e alle storie da ricordare, e anche chi legge in silenzio rimanendo nell’ombra. Grazie di cuore.

Uno speciale ringraziamento a chi recensisce, le vostre parole sono sempre meravigliose e continuano a stupirmi.

Critiche e commenti, soprattutto in questi ultimi capitoli, sono più che graditi! ^^ A presto!

Baci, chiaki

 

*Angolo pubblicità*: Alcuni mesi fa ho scritto una one-shot che ha partecipato a un contest, classificandosi prima, ma solo la scorsa settimana sono riuscita a pubblicarla. Il fandom è quello di Harry Potter, se vi va mi farebbe piacere che ci deste un’occhiata. La storia è The last snapshot.

   
 
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