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Autore: DraconiaMalfoy    18/09/2011    9 recensioni
Dopo tanto tempo Harry e Draco s'incontrano in un bar Babbano, un po' strano se si parla di un Malfoy, no?
«E tu sei uno scocciatore. Vattene», continuò l’altro, secco.
Harry rise. «Perché dovrei? Dopotutto voglio solo prendermi un whisky, inoltre vedo che il tuo è quasi finito, quindi…».
Draco serrò la mascella. «Quindi pagarmi un bicchierino non ti permetterà di portarmi a letto», sibilò.
Potter lo fissò stupito. «Ma non è quello che voglio fare».
L’altro sbuffò, roteando gli occhi ciechi. «E perché sei qui, allora?»
Harry poggiò i gomiti sul bancone, attirando su di sé l’attenzione del barman. «Te l’ho già detto, voglio solo un whisky».
Fatemi sapere cosa ne pensate.  
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Buon pomeriggio e buona domenica!! Eccomi qui, per un attimo ho accantonato la mia fic “Indecent truth” per scrivere questa storia! :D

Buona lettura!

DM.

Taci

Le gomme stridettero contro l’asfalto, creando un rumore acuto e fastidioso alle orecchie, l’abitacolo della macchina sobbalzò e tremò per qualche attimo, fino a quando non rimase immobile a terra; il motore esordì un sonoro sbuffo. Harry ignorò tutto questo, ignorò il cattivo odore della gomma bruciata che saliva lentamente verso l’alto e, entrando dal piccolo spiraglio lasciato aperto dal finestrino dell’auto, pungeva le sue narici. Lo ignorò; gli occhi glauchi fissi su un’unica ed inconfondibile meta, una chioma di lisci capelli biondi, visibile attraverso il vetro leggermente oscurato del locale, e aguzzando lo sguardo, dovette giurare di aver visto anche qualche impronta di mani o dita sporche impressa su esso. Sorrise, al pensiero dei bambini che stringevano fra le dita paffute un grande cono gelato, il palmo sporco di sostanza fredda e dolciastra, e poi innocentemente, quelle piccole mani si ponevano sul vetro liscio e lucido di una vetrina, lasciando una traccia quasi indelebile. Quasi.

Quel pensiero, che definì banale e frivolo, abbandonò la sua mente, con la stessa velocità con la quale vi era entrato.

Aveva bisogno di un drink, di un pretesto per entrare, dopotutto erano solamente diciannove anni che era astemio.

Sudicio. Era il pavimento contro il quale le suole delle sue scarpe italiane strusciavano, si stava letteralmente trascinando verso tutto quello che lo aveva attirato in quel luogo. Non erano i stati i divanetti cremisi in pelle, o le aitanti ragazze distese su essi. No, solamente un zazzera chiara e un paio di spalle qualche centimetro meno larghe delle sue. Sentì il suo piede destro trovare qualche intralcio nello scorrere su quella superficie lurida ed appiccicaticcia; era solo una mattonella più sporche delle altre, cosparsa da una strana ed ambigua sostanza scura, forse era delle semplice gomma da masticare, forse…

Si apprestò a strusciare la suola sulla parte restante di pavimento e, all’apparenza più pulita, poi quando riappoggiò il piede a terra, senza che vi rimanesse attaccato, continuò a camminare, improvvisamente intimorito da ciò che lo attendeva alla fine del suo percorso.

Era giunto al traguardo. Si sedette su uno sgabello libero, potendo percepire il calore emanato dall’altro nonostante indossasse un cappotto scuro abbottonato fino alla gola, che enfatizzava il suo mento appuntito e la sua leggera stempiatura. Harry sobbalzò, interrogandosi sul motivo che lo avesse spinto a farlo, poi l’altro si voltò verso di lui e rimase letteralmente agghiacciato. I suoi occhi cerulei lo fissavano vuoti, anche se Potter non era del tutto sicuro che lo stessero realmente fissando, sembravano… spenti.

Un ghignò si dipinse sul volto pallido di Draco, e solo allora Harry rivide in lui l’arrogante e altezzoso ragazzino che risaliva ai tempi della scuola.

«Fa questo effetto a tutti. È per questo che non metto gli occhiali scuri per coprirli», disse, con la sua solita voce strascicata, sogghignando soddisfatto.

Harry allungò una mano verso di lui, senza capire cosa il suo corpo gli stava suggerendo di fare, la ritirò velocemente, grato che l’altro non avesse potuto vederlo. «Sei…»

«Cieco, già», con una mossa sicura, un gesto veloce, Malfoy agguantò il bicchiere posto davanti a lui, sul bancone unto, e lo portò alle labbra. Bevve una lunga sorsata del liquido ambrato contenuto nel suo bicchiere, solo allora Potter si accorse delle gocce che scintillavano sulla superficie di vetro. Evidentemente le sue prese non erano sempre così precise come voleva fargli credere; un piccolo sorriso gli arricciò le labbra, era rimasto tutto uguale, era rimasto lo stesso Draco Lucius Malfoy di sempre. Non avrebbe permesso a nessuno di definirlo debole, perché non gli avrebbe dato la possibilità di farlo.

«E tu sei uno scocciatore. Vattene», continuò l’altro, secco.

Harry rise. «Perché dovrei? Dopotutto voglio solo prendermi un whisky, inoltre vedo che il tuo è quasi finito, quindi…».

Draco serrò la mascella. «Quindi pagarmi un bicchierino non ti permetterà di portarmi a letto», sibilò.

Potter lo fissò stupito. «Ma non è quello che voglio fare».

L’altro sbuffò, roteando gli occhi ciechi. «E perché sei qui, allora?»

Harry poggiò i gomiti sul bancone, attirando su di sé l’attenzione del barman. «Te l’ho già detto, voglio solo un whisky».

Malfoy continuava a roteare tra le mani il bicchiere che Harry gli aveva offerto, ovviamente essendo all’oscuro della sua identità, senza decidersi a berlo. «Puoi stare tranquillo, non ho drogato il tuo drink».

L’altro poggiò malamente il bicchiere sul bancone, spingendolo con un gesto secco della mano verso di lui, maggior parte del liquido contenuto in esso, si rovesciò, spargendosi velocemente per tutta la superficie in marmo verde. «Taci… Taci signor…?», Draco volse il capo verso di lui, aspettando che rispondesse alla sua muta domanda. Un brivido percorse interamente la schiena di Potter, improvvisamente gli sembrava di avere qualcosa di estremamente prezioso, ma soprattutto di fragile, fra le mani. Come un sfera di cristallo, che in quel momento era rappresentata dalla sua riposta, avrebbe potuto dire la cosa sbagliata e la sfera sarebbe caduta a terra, frantumandosi, e con lei ogni spiraglio di un’eventuale seconda possibilità.

«Charlus Evans*», rispose, mentendo, dopo qualche attimo di incertezza.

«Bene, Charlus, se non vuoi che il mio amico…», mentre parlava indicò con la mano destra un punto alle loro spalle, Harry seguì con lo sguardo la traiettoria disegnato dal dito dell’altro. Un uomo alto, di colore e con la mascella squadrata entrò nel suo campo visivo, i suoi occhi obliqui lo fissavano minacciosi, «…ti rompa il collo, vattene».

«Vedo che continui a trascinarti dietro quel mastino», sibilò Potter, gli occhi puntanti su Blaise Zabini. Possibile che non lo avesse riconosciuto? Era sicuro che se lo avesse fatto lo avrebbe sicuramente allontanato da Draco, l’unica cosa di cui non era certo era se avesse usato le buone maniere nel farlo. Qualcosa, in un angolo remoto della sua mente, gli suggeriva di no.

Malfoy rizzò il collo, aguzzando l’udito. «Prego?».

Harry sgranò gli occhi, portandosi istintivamente una mano davanti alla bocca, mentre si mordeva la lingua, nella mente riecheggiavano le parole che aveva appena pronunciato. Si diede mentalmente dell’idiota.

«Cosa?», disse, fingendosi confuso. Ormai era l’unica carta che gli era rimasta da giocare, se non avesse voluto che fosse stato lo stesso Malfoy a cacciarlo via in malo modo, non appena avrebbe scoperto la sua identità.

«Prima hai detto… Mi parli come se mi conoscessi da tanto tempo…»

«Io non ho detto niente», lo seccò Harry, con voce dura.

«Ehi, guardami. Sono cieco non pazzo, capito? So quello che ho sentito», disse Draco, alzando il mento, con voce sicura.

Potter inarcò un sopracciglio, le labbra arricciate in un sorriso beffardo e derisorio. «Ah, si? E cosa hai sentito, Mr. Sono cieco non pazzo?».

«Io… Io…», balbettò Draco in difficoltà, gesticolando. Il sopracciglio di Harry raggiunse l’attaccatura dei capelli, che contornava il suo viso squadrato. «Uff, ti conosco da neanche dieci minuti e già ti detesto!», esclamò Malfoy.

«Be’, in realtà non sono proprio dieci minuti…».

«Taci, ho detto!», ringhiò l’altro, allungando la mano verso il bicchiere che precedentemente aveva allontanato, le loro mani si scontrarono, Harry avvertì sul palmo la consistenza di quell’epidermide lattea e liscia che ricopriva il dorso della mano dell’altro. Com’era possibile che le mani di un uomo fossero così curate? Poggiò lo sguardo sulle sue, sulle dita tozze e corte, sporche di inchiostro. Poi i suoi occhi si concentrarono sul contrasto creato dalle loro pelli, di colore diverso, improvvisamente vicine. Draco ritirò velocemente la mano, evidentemente neanche lui aveva potuto ignorare la scossa che aveva percorso entrambi non appena le loro dita si erano scontrate.

«Tieni», disse Harry, dolcemente, avvicinando il bicchiere verso l’altro, evitando accuratamente di toccarlo. Non sapeva ancora dare un nome al brivido che lo aveva percorso…

Malfoy afferrò prontamente il bicchiere, ne aveva sentito il fondo strusciare contro la superficie del bancone, fino a fermarsi davanti a lui, lo aveva percepito. Ormai per lui l’udito era diventato come una seconda vista, dall’incidente era attraverso l’udito che riusciva a cogliere tutto quello che lo circondava. «Andiamo via», disse, con uno strano tono di voce, che Harry non riuscì a decifrare. «Ma…».

«Andiamo via, ho detto», ripeté l’altro, impassibile, alzandosi dallo sgabello; forse in modo troppo veloce per una persona a cui era negata la vista, dedusse Potter, osservandolo. Draco sentì le ginocchia tremare, pronte a cedere e niente che avrebbe impedito loro di farlo, improvvisamente gli sembrò che il ripiano del bar fosse davvero troppo lontano, lasciò che la forza di gravità facesse il suo corso, cadendo, inerme. Prima che potesse toccare il suolo, come una bambola di pezza scivolata dalle mani maldestre di una bambina, due forti braccia gli cinsero la vita stretta, simile a quella di una donna. Donandogli un calore e un senso di equilibrio che nulla prima di quel momento era riuscito a procurargli, sia prima sia dopo l’incidente.

“Andiamo via” In quelle due semplici parole era incluso un nuovo senso di complicità, era racchiuso un “noi” al quale il precedente clima ostile aveva ceduto il posto. Harry sorrise, senza accorgersene gli angoli delle sue labbra si arricciarono da soli, scoprendo i denti bianchi e perfetti.

«Okay», si limitò a dire, mentre, tenendo l’altro per i fianchi, lo rimetteva in piedi, non lo lasciò fin quando non fu certo che avrebbe saputo reggersi da solo. Draco si lisciò il cappotto meccanicamente, come se fosse un gesto che faceva tutti i giorni, forse lo era.

Potter si alzò, la giacca di pelle sistemata mollemente sulle spalle larghe, e in un gesto di intima complicità cinse la vita di Malfoy con un braccio. Sentì i muscoli dell’altro irrigidirsi e poi rilassarsi sotto le sue dita, sospirò sollevato, e grato che non lo avesse allontanato. In quel momento gli sembrava di avere un’impellente bisogno di sicurezza. Un sorriso ironico si dipinse sul suo volto a quel pensiero, lui aveva bisogno di sicurezza, non l’altro che stava appena lasciando un locale, Babbano ed ancora non riusciva a credere come ci fosse finito, con un tizio che conoscevano a malapena da mezz’ora, ma lui. Già, davvero ironico, soprattutto se si trattava di Draco Malfoy.

«E il tuo amico?», chiese Harry, cauto.

Draco alzò le spalle. «Non preoccuparti. Lui sa quando è il momento di andarsene», disse sarcastico, Potter sapeva che avessero potuto gli occhi dell’altro lo avrebbero fissato derisori, invece si limitavano a rimanere inermi, vuoti, morti. Si limitavano a trasmettere un vago senso di malinconia a chiunque li guardasse, anche per pochi secondi. Forse avrebbe dovuto davvero mettersi degli occhiali scuri per coprirli.

Non appena si chiusero la porta alle spalle, il freddo punse la loro pelle calda, tipico del gelido inverno londinese, costringendo entrambi a rabbrividire e stringersi nei loro cappotti.

Harry scalciò un ciottolo per la strada. «Dove andiamo?».

Malfoy poggiò una mano sulla sua, ancora posata sul suo fianco destro. «A casa mia».

«Oh. Mio. Dio.», sillabò Potter, con il fiato ancora mozzato per lo stupore. Draco, accanto a lui, rise fragorosamente, gettando la testa all’indietro, facendo in modo che alcune ciocche chiare gli cadessero sugli occhi chiusi. Harry provò l’irrefrenabile desiderio di toccarlo, di scostargli i capelli da davanti gli occhi, sebbene per l’altro non avrebbe cambiato nulla. Di certo non sarebbero stati un intralcio per la sua vista.

«Uhm, si. Sei rientrato nella media, Evans, tutti fanno così», disse, la voce ancora scossa dalle risa, con sufficienza.

Harry si voltò a guardarlo, con ancora gli occhi e la bocca sgranati per lo stupore. «Ma questo è un maniero!», gracchiò, nonostante non fosse la prima volta che vedesse la villa dei Malfoy, eppure in quel momento gli sembrò di vederla la prima volta, per davvero…

Draco inarcò un sopracciglio. «Per me è casa», poi gli porse le chiavi.

Il soggiorno era immenso, al centro troneggiava un grande tavolo circolare di noce, dall’aspetto sembrava molto antico, ma soprattutto molto costoso. Sei sedie, dai cuscini cremisi, lo circondavano; più che sedie Harry le avrebbe definite poltrone, ma preferì tralasciare quei dettagli. Si concentrò maggiormente sul divano, a righe verdi, sul quale Draco si era comodamente disteso, con la testa poggiata all’indietro e gli occhi semichiusi. Potter si sedette accanto a lui, e solo allora si accorse che si era tolto il cappotto e lo aveva poggiato sull’attaccapanni vicino alla porta, valutò l’idea di alzarsi e porre la propria giacca accanto a quella dell’altro, ma poi accantonò quel pensiero. Era molto più comodo poggiarla sul divano, accanto a lui, dato che non poteva tenerla indosso a causa del calore emanato dal fuoco scoppiettante nel camino.

«Vuoi qualcosa da bere?», chiese Potter, torturandosi le mani per il nervoso, il silenzio cominciava ad essere opprimente. Si guardò intorno, distrattamente, quasi si aspettasse di veder spuntare un piccolo Elfo Domestico da un momento all’altro. Accantonò quel pensiero, Malfoy credeva di aver abbordato un Babbano, e non avrebbe mai mostrato il suo lato magico ad una possibile scopata.

Draco inarcò un sopracciglio, scettico. «Sai, credo che questa sia una cosa che avrei dovuto dire io, essendo il padrone di casa».

Harry si diede uno scappellotto sulla fronte, dandosi doppiamente dell’idiota; Malfoy rise, dal sonoro schiocco che era scaturito da quel gesto aveva capito cosa in realtà l’altro avesse fatto. «Giusto… È che io… Vedi…».

Malfoy lo zittì, poggiandogli le mani sulla testa e facendo scorrere le dita fra i suoi capelli perennemente scompigliati. «Di che colore sono?».

Potter poté udire la curiosità malcelata nella voce dell’altro. «Neri», rispose, con un sorriso. Poi i polpastrelli di Draco scesero lungo la sua fronte corrugata, lisciandola, lisciando tutte le sue preoccupazioni, lisciando il cipiglio corrucciato fra le sopracciglia folte e scure. Sfiorarono per un attimo la sua cicatrice, ed in quel momento sembrò che il suo cuore avesse abbandonarono la sua cassa toracica, per cominciare martellargli nelle orecchie. Poi le dita dell’altro si poggiarono sui suoi occhi chiusi. «E questi?».

Avrebbe dovuto mentire, sapeva che se gli avrebbe detto il reale colore dei suoi occhi l’altro lo avrebbe riconosciuto, sapeva che a breve tutto sarebbe finito, sentì le retine bruciare. Possibile che stesse davvero per piangere?! Avrebbe dovuto mentire…

«Verdi», disse, dopo aver trattenuto il fiato per svariati secondi, provando a cercare tutto quel coraggio che lo aveva caratterizzato in tutti quegli anni. Le dita dell’altro si poggiarono sul suo naso, lo stesso che gli aveva rotto sull’Espresso per Hogwarts al loro sesto anno. Infine le dita dell’altro carezzarono le sue guance ruvide di barba. «Devi essere bello». constatò, dopo alcuni secondi.

Potter sorrise, imbarazzato. «Oh, non preoccuparti, sei sempre tu il più bello fra noi due».

Malfoy abbassò il capo. «La mia bellezza è svanita diciannove anni fa».

«Non è vero», sussurrò Harry, poggiandogli una mano sulla guancia, accarezzando la sua gota solitamente pallida, in quel momento leggermente imporporata. Poi una nuova, fremente, curiosità si fece spazio fra le sue membra. Senza accorgersene si ritrovò a far uscire dalle asole, i bottoni in madreperla della camicia candida dell’altro, bramoso di sapere se aveva ancora, a deturpargli il petto, la cicatrice causata dalla lite nei bagni della scuola. Poi, improvvisamente, la vide e per lui fu come ricevere un pugno al centro dello stomaco, era sottile e percorreva completamente il torace muscoloso e glabro dell’altro, era visibile, essendo di qualche tono più chiara del resto della carnagione.

Un sorrisino strano apparve sul volto di Draco. «Potevi dirlo subito che volevi spogliarmi».

Harry si allontanò di scatto. «Ma io non voglio spogliarti!», disse, troppo velocemente per essere credibile.

Malfoy fece finta di credergli. «E allora cosa vuoi fare?».

«Uhm, non so… Leggere poesie zuccherose?», balbettò la prima cosa che gli attraversò la mente, poi se ne pentì. Il sopracciglio di Draco non accennava a scendere, quel suo modo di essere inarcato gli incuteva uno strano senso di disagio, sembrava quasi che lo stesse studiando. Malfoy si alzò di scatto. «Okay, credo che sia meglio andare a prendere qualcosa da bere».

Dopo pochi passi la voce di Draco lo fermò. «Charlus, la birre sono in frigo e fai un salto nella biblioteca, ci sono degli ottimi libri di poesie».

«…certo è che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l’essere**».

Malfoy bevve un sorso di birra e sentì la voce di Harry affievolirsi lentamente.

Potter chiuse il libro e lo poggiò sul suo grembo. «E tu che ne pensi?», chiese, voltandosi verso di lui.

«Penso che l’essere mi abbia portato a questo», disse, sarcastico, indicandosi gli occhi con due dita.

Potter roteò gli occhi, sbuffando. «Uff, taci».

Draco sorrise malizioso. «Fammi tacere tu», sussurrò, avvicinando il volto a quello dell’altro. Harry, in risposta, gli sorrise malandrino. Poi, all’improvviso il silenzio che aleggiava nell’aria venne spezzato dal suono dei fuochi di artificio, proveniente dalla finestra semiaperta, che annunciavano l’arrivo dell’imminente anno.

Fu un tocco fugace, un leggero sfregamento di labbra, quasi impercettibile. «Buon anno nuovo, Sfregiato. Buon anno nuovo».

Fine.

DM.

P.S. Charlus era il nonno paterno di Harry, Evans il cognome di sua madre.

P.P.S. **Giacomo Leopardi “Il giardino sofferente”.

P.P.P.S. Spero vi sia piaciuta. Attendo con ansia le vostre recensioni. Un bacione. ;)  

  
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