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Autore: bice_94    19/09/2011    7 recensioni
..ma un bagliore lo colpì.Un riflesso. E all'improvviso tutto cambia..
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Terza stagione
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Aveva sentito le mani di Lanie afferrarla per le spalle ancora tremanti e allontanarla dal corpo di Rick, che sembrava troppo rigido per essere veramente quello del suo scrittore.
Proprio in quel momento però il suo cuore minacciò di fermarsi.
L’aveva raggiunto correndo, piangendo e urlando disperatamente.
Alexis.
Quell’angelo rosso.
Si era accasciata a terra, accanto al padre, scossa da violenti singhiozzi.
Beckett continuava ad osservarla in silenzio, incapace di muoversi o di spostare lo sguardo.
Ogni lacrima della ragazza era una coltellata al suo cuore.
Eppure non riusciva a mettere fine a quella sofferenza.
Alexis accarezzò ogni centimetro del volto di Castle.
A: papà. Per favore. Non lasciarmi sola. Muoio con te. Per favore.
Tutto era accaduto sotto i suoi occhi e, purtroppo, Beckett immaginava perfettamente ciò che stava provando.
Anzi, forse era stato ancor peggio della morte di sua madre.
Alexis aveva visto suo padre accasciarsi di fronte ai suoi occhi, senza poter fare niente per impedire che accadesse.
Ryan afferrò la ragazza delicatamente per le spalle e la allontanò gentilmente, mentre gli operatori dell’ambulanza caricavano Castle sulla barella, febbricitanti per l’emergenza.
Alexis continuò a chiamare suo padre e infine si accasciò tra le braccia di Martha, sconvolta come non mai.
Nessun dettaglio, nessun attimo era sfuggito agli occhi disperati di Beckett.
L: tesoro, andiamo.
Kate non rispose, ma rimase immobile, con le lacrime che continuavano a scendere sulle sue guance.
 
Gli ospedali rendevano sempre tutto così impersonale, così distaccato, così disgustosamente sterilizzato.
Le pareti bianche e l’odore di disinfettante era così intenso da annullare qualunque altro senso della detective che era rimasta immobile, di fronte alla porta dietro cui i medici erano scomparsi insieme al corpo sanguinante di Castle.
Sangue.
Abbassò gli occhi e vide le sue mani completamente ricoperte del sangue dell’uomo.
Un senso di nausea la colpì violentemente, facendole quasi perdere l’equilibrio.
Lanie la osservava con le lacrime agli occhi, insieme a Ryan ed Esposito.
Castle era ormai parte della famiglia.
Il solito zio pazzo, lo zio ricco che lascia le mance ai nipoti, che fa regali e che se gestire le situazione più imbarazzanti, capace di strappare una risata anche nei peggiori momenti.
Tutti sapevano che lui non avrebbe mollato.
O almeno lo speravano.
Lanie prese l’amica per un braccio e la accompagnò nel bagno poco distante.
Beckett sembrava diventata un’automa, incapace di parlare e di togliersi dalla mente quell’attimo appena trascorso eppure già così lontano, irrecuperabilmente passato.
L: Kate..
Continuava a fissarsi le mani, così la dottoressa le afferrò gentilmente i polsi e notò come le mani fossero scosse da tremiti continui.
Le mise delicatamente sotto il getto d’acqua gelido e la detective parve riprendersi leggermente, posando i suoi occhi pieni di tristezza e rimorso in quelli dell’amica.
Sembrava una bambina troppo cresciuta, rimasta improvvisamente sola, spaesata.
Si lasciò lavare senza emettere suono e, anche quando si trovò nell’abbraccio dolcemente consolatorio di Lanie, si sentì fuori posto, si sentì inutile, sentì di aver lasciato parte di sé fuori da quell’ospedale, esattamente nel cimitero.
L: torniamo di là?
Beckett la guardò cercando semplice conforto e annuì debolmente.
Le due donne rientrarono nel corridoio, ora decisamente molto più affollato.
Ryan ed Esposito erano stati raggiunti da Martha ed Alexis.
Sul volto delle donne era ben visibile tutto il loro dolore, eppure la detective vedeva sul viso di Alexis una traccia profonda di qualcos’altro.
Di qualcosa di diverso, di terribilmente glaciale.
Alexis si era appena seduta su una delle panche nel corridoio.
I capelli rossi le coprivano il volto, mentre i suoi occhi erano ostinatamente puntati al pavimento.
L’unica traccia di movimento era data dalle sue spalle che venivano scossi da singhiozzi regolari, silenziosi, pieni di una disperazione pienamente comprensibile.
Beckett sentì l’irrefrenabile istinto di raggiungerla, di starle accanto come se potesse essere d’aiuto, ma non sapeva quanto poteva sbagliarsi.
La donna si mosse delicatamente e con grande lentezza, fino a sedersi proprio accanto alla ragazza, che non accennò a prestargli attenzione.
Beckett si sentì terribilmente a disagio e stretta in una morsa di dolore e colpa che sembrava volerla uccidere.
Decise però di posare la sua mano tremante sul ginocchio della ragazza.
Alexis si irrigidì immediatamente a quel contatto, ma continuò a rimanere in silenzio, senza guardarla.
Beckett sospirò e iniziò a parlare quasi in un sussurro che sembrava aver paura di spezzare il silenzio che li circondava.
B: Alexis.. io..
Non appena si udì la sua voce, Alexis si bloccò, mentre stringeva il pugno così forte da rendere le nocche bianche, quasi troppo.
B: io.. mi dispiace..
Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa era giusto fare, molto probabilmente perché non esisteva niente di giusto in quel momento.
Alexis spostò il suo sguardo repentinamente, posando i suoi occhi blu sul viso della detective.
La sua espressione era gelida, contratta in una smorfia di odio e tristezza.
Si alzò di scatto, togliendo così la mano della detective dalla sua coscia.
A: ti dispiace?
Il suo sguardo non sembrava placarsi, anzi ardeva di rancore.
Beckett sapeva perfettamente cosa stava succedendo.
Alexis aveva bisogno di un perché, di un motivo, di una causa e purtroppo l’aveva ragionevolmente trovato.
Era lei.
Lei, la causa del suo dolore e della sua sofferenza.
A: credi che basti questo detective? Lo credi davvero?
Il suo tono divenne stridulo, i suoi occhi si fecero lucidi, mentre era evidente la sua forza nel trattenere le sue lacrime.
L’attenzione di tutti i presenti fu puntata sulle due donne, ma capirono che quel momento era qualcosa di necessario, che prima o poi sarebbe comunque dovuto avvenire.
Beckett sentì il calore concentrarsi sulle sue guance e gli occhi pungere come spilli.
A: credi che mio padre non sappia scrivere? Credi che è per questo che è rimasto con te per tre anni? Avete rischiato di morire, ha sempre fatto di tutto per salvare la tua vita e poi la sua. Hai lasciato che rimanesse accanto a te, senza dargli risposte, solo per saperlo vicino. Tu ti sei costruita una vita, mentre lui rimaneva lì per te. Ma tu questo lo sai benissimo, non è vero? Non è una sciocca bambina che deve dirtelo, ma questo non ha cambiato nulla. E sai perché? Perché sei solo un’egoista. Hai finto di non vedere, hai finto di non sentire, ma soprattutto hai fatto finta di non capire. Tu non meriti una persona come lui. Ha aspettato per anni, fingendosi un poliziotto che non è, pur di rimanerti accanto e tu lo hai ripagato con cosa? Con semplice indifferenza. E ora è colpa tua se rischia di morire, se è in una sala operatoria da dove non possiamo sapere se uscirà.
Il respiro delle detective era irregolare e le guance rosse come non mai.
I suoi occhi faticavano a mantenere una visuale nitida, mentre ogni singolo parte di sé andava in pezzi, lentamente, parola dopo parola.
Tutto perché sapeva esattamente che quella era la verità.
Niente di più, niente di meno.
Non esistevano scuse, non esistevano rimedi.
Ormai le lacrime uscivano libere dagli occhi di Alexis, dopo che le parole erano uscite esasperate, stridule e colme di un dolore troppo profondo.
Martha la raggiunse, sperando di fermare quel fiume di parole che stava distruggendo in maniera inverosimile le due parti indispensabili della vita di suo figlio.
La signora abbracciò la nipote, che nascose la testa tra le sue braccia, nel pieno di una crisi di pianto.
Nonostante anche lei stesse piangendo, Martha rivolse uno sguardo preoccupato alla detective, rimasta immobile, gelata da quelle parole.
Beckett deglutì con fatica, incapace di riempire correttamente i polmoni oppressi dalla colpa che la schiacciava troppo velocemente.
Martha lesse tutto il dolore provato dalla detective e, mentre una lacrima le solcava ancora una volta la guancia, le rivolse una scusa profonda, sincera, piena della comprensione che Beckett sperava di trovare in ogni modo.
M: mi dispiace. 





p.s eccomi di nuovo.. e stavolta senza un ritardo così mostruoso!!!! :)
spero vi sia piaciuta questa pazzia...
non poteva mancare la nuova versione di alexis..
beh, fatemi sapere com'è..
un bacioneeeee a tutte e grazie mille per le recensioni al primo capitolo!!! :)
   
 
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