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Autore: Lightheaded    19/09/2011    2 recensioni
Il mio sguardo andò allo specchio, partiva dal terreno e arrivava a superarmi di poco la testa.
Mi specchiai con curiosità, ma anche con paura e quello che vidi mi lasciò strabiliata.

Dilemmi, domande, inganni e risposte. Un universo sconosciuto e una protagonista atipica.. Spero vivamente vi piaccia, mi raccomando non siate parchi di commenti!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bene, intanto grazie per aver aperto la pagina! Vi lascio alla storia nella speranza che vi piaccia e con delle scuse: il layout è da migliorare, sono un po' imbranata, ma la prossima volta cercherò di dedicarci più attenzioni. Buona lettura!


Sentivo il mio corpo fluttuare completamente rilassato, le mie mani persero forza e in quel momento scivolò via qualcosa, ma non seppi dire che cosa.
Il vento sferzava il mio viso con forza e per questo non osavo aprire gli occhi.
Per diversi istanti la situazione sembrò non mutare finché un improvviso, potente e incontrollabile scossone
mi fece capire che ero arrivata. I miei piedi toccarono il suolo e il vento si placò.
Il mio viaggio era terminato. Fu la prima certezza della mia vita. Di ciò che c'era prima non sapevo nulla, i miei unici ricordi erano
il buio che mi avvolgeva e il vento che soffiava con forza.
Ma prima?
Per quanto mi sforzassi nella mia mente non c'era nessun prima.
Aprii gli occhi e ciò che vidi mi lasciò meravigliata.
Tutto intorno a me aveva una brillantezza straordinaria.
Gli alberi neri intorno erano imponenti e oscuri nonostante la luce multicolore del tramonto rendesse
tutto più splendido. Tramontava, che spettacolo incredibile il cielo così variopinto e vivo. Ma dove mi trovavo?
Cercai di recuperare almeno un piccolo indizio sul mio passato, ma nulla.
Sapevo solo di aver perso qualcosa durante il viaggio, ma cosa?
Ricordavo soltanto un turbinìo di colori, tutto sembrava indefinito.
Sospirai triste. Era così maledettamente frustrante.
Mi voltai e notai che ero ai piedi di un albero particolarmente maestoso con la corteccia scura, nera, e i rami senza foglie
svettavano fino a un altezza considerevole, guardando da lì sembrava riuscissero a solleticare il cielo multicolore.
Un arco color ametista risplendeva all'interno della corteccia indicando con maestosità un'entrata.
Presi due profondi respiri, lo so stavo temporeggiando, ma avevo paura di ciò che avrei trovato all'interno: sapevo di avere un compito, ma non avevo idea di quale
fosse, e nemmeno che cosa fare per capirlo.
Trassi ancora un profondo respiro. Che fare a quel punto?
Mossi il primo passo incerto facendo attenzione a guardare dritto davanti a me per scovare eventuali pericoli.
Notai che il mio modo di camminare era strano: il mio corpo rispondeva in maniera sconosciuta ai comandi.
Sembrava che corpo e mente fossero collegati in maniera più diretta, i miei movimenti erano rapidi e fluidi.
Camminavo molto lentamente sforzandomi di capire bene come dovevo muovermi con il mio corpo, era come dover iniziare di nuovo a imparare ogni cosa:
come un bambino.
Dovevo ancora imparare a muovermi con quel corpo che non aveva nulla di famigliare.
Varcai la soglia dell'arco piuttosto nervosa, facendo respiri profondi.
Anche all'interno del mio corpo qualcosa era diverso. Sentivo lo scorrere lento di un fiume e non i battiti ritmati di un cuore forte.
L'aria non gonfiava il petto o il ventre, ma semplicemente entrava e usciva dal corpo. Che sensazione strana: idealmente
lo collegai all'ossigenazione degli alberi, nonostante per me non fosse una cosa indispensabile.
Intanto un piccolo sentiero si era materializzato davanti a me una volta superato l'arco, tanti alberi neri con tende
impalpabili attaccate alla corteccia lo delimitavano ai lati.
Quali strane creature mi sarei trovata di fronte?
Ero spaventatissima, non avrei saputo difendermi in caso di attacco.

Percorsi il sentiero con passo incerto guardandomi intorno vigile e impaurita.
In fondo due figure si ergevano immobili.
Mi avvicinai con cautela dandomi il tempo di guardarle con attenzione.
Una creatura dal fisico slanciato aspettava elegante e imperturbabile scrutandomi con i suoi brillanti occhi grigi.
Il suo viso affilato era incorniciato da lunghissimi capelli neri da cui facevano capolinea due orecchie a punta.
Istintivamente mi tastai le orecchie, ma notai che non erano a punta..quindi con ogni probabilità non come ero loro.
Al suo fianco, statuaria, bionda, con meravigliosi occhi azzurri, la creatura mi guardava curiosa scuotendo lievemente la testa
di tanto in tanto, facendo risaltare le sue orecchie, anch'esse a punta.
Si, erano proprio a punta..
"Benvenuta a Ryel, il nostro mondo. Io sono Toryok-Lyo. Il più anziano degli elfi." esordì l'essere con voce lievemente roca.
"Ti aspettavamo con ansia. Il tuo è stato un viaggio di cui nemmeno noi conosciamo la natura.
Ti insegneremo tutto quello che insegnamo ai nostri giovani elfi, spero vivamente
che ti piaccia: siamo una razza orgogliosa e con un grande senso della comunità
." proseguì il capo degli elfi
senza smettere di fissarmi.
"Kanish sarà la tua guida e sarà lei il tuo punto di riferimento all'interno del villaggio." disse poi indicando
la bellissima creatura al suo fianco.


"Mi piacerebbe davvero sapere perchè mi trovo qui" risposi tentando di mantenere un tono tranquillo.
"Elfi" Ripetei mentalmente quasi per farmelo entrare in testa, non riuscivo a crederci sembrava ancora tutto così assurdo.
Dopo un profondo respiro aggiunsi "Mi dovete delle spiegazioni".
Quell'elfo dava per scontato che dopo quello che mi era successo io ero pronta a entrare a far parte
di una comunità senza sapere nemmeno chi ero.
"Mi dispiace non poterti dare risposte." spiegò voltandosi verso l'imponente albero dietro sè.
Non mi diede tempo di rispondere o di porre altre domande, dopo pochi istanti si era già dileguato all'interno
di quel maestoso albero nero. Guardai Kanish arrabbiata.
"Mi dovete delle spiegazioni" ripetei frustrata dalla poca considerazione con cui quell'elfo mi aveva trattata.
"Noi elfi siamo lieti di accoglierti qui Shaila, ogni elfo ha un addestramento che a te manca;
domani ti porterò alla prima seduta di allenamento, così potrai imparare
a difenderti. Col tempo scoprirai che Ryel non è un mondo molto sicuro
." affermò lei con tranquillità e una fredda cortesia.
Poi scosse lievemente la testa facendo ondeggiare i capelli che sembrarono prendere vita.
Sinuose serpi dorate che le incorciavano il viso illuminandolo.
Elegante e perfetta si mosse precedendomi verso l'interno del villaggio.
Sbarrai gli occhi, stavo per mettermi a ridere per l'assurdità della cosa: perchè non prestavano attenzione alle mie parole?
La cosa mi faceva davvero arrabbiare: erano totalmente disinteressati.
Mi sentivo sfinita, così decisi che l'indomani mi sarei fatta sentire con forza perchè in quel momento mi sentivo sfiancata
e avevo bisogno di riposo. La rabbia si era impossessata di me con un'intensità davvero notevole e quando se n'era andata aveva
lasciato una sensazione di vuoto, sembrava avesse scavato una voragine per poi andarsene portando con sé tutte le energie che avevo in corpo.
L'elfa mi guidò verso quella che doveva essere la mia abitazione; ci addentrammo nel vilaggio e oscuri alberi troneggiavano su di me facendomi sentire minuscola.
Mi fece entrare in uno di questi mostrandomi dove avrei alloggiato per tutto il periodo di rimanenza.
Una stanza spoglia di un biancore accecante si aprì davanti ai miei occhi.
Piccola, con solo un letto, un bastone con alcune vesti affianco a un lungo specchio e una rudimentale vasca già
piena d'acqua.
Non proprio una sistemazione di lusso, ma era la perfetta espressione di quanto avevo appreso: ben poco.
Forse non ci avrei passato molto tempo, o forse si.
Kanish mi stava fissando, non la vedevo ma SENTIVO il suo sguardo su di me.
Probabilmente cercava di capire.
"Ora ti lascio riposare, immagino tu sia stanca. Domani all'alba verrò a svegliarti e ti mostrerò cosa significa essere un elfo." affermò
con un mezzo sorriso. Non prometteva nulla di buono, sembrava più una minaccia.
"Inizerò già l'addestramento elfico?" chiesi curiosa e un po' spaventata.
"Si, conoscerai il tuo maestro d'armi e i tuoi compagni di allenamento." spiegò Kanish impassibile.
"Maestro d'armi?" chiesi stupita.
"Comincerai a destreggiarti nell'uso della spada, noi elfi preferiamo gli archi ma purtroppo gli attacchi ravvicinati sono quelli più frequenti" fu la risposta
quasi rassegnata dell'elfa. Che mondo pericoloso.
"A domani, Shaila" si congedò l'elfa dirigendosi verso la porta e lasciandomi sola con i miei pensieri.
L'unica cosa che sapevo era che volevo avere risposte per poi imparare tutto quello che potevo e poter essere indipendente, finalmente libera.
Poter decidere di me stessa senza obblighi.
Sapevo che i giorni successivi sarebbero stati duri; avrei dovuto accettare una verità probabilmente assurda e poi imparare tutto,
 ma mi sentivo pronta e forte, nonostante un brutto presentimento aleggiasse dentro me da quando avevo varcato la soglia del villaggio.

Decisi di buttarmi sul letto, senza degnare di uno sguardo la figura nello specchio: ero distrutta.
Tutta la mia ignoranza guastò la speranza di un bel sonno ristoratore perchè in quel momento, quando il buio mi avvolse, mi resi conto
che io non dormivo: non potevo farlo.
Potevo solo rilassarmi e riposare le membra, nulla di più.
Scivolai in un oblìo dove tutte le mie paure, le mie aspettative e le mie numerosissime domande si affollarono in un
angolo e la mente fu libera di riposare. O almeno questo era ciò che credevo..

Il buio mi avvolgeva quasi teneramente, eppure il mio corpo era intorpidito, probabilmente erano ore
che stavo nella stessa posizione. Sentivo freddo e umidità intorno e persino dentro me, quasi come se si fossero
insinuate sotto la pelle per poi trapassare la carne e imprigionare le ossa.
Rabbividii istintivamente.
Avevo gli occhi chiusi, le palpebre erano straordinariamente pesanti e una potente debolezza mi invadeva rendendomi
quasi inerme, in un limbo tra la vita e la morte.
Sentivo di non poter fare nulla, ma era come se non potessi fare nulla, tutto in me sembrava devastato, prosciugato.
Ma dovevo fuggire, questa consapevolezza da sola doveva darmi la forza di rialzarmi e tentare.
Con uno sforzo considerevole aprii gli occhi e davanti a me una cella buia prese forma. Ero in gabbia, maledizione.
Giacevo inerme, in una posizione scomposta, sul pavimento scuro formato da pietroni grezzi e taglienti.
Pian piano mi ricomposi cercando di assumere una posizione più comoda. Appoggiai le mani sul freddo
pavimento per far leva e mettermi a sedere, ma non appena iniziai a far forza sentii la pietra aprire delle ferite
sulle mani; inoltre il freddo era quasi glaciale e mi percorse interamente trafiggendomi.
Le braccia cedettero di colpo e atterrai malamente per terra con un moto d'ira.
Che succedeva? Cosa ci facevo lì? Com'era possibile che fossi finita lì senza accorgemene?E tutte quelle ferite?
Fissai per un istante mani e braccia: erano di un pallore mortale, di una magrezza mostruosa e come se non bastasse
molteplici ferite infettate le percorrevano. Era uno spettacolo osceno, che non si limitava solo agli arti
superiori, ma anche a quelli inferiori e mi venne un conato di vomito alla vista.
Eppure quegli arti erano sconosciuti, estranei.
Il leggero abito liso e sporco, che originariamente doveva essere chiaro, sfiorava le cosce con il suo tessuto grezzo.
I piedi invece erano nudi e avevano perso sensibilità; le dita erano già violacee, ma nessuna calzatura li
proteggeva, probabilmente i miei aguzzini ritenevano fosse un aiuto per fuggire.
Dovevo fare uno sforzo in più, dovevo farcela, o la morte mi avrebbe preso con sè lasciando Ryel nel caos.
Ritentai e stavolta non mi feci sorprendere dal pavimento freddo come il ghiaccio e nemmeno dalla pietra tagliente, riuscendo
finalmente a muovere le membra e ad appoggiare tutta la schiena contro la parete alle mie spalle.
Mi guardai intorno: tutta la cella era formata dagli stessi identici lastroni di pietra nera come la pece, il soffitto era
altissimo e nessuna luce filtrava dall'esterno, probabilmente ero sottoterra. La mia ipotesi venne confermata:
l'unica apertura era un microscopica botola in legno nero, unica spettatrice muta della mia prigionia.
Non veniva aperta ormai da tempo, ma non avevo idea da quanto: lì dentro non c'erano riferimenti e non avevo la minima idea
nè di che ora fosse nè di quanto tempo avevo passato lì dentro.
Oltre alla luce, mancava anche una qualsiasi fonte di calore e persino d'aria.
Improvvisamente ebbi la sensazione di scivolare indietro mentre la debolezza si impadroniva della mia mente.
Ero senza energie, il soffitto era davvero troppo alto, mi mancavano le forze per arrivare fin lassu..
In quelle quattro pareti c'ero solo io, con un minuscolo bicchiere in legno nell'altro angolo della cella; prima di perdere
i sensi non c'era, ne ero certo perchè allora come in quel momento la gola bruciava per la secchezza, la sete mi attanagliava
in una morsa ferrea.
Strisciai fino al bicchiere senza badare alle ferite che questo mi procurava: avevo bisogno di acqua.
Con mano tremante presi il bicchiere in legno, nero anch'esso, e lo avvicinai al viso per vedere se contenesse acqua:
l'unica cosa di cui necessitavo in quel momento.
La sostanza era cristallina sembrava acqua, quindi avvicinai il bicchiere al viso.
Un occhio grande, leggermente allungato fissava il riflesso con una vena di disperazione: l'iride brillava con la potenza di
un diamante: era di un arancione accecante, con intense venature rosse e gialle e diversi frammenti minuscoli di altri colori.
Era straordinariamente bello, ma completamente estraneo.
Un battito di ciglia.

Riaprendo gli occhi mi accorsi che respiravo a grandi boccate, terrorizzata, fissando il candido soffitto dell'alloggio elfico.
Ci misi un attimo prima di mettere a fuoco tutto ciò che era successo. I colori erano vividi dentro la cella, i particolari erano
dettagliati e tutto faceva supporre che non fosse un sogno, eppure sembrava proprio lo fosse: tutto ciò che avevo vissuto sembrava molto reale.
Mi guardai le braccia e le gambe: nessuna ferita le percorreva e quelle del sogno nonostante la magrezza mostruosa parevano
più grandi quindi non dovevo essere io.
Non potevo essere io anche perchè aleggiava nell'aria una sensazione particolare: sapevo di essere estranea in quel corpo, la
sensazione era forte e poi quella struttura ossea, poco più grande della mia poteva indicare che non solo io non ero la protagonista, ma
che nel sogno il corpo era quello di un maschio.
Decisi di tentare di ragionare con calma e chiarezza: ero finita in un villaggio di elfi quindi probabilmente si trattava
di un luogo importante per ciò che dovevo fare a Ryel; avevo fatto questo sogno straordinariamente realistico di una creatura
dall'occhio rosso (che definizione generica quell'occhio era stupefacente, brillante e..dovevo andare avanti
con il ragionamento o non ne sarei uscita).
Chi era?Dovevo liberarlo?Era un nemico?
Stavo perdendo tempo dietro a quel sogno o era un indizio importante?
Sicuramente rimanendo sdraiata nel mio giaciglio avrei risolto poco.
Ero molto confusa e decisi di rilassarmi con un bel bagno, il villaggio era ancora avvolto nell'oscurità, quindi dovevo
essere rimasta "addormentata" per poco tempo; eppure mi sentivo riposata e piena di energie.
Assurdo, assolutamente assurdo.
Il mio sguardo andò allo specchio, partiva dal terreno e arrivava a superarmi di poco la testa.
Mi specchiai con curiosità, ma anche con paura e quello che vidi mi lasciò strabiliata.
Non ero altissima, ma il mio fisico era asciutto e sinuoso come quello degli elfi e risaltava nonostante avessi degli abiti sformati, lisi e distrutti.
L'abito mi stava largo e mi arrivava a metà coscia.
Le calzature erano larghissime e persino un po' lunghe, mi misi a ridere piano guardandomi: ero davvero buffa.
Il sorriso mostrò dei denti bianchissimi, perfetti, dietro a due labbra carnose e rosse come il fuoco.
Le mie mani dalle dita affusolate, pallidissime e con le unghie corte tastavano il corpo con incredulità ora che il sorriso si era spento.
Mi accorsi di una luce che traspariva dalla stoffa lisa. Sul collo non avevo catenine eppure sotto l'incavo del collo qualcosa luccicava con forza.
Toccai con mano tremante e sentii il lieve calore che emanava quel brillante oggetto.
Scostai appena la stoffa e una luce si riflettè nello specchio accecandomi.
Eppure le stranezze non finivano, mi guardai con curiosità il viso: incorniciati da lunghi, lucenti capelli lisci
color inchiostro, dei lineamenti dolci spuntavano nel volto dall'ovale definito.
La bocca rossa era l'unica nota di colore e spiccava nel pallore indefinito che caratterizzava tutto il corpo.
Sembrava brillassi di una luce opalescente.
Mi concentrai poi sugli occhi perchè nulla nel resto del viso riuscì ad attrarmi o porre in secondo piano quei due
fari brillanti come diamante puro.
Grandi e un pochino allungati, come quello del sogno, ma con l'iride di un bianco intenso e accecante.
Dire che erano semplicemente bianchi era sbagliato, perchè non era quel colore uniforme e neutro che caratterizza la parte
attorno all'iride. No, erano trasparenti: sembravano l'essenza della gemma in forma liquida.
Erano brillanti e con un'intricata moltitudine di piccolissime venature di ogni colore.
Era stato straordinario vedersi allo specchio, ora sapevo almeno come ero fatta.
Scossi la testa incredula e guardai la vasca: avevo proprio bisogno di un bagno.





Fatemi sapere cosa ne pensate! Questa storia per me significa davvero molto e spero vivamente di ricevere dei commenti, siate pure diretti, non mi offendo per le correzioni: l'ho postata proprio perchè spero di poterla migliorare grazie al vostro aiuto!
Posterò un capitolo ogni settimana per via della mia vita frenetica, quindi a lunedì prossimo!
  
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