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Autore: Hiromi    20/09/2011    9 recensioni
"Tesoro, è finita l'era dell'anti-innocenza: qui le persone girano come trottole ventiquattr'ore al giorno per lavorare, studiare, e per fare sesso - hai capito bene: Sesso! - Cupido è volato via dal condominio sdegnato e il principe azzurro per la disperazione è diventato gay!"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Mao, Mariam
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Overboard

 

We are young
We are strong
We're not looking for where we belong
We're not cool
We are free
And we're running with blood on our knees

 

Kick Ass – Mika

 

****************

 

 

Fernandéz?” sobbalzò quando si rese conto di aver divagato decisamente troppo con la mente: doveva rendersi conto di dov’era, del fatto che non poteva pensare a niente meno che al motivo per il quale era in uno studio ginecologico; ma quella donna sulla cinquantina, dallo sguardo gelido la stava decisamente ammonendo per averle fatto perdere anche solo tre secondi di tempo.

“Allora, signorina Fernandéz; mi dica.” Lo sguardo della dottoressa era gelido nonostante il tono fosse pressoché neutro e non rivelasse tracce di freddezza.

 

Julia sbatté le palpebre, sforzandosi di trovare il punto della situazione. “Me gustaria… Un semplice controllo, ecco.” Balbettò, cercando di ricordarsi come si dicessero delle parole nell’altra lingua così diversa dallo spagnolo.

 

La donna annuì, fissandola, attenta. “Da quanto tempo non va da un ginecologo?”

Sgranò gli occhi, cercando una buona risposta che non suonasse proprio come un ‘Non avevo mai pensato di andarci’, ma che in realtà fosse più diplomatica. Peccato non le venisse in mente granché.

“Ho capito.” Fece quella, gelida, prendendo da una cartellina un foglio e inarcando un sopracciglio nella sua direzione. “Ha rapporti sessuali?”

 

Una miriade di flashback si proiettarono nella mente di Julia, potenti come pallottole, prontamente respinti dal suo sorriso forzatamente furbo. “¡Claro!” accavallò le gambe e batté le mani, facendo tintinnare i braccialetti che aveva al polso. “Escucha, yo-” s’interruppe solo per lo sguardo confuso che vide dinnanzi a lei. “Una visita e… Un consiglio di contraccezione. Ecco tutto.” Scrollò le spalle ed ostentò un sorriso incoraggiante.

 

Proprio non sapeva che diamine ci stava a fare, lì.

Anzi, lo sapeva: faceva parte del discorso fatto giorni prima con le sue amiche. In quel periodo erano tutte in fermento, più unite di prima e allo stesso tempo consapevoli che tra loro vi era qualcosa che aleggiava come un’ombra su ognuna.

Mariam era stata incaricata di andar a fare incetta di preservativi – e tutte avevano scoperto che prendeva già la pillola! – lei aveva prenotato quella visita per farsela prescrivere, e Mao ancora si stava gingillando, non del tutto convinta.

 

Quando vide la dottoressa davanti a lei sospirare e scoccarle l’ennesima occhiata di disapprovazione, accavallò le gambe in una posa differente per non stare ferma, volendo quasi urlare. Le sue amiche e le loro stupide regole!

 

 

“Farsi pigliare dall’entusiasmo è facile.” Hilary le aveva fissate severamente. “Viviamo in un mondo maschilista, che non esita a bollare gli uomini come playboy se scopano allegramente, e le donne come puttane se fanno altrettanto, quindi… La regola è discrezione.” Le guardò una ad una per poi ridacchiare subito dopo.  “E mai farsi due ragazzi nello stesso paesino, condominio o nel raggio di pochi chilometri: potrebbero conoscersi.”

 

Mao scrollò le spalle. “Ovviamente divieto per parenti, amici e… Beh-” arrossì.

 

Mariam alzò gli occhi al cielo. “Io pensavo fosse ovvio.”

 

“Poniamoli lo stesso.”

 

Hilary intervenne come se le si fosse accesa la lampadina, ricordandosi qualcosa d’importante. “Oh, preservativo e pillola. Contemporaneamente. Nessuna vuole beccarsi qualche malattia venerea o rimanere incinta, vero?”

 

“Contemporaneamente? Ora non esageriamo.” Mariam aveva le sopracciglia inarcate.

 

“Lo pensavo anche io. Poi una mia collega del corso di arabo è rimasta incinta usando il preservativo, e allora inizi a farti qualche domanda.”

 

“Okay, tutti e due.”

 

Julia intervenne, maliziosa. “Vestirse siempre con delle belle lingerie: non se può mai saber quando si è fortunate o quando se ha bisogno di un medico.”

 

“E che medico…” tutte scoppiarono a ridere.

 

 

 

 

 

Aveva ancora addosso la sua camicia quando si tolse da lui: lievemente frastornata, ma con un sorriso enorme sulle labbra, si lasciò sfuggire un sospiro; fece cadere la camicia a quadri sul pavimento con un gesto noncurante, rimanendo nuda, e prese subito a cercare le sue cose sul pavimento della stanza per vestirsi.

Lucas era ancora sulla sedia, in catalessi, e la guardava come fosse un alieno, con uno sguardo tra l’incredulo e il turbato.

 

“Te ne vai?” la sua domanda aveva un ché di sconvolto; curioso, perché Lucas Branson aveva la fama di playboy, di uno che, le donne, le seduceva e le mollava in poche ore. Un po’ quello che stava facendo lei con lui in quell’istante.

 

Battuto sul tempo, piccolo?

 

“Già.” Gli rivolse un sorriso dolce, finendo di rimettersi la maglietta. “E’ stato bello.” passandosi velocemente il lipgloss sulle labbra, gli schiacciò l’occhiolino, indossando cappotto e borsa. “Ti chiamo.” Solo quando si chiuse la porta del suo monolocale alle spalle si concesse di ostentare un sorriso soddisfatto.

 

Prendi un uomo e, prima che lui possa usare te, battilo sul tempo: cosa c’è di meglio, nella vita? Se poi ci si può aggiungere un po’ di shopping, allora si vola in paradiso, si raggiunge il nirvana…

 

 

 

Le ci vollero due ore e mezza per trovare piacere anche in quella celebre attività, e fu quando si sentì fin troppo carica di sacchetti per la sua portata, che decise di chiamare un taxi; cosa che non fece subito per colpa di un determinato qualcosa che attirò la sua attenzione.

Kai?”

 

Si voltò, fissandola e guardandola quasi male. “Come diavolo si fermano i taxi in questa città?”

 

Lei, per tutta risposta, scoppiò a ridere: se proprio lui era scoppiato così in fretta voleva dire che aveva avuto qualche piccolo problemino…

“Così.” con nonchalance, fece per attraversare la strada, e alzò una mano, lo sguardo deciso che incrociò quello del conducente. “Taxi!” due secondi dopo, un’autovettura gialla inchiodò accanto a lei, e la ragazza sorrise. “Prego.”

 

Lo vide inarcare le sopracciglia con fare criptico, dopodiché la fissò. “A questo punto, vieni.”

 

“Cos’è, un modo carino e gentile di dire: ‘Sali pure, condividiamo il tragitto, mi farebbe piacere’?”fece, ironica, posizionando però i sacchetti nel portabagagli, aiutata dal conducente.

 

Il moscovita non si scompose. “Come ti pare.”

 

Scosse la testa, alzando gli occhi al cielo; una volta partiti, però, non perse il sorriso confrontando l’atteggiamento di se stessa in quel frangente, con il suo anni prima quando, innamorata di lui, prendeva a balbettare o a parlare come una macchinetta.

 

Le persone cambiano.

 

“Novità riguardo Daitenji?” chiese, distendendo le gambe e soffocando uno sbadiglio.

 

Le lanciò una brevissima occhiata per poi riportare il suo sguardo avanti a sé. “Tecnicamente non dovrei dirtelo.”

 

“Sopravvivrò.” scrollando le spalle sbadigliò, ancora assonnata.

 

Gli occhi viola di lui la squadrarono attentamente, e lei ricambiò l’occhiata con tanto di sopracciglia inarcate come a chiedergli, implicitamente, che diamine avesse da guardare.

“Troppo studio?” la domanda fu fatta con la fronte aggrottata e un’occhiata attenta, cosa che fece stranire la ragazza.

 

Lei annuì, seria. “Anatomia.”

 

Kai non disse nulla per diversi secondi, poi si voltò a fissarla. “Non studiavi lingue?” chiese, quando il taxi inchiodò di fronte la prima fermata.

 

Hilary aprì lo sportello della vettura per poi voltarsi e rivolgergli un sorrisetto. “Più o meno è la stessa cosa, no?”

 

Il russo capì il doppio senso solo quando il taxi ripartì alla volta del Plaza.

 

 

 

 

 

“¡Maldita medica..!” Julia vibrò dalla rabbia, sorseggiando la sua birra al bancone del locale, e imprecando per l’ennesima volta contro la ginecologa.

 

“Guarda che è il loro mestiere far sentire uno schifo la prima volta.” Mariam stava lavando i bicchieri, predisponendoli con cura ai loro posti, preparandosi ad una serata tranquilla: da normale Martedì sera, non ci sarebbe stata tanta gente al locale, il che era meglio così. I suoi primi giorni al pub erano andati bene – certo, aveva incontrato certe persone che ci avevano provato con lei in modo vergognoso e indecoroso, ma aveva saputo come mandarli a cagare – se la era cavata egregiamente, e da quando lei e Mao lavoravano lì, ogni sera Julia e Hilary stavano lì con loro, cenando e ordinando un cocktail.

 

Quando le Cloth Dolls non cantavano, l’Avalon era un semplice pub, e la gente cominciava a circolare dalle dieci in poi.

Essendo appena le nove, il locale era quasi deserto, fatta eccezione per Julia, i baristi, i camerieri e una o due persone che avevano probabilmente deciso di avventurarsi dentro quel posto così conosciuto solo ad inizio serata.

 

“Metti il tg?” la spagnola sbuffò, indicando con la testa l’enorme televisore che vi era ad un paio di metri da loro che, tuttavia, si vedeva benissimo.

 

Mariam afferrò il telecomando, concordando silenziosamente che non sarebbe stata una cattiva idea sapere quello che accadeva nel mondo, ed accese la tv dove la notizia, già iniziata, dello sport, attirò l’attenzione di entrambe; immediatamente l’irlandese sparò il volume al massimo.

 

“… Il presidente ha dichiarato di essere riuscito a trovare gli sponsor grazie ad un insieme di fattori, come la provvidenziale conferenza, ma anche l’aiuto di alcuni blader che non hanno lasciato al caso questo campionato. E ora, sentiamo l’intervista da parte della nostra inviata.”

Mariam e Julia si fissarono, quasi sgomente, e Mao sopraggiunse correndo dal primo piano.

 

“Presidente Daintenji, come è riuscito a trovare gli sponsor in un periodo da lei definito ‘di crisi finanziaria netta’?”

 

L’uomo fissò la giornalista e la telecamera, e sorrise. “Lo è ancora, fondamentalmente, ma grazie alla richiesta d’aiuto, e a bladers che amano davvero questo sport e che hanno avuto ottime idee, i problemi sono stati presto risolti.”

 

“Come si svolgerà questo campionato?”

 

“La sede sarà New York, e le squadre quelle convocate. La BBA si sta organizzando per preparare tutto al meglio, ma tra una ventina di giorni – un mese al massimo – il torneo riaprirà i battenti. E’ una promessa.”

 

“Sulle regole che cambiano ad ogni campionato cos’è che può dirci?”

 

“Le stiamo elaborando tutt’ora, e le renderemo note quando saranno state decise.”

 

La giornalista si volse verso la telecamera. “Da New York è tutto, linea allo studio.”

 

 

Mariam spense il televisore con un gesto deciso. Mao e Julia si fissarono senza dire una parola, specchiandosi l’una negli occhi dell’altra; gli unici rumori erano il correre indaffarato degli altri baristi o camerieri che non fecero altro che rendere ancora più ovattato lo stato nel quale erano piombate.

 

“Ci dobbiamo muovere, tra un po’ arriveranno i clienti.” l’irlandese aveva un viso neutro, impassibile.

 

Mao incrociò le braccia al petto, sospirando. “La verità è che ci stavamo abituando talmente a questa vita frenetica da newyorkesi che questa notizia ci ha riportate alla realtà.” Analizzò, storcendo la bocca. “Esiste il campionato, esistono i nostri problemi che sono tutti racchiusi nelle squadre di bladers: nostre o meno.” le altre abbassarono gli occhi. “Questa notizia è servita semplicemente per ricordarci che li dobbiamo affrontare.”

 

Julia annuì, decisa. Tienes razòn, chica. E’ che New York è infernale, ti fa dimenticare tutto. Poi con questa cosa che avevamo deciso…” si strinse nelle spalle. “Il punto è: ce la faremo a far tutto? Lavoro, allenamenti, campionato… Sarà un casino.”

 

Mariam posò il bicchiere che stringeva tra le mani e si morse le labbra. “Ci proveremo.” commentò, lo sguardo deciso a non mollare per nessuna ragione al mondo.

 

 

 

 

 

Hilary non smetteva di ripetere la lezione di letteratura cinese, che quel giorno aveva spiegato la professoressa, mentre osservava Takao scontrarsi con Daichi, e il prof acquisiva dati.

Era questione di settimane e avrebbe avuto l’esame che doveva passare a tutti i costi, non poteva permettersi ritardi o imperfezioni nella sua carriera universitaria.

 

“Che pronuncia.” il professore sorrise, non smettendo di fare il suo lavoro. “Tra te e Mao quando parla con i Bahiuzu non ci sono differenze per ora.”

 

Hilary, prima di rispondergli, finì di ripetere un paragrafo. “Grazie, cerco di fare del mio meglio.” poi riprese con la lezione; andava a trovare Takao quando poteva, e a costo di star con lui e intanto studiare, faceva anche dei sacrifici.

 

Quella sera avevano cenato insieme, poi mentre lui si dedicava agli allenamenti, lei lo guardava – un po’ come ai vecchi tempi – e intanto ripeteva.

Avevano ascoltato insieme la notizia al tg della riapertura del torno mondiale di bey e, ovviamente, il suo migliore amico era stato felicissimo, gasato fino all’inverosimile. Le aveva raccontato che ci erano voluti i Blade Breakers Revolution e la Neoborg per convincere il presidente a provare con nuovi sponsor – gli stessi che aveva suggerito lei – e alla fine i risultati si erano visti.

 

“Ehi, basta con quel libro, ora dedicati un po’ al tuo amico!” Takao richiamò a sé Dragoon, andandole incontro; Hilary sorrise, facendogli cenno di aspettare, e di sedersi accanto a lei. Il ragazzo, per tutta risposta, le andò vicino e fece quello che avrebbe sempre fatto.

 

La bruna osservò il suo libro di cinese volare con tanto di sopracciglia inarcate. “Sei consapevole del fatto che non aveva un mantello e l’hai mandato allo sbaraglio, vero?”

 

“Bisogna essere coraggiosi, nella vita.” Rispose lui, annuendo solennemente.

 

“Parli tu che non ci hai provato con Yoriko Mori quando era il momento?”

 

La guardò di traverso. “Ehi, questo è un colpo basso, interprete dei miei stivali.”

 

Lei si finse offesa. “No, questo è un colpo basso, stupido… Sportivo!”

 

Il ragazzo finse di guardarla dall’alto in basso. “Rispondo alla domanda di prima solo se me lo dici in finlandese. Com’è il tuo finlandese?”

 

Mise le mani sui fianchi ed ostentò un’espressione tronfia. “Ottimo, solo che non lo mostro agli estranei!” quella battuta fece scoppiare a ridere entrambi, e il botta e risposta terminò in quel modo.

 

Era incredibile come negli ultimi due anni il loro rapporto si fosse evoluto: erano sempre stati come fratello e sorella e, come tali, dai tre ai quattordici anni, avevano passato fasi altalenanti di amore-odio – talvolta più odio che amore, soprattutto quando Hilary si era immessa nel gruppo dei Blade Breakers: questo lui non l’aveva proprio potuto sopportare! – ma, come tutti i fratelli e sorelle che si rispettino, se un fattore esterno faceva soffrire uno dei due, ecco che l’altro interveniva per distruggerlo senza pietà.

Negli ultimi due anni i battibecchi erano andati a scemare, ed il loro rapporto aveva subito un’impennata pazzesca, dovuto anche al fatto che, da quando lei aveva saputo che sarebbe stata trasferita a New York, lui ci era rimasto male, e molto, pur essendo ovviamente contento per lei. L’anno che Hilary aveva passato in America era stato difficile per entrambi, abituati ad aversi tra i piedi ogni giorno della loro vita da sempre, ma ce l’avevano fatta.

 

“Io adesso vado all’Avalon, le ragazze mi aspettano lì; vieni con me?”

 

Takao ci pensò su un istante, poi scrollò le spalle. “Ma sì, una birra in compagnia della cantante più famosa di Manhattan… Ho sempre desiderato essere un uomo invidiato.”

 

Lei indossò i suoi occhiali da sole con fare snob. “E allora pronto per i paparazzi.” Dopodiché scoppiarono nuovamente a ridere.

 

 

 

 

 

“Ehi, bellissima, stiamo aspettando te!”

A Mao il suo lavoro piaceva abbastanza: i colleghi erano gentili, il capo era mitico, le sue amiche erano lì, lo stipendio era buono, ma… C’era un ma. Un ma costituito dai cafoni che, puntualmente, si presentavano al locale.

 

Aveva sentito dire che quello della cameriera non era un mestiere esattamente facile, ma non pensava fosse così stressante: avere a che fare con gli uomini arrapati che, puntualmente, le rivolgevano frasi impronunciabili era, sempre e comunque, qualcosa di sopraffino.

Era per natura timida e dolce come una gattina ma, quando la si stuzzicava, sapeva sfoderare gli artigli. E graffiare.

 

Continuò a prendere le ordinazioni al tavolo delle tre coppie, ignorando gli ululati due tavoli più in là, che la stavano abbondantemente facendo spazientire.

“Okay, sono due birre scure, un gin fizz, due martini e un lemon soda.” riepilogò brevemente; quelli annuirono. “Arrivano subito.” assicurò, con un sorriso.

Attraversò il locale per andare a portare l’ordinazione al bancone: quella sera l’Avalon era pieno a metà: Hilary, Julia e Takao erano seduti al primo piano, stavano chiacchierando fitto fitto, e l’avevano invitata a sedersi ma, purtroppo o per fortuna, il lavoro era lavoro.

 

Facendosi forza e ignorando nuovamente gli ululati e le sottospecie di complimenti provenienti dallo stesso tavolo, si diresse verso un tavolo a muro, dove un ragazzo dalla capigliatura castana-rossiccia la stava fissando.

 

“Ciao.” fece, sbrigativamente. “Mentre aspetti ordini qualcosa?”

 

Lui le sorrise. “Non aspetto nessuno… Inizio con delle patatine e una birra.”

 

Gli sorrise velocemente. “Perfetto; arrivano.” e andò via, incurante dell’espressione di lui.

 

Quando si diresse al bancone dove i baristi stavano preparando cocktail il più velocemente possibile, si affrettò a distribuire gli ultimi ordini, ma venne trattenuta con un cenno da Mariam.

“Quello del tavolo dodici sbava su di te da quando si è seduto.” proferì, finendo di mescolare un intruglio.

 

La cinese sbatté gli occhi. “Eh?”

 

L’altra sbuffò, prendendo l’ordinazione e leggendola. “Quello delle… Patatine e della birra. Sa su chi puntare.”

 

Mao arrossì. “Ma finiscila.”

 

La mora le porse tre cocktail su un vassoio. “Tavolo due del primo piano.” fece con tono ironico, inarcando le sopracciglia. La cinese non disse niente, dirigendosi con i drink al tavolo prestabilito e cercando di non pensare a nulla.

Ma quando, subito dopo averli distribuiti, si ritrovò una mano sul sedere da parte dei cafoni che l’avevano tormentata da tutta una sera… Non ci vide più. E mollò un gancio destro tale che stese il malcapitato, facendolo imprecare.

 

Il locale ammutolì di botto; tutte le teste si voltarono verso di loro, rivelando una scena poco carina: il ragazzo con la mano alla guancia, e Mao con il pugno ancora alzato, livida.

Non sapeva se quel gesto le sarebbe costato il posto, certo era che non poteva permettere di farsi trattare così, ne andava del suo onore, della sua moralità, del rispetto che aveva verso se stessa.

 

“Mi hai spaccato la faccia!” tuonò il ragazzo, alzandosi in piedi e squadrandola con livore.

 

Julia, Hilary e Takao furono subito accanto a lei, e la spagnola fece una smorfia. “E ha fatto bene, brutto maiale schifoso!”

 

“Che succede, qui?” Mitch, come al solito elegantissimo nella sua camicia bianca e nei suoi pantaloni neri, fissò la scena che gli si presentò davanti con cipiglio severo.

 

“Mi ha dato un pugno!” protestò vivacemente il ragazzo. “E’ così che trattate i clienti?!”

 

“E’ tutta la sera che fate i porci!” una ragazza dal tavolo vicino fece una smorfia, squadrando lui e gli altri suoi amici con disgusto. “Non vi si poteva sentire, pezzi di merda!”

 

“Ha ragione.” intervenne una donna più grande. “Poi l’hanno visto tutti che le hai toccato il culo.”

 

Mao si sentì sollevata a mai finire: incurante delle proteste del ragazzo, delle minacce di querela e delle urla dei suoi amici, il gruppetto venne sbattuto fuori, e il groppo che le si era posto sullo stomaco parve sciogliersi.

 

“Preferirei che queste situazioni non si creassero.” le disse il capo, quando il tutto venne ristabilito. “La prossima volta, segnala il tavolo e interverremo in tempo, okay?” annuì, e Mitch, visibilmente stressato, le dedicò un breve sorriso.

 

La ragazza si voltò per riprendere a lavorare, ma venne circondata dagli sguardi preoccupati delle sue amiche. “Ehi, stai bene?” Hilary la squadrò come avesse qualche male incurabile.

 

“Sì, normale amministrazione.” cercò di minimizzare la cinese, sorridendo.

 

Chica, se qualcosa non va, dillo!” la spagnola tirò dei pugni all’aria, facendo ridere le altre due.

 

“E’ tutto a posto, sul serio: di clienti cafoni ne capitano in continuazione.” tentò di rassicurarle. “Riprendete la vostra serata.” e, senza dar loro tempo di replicare, andò al bancone, pronta per riprendere a lavorare; Mariam la stava osservando, ironica, ben tre vassoi colmi di drink pronti per lei. “Beh?” chiese, sospirando.

 

“Niente, ti sei difesa bene.” spiegò l’irlandese. “Solo… E’ stato divertente vedere il tizio del tavolo dodici provare a correre nella tua direzione e bloccarsi nel momento in cui hai risolto la cosa da te. Fossi in te gli darei una chance.” non appena lo disse, le porse il vassoio con la birra e le patatine, e diede gli altri due ad un’altra cameriera che, velocemente, passò di lì.

Mao osservò le patatine e la birra come fossero una bomba ad orologeria e, sentendo il cuore che le batteva forte al ritmo di un tamburo, a stento sentì le parole dell’amica ‘Mica te lo devi sposare!’; afferrò il vassoio e si diresse verso il tavolo dove il ragazzo, non appena la vide, le rivolse un gran sorriso.

Era carino, aveva una bella pelle abbronzata, dei bei capelli castano-rossiccio e, da vicino, dei begli occhi azzurri.

 

“Grazie.” anche una voce calda e gentile. Aveva un solo difetto: non era quello stupido, cretino, idiota, del suo amico d’infanzia.

Sentendo un macigno piombarle addosso, Mao avvertì una sincope all’altezza dello stomaco che le fece chiudere gli occhi un istante: gli rivolse un sorriso e andò via. “Aspetta!” fu solo per cortesia che si voltò; cortesia e nient’altro. “Io mi chiamo Dylan.” aveva anche un bel sorriso.

 

“Mao.” fece, telegraficamente. “Sto lavorando, scusami.” e girò sui tacchi, consapevole che liberarsi della presa che un paio di caldi occhi color caramello avevano su di lei non sarebbe stato semplice.

 

 

 

Mariam scosse la testa, sospirando impercettibilmente: in fondo lo sapeva che sarebbe andata così: la sua amica non era ancora pronta a fare questo passo più lungo della gamba, scommetteva che per lei significava tradire Rei, anche se non stavano affatto insieme.

Sospirò: certi uomini erano proprio tonti…

 

E certi bastardi nati

 

Aveva appena finito di formulare il pensiero che lo vide: i suoi occhi parevano fatti per captare la sua essenza: entrò nel locale abbarbicato ad una rossa – palesemente tinta – sui trampoli quindici e con un vestitino giallo canarino che più che vestito pareva un cerotto.

Il suo primo pensiero fu di non rompere il bicchiere che aveva tra le mani: cautamente lo lavò e lo posò, dopodiché si concentrò sugli ordini che continuavano ad arrivare a fiotti: doveva preparare drink, mescolare liquori ed ottenere cocktail, era pagata per quello: Max Mizuhara e la sua stupida rossa non esistevano, dovevano fuoriuscire dal suo campo visivo e dai suoi pensieri, o avrebbe commesso qualche sciocchezza.

 

Due Bloody Mary e un Aperol Peach; la ragazza si concentrò minuziosamente sulla preparazione dei tre drink, versando minuziosamente le dosi, mescolando e triturando il ghiaccio, per poi servire nei bei bicchieri targati Avalon.

Erano appena le undici e trenta, la serata sarebbe stata ancora lunga, ma a costo di farsi rodere da dentro non gli avrebbe mai, mai dato la soddisfazione di vederla dannarsi per lui.

 

“Lo dicevo io.” Mariam alzò lo sguardo: la sua visuale era stata oscurata da un ragazzo sui venticinque anni, dalla carnagione olivastra e i capelli scuri, piuttosto carino e sicuro di sé. “Ho chiesto chi era il barista che mi aveva preparato un Angelo Azzurro così buono… E non poteva essere altro che un altro angelo.”

 

Mariam alzò gli occhi al cielo: perché i ragazzi dovevano essere così scontati?

Stava per mandarlo a quel paese con un biglietto di sola andata, quando si ricordò di un fattore che la faceva stare molto male.

E che le era a pochi metri di distanza; con una rossa tinta abbarbicata al braccio.

E prese una decisione.

 

 

 

 

 

Julia era molto contenta di come si era evoluta la serata: l’aveva passata al pub con le sue amiche e, a parte l’inconveniente di quel maiale che aveva osato importunare Mao, aveva passato delle ore molto piacevoli, senza contare che aveva conosciuto Mike, un ragazzo della sua età che l’aveva riconosciuta come la batterista delle Cloth Dolls e le aveva chiesto di uscire.

 

Decisamente New York era una città frenetica, assurda, dove si poteva fare di tutto, e la definizione di grande mela calzava a pennello: succosa, uno non si stancava mai di assaggiarla in tutte le sue sfaccettature.

Qualcuno una volta aveva detto che era il posto in cui era impossibile dormire due notti di seguito con la stessa persona… E ora capiva il perché di quell’affermazione.

 

Mike aveva un buon profumo, le aveva cinto le spalle con un braccio, e a lei questa cosa non era dispiaciuta, non era dispiaciuta affatto: dopo due drink al pub erano passati in un altro locale, una piccola yogurteria aperta fino a tardi, e le aveva preso una piccola crêpe al cioccolato: galante era galante, sperava solo non si perdesse in inutili quisquilie.

 

“Descrivi la Spagna con un aggettivo.”

 

Inarcò un sopracciglio: questa non se l’aspettava: dove diamine voleva andare a parare? Per tutta la sera era stato attento, grazioso, garbato, un vero gentiluomo; ora all’improvviso stava iniziando a cambiare registro, a tentare di flirtare in maniera sottile… E lei cominciò a fare la birichina.

Caliente.” lo disse con uno sguardo che lasciava intendere cose per le quali, e che lo fece scoppiare a ridere.

 

“Non ne dubito.” fece, facendola fermare all’improvviso. “Qualcosa mi dice che sei l’essenza stessa della Spagna, che hai il fuoco nelle vene…” fece per baciarla, ma lei si spostò con una risatina e con un saltello, zampettando sul muretto in pietra di fronte.

 

“No. Se mi vuoi… Vieni a prendermi.”

 

Lui sorrise. “Non mi sono mai tirato indietro di fronte alle sfide.”

 

 

 

 

 

Rientrando in casa, le fece effetto, dopo tutti quei giorni di casino, trovarla straordinariamente vuota: erano le tre di notte, e un’altra serata brava si era appena conclusa.

Sbadigliando, mise sul fuoco la camomilla, sperando nel suo effetto immediato: l’indomani avrebbe avuto lezione dalle dieci alle sei del pomeriggio; sarebbe stata una faticaccia immane…

 

In più ho le prove con le ragazze…

 

Sedendosi, preparò la tazza, quando si accorse del cigolio della porta: voltandosi, fu sorpresa di ritrovarsi Mariam accanto a sé, visto che in teoria avrebbe dovuto essere ancora al pub a lavorare.

Sospirò, abbozzando un sorriso: c’erano quelle come la sua amica, stupende anche con un sacco della spazzatura addosso, e quelle come lei; quelle normali, di tutti i giorni, che dovevano curarsi, sistemarsi, truccarsi, altrimenti sarebbero parse degli spaventapasseri; il trucco era prenderla con ironia, altrimenti non se ne usciva più.

 

“Una tazza anche per me.” l’irlandese si sedette al tavolo, accavallando le gambe; aveva i capelli scompigliati come se li avesse sostituiti con una balla di fieno, l’aria stanca e provata, ma anche così era bellissima e affascinante.

“Ho appena mandato una mail a Dublino: mi manderanno la mustang nei prossimi giorni.”

 

“Sono contenta: immagino ti sia mancata molto.” Quando lei annuì, sorrise. “Dai che poi facciamo dei giri tutti e quattro; ma guiderai sempre tu, promesso.” All’annuire solennemente della sua amica, rise, andando poi a controllare quello che c’era sul fuoco.

 

La camomilla venne versata in due tazze, e Hilary si sedette accanto a Mariam, lasciando che la bevanda si raffreddasse. “Ho conosciuto un ragazzo.” Cambiò discorso. “Credo si chiamasse Tim, o forse Tom, non so.” ridacchiò. “Era una roba assurda: carino, ma appiccicoso da morire… Poi aveva un alito…” rabbrividì. “Non potevo fare altro che mandarlo a quel paese.” fece, scuotendo la testa. “Mao invece non si sente ancora pronta psicologicamente, eh?”

 

Mariam fissava la tazza di fronte a lei, seria. “La capisco. Quando si ha in testa una persona, uscire con altre e pensare alla stessa è da masochisti. E’ stupido.”

 

Hilary la fissò. “Probabile. Ma l’alternativa quale sarebbe?  Mao è innamorata di Rei da anni, e un mese fa ne ha compiuti venti; può solo aspettare ancora, fino a che a venti non se ne sommano altri venti e poi altri venti ancora…” sospirò, mordendosi le labbra.

“Io ho mandato affanculo Kai Hiwatari anni fa, e ora me ne sbatto. Single non vuol dire necessariamente sola, così come coppia non vuol dire per forza essere felici.”

 

Mariam si rabbuiò. “Questo lo so.”

 

Ci furono parecchi secondi di silenzio e, dopo aver finito la sua camomilla, Hilary provò a lanciare l’amo. “Era carino il ragazzo che ci ha provato con te.”

 

“Non ci ho fatto molto caso.” la voce dell’irlandese era roca. “Avrebbe potuto essere pure Babbo Natale.”

 

Hilary la fissò, nel dubbio se pronunciare le sue constatazioni o meno. “Max.”

 

Mariam si irrigidì. “I nostri ricordi mi stanno tormentando.” rivelò, con un filo di voce.

 

La bruna le si avvicinò, posandole una mano sul braccio, come a darle coraggio. “Siete stati insieme.” non era affatto una domanda; più una conclusione alla quale era arrivata.

 

Mariam chiuse brevemente gli occhi e, quando li riaprì, in quegli smeraldi c’era tutto il dolore di una fiducia conquistata e tradita. “Sono stata a Washington con Jesse e gli altri per una specie di concomitanza con la sede degli All Starz. E c’era lui. All’inizio non lo potevo soffrire, mi pareva così infantile, un bambino… Poi mi conquistò facendomi ridere, con allegria, simpatia, dolcezza… Mi baciò quando meno me l’aspettavo, un giorno in cui stavo ridendo perché ero riuscita a batterlo a bey; ero così felice…”

Hilary non interruppe l’amica nel suo racconto, ma era strabiliata nel notare quanto fosse immersa nei ricordi.

“Era sempre molto amichevole; non solo con me, ma anche con le altre… All’inizio non ci facevo caso, poi notai che mi dava fastidio; che io, la donna di ghiaccio, ero gelosa. Lui rideva, diceva che gli faceva piacere, che non mi dovevo preoccupare e cazzate varie… Ma la verità era che flirtava con tutte: compagne di squadra, fans… Ogni cosa che aveva la gonna lui pareva attrarla, dannazione!” Hilary ridacchiò allo sbottare dell’amica. “Resistetti fino a quando non lo vidi con i miei occhi baciare una biondina del cazzo. Feci armi e bagagli e tornai al villaggio.”

 

“Non gli hai chiesto spiegazioni?” la bruna era incredula: conosceva Max da anni, ed era tutto meno che un traditore.

 

“Oh, certo: ha negato fino a non avere più fiato.” laconicamente Mariam si accese una sigaretta, e Hilary sospirò stancamente, non sapendo cosa dire.

 

“Max è sempre stato un playboy, un tipo amichevole, come hai detto tu, ma è una persona leale. non tradirebbe mai un amico, figuriamoci la persona con cui decide di stare!” dichiarò, decisa.

 

Mariam la inchiodò con lo sguardo. “Intanto l’ha fatto. E io mi ritrovo a… Ad aver scopato con un tizio di cui non ricordo nemmeno la faccia, e a pensare a lui. Poi una non si deve incazzare.” replicò, aspirando un’abbondante boccata di fumo.

 

Hilary rovesciò la testa indietro, ridendo. “Tesoro, essere incazzati per le persone giuste è meglio che essere euforici per quelle sbagliate.” fece, prendendo a sua volta una sigaretta.

 

L’irlandese le porse l’accendino. “E in base a che criterio si dividono persone giuste e persone sbagliate?”

 

Quella scoppiò a ridere. “Okay, fregata.” buttando fuori un po’ di fumo, sorrise. “Ci pensiamo domani, vuoi? Sono le tre di notte e io sono stanca.”

 

“A chi lo dici.” Mariam gettò la cenere nel colorato posacenere, sbuffando laconicamente. “E ora che facciamo?”

 

“Quello che facciamo sempre: fumiamo.” Hilary le schiacciò l’occhiolino. “Solo che al posto di farlo dalle orecchie lo facciamo con le nostre amate sigarette.”

L’irlandese si ritrovò a ridacchiare e, mentre aspirava un’altra boccata, pensò che avrebbe avuto molto da imparare da quel periodo: vendette, calci nel didietro, intrallazzi che sarebbero stati all’ordine del giorno… Ma, sicuramente, quest’idea di distaccarsi ed andare a vivere con l’amica, non era stata poi così male.

 

Proprio per niente…

 

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

 

Che noia i capitoli di transizione… A conti fatti non dicono un’acca, però servono per la storia, quindi sono importanti, tutto sommato. u_u

 

Alla fine ad essere presi a calci non erano chi speravate voi, eh? Ma date tempo al tempo… *si tappa la bocca*

 

Oggi ultimo aggiornamento dalla sicilia *_* Dalla prossima volta si aggiorna dalla regione giuliana. *me tutta esaltata*

Ci vediamo il 27 con “City of blinding lights”; come al solito il titolo dice tutto, o quasi… ;D *me si dissocia dai suoi personaggi*

 

Bon, torno a far valigie, bagagli a mano, pacchi e roba simile… *esausta*

Un bacione a tutti, ci si rivede alla prossima! :D

 

Hiromi

 

   
 
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