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Autore: Hiromi    13/09/2011    8 recensioni
"Tesoro, è finita l'era dell'anti-innocenza: qui le persone girano come trottole ventiquattr'ore al giorno per lavorare, studiare, e per fare sesso - hai capito bene: Sesso! - Cupido è volato via dal condominio sdegnato e il principe azzurro per la disperazione è diventato gay!"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hilary, Mao, Mariam
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I guess I just lost my husband
I don't know where he went
So I'm gonna drink my money
I'm not gonna pay his rent
I've got a brand new attitude, 
And I'm gonna wear it tonight

 

So what?!- Pink

 

*************

 

Sospirando per l’ennesima volta si sforzò di non guardare più l’orologio, nonostante sapesse benissimo che fosse in ritardo e che, in pigiama e fuori dalla porta, potesse fare ben poco.

Querida.” ad alta voce, modellandola in modo mellifluo e dolce, malgrado fosse infastidita da morire, si rivolse all’usurpatrice spagnola che le stava intasando il bagno. “¿Yo soy loca?”

 

Dall’interno del bagno si sentì il rumore di phon acceso, e ciò servì a farla irritare ulteriormente. “Mi amor, tu no es loca.” La voce dell’amica era coperta dal rumore di utensili prettamente femminili che lei, e soltanto lei avrebbe dovuto usare, specie a quell’ora della mattina.

 

Y porqué, se tengo de ir a la universidad, ¿yo soy aquì y tu es en el baño?”

 

La mattina sapeva di essere più nervosa del solito, ma non era abituata a dividere il suo appartamento con tre pazze scalmanate che invadevano i suoi spazi: le adorava, avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro, ma quella settimana si era rivelata colma di imprevisti e compromessi che avevano dovuto affrontare.

 

L’usurpatrice uscì soltanto qualche minuto dopo vestita, profumata e truccata di tutto punto, come se nulla fosse successo.

No te preoccupe, eccoti il bagno.” fece, inarcando le sopracciglia, come a dirle di non esagerare.

 

Hilary scosse la testa, entrando a tutta velocità; la spagnola si accomodò in sala da pranzo, dove Mao stava sfornando dei dolcetti e Mariam stava sorseggiando il suo tè alla papaia.

 

“Dovresti lasciarle il campo libero, a quest’ora.” fece la cinese, ponendo i dolci su un vassoio. “Sai che ha lezione e non può arrivare in ritardo.”

 

Julia si morse le labbra. “Non lo faccio apposta, me sveglio sempre alla stessa ora.”

 

Mariam e Mao la fissarono inarcando le sopracciglia, come a farle capire che il suo era un comportamento errato, e quella sbuffò, accavallando le gambe.

“Piuttosto… ¿Esta manana por qué estabais descutiendo?”

 

La cinese sospirò, mordendosi le labbra sapendo che quella non era la prima volta. “Abbiamo chiarito, nulla di ché. Mariam e io ci alziamo presto, e io ho preparato una torta, lei ha acceso gli incensi… E stonano con la cucina, tutto qui.”

 

Julia sogghignò. Hay que estar a la ùltima, chicas.”

 

Non ebbero il tempo di pensare alla frase dolorosa ma veritiera della spagnola secondo la quale era tempo di abituarsi alle cose nuove: in quel momento Hilary uscì dal bagno vestita con una gonna svasata rossa stile Grace Kelly, una blusa nera, un foulard al collo in tinta e un paio di tacchi bassi molto eleganti.

“Sapete dove sono i miei punti luce?” chiese, acconciandosi i capelli con un semplice cerchietto nero.

 

Julia arrossì. “Ohi… Quelli che me sono messa ieri para salir con Peter?”

 

 “Julia Fernandéz.” La J venne aspirata talmente da far inorridire la spagnola, che alzò le mani in segno di resa.

 

Està bien, manos al aire: te li vado a cercare.”

 

Mao sorrise dolcemente. “Vuoi fare colazione prima di andare?” cambiò discorso, per distrarla e farle fare colazione.

 

La ragazza sospirò, avvicinandosi al tavolo. “Tanto, prima che me li trova…” prese un biscotto, iniziando a sgranocchiarlo. “Oggi sono nervosissima, non fate caso a me: ho una giornata strapiena non solo come al solito, ma anche peggio.” Fece, sbuffando. “Ah, per stasera c’è la serata all’Avalon: perché non venite?”

 

Mariam annuì soltanto, come fosse disinteressata; Mao invece sorrise. “Ne hai parlato così tanto che sarebbe bello vedere com’è.”

 

In quel momento che sopraggiunse Julia, con in mano i due famigerati orecchini. “Sotto il letto.” Spiegò balbettando quell’inglese che stentava ad imparare definitivamente ed ignorando l’occhiataccia che la bruna le lanciò.

 

“A stasera.” Hilary si chiuse la porta alle spalle, e sorrise quando udì il saluto delle sue amiche: la facevano impazzire, ma in fondo non sarebbe bastato quelle poche settimane di convivenza a minare l’affetto sconfinato che provava per loro.

Almeno, lo sperava.

 

 

 

“Splendore!” Sul pianerottolo del condominio, si voltò verso chi aveva parlato, ritrovandosi di fronte Carrie, la sua vicina dirimpettaia. “Università?”

 

“Come ogni mattina.” sistemandosi meglio i libri nell’elegante borsetta, sospirò. “Phoebe?” fece, riferendosi alla fidanzata della donna: quelle due erano state la prima coppia lesbica che aveva conosciuto, ed erano state tantissime le serate che avevano passato insieme per farla ambientare a New York, i primi tempi in cui non conosceva nessuno.

 

“Stamattina aveva il turno all’ospedale.” sospirò, con un teatrale gesto di noncuranza. “Piuttosto, dolcezza: sapresti per caso di qualcuno che cerca casa?”

 

La bruna si ritrovò a sgranare gli occhi. “Ve ne andate davvero, allora? Alla fine avete trovato casa nell’Upper East Side?”

 

Carrie annuì. “Sì, un delizioso attico esattamente come lo voleva Phoebe; andiamo via domani, ma è un peccato che questo appartamento resti vuoto, è così carino…”

 

Hilary fece una smorfia. “Hai ragione… Se vuoi posso chiedere a qualche collega dell’università.”

 

La donna incrociò le braccia. “Va bene, ma niente persone che si fanno o ragazze non particolarmente snob. Noi vogliamo gente di classe.”

 

La bruna scoppiò a ridere, sparando il naso in aria con fare fintamente altezzoso. “Come noi, tesoro; come noi.”

 

 

 

 

 

“Credo di aver bisogno di un lavoro.” Mao richiamò Galux, smettendo di allenarsi con Mariam, e si morse le labbra, tradendo con i suoi occhi color caramello un’espressione preoccupata. “Non sappiamo quando il presidente riuscirà a trovare i fondi, e io ho un budget limitato.” rifletté.

 

Julia storse il naso. “No es una mala idea...” Thunder Pegasus venne infilato dentro la tasca dei suoi jeans e quando si stiracchiò, portando in su le braccia, una cascata di braccialetti trillò con l’avanzare dei suoi movimenti. “Yo pero no sé hacer nada.”

 

Mariam estrasse una sigaretta dalla tasca e l’accese, incurante degli sguardi ammonitori delle altre due. “Un mestiere si impara, non è mica quello il problema.”

 

Mao annuì, pensierosa. “Spero di trovarne uno il prima possibile: essere indipendente economicamente dev’essere una gran cosa.”

 

Julia si scostò i capelli rossi da davanti, riflettendo. “Hilary qué hace? Vive qui da un anno, giusto?”

 

Mao annuì. “Quel concorso al liceo è stato un’occasione unica per lei: quanti possono vantare di studiare alla Columbia? E’ un biglietto da visita fenomenale.”

 

Mariam aggrottò le sopracciglia. “Ma si è pure spaccata il culo ai test. Non le ha regalato niente nessuno.”

 

Mao sorrise, concorde, un sorriso orgoglioso sulle labbra. “Quando ha annunciato che avrebbe studiato le nostre lingue non sapevo se ridere o… Altro: se non fa le cose in grande non è contenta.”

 

Julia scrollò le spalle con un sorriso fiero sulle labbra. “Pero sabìa los idiomas… Grazie a noi. Ha dovuto imparare l’arabo.”

 

Mariam buttò via la sigaretta. “Non è mica semplice.”

 

Podrà asesorar trabajos qué son para nosotras.” Julia aggrottò la fronte. “Lei canta in un pub nei weekend… Avrà degli agganci.”

 

Mariam era divertita. “Canta?”

 

Julia sgranò gli occhi. “Non lo sapevate?” le altre due scossero la testa, e la madrilena aggrottò le sopracciglia, chiedendosi come mai a nessuna delle due avesse detto alcunché.

 

Mao sorrise, certa che però nemmeno Mariam se la fosse presa, esattamente come lei. “Ah, stasera deve rimediare per forza! Non sfuggirà all’interrogatorio.”

 

 

 

 

“Ma come?” le rivolse uno sguardo a metà tra il disperato e lo sconcertato che la fece sospirare.

 

Sentendosi in colpa, si passò una mano tra i capelli, non sapendo che altro fare, che altro dire. “Mi dispiace, mi dispiace sul serio, Hila.”

 

Una terza ragazza dai corti capelli neri tenuti su con del gel, sbuffò. “Basta: non è colpa di Shannon: deve lasciare l’università, deve lasciare il gruppo… Suo padre è malato, deve tornare in Arizona!”

 

La bruna si sgonfiò come un palloncino, mordendosi le labbra. “Hai ragione, Trish: scusami Shannie. Il fanno è che… Non posso fare a meno di pensare alla serata, al fatto che la batteria sia fondamentale! Come si fa a trovare un altro batterista di talento che impari le note e i tempi entro stasera?” sbottò, nel panico più totale, per poi fissare colei che aveva davanti con occhi tanti. “Io ti parlo di queste cose e tu hai problemi ben più gravi, lo so…”

 

Shannon scosse la testa. “So che siete nei casini, Hils, e mi dispiace.” Tutte si fissarono tra loro, smarrite. “Devo andare all’aeroporto: mi terrò in contatto con voi e vi farò sapere.”

 

Un’altra ragazza dai capelli biondi con le punte arancioni le sorrise, abbracciandola. “Mi raccomando, Shan, non farci preoccupare.”

 

Quella annuì. “D’accordo Kassie.”

 

Hilary sospirò, sorridendo dolcemente. “Abbraccio di gruppo?”

Stava tentando di ostentare un atteggiamento che non fosse egoista né altro, ma non poteva mentire: era parecchio contrariata e anche piuttosto infastidita dalla nuova situazione venutasi a creare: quella sera si sarebbero dovute esibire, e senza Shannon erano come dei pesci arenati sulla sabbia. Morte.

 

La band delle Cloth Dolls esisteva da otto mesi, esattamente da quando si erano conosciute; cantavano e suonavano tutti i weekend all’Avalon, il pub più famoso del quartiere dell’Upper West Side, e cominciavano anche ad essere abbastanza conosciute all’università e dintorni. Senza dubbio, la partenza di Shannon, la batterista, stava mettendo a dura prova la resistenza del gruppo, che doveva trovare un sostituto, e in fretta.

 

“Potremmo dividerci per le selezioni.” propose Kassie qualche minuto dopo. “Io faccio dei provini a tutte le ragazze che conosco, tu Trish, pure, e lo stesso vale per te, Hil.”

 

La ragazza dai capelli corti aggrottò le sopracciglia. “Devono essere per forza ragazze? Non c’è tempo per queste discriminazioni.”

 

Hilary le lanciò un’occhiataccia. “Ci chiamiamo Cloth Dolls; credi che un ragazzo voglia far parte del nostro gruppo?”

 

Trisha scrollò le spalle. “Vorrà dire che cambieremo nome!” la bruna scosse la testa, nervosa, ed andò via per non risponderle male.

 

 

 

 

 

Con un sospiro, Mao aprì le finestre, cercando di far andare via l’odore d’incenso che lei proprio non sopportava: Mariam a quanto pareva ci viveva con quelle cose, e poi fumava come una pazza. Incredibile pensare che era passata solo una settimana di convivenza: pareva di più, molto di più.

Adorava le sue amiche, erano le migliori, ma c’erano certe loro abitudini che proprio non le andavano giù.

 

“Julia! Togli subito questo casino da qui!” esclamò, con una smorfia; la spagnola era una disordinata cronica, lasciava le sue cose dappertutto: nella sua stanza, che condivideva con Mariam, c’era un pandemonio; il bello era che non si limitava a lasciare le cose lì, no: lei voleva marcare il territorio lasciando una traccia di lei dappertutto, come i cani.

 

La madrilena sbuffò, iniziando a togliere i vestiti dalla sedia della cucina e le sue scarpe da terra. “Che mierda! Siete così noiose, chicas! Un po’ di disordine rende viva una casa! ¡Animateve!”

 

Mao fece per aprire bocca e replicare, ma un sonoro bussare alla porta la interruppe; si limitò a fissarla male e ad andare ad aprire. “Sì, chi è?”

Quell’appartamento, come tutti gli appartamenti americani, era dotato di spioncino e catena, ma lei, non appena riconobbe Phoebe e Carrie, le vicine dirimpettaie di Hilary che la loro amica aveva presentato loro la prima sera, aprì.

“Salve.” Sorrise, cordiale.

 

Salutarono immediatamente, gentili, dopodiché si guardarono intorno. “Hilary è tornata?” chiese Phoebe, aggrottando le sopracciglia.

 

“No, torna più tardi, è ancora al college.” Fece, scostandosi. “Ma prego, accomodatevi: posso offrirvi qualcosa? Tè? Caffè?”

 

Le due entrarono, salutando anche Julia e sedendosi al tavolo. “No, grazie nulla.” risposero educatamente.

 

La coppia si scambiò uno sguardo d’intesa, dopodiché una delle due donne partì in quarta con un discorso: “Ragazze, stamattina la vostra amica ha saputo che a breve ci trasferiremo nel quartiere dell’Upper East Side: volevamo dare in affitto il nostro appartamento… Sapete, ha tre stanze luminose, una cucina, un bagno… Potevamo farci pagare bene.”

 

“Potevate?” Julia inarcò le sopracciglia.

 

“Hilary ci ha sempre detto di avere difficoltà con la sua band, e di non sapere dove suonare, dove provare.” spiegò Carrie. “Abbiamo deciso di prestarle l’appartamento fino a quando non concluderà il college.”

 

“Beh, wow.” Mao era colpita.

 

“Quella ragazza ha fatto così tanto per noi, è davvero il minimo, e poi-” un rumore di chiavi interruppe il discorso di Phoebe: la diretta interessata entrò, l’aria stanca e provata, lasciando la sua borsa all’ingresso, e sorrise solo quando vide le amiche sedute al tavolo.

 

“Ehi, riunione?”

 

“Stavamo parlando di te.” sorrise Mao. “Siediti, ci sono novità.”

 

La bruna fece una smorfia. “No, ti prego, oggi basta novità. Ne ho fin sopra i capelli.”

 

Carrie sorrise. “Questa non potrà non piacerti.” ribatté, iniziando a spiegarle ogni cosa, e vedendo la sua espressione cambiare.

 

“Mi lasciate l’appartamento?!” ripeté, facendo tanto d’occhi.

 

“Così ti potrai esercitare con le Cloth Dolls in un posto decente, no?” Phoebe era entusiasta dell’idea.

 

La giapponese si incupì. “Già… Mi sa che io e le Dolls abbiamo chiuso.”

 

“Cosa?!” la coppia di donne lo disse con un tono insieme indignato e sorpreso insieme.

 

Shannon torna in Arizona, suo padre è malato; stasera e domani iniziano le serate e noi come facciamo? Io, Kassie e Trisha abbiamo passato una mattina intera a cercare una batterista di talento, altrettanto brava che azzecchi le note in tempo, e non vi dico gli elementi che abbiamo provinato… Siamo spacciate. Non ci resta che andare da Mitch e dirgli che-” Hilary si fermò di botto, sbattendo gli occhi e fissando davanti a sé. “Si può sapere che hai?” sbottò, in direzione di Julia, che la stava fissando come se le fosse spuntata un’altra testa.

 

“Una batterista?” la spagnola, lo disse con un tono di chi aveva ricevuto una grazia divina. “P-Pero cuanto Verrò pagata? Y qué tipo se suena? Y cuando comienzo?”

 

L’attenzione venne spostata su di lei: Hilary la fissò con tanto d’occhi. “Tu suoni la batteria?”

 

Julia sembrò quasi indignarsi. “Chica, io quando lavoravo al circo facevo ballare le tigri a suon de musica!” sbottò. “Mettimi alla prova!”

 

La bruna si umettò le labbra. Okay, cos’ho da perdere?

 

 

 

 

 

Le Cloth Dolls si esercitavano in un garage rimediato messo a disposizione dalla sorella di Kassie: era isolato acusticamente in modo da non dare fastidio a nessuno e si trovava in una stradina secondaria dove non vi erano troppe case, quindi era perfetto.

Quando Hilary, Julia e le altre giunsero lì, la bruna fece le presentazioni molto velocemente.

 

“Perché non hai provinato subito la tua amica?” sbottò Trisha, le mani sui fianchi.

 

“E’ una blader, non sapevo nemmeno che suonasse.” le rispose, per poi rivolgersi alla madrilena. “Ju, lo strumento è lì: suona la canzone di stasera, così vediamo subito come te la cavi.”

 

Quella, sicura di sé come sempre, ammirò per un attimo i pezzi: c’erano un microfono, una chitarra elettrica, un piano… E poi il suo.

Con un sorriso gli si avvicinò, studiando per qualche secondo le note rock dello spartito, dopodiché prese in mano le bacchette e le resse a mezz’aria; sapeva che la stavano guardando, che aspettavano solo lei, ma sapeva anche di potersi prendere ancora qualche secondo, per far sue le note.

 

E poi partì di colpo, facendo sobbalzare tutte quante, con una carica e un’energia di marca Julia Fernandéz.

 

Quando con la bacchetta batté un’ultima nota sul piatto, sorrise, soddisfatta, fissando le ragazze che erano letteralmente in visibilio: sapeva di essere andata bene, aveva azzeccato tutto, tranne qualche cosina molto trascurabile.

 

Trisha e Kassie si abbracciarono, Hilary scosse la testa, sorridendo e sillabando con le labbra stronza nella sua direzione. “Non ti credere” fece, avvicinandosi a lei. “Ora proveremo fino a quando non sarò assolutamente soddisfatta, e stasera dobbiamo far saltare in aria l’Avalon!”

 

Kassie la spinse via. “Ma ‘sta zitta!” tutte risero. “Non le dare ascolto: sei stata grande! Benvenuta nella band!”

 

 

 

 

 

“Sei sicura che non ti serva l’appartamento?” Phoebe era dubbiosa.

 

Hilary annuì. “Il garage sarà stretto, ma è isolato acusticamente, ed è una cosa fondamentale. Non preoccupatevi, davvero.”

 

“Julia, le tue mutande sul mio letto, no!” l’urlo di Mariam fece voltare le tre, e Hilary si ritrovò a sospirare.

 

“Quattro donne insieme talvolta sono letali.” rise. “Comunque-”

 

“Mariam, ‘sti cazzi di incensi!”

 

La bruna dapprima spalancò la bocca nell’udire Mao urlare una parolaccia, poi si umettò le labbra. “Stavo dicendo?”

 

“Io fumo quanto voglio!”

 

La voglia di strangolare le sue amiche era più forte che mai, e vedendo la sua faccia, le due donne si scambiarono uno sguardo eloquente. “Io credo che il nostro appartamento ti serva.” Carrie annuì, convinta. “Puoi lasciare un’amica da te, e far trasferire due da noi, tanto ce ne andiamo domani.”

 

Hilary sospirò. “Ragazze…”

 

“E’ un prestito che è come se fosse un ordine, e gli ordini vanno eseguiti!” Phoebe ridacchiò. “Parlane con loro, saranno d’accordo, non accettiamo scuse.”

 

“Non so che dire…”

 

“Julia, sistema questo porcile!!”

 

Le donne scoppiarono a ridere. “Noi diremmo che ti conviene accettare.”

 

Hilary annuì e, ringraziatele un’altra volta, rientrò in casa, dove trovò le ragazze con un diavolo per capello. Inarcò le sopracciglia e fece la cosa che avrebbe fatto qualsiasi altro generale dei marines: fischiò, e a lungo.

“Adesso basta.” Sbottò, fissandole una ad una. “E’ evidente che gomito a gomito non andiamo d’accordo, ci sono lati del nostro carattere che cozzano allegramente: pazienza. Ci vorremo bene a distanza. Carrie e Phoebe traslocano domani, e ci prestano l’appartamento. Una di voi resta qui e due vanno lì; dobbiamo decidere chi va e chi resta, onde evitare di ucciderci. Sarebbe un peccato rovinare la nostra amicizia per un periodo di convivenza. Obiezioni, proposte?”

 

Le ragazze la fissarono a lungo senza dire una parola, visibilmente colpite dal lungo discorso colmo di novità che le riguardava in prima persona, poi fu Mao a prendere parola. “Sono state molto carine a prestarci l’appartamento…” il suo tono era perplesso. “Se avessimo dovuto prenderlo in affitto chissà quanto sarebbe costato…” le altre convennero con lei, pensierose.

 

Permanezco yo con Hilary.” propose Julia. Tenemos un caracter similar.”

 

“Non vuol dire nulla.” rispose Mariam, inarcando le sopracciglia. “Tu le occupi sempre il bagno la mattina, le perdi le cose, e io do fastidio a Mao per il mio vizio del fumo e con gli incensi; si devono guardare anche queste cose.”

 

“Se io venissi con te?” suggerì Mao, nella direzione della giapponese.

 

L’irlandese aggrottò la fronte prima verso di lei, poi verso la spagnola. “Commetterei un omicidio.” Quando Julia spalancò occhi e bocca, indignata, Mariam scrollò le spalle. “Ti adoro, Carmen.”

 

Lo disse con un tono così apatico e neutro da far scoppiare tutte a ridere ed allentare la tensione. Il fatto, inoltre, di aver usato il secondo nome di Julia – da lei per altro odiato, dacché sosteneva non catturasse appieno la sua vera essenza – fece in modo di far pestare i piedi alla malcapitata e di far battere le mani alle altre due, ritrovando quell’atmosfera di allegria che aveva sempre caratterizzato il loro gruppo.

 

“Allora potremmo provare l’accoppiata Mao-Julia e me-Mariam.” suggerì Hilary. “Sia io che lei fumiamo – anche se io non molto – e a me non danno fastidio gli incensi, anzi, trovo che diano un tocco all’appartamento… Poi Mari si alza alle sei, e non mi occuperebbe il bagno quando mi devo preparare per l’università.”

 

Mao mise il broncio. “Ma io con questa qui impazzirò!”

 

“Conta pure che dovremmo arrivare a qualche compromesso.” obbiettò Mariam. “E poi che tu sei l’unica che la fa filare.”

 

Gracias,¡no soy una niña!” la spagnola incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio e gonfiando le guancie sotto le risate di tutte.

 

 

 

 

 

“Sì, mamma, qui tutto bene.” scese dal taxi velocemente, porgendo una banconota al conducente. “Domattina andrò a controllare, ma sono sicura che siano arrivati, la banca è molto puntale. Ora devo salutarti, ti chiamo domani stesso, okay? Un bacio, salutami papà.”

 

Stringendosi nel cappotto bianco, entrò nell’hotel, sorridendo al portiere che le fece un cenno, e si diresse verso l’ascensore; Takao doveva alloggiare al secondo piano, assieme a Daichi e al professore, nella stanza centoventuno, se non ricordava male.

Il ragazzo addetto all’ascensore le sorrise, accompagnandola al piano da lei richiesto e, come tutti i maschi, fissandole il didietro fino a quando le porte non gli si chiusero sul naso.

Sorrise come la gioconda, per poi esibire un ghigno che una volta giunta nel cuore dell’hotel si affrettò a togliersi dalla bocca.

 

Arrivata davanti alla centoventuno bussò delicatamente e sorrise nel vedere il professore. “Hello!” esclamò, ridendo. “Come va?”

 

Il suo amico si spostò per farla entrare. “Che sorpresa! Tutto bene, tu?”

 

“Non c’è male; dov’è Takao?” chiese, guardandosi intorno.

 

“E’ sceso a fare uno spuntino un’ora fa…” mormorò sconsolato il ragazzo. “Dovunque vada si fa riconoscere…”

 

Hilary rise. “La frase ‘non cambierà mai’ è proprio per lui.” Fece, scuotendo la testa. “Daichi?”

 

“Ad allenarsi in palestra.”

 

“Prof, riguardo l’annuncio del presidente, ci sono novità?” chiese, tornando seria.

 

Lui scosse la testa. “No, ci hanno permesso di stare qui unicamente a spese nostre, il presidente sta lavorando giorno e notte.” fece, sconsolato.

 

Hilary strinse le labbra. “Per me quando è stato dato l’annuncio del campionato in mondovisione c’è stata una fuga di notizie.” fece, incrociando le braccia al petto. “Pensaci: gli altri anni, quando lo annunciavano, subito dopo intervistavano Daitenji, poi c’erano le selezioni delle squadre paese per paese… Era tutto diverso!”

 

L’altro annuì. “Mi trovi completamente d’accordo. Dobbiamo solo sperare che con la conferenza del presidente della scorsa settimana ci sarà nei prossimi giorni qualche sponsor disponibile.”

 

“Già.” Fece, aggrottando le sopracciglia come se l’idea definitiva potesse fulminarla in quell’istante; poi sorrise. “Cambiando discorso, stasera venite all’Avalon? E’ un pub famosissimo a Manhattan: questo è il biglietto da visita. Guarda: è la strada più famosa dell’Upper West Side.”

 

Quello le sorrise, sbattendo gli occhi e non riconoscendo nell’amica di un anno e mezzo prima la ragazza davanti a lui che gli proponeva locali notturni. “Ci saremo.” Scelse di dire.

 

“Ci conto! Vado, salutami tutti.” e con un cenno della mano si chiuse la porta alle spalle.

Decise di prendere le scale e, nel farlo, dopo qualche rampa, si ritrovò di fronte l’enorme bar dell’hotel, ma da subito una chioma scura attirò la sua attenzione.

Quatta quatta, si avvicinò alla persona, facendo cenno all’altra con cui stava parlando di far finta di nulla, dopodiché gli pose le mani sugli occhi, e rise. “Chi sono?” chiese, cercando di cambiare il tono di voce, imitandone una a mo’ di baritono.

 

Ma Takao non ci cascò: le prese le mani e, in un lampo, le fece fare una piroetta, abbracciandola. “La mia amica d’infanzia non la confonderei con nessun’altra al mondo, puoi camuffare la voce quanto vuoi!”

 

Hilary accettò il suo bacio fraterno sulla fronte ridacchiando, poi gli cinse le spalle con un braccio, venendo ricambiata. “Ciao Kai, grazie per avermi retto il gioco.” gli sorrise.

Il russo scrollò le spalle, come se non avesse alcuna importanza, e non le rispose nemmeno.

 

Takao non smise di stringerla a sé, e continuò a rivolgersi al russo continuando il discorso di prima. “Comunque, ti stavo dicendo che potremmo chiedere all’associazione spagnola di fare da sponsor, oppure mi sembra ce ne sia una francese… Insomma, qualcosa si deve fare, non possiamo stare con le mani in mano!”

 

Kai ostentò un’espressione impenetrabile. “Allora dovremmo informarci.”

 

Hilary sbuffò, non potendo fare a meno di intromettersi nel discorso. “Perché non ne parlate con Daitenji? In sport come il calcio, il tennis o roba simile, gli sponsor sono marche di vestiti, di bibite… Cose così! Chi si è occupato di tutto questo, fino ad adesso?”

 

Kai e Takao si fissarono. “Ehm… Non ci abbiamo fatto caso.” le rispose il giapponese.

 

La ragazza sospirò e scosse la testa, divertita. “Informatevi e agite.” Raccomandò, seria, per poi lanciare un’occhiata al suo orologio. “Ora devo scappare… Ah! Stasera, all’Avalon, il pub più famoso dell’Upper West Side, c’è una serata. Dovete venire, ci sarà una sorpresa. Spargete la voce.”

 

“Ehi, che sorpresa?” le urlò dietro Takao.

 

Hilary rise. “Ma se te lo dico che sorpresa è?” e andò via, imboccando la strada per l’uscita.

 

Takao la osservò andar via, aggrottando le sopracciglia per quell’improvvisata che sapeva di toccata e fuga: era cambiata quel tornado della sua migliore amica, e tanto; quando l’aveva vista all’aeroporto l’aveva riconosciuta subito, ma per un attimo – quando l’aveva fissata negli occhi – c’era stato qualcosa di assolutamente diverso che aveva percepito.

Non erano più gli occhi di una ragazzina, quelli. Erano gli occhi di una persona che aveva sofferto e che aveva detto basta.

 

 

 

 

 

Mao si sistemò i capelli chiari, lasciandoli liberi di ricadere sulle spalle: li aveva sempre avuti molto lunghi e luminosi, sarebbe stato un peccato legarli.

Si sistemò il vestito blu che aveva una leggera scollatura sulle spalle ed era molto morigerato sul davanti, ma che, in compenso, lasciava intravedere le gambe: era la prima sera che passava fuori a New York, era un po’ agitata, poi sarebbe stata la serata delle sue amiche: sarebbe stata senza dubbio da ricordare.

 

“Hai visto il mio profumo D&G?” Mariam entrò nella stanza vestita con una minigonna di pelle nera e con una blusa verde con la scollatura a barca che richiamava molto i suoi occhi.

 

“L’altra sera non l’ha usato Julia?” fece, aggrottando la fronte e indossando le sue tacco sette.

 

Mariam annuì, sbuffando, ma esibì una faccia perplessa nella direzione delle sue scarpe. “Ad un concerto non è opportuno andare con qualcosa di comodo?” e le indicò le ballerine che aveva ai piedi, facendola sorridere: lei era già alta, se avesse messo i tacchi, sarebbe diventata un gigante!

 

“Saremo sedute ai tavoli, Mari, al limite qualche sgabello lo troveremo, fidati.”

 

“Siete pronte? E’ ora!” l’urlo di Hilary le richiamò sull’attenti: presero le ultime cose e corsero all’ingresso dell’appartamento, e lì si ritrovarono a sgranare gli occhi.

 

Truccate finemente, con una pelle di porcellana, un rossetto rosso e un mascara che faceva sembrare le loro ciglia lunghissime, c’erano Hilary e Julia, che le fissavano soddisfatte della loro reazione.

La giapponese indossava dei pantaloni di pelle aderentissimi che mettevano in risalto le sue gambe tornite, sopra aveva un top monospalla blu scuro, e i capelli, da qualche anno ondulati, quella sera erano liscissimi.

Julia indossava una canotta bianca e una gonna, entrambi molto attillati. Dalla gonna partivano delle calze autoreggenti che, una volta sedute, si sarebbero di certo viste eccome.

 

“Beh, di certo siete delle bambole.” Osservò Mao, non sapendo come reagire, aggrottando la fronte.

 

Hilary non si scompose. “Bambole di pezza, per la precisione. Cloth Dolls.”

 

Mariam strinse gli occhi, osservandole con meticolosità, dopodiché si illuminò. “Geniale.” fece poi, sorridendo ammirata. “Una provocazione bella e buona contro il maschilismo e il sessismo della società mondiale. Vi chiamate Cloth Dolls come a dire che siete piccole e indifese – insomma, delle bambole di pezza sono innocue, no? – e vi presentate come tali, fingendo di esserlo. Ma la domanda è: quanto è vero tutto questo?”

 

Hilary sorrise, schiacciando un cinque all’amica. “Centrato in pieno. Mi dimentico spesso quanto tu abbia un occhio lungo, Mari.”

 

L’irlandese badò bene a non far notare quanto la frase della giapponese l’avesse fatta restare male.

Già, peccato non mi sia servito a tempo debito.

 

“Andiamo? Sono le undici e mezza: Takao è dalle dieci che mi manda sms per chiedermi dove diamine sono.” fece Hilary, fissando l’orologio appeso alla parete.

 

“Per non parlare di Raùl.” sbuffò Julia, alzando gli occhi al cielo.

 

“Possiamo andare: avete già chiamato il taxi?” Mao si mise il cappottino scuro, indossando anche la pochette abbinata al vestito.

 

Mariam prese a fissare la madrilena con le braccia incrociate. “Vorrei mettere una spruzzata del mio profumo.”

 

Ci pensò un po’ su, dopodiché annuì, come se si fosse ricordata improvvisamente di qualcosa. “In cucina, dietro il frullatore.” Mentre Mariam assottigliava gli occhi, riducendoli a due fessure, Hilary scoppiò a ridere e Mao si schiaffò una mano sul viso, pensando a chi l’aspettava come coinquilina.

 

 

 

 

 

“Dolcezze, dovete entrare dall’entrata principale.” Mao e Mariam fissarono Hilary confuse, ma la bruna sorrise loro in maniera incoraggiante. “Se vedete Takao e gli altri, siate vaghe: dite che ci avete uccise, date in pasto agli squali, o vendute per i vestiti che indossate.”

 

Mao sorrise e scosse la testa, ma l’irlandese corrucciò le sopracciglia. “L’ingresso è libero?”

 

Hilary annuì, scendendo dal taxi ed invitando Julia a fare lo stesso. “Ci vediamo dopo.” sussurrò, un sorriso emozionato sulle labbra.

 

“In bocca al lupo.” Mao sorrise loro e Mariam annuì.

 

“Che crepi.” Le due scesero in una stradina secondaria e semi illuminata, e il taxi, per loro, si fermò in una strada molto più grande ed affollata: c’era gente che fumava, che reggeva drink, e le ragazze riconobbero immediatamente la grande costruzione con la scritta Avalon.

 

Che fosse uno dei pub più famosi della zona, lo capirono immediatamente dalla quantità di gente, dalle luci, e dall’enorme fila che c’era in attesa di entrare. Si sentiva della musica assordante provenire dall’interno del locale, e fecero per mettersi in fila, quando i due buttafuori stanziati all’ingresso si avvicinarono a loro e fecero cenno di entrare. Le due si fissarono meravigliate e scrollarono le spalle.

 

“Ma questi gorilla non ci sono solo nelle discoteche?!” Mao lo urlò all’orecchiò dell’amica, tanto la musica era alta, che le poté rispondere solo con una scrollata di spalle, come a farle capire che ne sapeva quanto lei.

Dentro, il locale era assurdo: su due piani enormi, c’era un palchetto su cui gli artisti si esibivano, ma in quel momenti vi era soltanto il deejay e la sua musica, sparata a volume stratosferico, e le centinaia di persone sparse per il pub.

 

“Guarda: non è la Neoborg, quella?” Mariam ostentò una faccia sorpresa e, con un cenno, indicò alla sua destra.

 

“Sì, ed è in compagnia dei Blade Breakers Revolution, quindi non facciamoci vedere o partono le domande.” l’altra annuì, completamente d’accordo.

 

Oltre a loro, individuarono ben presto il fratello di Julia che stava tentando un penoso approccio con Mathilda; la squadra Europea seduta al tavolo del primo piano, i Baihuzu impegnati al bancone a guardarsi intorno – e Mao si fece piccola piccola – e poi lui.

I PPB All Starz si mescolavano tra tutti quei Newyorkesi per il fatto di essere americani anche loro, ma lui in particolare spiccava di per sé.

Il cuore di Mariam prese a battere a ritmi furiosi; girarsi e fuggire via fu naturale… Fino a quando non sbatté proprio contro Mao che, volontariamente, le sbarrò la strada.

 

“No.” le disse, severamente. “Non so cosa sia successo, ma se ritieni sia lui ad aver sbagliato, allora è lui a dover girare sui tacchi. Tu stai bene dove sei.” si fronteggiarono per un istante, dopodiché la mora annuì, sospirando come a prendere coraggio.

 

“Ehi, ragazze!” sudò freddo sentendo una voce allegra dietro di loro, poi si accorse che era Takao, e sospirò, sollevata. “Hilary? Sono ore che provo a contattarla, sembra sparita nel nulla!”

 

Mao si guardò in giro, poi scrollò le spalle con aria fintamente casuale. “Oh, è appena andata alla toilette.” fece, annuendo. “Ora scusaci, moriamo di sete, andiamo a pigliare un cocktail… Ci si vede in giro.” e si dileguarono, prima di poter subire altre domande.

 

Al bancone vi erano solo due baristi piuttosto indaffarati, e ci vollero venti minuti buoni prima di riuscire ad ordinare un margarita e un kir royal; quando fecero per andare a cercare un posto dove sedersi – ormai era questione di minuti – l’incidente che avvenne, in mezzo ad un locale dove vi erano persone da tutte le parti e pochi camerieri, poté essere chiamato quasi… D’obbligo.

 

Nel seguire Mariam che aveva individuato due sedie che si erano appena liberate, Mao urtò un cameriere che portava tre vassoi colmi di drink: la ragazza si voltò di scatto verso quei cocktail, e li vide quasi a rallentatore.

Si ricordò delle giornate al villaggio passate ad allenarsi a scalare le piccole colline che vi erano lì, a prendere al volo la frutta che i suoi amici le lanciavano, le piccole montagnette, gli alberi da scalare… Quello era proprio nulla.

 

Fu per la sua prontezza di riflessi e anche per la sua agilità che un secondo dopo li stava reggendo lei, perfettamente integri e persino in equilibrio.

Delle persone attorno, che avevano assistito alla scena scoppiarono in applausi, il cameriere sospirò sollevato, e si profuse in ringraziamenti sentiti.

 

“Notevole.” un uomo sui cinquant’anni, vestito elegantemente le si avvicinò. “Mitch Hannigan, proprietario di questo locale.” Pareva essere uscito da Casablanca, ma oltre la straordinaria somiglianza con Humphrey Bogart per la pettinatura e lo stile, non vi trovava altro.

 

“Mao Cheng.” Biascicò, porgendogli la mano che quello avvolse in una stretta sicura da tipico uomo d’affari.

 

“Stavo cercando una cameriera per il mio locale, e una ragazza che persino sui tacchi riesce a reggere dei drink credo sia l’ideale.”

 

All’inizio lo fissò con tanto d’occhi, non riuscendo a capire se dicesse sul serio o meno; quando realizzò che lui era sul serio il proprietario del locale e che si stava rivolgendo a lei – lei! – non poté fare a meno di esibire un sorriso elettrizzato, quasi squittendo per la gioia. “Accetto!”

 

Lui corrucciò le sopracciglia, perplesso. “Non ti interessa parlare di ferie, malattie e stipendi?”

 

Mao arrossì, e sorrise come a scusarsi. Apprese che inizialmente sarebbero stati ottanta dollari a serata per otto ore di lavoro al giorno – si staccava alle sette del mattino. Avrebbe cominciato l’indomani, e avrebbe dovuto passare a fine serata dalla cassa per i suoi dati.

 

Sorrise largamente, entusiasta. “Non se ne pentirà!” l’uomo le sorrise, e le fece un cenno di saluto, dopodiché andò via; la ragazza era felicissima: si trovava a New York, viveva con le sue amiche, e ora aveva pure trovato lavoro. La sensazione che quello sarebbe stato un periodo da cui avrebbe imparato moltissimo si faceva sempre più incalzante in lei.

 

Quando tornò da Mariam – che si era allontanata per permetterle di parlare in pace con il proprietario – non si accorse di sbattere proprio contro suo fratello, tanto aveva la testa sulle nuvole; Lai la rimproverò per non essersi fatta sentire, per essere andata a vivere da sola e per un paio di altre cose che nemmeno udì; quando la filippica terminò, l’orientale si rivolse all’amica con un sorriso enorme.

“Ho un lavoro!” esclamò, esibendo un sorrisone. “Comincio domani!”

 

L’irlandese le sorrise di rimando, sinceramente contenta per lei. “Barista?”

 

Lei scosse la testa e, raccontandole di come era avvenuto il tutto, dall’inizio alla fine, squittì di gioia, tanto che, alla fine del racconto, dimentica quasi di chi aveva davanti, la abbracciò, facendole fare tanto d’occhi.

 

“Mao.”la voce di Lai vibrava di rabbia. “Ora stai esagerando!” fece, prendendo ad urlare nuovamente sul fatto che fosse andata a vivere da sola e rimproverandola.

 

Mariam alzò gli occhi al cielo: se c’era una persona che non sopportava era proprio il fratello della sua amica, infatti non si meravigliò quando la cinese aggrottò la fronte con espressione minacciosa. “Lai.” sussurrò. “Vai a farti una vita.”

Ridendo per l’espressione del cinese, la mora seguì  la cinese che aveva sistemato il fratello alla perfezione, e insieme si andarono a sedere verso il palco, tra le prime file, dove solo un quarto d’ora più tardi e per puro miracolo riuscirono a trovare due posti.

Le luci si spensero un istante dopo essersi sedute, e il pubblico iniziò ad urlare, assordandole: che diamine stava accadendo?

 

Avalon, è Venerdì. Sapete dirmi cosa accade il Venerdì?” non appena Mitch, che aveva preso in mano il microfono, lo disse, tutto il locale cominciò ad urlare, in visibilio. “Arrivano loro: le CLOTH DOLLS!!” al suo urlo, seguì un boato: tra urla, fischi e applausi, Mariam e Mao dovettero coprirsi le orecchie per non divenire sorde.

 

Poco dopo il locale si oscurò interamente e il pubblico ammutolì; fu qualche secondo dopo che delle luci verdi e gialle illuminarono il palco di botto, rivelando Hilary sul davanti, con uno sguardo deciso dinnanzi al microfono.

Trisha era alla sua sinistra che reggeva la chitarra elettrica, e alle sue spalle, ma perfettamente visibile c’era Julia, seduta alla batteria, con un sorriso elettrizzato. Poi c’era Kassie, seduta al piano, alla destra della spagnola.

 

All’inizio ci pensò Julia a far saltare in aria il pubblico con qualche colpo ben assestato di batteria, dopodiché lei e Trisha formarono un mix eccellente dei loro strumenti, collaborando come se suonassero insieme da anni, e non da poche ore.

 

“I'm miss autonomy, miss nowhere,
I'm at the bottom of me.
I'm miss androgyny, miss don’t care,
What I've done to me?”

 

Hilary iniziò a cantare e, infine, vi si immise anche Kassie con il piano in qualcosa di eccellente.

Si capiva perché erano divenute così famose in tutta la Columbia: non erano la classica band femminile che ostentava il loro splendore e poi, sotto sotto, erano tutto fumo e niente arrosto. Loro erano belle, erano sensuali, ma cantavano anche canzoni hard rock che facevano ballare e saltare. Loro coinvolgevano il pubblico, lo animavano e tramite i loro testi miravano ad insegnargli qualcosa.

 

Avalon!” Hilary lo urlò nel microfono e in breve tutti i clienti le urlarono un ‘Yeah!!’ di risposta; la bruna sorrise, camminando con fare sicuro e spigliato sul palco e sorridendo.

“Julia è la nostra nuova batterista!” un applauso assordante si propagò per tutto il locale. “Non è stata magnifica?” Qualche gli applausi continuarono seguiti da qualche urletto derivante specie dal pubblico maschile. “E, adesso… Una sorpresa!” battendo il piede a tempo, fece cenno alle ragazze che le stavano dietro.

 

I'm not listening to you
I am wandering right through

Existence
With no purpose and no drive

'Cause in the end we're all alive, alive”

 

Era incredibile come il pubblico fosse ipnotizzato durante il concerto: non si voleva minimamente schiodare da dove si trovava, rideva alle battute di Hilary tra una canzone e l’altra, ballava, saltava, e solo e soltanto quando lei stessa diede la buonanotte, due ore più tardi, metà della gente se ne andò dal locale.

Mao si accorse di essere quasi senza voce: aveva urlato, riso e gridato tanto quanto il pubblico circostante, sperava solo di recuperare il tutto entro l’indomani.

Quando Hilary scese dal palco assieme alle sue amiche, venne praticamente assaltata dai fan: se non ci fossero stati due buttafuori alti e dallo sguardo minaccioso a proteggerle, sarebbero state sommerse dalla folla.

 

All’Avalon c’era un privee come nelle discoteche, che sin dall’inizio della serata era stato occupato prontamente dai Neoborg per stare un po’ in pace, ma quando le ragazze finirono di esibirsi, si rifugiarono lì il tempo sufficiente per riposarsi.

Hilary fece cenno a Mao e Mariam, e anche a qualche altro di seguirla; quando furono al sicuro Julia si sedette sul divanetto, stanchissima, e alzò lo sguardo solo per incontrare degli occhi di ghiaccio che si erano fissati sulle sue autoreggenti lasciate scoperte dalla gonna.

Semplicemente, inarcò le sopracciglia e accavallò le gambe, cercando di tirar giù l’indumento per quanto possibile e mettendosi ad ascoltare gli altri che stavano festeggiando Hilary, dando i loro pareri sulla serata.

 

“Che stronza!” Takao era elettrizzato, euforico, emozionato come se avesse cantato lui. “E’ stata una sorpresa meravigliosa, non potevo crederci! Sei stata fortissima, siete state fenomenali!”

 

Hilary rise, lasciandosi andare a sua volta sul divanetto, visibilmente stanca. “Ragazze, sedetevi!” fece, nella direzione di Kassie e Trisha.

 

Quelle scossero la testa. “No, noi andiamo, ti lasciamo con i tuoi amici. Piacere di avervi conosciuti.” E con un cenno se ne andarono, seguite dal saluto di tutti.

 

“Sono d’accordo con Takao.” aggiunse Max, sedendosi accanto alla bruna. “You’re wonderful!”

 

Raùl fissò la sorella. “E tu che ci facevi lì?”

 

Lo sabes quétocar la baterìa.” replicò quella, lisciandosi i capelli dai riflessi ramati.

 

Mao sorrise. “Per colpa vostra sono messa malissimo con la voce: domani al lavoro sarò nei guai.”

 

Diverse paia di occhi la fissarono, curiosi. “Lavoro?”

 

Annuì, entusiasta. “Ho urtato un cameriere, ho salvato diverse paia di drink, ho conosciuto il proprietario..! Lavorerò qui come cameriera!”

 

Dando voce ai pensieri di tutti che la fissavano attoniti, Hilary fischiò. “Non possiamo lasciarti sola un attimo che scateni il finimondo… La profezia maya è colpa tua, a questo punto!”

 

 

 

 

 

Il locale si svuotò solo un’ora e mezza dopo e, alle cinque meno un quarto di mattina, le ragazze poterono trasferirsi dal privee al locale vero e proprio. Mariam poté finalmente rilassarsi: era stata tesa come una corda di violino per tutto il tempo in cui aveva avuto Max nel raggio di un chilometro circostante, e Hilary e Julia poterono essere pagate.

La spagnola, ricevendo la sua prima piccola parte di stipendio si sentì felice ed appagata come non mai: quella sera aveva potuto scatenarsi, divertirsi, avere una di quelle serate come piacevano a lei, e in più stava ricevendo dei soldi che contribuivano ad alimentare il suo budget personale.

 

“Fenomenale come al solito.” Mitch sorrise nella loro direzione, per poi ritrovarsi a sgranare gli occhi. “Tu non sei la ragazza di prima?” Mao annuì. “La conosci, Hilary?”

 

“Hai fatto un affarone.” la bruna assunse l’espressione di chi la sapeva lunga. “Mao è una delle ragazze più sistemate, efficienti e in gamba che conosca.”

 

L’uomo richiamò dal bancone un ragazzo. “Non ne dubito: dopo anni di lavoro, certe persone le riconosco dallo sguardo.” il cameriere si avvicinò reggendo un taccuino. “Al, prendi le ordinazioni di queste ragazze; offre la casa, e non dimenticarti dei suoi dati: finalmente abbiamo la nuova cameriera.” Gli disse, riferendosi a Mao.

 

Il ragazzo, un moretto slavato e brufoloso, si esibì in un sorriso che faceva intendere abbastanza circa le sue intenzioni. “Non posso prendere i dati di quest’altra?” esclamò, nella direzione della ragazza dai capelli neri. “E’ piuttosto carina…”

 

Mariam inarcò pericolosamente un sopracciglio. “Accanto a te lo sarebbe pure Spongebob.” lo freddò, facendo scoppiare a ridere tutti e sbuffare il ragazzo.

 

“Ti è andata male, Al!” Lo prese in giro il capo, ancora divertito. “Dammi il taccuino, ci penso io.” il ragazzo se ne andò con la coda tra le gambe, non facendo smettere l’uomo di sorridere. “Che cosa vi faccio portare?”

 

Hilary si morse le labbra, pensando. “Un ultimo giro di sex on the beach, che è leggero e fruttato?” le altre scrollarono le spalle, annuendo. “Aggiudicato!”

 

“Arrivano subito.” Assicurò, dando il taccuino ad una cameriera che passava di lì, poi si rivolse a Mao. “Per caso oltre ad avere i riflessi pronti e un equilibrio notevole, sai fare anche la barista?”

 

Lei arrossì. “No, signore.”

 

Una smorfia che non poté evitare si fece largo sul viso dell’uomo. “Non importa, vorrà dire che ti limiterai a servire ai tavoli.”

 

Hilary intervenne immediatamente. “Se cerchi una brava barista, è qui: Mariam a sedici anni ha lavorato a Dublino per un anno in un pub; vero Mari?”

 

La mora non fece una piega. “Sì, ho imparato ad ottenere e shakerare tutti i tipi di cocktail.”

 

L’uomo fece un sorriso a trentadue denti. “Meraviglioso: in una serata ottengo barista e cameriera.” fece, in visibilio. Disse loro del compenso, delle ferie e degli orari, che le due mostrarono di poter grandemente accettare, dopodiché passarono i minuti seguenti a dettargli i loro dati.

 

“E basta, Mitch, voglio un attimo chiacchierare con le mie amiche, sparisci!” sbottò Hilary, ridendo. “E fai aggiungere all’ordinazione i cornetti caldi che tra un po’ sfornerete.”

 

L’uomo non poté far altro che sorridere e scuotere la testa. “Tra un’ora vi chiamo un taxi?” la ragazza annuì e gli fece cenno di andare.

 

“Avete molta confidenza.” notò Mao.

 

La bruna scrollò le spalle. “E’ molto alla mano, è negli affari da una vita, sa quando si può fidare di una persona solo avendoci a che fare due secondi.” e, mentre raccontava della prima volta in cui era entrata nel locale e gli aveva chiesto di cantare lì, arrivarono i drink. Accompagnati da una rosa.

 

“Per te, Hilary.” Spiegò la cameriera, una giovane donna sui ventotto anni. “Un ragazzo qui fuori ha insistito per fartela avere.”

 

Le amiche fischiarono, prendendola in giro. “Ammiratori, eh?”

 

La bruna sospirò, mettendola da parte. “Nient’altro che idioti.” Spiegò, con il tono di una che ha già catalogato il genere. “Incredibile quanto nella vita abbondino i maschi ma scarseggino gli uomini.” Scrollò le spalle, riprendendo a sorseggiare il suo drink.

 

Mao e Mariam ammutolirono, colpite dalla veridicità di quella frase mentre Julia aggrottò la fronte. “E da quand’è che hai iniziato a pensarla così?”

 

Posando il bicchiere, la bruna si morse le labbra. “Da quando ho aperto gli occhi, vuoi dire? Credo sia stata New York ad aprirmeli. Insomma, non si può dire che esista il vero amore né che ci siano santi, o che quando ti corteggiano abbiano buone intenzioni-”

 

Mao prese a fissarla male. “Ora stai esagerando.” Soffiò. “Secondo me il vero amore esiste. Stai facendo di tutta l’erba un fascio, e non so da quando tu abbia cambiato idea, ma esistono uomini, e uomini con buone intenzioni.”

 

Hilary evitò accuratamente di farle notare che stava parlando una che a vent’anni si ritrovava in una situazione di merda: sarebbe stato un colpo veramente basso. Scelse la diplomazia. “Dolcezza, ogni uomo ha cattive intenzioni.” Fece, accavallando le gambe e finendo definitivamente il drink. “E per forza faccio di tutta l’erba un fascio: loro sono così. Hai parlato di vero amore? E lui chi è? Il millantatore, quello che fa promesse o quello che implora la mamma?”

 

Prima che potesse scatenarsi una guerra intervenne Julia che batté le mani facendo risuonare le miriadi di braccialetti che aveva ai polsi. “Hemos descubierto muchas cosas nobre nosotros.” Esclamò, con un tono più allegro possibile.

 

Le altre tre si fissarono, consce che in quell’anno in cui erano state lontane, oltre alle lettere, alle mail, alle telefonate, c’erano altri fatti che ognuna di loro aveva tenuto nascosto alle altre.

“Io sono d’accordo con Hilary.” Disse Mariam, estraendo il pacchetto di sigarette per poi riporlo dov’era quando vide il cartello vietato fumare.

 

Mao non smetteva di fissare la sua amica giapponese: la conosceva dal terzo campionato mondiale, era sempre stata una ragazza energica, spontanea, a tratti timida, assennata, ma non aveva mai avuto idee strane per la testa. Di sicuro non aveva pensato che il vivere in una metropoli potesse pregiudicare un suo cambiamento così radicale; stava scoprendo, in quel frangente, un lato di lei che non era sicuro le piacesse. “Io continuo a dissentire.” Fece lentamente. “E alla fin fine credo che ognuna di noi sogni la storia d’amore ideale, anche a New York.”

 

Un enorme sbuffo provenne dalle labbra di Hilary che roteò gli occhi, per poi ridacchiare. “Tesoro, è finita l'era dell'anti-innocenza: qui le persone girano come delle trottole ventiquattr'ore al giorno per lavorare, studiare, e per fare sesso - hai capito bene: Sesso! – Cupido è volato via dal condominio sdegnato e il principe azzurro per la disperazione è diventato gay!”

“A parte che per me uno che gironzola in calzamaglia azzurra con addosso un cappello piumato su un cavallo bianco è gay-” Julia scoppiò a ridere, Mariam le strinse la mano. “Poi non esiste. Ci ho pensato, ripensato, e mi sono detta: ehi, io sono troppo, troppo egoista per i rapporti di coppia. Poi… Perché accontentarsi di uno quando posso averne più di uno?”

 

Julia scosse la testa. “Chica, ¡tu es la mi dea!”

 

Mao era sconvolta. “Ma così i ragazzi ti sfruttano… E poi diventi-”

 

Hilary sorseggiò tranquillamente il suo drink. “Oh, no: sei tu che sfrutti loro. Una cosa alla: ehi, bambino, ora devo andare, se fai il bravo ti richiamo. Sesso puro. Zero coinvolgimenti. E non si diventa niente.” Fece, guardandola negli occhi. “Siamo a New York, non in un villaggio chissà dove.”

 

Mao scosse la testa. “Io non sono d’accordo: è… E’ come diventare cattive.”

 

“Le brave ragazze diventano cattive perché i ragazzi le trascurano.” Mariam non si rese conto nemmeno di averlo detto, ma non appena l’attenzione si spostò su di lei, distolse lo sguardo.

 

Hilary percepì la riluttanza dell’amica a parlare della sua situazione, e prese in mano la conversazione. “Beh, è una mia filosofia di vita, e io mi ci trovo benissimo.”

 

Julia era entusiasta. “Posso farla mia?” chiese, rivolta all’amica che rise in risposta. A pensar bien, todas, aquìAvremmo un motivo per farlo.” Fece, continuando in inglese per l’occhiata che Hilary le lanciò. “Mariam è incazzata con Max per chissà quale oscuro motivo, Rei è un idiota che fa desesperar Mao, e yoMal de muchos, consuelo de tontosPara mi està bien.” lo disse con un’allegria fuori dal comune, battendo le mani, nemmeno fosse stato il giorno di natale.

 

Mao incrociò le braccia. “Solo perché ho… Qualche problema… Non mi sembra una buona ragione per adottare questo comportamento.” ribatté, quasi schifata.

 

Mariam la fissò, dura. “Te lo do io, un buon motivo.” replicò. “Hai passato vent’anni della tua vita dietro alla stessa persona, che a malapena si degna di chiederti come stai; se vuoi continuare così, padrona. Non venirti a lamentare se ti ritrovi a sessant’anni ancora nella stessa situazione, però.” le sue parole, gelide, dure e veritiere, ebbero il potere di far salire le lacrime agli occhi alla cinese.

 

“Oh, chica, ¡no lo hagas asì!” Julia finì il suo drink tutto in un colpo. “Le ragazzine piangono; le toste dicono vaffanculo!” la spagnola sorrise. “Diciamolo tutte: vaffanculo!” e mise una mano a mezz’aria, sorridendo.

 

Mariam ricambiò il sorriso: il discorso di Julia le aveva fatto dimenticare il nervoso accumulato. Non sapeva dove l’avrebbe portata quell’idea che in un altro contesto avrebbe definito malsana, ma sapeva che poteva essere un punto di partenza. “Vaffanculo!” esclamò, con aria complice, ponendo la mano dove l’aveva messa la spagnola.

 

Hilary era tutta un sorriso: non si aspettava che le sue amiche prendessero tanto sul serio questo discorso della sua filosofia di vita, ma già che c’era… Perché non appoggiarle?

“Vaffanculo!” la sua mano si andò a posizionare sopra quella di Julia e Mariam; dopo essersi fissate le tre, presero a guardare la cinese che, ad occhi sbarrati, ricambiava lo sguardo.

 

La capivano. Quella parola avrebbe significato rivoltare vent’anni della sua vita, cambiare modo di pensare, di agire… Non era semplice per lei, non lo era affatto.

 

Mordendosi le labbra e in una frazione di secondo fissando le sue amiche che a sua volta la fissavano, Mao si chiese se la loro era pazzia o coraggio; in entrambi i casi non le capiva. E non capiva nemmeno lei, che alla sua età stava nella sua situazione assurda.

Sentendo il suo cuore battere – il tutto in un lasso di tempo veramente minimo – davanti agli occhi le si parò un flashback di quand’era piccola, di quando si era dichiarata, e di quando aveva annunciata di andare a vivere da sola.

Una grande rabbia si impossessò di lei, e il suo cuore prese a battere in maniera frenetica, come impazzito.

 

Al diavolo. Anzi, no.

 

“Vaffanculo!” e, quando lo fisse, tutte e quattro sentirono di essere giunte ad una tappa importante della loro amicizia, a qualcosa di nuovo, di non semplice, di tutto in salita.

Che avrebbero affrontato. Rigorosamente insieme.

 

 

 

 

Continua.

 

 

Le due canzoni citate sono “Miss Nothing” e “Zombie” dei Pretty Reckless

 

 

 

Ed è il secondo aggiornamento che faccio a mezzanotte, prima di partire, solo che stavolta mi auguro di partire veramente e di non star cinque ore a far la fila per il rimborso.

Maledetti scioperi! D:

 

 

 

 

 

*parte nona sinfonia di Beethoven*

 

Ed è da qui che si aprono le danze, cari miei. Preparatevi a tutto.

Ovviamente accetto ogni tipo di critica eo dissenso su ciò che ho scritto – liberissimi di pensare come la volete – ma che sia con le dovute motivazioni.

 

Non so se questo capitolo vi si risultato pesante o veramente troppo lungo – alla nona pagina si poteva tranquillamente dividere – ma non l’ho fatto per motivi schematici. u___u

 

Bando alle ciance, ci vediamo Martedì 20 con il prossimo capitolo: “Kick Ass”.

Chissà di chi saranno questi “Ass”..! è.é Beh, non tarderemo a scoprirlo.

 

 

 

 

A presto! ;D

 

Hiromi

 

 

 

   
 
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