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Autore: Il_Genio_del_Male    20/09/2011    9 recensioni
Di maghi pasticcioni, filtri d'amore, oscuri intrighi e risultati inaspettati. Tutta colpa (?) di un drago slasher...
Genere: Comico, Parodia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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DEDICA: A Cloud che è la mia fangirl preferita, a feyilin (ti sono vicina, sis) e a draco potter che mi ha suggerito l’inserimento della pubblicità occulta dei Pavesini.

NOTE: Rieccomi ad infestare il fandom! Se stavate iniziando a darmi per dispersa me ne scuso, ma ho trascorso qualche giorno a Vienna e non mi sono portata dietro il pc per aggiornare. Veniamo al capitolo in questione... Ricordate che vi avevo promesso che il precedente avrebbe segnato la fine dell’antefatto? Ecco, resettate. *si scansa per evitare i pomodori marci* Purtroppo la mia Musa ha deciso altrimenti, quindi temo che vi dovrete sorbire i retroscena ancora per un po’, ma non temete: ne succederanno comunque di cotte e di crude.  

Spero di cuore che vi piaccia, perché mi sono fatta prendere un tantino la mano dal delirio fangirleggiante e slasher.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

Quello che seguì fu l’inizio della fine.

O meglio, per Merlin segnò la fine della relativa e discreta pace di cui aveva goduto durante la sua permanenza a Camelot prima di quel maledetto giorno.

L’unica nota positiva di tutta l’incresciosa vicenda era che il malefico piano di Morgause, che prevedeva la prematura dipartita dei Pendragon, era andato a farsi benedire. Anche se, col senno di poi, a Merlin avrebbe fatto comodo che almeno l’Asino venisse eliminato, fatto fuori, kaputt.

Davvero beffardo, il destino: due anni trascorsi a farsi in quattro per vegliare sull’incolumità di Arthur, e adesso invece non avrebbe esitato a porre fine personalmente alla sua inutile esistenza. Qualsiasi sentimento d’amore avesse provato in passato per il principe era (temporaneamente) morto, soffocato da un crescente senso d’irritazione misto ad esasperazione che aumentava di giorno in giorno, di ora in ora.

Il gesto di spruzzare il dannato filtro che aveva unito in un pornografico slinguazzamento Uther e Cenred sugli occhi del principe era stato sì inconsulto ed avventato, ma puramente istintivo, con l’unico scopo di liberarsi dalla presa ferrea dell’altro per mettersi in salvo. Ad essergli fatale, in verità, era stato lo straordinario tempismo della Polisucco, che aveva pensato bene di esaurire il suo effetto proprio quando Arthur era ormai sotto l’influsso di quello che era, senza più ombra di dubbio, un filtro d’amore potentissimo.

“Merlin” aveva esalato il principe con sguardo rapito, tendendo una mano verso il servitore per aiutarlo a rialzarsi.

“S-sire, voglio dire, mio signore” aveva balbettato in risposta Merlin con impacciato distacco.

La corte intera, a quel punto, non sapeva più su quale delle due coppiette presenti in Sala concentrare la propria attenzione, sicché faceva la spola dall’una -i sovrani un tempo nemici e ora pomicioni da far schifo- all’altra, ovvero l’erede al trono che fissava con gli occhi a cuoricino il proprio esile e goffo valletto ancora col culo a terra.

“Il tono formale con cui ti rivolgi a me mi ferisce, Merlin caro. Torna a pronunciare il mio nome come eri solito fare: sulle tue labbra ha un suono così dolce e armonioso!” aveva esclamato l’Asino Reale con voce vibrante d’emozione e la mano sempre tesa verso l’altro.

“Ma anche no… C-cioè, non mi sembra il caso” aveva replicato il mago con scemata veemenza (in nome del Grande Puffo, perché non sapeva resistere agli occhi luccicanti di Arthur?).

“Non dire castronerie, cuor mio. Ma orsù dunque, alzati ché ci stanno fissando tutti con gli occhi fuori dalle orbite. Chissà perché, poi” aveva blaterato l’aitante maschione tra sé e sé mentre Merlin si appigliava alla sua mano e si tirava su, vagamente intimidito.

“Sire -volevo dire, Arthur- potreste per cortesia lasciar andare il mio polso? E’ imbarazzante” aveva borbottato, riferendosi alla delicata tenaglia con cui il principe sembrava volerlo tenere appiccicato a sé.

“Per quale motivo dovrei?” l’aveva sfidato l’altro.

I due si erano scambiati un’occhiata significativa.

“Non ho intenzione alcuna di svanire nel nulla o di darmi alla macchia, Sire” aveva mentito spudoratamente Merlin.

“E ti aspetti che io creda ad un pessimo bugiardo come te? Suvvia Merlin: sono innamorato, mica scemo!”

“Io non ci giurerei, mio signore” aveva cercato di cambiare discorso.

“E non provare a cambiare discorso, tanto non ci casco”.

Come non detto.

Il piccolo Dumbo (ops) aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato.

“Per tutte le carote di Britannia, siate ragionevole! Fino ad una clessidra fa non mi filavate di striscio”.

“Merlin. Merlin. Merlin. Merlin” Arthur aveva scosso la testa con commiserazione di fronte a tanta deliziosa ottusità. “E’ ovvio che mi piacevi già da prima, semplicemente mi sono innamorato di te adesso. Cosa c’è di strano?”

“Dite così solo perché al momento non siete in voi. Ma non preoccupatevi, troverò un modo per aggiustare ogni cosa. Così voi potrete tornare ad ignorarmi e ad andare a caccia di gonnelle”.

La stretta sul suo polso si era intensificata, la voce di Arthur si era fatta più grave.

“Merlin, mio adorabile idiota, ascoltami una buona volta. Non so bene quali pensieri frullino nella tua bella testolina, ma di una cosa sono certo: mi sono innamorato di te, non importa quando e per quale motivo. Ti amo e tanto mi basta; se fossi onesto con te stesso non aspetteresti un attimo di più per gettarti tra la mie braccia. Perché anche tu mi ami, benché alquanto restio ad ammetterlo” aveva concluso il monologo piuttosto tronfio.

“Santa barbabietola, non vi ho mai sentito pronunciare tante idiozie tutte in una volta”.

“Smettila di tirare in ballo degli ortaggi innocenti e dimmi quel che voglio sentirmi dire, da bravo” gli aveva ordinato dolcemente Arthur.

“MAI!” era esploso Merlin con un’espressione sul volto a metà tra il vergognoso e il se-gli-sguardi-potessero-uccidere-tu-ti-troveresti-tre-metri-sotto-terra.

“Ma perché, colombello mio? Sappiamo entrambi che è la verità” aveva tubato con fare suadente il regal babbeo.

“Devo pur difendermi dai miei sentimenti per voi” era capitolato il nostro eroe con le gote purpuree e gli occhi bassi e una certa fierezza nel modo di chinare il capo e di serrare i pugni per il troppo imbarazzo che aveva strappato all’altro un sorriso intenerito ma pur sempre tronfio. Gli aveva circondato il magro torace con il braccio non impegnato a cingergli il polso, con un trasporto ed una disinvoltura a lui sconosciute.

La corte -esclusi i sovrani, sempre intenti a limonare e a non staccarsi le mani di dosso- a quel punto aveva trattenuto il fiato, conscia che quello fosse un momento topico. Arthur aveva portato la fronte a contatto con quella del suo innamorato, lasciando solo pochi centimetri a dividere le loro labbra.

“E adesso, tortellino mio, direi che un bello slinguazzamento per la gioia delle fangirl che ci guardano ci sta tutto, no?” aveva proposto sornione ed un poco arrapato.

“ARTHUR!” aveva urlato in risposta Merlin mollandogli un ceffone niente male.

E’ proprio il caso di dirlo: Pendragon junior vide le stelle, ma la cosa non scalfì il suo orgoglio asinino neanche un po’.

 

 

Nel giro di pochi giorni la notizia dell’inaspettata e scabrosa love story tra Uther Pendragon e Cenred (cognome non pervenuto, sorry), per non parlare della cotta fulminante del Principe, aveva fatto il giro dell’intera Britanna, rischiando anche di giungere alle orecchie dei regnanti d’oltremare. Tutto merito di Qui, la rivista di gossip più venduta dell’isola, e del suo malizioso nonché gayssimo direttore Alphonsus Dominini, al cui radar capta-pettegolezzi nulla sfuggiva. Non venne mai scoperto il nome del delatore.

Fu così che il popolo britannico diede prova di essere già molto avanti in quanto ad apertura mentale e tolleranza, poiché la scottante novella non scandalizzò o infastidì anima viva. Non mancarono i soliti saputelli che sentenziarono solennemente che loro l’avevano sempre sospettato, che quei due non l’avevano mai raccontata giusta. Fioccarono battutine irriverenti e motti di spirito osé riguardanti la gaiezza ereditaria dei Pendragon, della loro abilità a cavalcare i destrieri più imbizzarriti e nel maneggiare lance acuminate (e qui ci fermiamo, perché come già ribadito in precedenza la storia è a rating verde/giallo), ma senza alcun intento malevolo.

Ciò non toglie, tuttavia, che a Camelot il coming out dei reali ebbe un impatto non da poco. Il volgo si mostrò dapprima perplesso; ben presto tornò a concentrarsi sulla vita di tutti i giorni, ché di tempo per star dietro ai capricci e alle stramberie dei nobili non ne aveva. I membri della corte ed i cavalieri manifestarono un persistente e durevole imbarazzo, che non accennava a diminuire a causa dei frequenti e rumorosi -che Lord Voldemort mi perdoni- rendez-vous notturni, ma soprattutto diurni, della coppia formata da Uther e Cenred. Il sovrano di Camelot era talmente impegnato a dichiarare amore eterno al suo uomo, da aver lasciato il gravoso compito di mandare avanti la baracca al giovane Arthur con l’ausilio di vari ministri e consiglieri.

Che poi, mormoravano le malelingue, anche sul principe ci sarebbe stato molto da ridire. Egli infatti prestava distrattamente attenzione alle incombenze che gli spettavano in quanto vice re, si presentava in ritardo ai concili e agli allenamenti e vagava per il castello (marcondirondirondello) con un sorriso beota e beato sul volto, impiegando la maggior parte delle sue energie e del suo tempo libero a tartassare la sua anima gemella con profferte amorose più o meno sfacciate.

Il povero Merlin, di conseguenza, si era ingegnato lungamente su come dribblare gli amorosi assalti tesigli dall’Asino Reale. Pur avendo pubblicamente ammesso i suoi sentimenti -benedetta Mordor, che vergogna!- era ben lungi dal lasciarsi irretire dalle sue avances e a concederglisi a cuor leggero. Non che non lo avrebbe desiderato, figuriamoci, ma era perfettamente conscio del fatto che l’infatuazione di Arthur, per quanto lusinghiera potesse essere per il suo ego, era dovuta unicamente a quel filtro del ciufolo e che presto o tardi l’effetto si sarebbe esaurito. O almeno così riteneva, perché il drago aveva accuratamente omesso parecchie cosette al riguardo.

Per queste motivazioni, dunque, il mago aveva cercato quanto più possibile di evitare il suo signore e, onde sedarne i bollenti spiriti, si era lanciato in lodi sperticate alle più avvenenti dame del castello (marcondirondirondello) e in particolare a Gwen, nella speranza che l’altro cogliesse l’antifona. Si era dovuto tuttavia arrendere, poiché l’unico risultato ottenuto era stato di far ingelosire quel cretino, che per ripicca si era fatto ancora più appiccicoso e impudente.

A ciò pensava Merlin vagando per il palazzo, quando…

“Merlin, virgulto di primavera bagnato di rugiada e presto anche del mio seme! Ti stavo cercando” lo gelò la voce insinuante di Arthur, che con un sorrisetto compiaciuto lo intrappolò in un angolo buio di un corridoio altrettanto buio e poco frequentato del terzo piano.

Il servitore, che pensava di averlo seminato, si divise equamente tra il panico dovuto al fatto di trovarsi alla mercé del principe e il disagio derivato dalla neanche troppo sottile allusione sessuale. Sicché, col cuore in gola ed il viso in fiamme, simulò malamente una grande pace interiore mentre gli rispondeva a tono.

“Davvero, Arthur? Desiderate chiedermi qualcosa?”

“Sì: secondo te cosa fa Federica Pellegrini quando non nuota?”

“Eh?” ribatté preso in contropiede.

“Chupa!” scoppiò a ridere l’altro senza ritegno, neanche fosse un marmocchio di cinque anni –il che non era da escludere a priori, in effetti.

“Arthur, per carità, ricomponetevi e comportatevi da persona seria quale dovreste essere” sbuffò  infastidito, incrociando le braccia al petto.

“E’ anche per questo che mi piaci, lo sai Merlin?” Arthur tornò serio. “Non esiti a rispondermi per le rime e a rimbrottarmi quando necessario, non cerchi di conquistare la mia benevolenza con mille salamelecchi e sei così diretto, pure troppo. Prima di innamorarmi di te la tua brutalità mi dava sui nervi proprio perché sapevo di meritarmela, per questo ti ho mandato alla gogna innumerevoli volte” continuò come a scusarsi.

“Bei tempi, quelli” esclamò Merlin roteando teatralmente gli occhi, scherzando solo in parte.

Si irrigidì un poco quando l’altro lo tirò affettuosamente per il fazzoletto che portava annodato al collo, avvicinando così i loro visi in modo preoccupante.

“Qui a corte e in città mi invidieranno in molti, visto che sono riuscito ad accalappiare il migliore partito di tutta Camelot” mormorò con tono intimo.

“E’ la checca che è in te a parlare, adesso” Merlin inarcò dubbioso un sopracciglio, passando al ‘tu’ senza accorgersene.

Arthur a quel punto lo omaggiò di una delle sue risate a gola spiegata che mettevano in bella mostra la sua chiostra di denti bianchissimi e lievemente irregolari, e che facevano tremare le ginocchia di più di una fanciulla (e di un fanciullo a noi caro). Fu esclusivamente grazie a quella visione di fossette e labbra carnose curvate all’insù che l’Asino riuscì a rubargli un bacio senza che lui protestasse; così Merlin giustificò la sua arrendevolezza, mentendo fino ad un certo punto.

 

 

Se da una parte Pendragon padre non aveva dato mostra di essersi accorto della tresca di suo figlio, dall’altra essa suscitò il sincero interesse dei familiari e degli amici intimi di entrambi i ragazzi.

Hunith, pazza di gioia, appese sulla porta di casa una bandiera arcobaleno e intontì le malcapitate comari di Ealdor con farneticanti discorsi riguardanti unicorni, fanfiction e slash. Gaius, mantenendo un certo riserbo, espresse il suo sostegno a Merlin strizzandogli l’occhio con aria complice ed offrendosi di spiegargli come funzionavano i fatti della vita.

Morgana, neanche a farlo apposta, si rivelò essere una fervente fangirl che shippava i due “tontoloni innamorati” praticamente da sempre. Tirando anche lei in ballo le fanfiction (Arthur non era sicuro di voler scoprire di cosa si trattassero), tempestò sia il fratellastro sia il suo amichetto di domande assurde: “Chi di voi è il top e chi il bottom?”, “Quanto spesso lo fate?”, “Avete mai praticato il BDSM?”, “Posso scrivere una lemon su di voi?” e così via. Se non fosse stato che in questo modo la ragazza non aveva più il tempo di tramare alle spalle di Uther con la complicità della sorella, Merlin l’avrebbe già messa a dormire con i pesci, come insegnava il buon Don Vito Corleone. Al gruppo di supporto della giovane coppia si aggiunsero anche i cavalieri di Camelot e due nostre vecchie conoscenze, Albus e Gellert. Totalmente ignari del fatto che il giovane mago li avesse visti all’opera, i diabolici amanti non perdevano occasione per scambiare occhiate d’intesa con i piccioncini e salutarli con tanto di manina ogni qualvolta li incrociavano nei corridoi. Arrivarono persino a regalare loro due spille multicolori (arcobaleno, ovviamente) che recitavano: Per il Bene Superiore. Forse avevano semplicemente esagerato col Blumele.

Le uniche persone che non fecero esattamente i salti di gioia e anzi si incazzarono come banshee furono Morgause e Gwen, entrambe per ovvi motivi.

Per l’ennesima volta la strega aveva visto andare in fumo di fronte ai suoi costernati occhi la possibilità di fare scacco matto ai Pendragon e nuovamente a causa di quel Merlin. Era quindi comprensibile che le girassero alquanto, tanto più che, pur rassegnatasi all’idea che Cenred non sarebbe uscito dalla camera da letto di Uther per i prossimi anni, non poteva nemmeno contare sull’aiuto di Morgana. Aveva provato a parlarle, ma la sorella aveva liquidato il luogotenente platinato (non dimentichiamoci del suo travestimento) frettolosamente, mormorando qualcosa come “fandom”, “NC-17” e “rating rosso”. Sicché la povera donna non sapeva più con quale santo, divinità, daimon, entità o forza oscura prendersela.

Altro discorso per Gwen. La donzella già si immaginava con la corona sul capo e dozzine di cavalieri ansiosi di servirla, in tutti i sensi, e con cui cornificare Arthur. Non le importava granché sposare un uomo che avrebbe amato sempre e soltanto il suo fedele servitore -non ci voleva un genio per capirlo, filtro o non filtro- perché a sua volta ella nel cuore e nella mente serbava il ricordo di Lancelot. Ma ormai ogni speranza di imparentarsi con la famiglia reale era perduta. La cocente delusione fece emergere il lato più meschino della ragazza, che senza soluzione di continuità insultò pesantemente il principe, accusandolo di essersi servito di lei come specchietto per le allodole, e tagliò i ponti con quell’intrigante di Merlin, reo di averle soffiato il posto di futura regale consorte.

I nostri eroi però non ebbero occasione per soffrirne troppo o farsi dilaniare dai sensi di colpa, giacché esattamente una settimana dopo l’uscita dell’ultimo numero di Qui fecero il loro arrivo a Camelot due ospiti inattesi e quanto mai graditi: Lancelot e Gwaine.

 

 

 

 

Uff, che fatica! Odio scrivere al computer, mi si incrociano gli occhi e ho sempre il terrore di lasciarmi scappare qualche errore di battitura. Ma questa storia mi da troppe soddisfazioni e voi lettrici siete fantastiche, quindi non mi lamento affatto.

Allora, che ve ne pare? Aspetto con trepidazione -e un po’ di ansia- i vostri pareri…

Un grazie sentito e di cuore a chi segue, preferisce e ricorda e soprattutto alle fedelissime che recensiscono ogni capitolo.

Love you girls!

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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