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Autore: Ziggie    20/09/2011    3 recensioni
E rieccomi qui a scrivere di nuovo del capitan Barbossa. Nei frammenti precedenti ho narrato della sua storia prendendo spunto da situazioni accennate nella sua biografia, qui invecce si cambia musica. In questa storia Hector narrerà dei propri pensieri, delle proprie sensazioni di fronte a quanto ha vissuto: morte, resurrezione e tutte le altre imprese alquanto epiche che lo hanno accerchiato nel corso della saga. Quindi non mi resta che augurarvi buona lettura ;)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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 E rieccomi qui con il settimo frammento, facendo i conti ne verranno anche qui 13, come il racconto precedente :D
Come al solito vi faccio notare che le battute sono riprese dal terzo film della saga e che questa è sempre un'introspezione vista dal capitan Barbossa. Non credo ci sia altro da dire quindi ;) Buona lettura.
Capitan Ile

 

         7. Due capitani e una nave
 

Credo che, se mastro Pintel non ci avesse fermato, saremmo andati avanti in eterno con quella discussione. Che strazio! L’avevo appena recuperato e già volevo buttarlo a mare!

- Il capitano da gli ordini – aveva esordito, con gli occhi che quasi gli strabuzzavano dalle orbite.
- Il capitano, infatti, sta dando gli ordini -. Aveva navigato con la Perla per quei due anni, giusto perché mi aveva lasciato un ricordino nel petto, doveva ringraziare la sua fortuna e non le sue doti, che tanto esaltava.
- Mia la nave, io capitano – sospirai, sempre la stessa solfa.
- Ma mie le carte! – e senza quelle si sarebbe scordato di tornare nel mondo che aveva lasciato e che ora, citando lui stesso, stava andando in malora.
- Allora tu… cartomante! – Alzai gli occhi al cielo. Detestavo il fatto che voleva avere sempre l’ultima parola, peggio di un bambino che si sente minacciato da qualcuno che gli vuole rubare il suo giocattolo preferito: ecco, quella era, bene o male, la nostra situazione.

Due capitani che si contendono la sposa. Io ne ero il più avvezzo e più dotato: l’anima cupa e la mia eleganza si sposavano, perfettamente, con la linea nera della dama dell’oscurità: raffinata a contatto delle onde; elegante nei suoi meandri.
No, non era la nave per Jack. Un galeone rispecchia l’io del proprio capitano, lo annuncia agli altri e, Sparrow, di cupo e raffinato non aveva proprio nulla.

Salimmo sul cassero di poppa: la competizione non era affatto terminata.
Dovevamo fare vela verso nord; studiai il vento e presi il mio cannocchiale, un classico strumento nautico di medie dimensioni, e scrutai l’orizzonte, tranquillo, ma curioso di vedere la prossima mossa di Sparrow.
Jack mi imitò, ma per sua grande sfortuna, e mio enorme piacere, il suo strumento non era neanche la metà del mio: quindi, come pretendeva di penetrare la Perla? Ridacchiai, mentre lo osservavo allontanarsi, tornando a studiare l’orizzonte.

Il sipario calò sulla giornata, lasciando spazio al manto oscuro della notte, ma non calò sui nostri dissidi: gli avrei volentieri sparato in fronte, se non mi fosse servito per liberarmi dal vincolo, che avevo con la dea del mare.
Eravamo in cabina. L’ultima volta che ci trovammo entrambi lì: la vetrata di poppa era intatta, i mobili e gli oggetti in ordine e Sparrow, se ne stava spaparanzato di fronte a me, gustandosi una delle mie mele. Ora, era come se fosse passato un uragano: la vetrata era sventrata; tutto era a soqquadro; l’unica cosa che non era cambiata era la presenza di Sparrow, sempre svaccato sulla sedia a guardarmi.

- Vedo che non hai tralasciato di curarti della mia nave – gli feci notare, passeggiando avanti e indietro, in mezzo a quel marasma di oggetti.
- Cosa? Per questo? – prese il suo cappello, dalla testa della mia scimmietta, e se lo sventolò sul viso. – Questo si chiama ventilare. Per far andar via il puzzo del proprietario precedente -. Feci un sorriso tirato: che gentile! Vedrai come provvederò a liberarmi nuovamente di te, Sparrow!

Dopo pochi istanti entrò Gibbs, che da quando avevamo ripreso il suo amato capitano, smaniava dalla voglia di tornare a fargli da leccapiedi, ma lo freddai subito con lo sguardo, freddando il suo entusiasmo. Quella nave, per il momento, aveva due capitani.

- Sono io il capitano del lato destro! – ringhiai – Due gradi a dritta. Adesso il capitano prenderà il timone -.Osservai Jack e poi corsi fuori, seguito a ruota da lui con la sua corsa ciondolante. Arrivammo sul cassero ed, io, aggiustai la rotta, che, dopo alcuni istanti, fu corretta da Jack. Continuammo così per svariati minuti finché afferrammo saldamente la ruota, come avvinghiati sopra, a reclamarne ciascuno la proprietà. Muovi di qui, tira di là: un gioco senza fine; Sparrow mi aveva trasportato  nella sua ludoteca. Alla fine ebbe la meglio, colpendomi i gioielli con  una manopola del timone: tutta invidia nei confronti del mio cannocchiale, ecco perché ha, volutamente, virato lì.

Non metto, però, in dubbio le sue argute attenzioni nello studiare le carte nautiche. Isolato, zitto, attento: non era da tutti i giorni quella visuale di Sparrow, ma io la ricordavo dai tempi della rotta per Isla de Muerta, quando passava le giornate intere chiuso in cabina.

Tornammo nel mondo di nostra competenza e sbrigai subito la faccenda: far capire a jack quanto il mondo che aveva lasciato fosse cambiato e, l’unico modo per sbrigare, velocemente, i fatti, era quello di mettere mano alle armi. Un vero peccato che si interposero tra noi Turner e Swann, troppi dissidi erano ancora aperti e riuscii a spiegare, giusto a grandi linee, il concetto di riunire la fratellanza a consiglio.

A poche miglia dalla costa c’era un’isola e noi avevamo bisogno di approvvigionamenti vari, non tanto per il cibo, quanto per l’acqua.

- C’è una sorgente d’acqua su quest’isola, potremmo farne provvista e poi riprendere a spararci più tardi – convenne Turner, dimostrando di aver studiato le carte.
- Tu guidi lo sbarco e io resto sulla mia nave -. Certo come se non spiegheresti le vele, eh, Jack?
- Non ce la lascio la mia nave al tuo comando – dettai.
- Perché non sbarcate tutti e due e lasciate, la nave, al mio comando? – chiese Turner sorridente. Che proposta signori! Sapevo quanto fosse avventato, ma non credevo fino al punto di proporsi capitano per qualche istante; Jack doveva essere del mio stesso parere, dato che come me, freddò il ragazzo con un’occhiata, che lo trapassò da parte a parte. – Nel frattempo – precisò il giovane, mettendo le mani avanti.

E così fu. Gettammo in mare due scialuppe e ci avviammo verso quella spiaggia dalla sabbia scura, che ospitava, un’altra volta per ironia della sorte, una vecchia conoscenza di Jack: la carcassa del kraken.

Approfittai del suo momento riflessivo e mi avvicinai a lui cauto; ora lo vedeva con i suoi occhi che il mondo non era più lo stesso e i pirati dovevano combattere, se volevano restare vivi.

Quello fu uno dei discorsi più seri che tenemmo, non un battibecco, non una lite, ma un semplice scambio di battute come si conviene a due compari che hanno condiviso insieme svariate avventure e che, ora, si ritrovano dopo aver visto, entrambi, le terre dell’aldilà.

Alla fine ottenni quanto volevo: la fratellanza sarebbe stata riunita, era solo questione di giorni. 
  
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