Serie TV > The Mentalist
Segui la storia  |       
Autore: CaptainKonny    20/09/2011    0 recensioni
Ho cercato di dare un pò di sollievo a Patrick, ma come tutti sapete per poter essere felici prima bisogna risolvere un sacco di problemi. Una Jisbon in cui Charlotte è ancora viva e questa è l'ultima mossa di John il Rosso... cosa succederà?
"So di aver fatto una cosa alquanto impossibile, ma ho voluto provare a fare qualcosa di diverso, una mia piccola e fantasiosa curiosità. Fatemi sapere che ne pensate... ;) :)"
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
DNA

DNA

 

POV.JANE

 

Tu stai lì

Lasci scivolare via

La realtà

Mentre un altro giorno vuoto se ne va

Ci sarebbe un prato immenso

Per rincorrere perdute libertà

Qui non c’è

Ma tu rimani indifferente perché

 

E un’altra giornata inizia, segno che il tempo non si ferma mai. Eppure la serata di ieri sera, così breve, era sembrata un’eternità. Io e Lisbon camminavamo verso la sala interrogatori. Era passata da poco l’ora di pranzo e noi stavamo tornando dopo una sosta per mangiare un panino. Era tutto il giorno che interrogavamo gli inservienti dell’orfanotrofio. Mancavano la direttrice e alcune ragazze, poi il lavoro pesante era finito: almeno per me. Entrammo nella stanza e ci sedemmo uno in parte all’altra. La donna, un’anziana signora alla Rottermeier del cartone Haidi, stava seduta dall’altra parte con uno sguardo triste e spaventato. Non riuscivo a capire se era più preoccupata per la ragazza deceduta o per il fatto di non disporre più dell’enorme ricchezza del patrimonio di famiglia della piccola.

-Signora Jones, che può dirci di Sharon?- domandò il mio capo.

-Sharon era una ragazza adorabile e per bene. Non si comportava mai male ed i suoi voti erano eccellenti.- rispose questa, mantenendo il suo fare da direttrice.

‘Antipatica!’

-E con gli altri ragazzi?- chiese ancora Lisbon.

-Era una ragazza dolcissima. Aveva un sacco di amiche e andava d’accordo con tutti.-

-Questo non è vero.- la interruppi io. Non mi piaceva quando le persone si autoconvincevano di cose evidentemente non vere.

-Prego?- fece questa, alquanto sorpresa dalla mia brusca interruzione.

-Sharon non andava d’accordo con tutti. Le ragazze che le andavano dietro erano amiche che le andavano a genio. Se le sceglieva, dico bene? E il fatto che fosse di buona famiglia ha influito sicuramente sui suoi voti e sul comportamento del personale nei confronti della ragazza, è così?-

La donna aprì e chiuse la bocca svariate volte prima di rispondere.

-Come si permette? Noi siamo brave persone.- alzò la voce.

-Non ne dubito. Non è da tutti prendersi cura di bambini che non sono propri e crescerli. Ma lo ammetta, quei soldi le facevano comodo… -

-Jane!- mi richiamò Lisbon.

La donna sembrava scandalizzata da tutto quello che avevo detto, eppure non negò niente.

-Lo neghi signora. Neghi quello che ho detto e le chiederò scusa.- dissi.

La donna mi guardò negli occhi per un lungo momento, ma alla fine sospirò.

-E’ vero, i soldi dei genitori di Sharon ci facevano comodo. Come dice lei, non è facile mandare avanti un orfanotrofio, specialmente se si tratta di molti ragazzi di caratteri e categorie sociali diverse. Sharon era brillante, sul serio. Sì, è vero era un po’ arrogante, ma certe volte aveva davvero delle idee originali. A parte qualche parola di troppo non ci sono mai stati particolari litigi infervorati, o qualcuno che si facesse male.-

-Signora, perché non ce lo ha detto subito?- chiese la mia collega.

-Ammettere di essere in difficoltà, non è facile agente Lisbon. Abbiamo bisogno di soldi e all’interno c’è gente che fa le differenze e chi non può permettersi di farle.-

-Non è una bella situazione.- concordai.

Io e Lisbon ci guardammo, quella donna non era sicuramente un’assassina. La rilasciammo pressochè subito. Ci mancavano ancora alcuni ragazzi e poi avevamo finito. ‘Finalmente!’

2 ORE DOPO

Quasi mi venne un colpo quando lessi l’ultimo nome della lista: Charlotte.

Ero tentato di chiedere a Lisbon di saltare quell’interrogatorio, lei avrebbe capito. Ma non aveva senso. Perché saltare quell’interrogatorio? È vero, mia figlia si chiamava Charlotte, ma era morta anni fa. Mi sarei lasciato condizionare dal suo nome per tutta la vita? Non potevo farlo, dovevo affrontare questa cosa. Per questo entrai nella stanza con un cuor da leone.

Ma due secondi dopo avevo un cuore d’agnello.

La ragazza che ci stava seduta davanti aveva sì e no sedici anni, l’età che avrebbe avuto adesso la mia bambina.

Aveva lunghi capelli biondi boccolosi portati sulle spalle, come quelli della mia bambina.

Due occhi di un azzurro intenso, come quelli che aveva preso da me la mia bambina.

Lo sguardo dolce, curioso e indagatore allo stesso tempo, che aveva la mia bambina. Una voglia di urlare mi esplose nel petto. Non parlai. Non dissi niente. Entrai nella stanza e mi misi a sedere dopo aver lanciato una fugace occhiate a quella figurina magra seduta di fronte a noi. Sul volto nessun sorriso, nessun segno baldanzoso, nessuna falsa espressione; solo una perfetta maschera seria, irremovibile. Il cuore mi batteva furioso contro lo sterno.

Indossava dei jeans blu a tre quarti, un maglione lungo a maniche corte marrone scuro e un foulard intorno al collo con varie tonalità di rosso e rosa. Ci guardava nascondendo abilmente la sua agitazione.

-Qui c’è scritto che ti chiami Charlotte.- fece Lisbon tranquillamente.

Da quando avevamo iniziato ad interrogare i ragazzi cercava sempre di non usare il tono severo e autoritario che usava con i detenuti o i sospettati.

La ragazza annuì.

-Quanti anni hai?-

-Sedici.-

-Ci puoi dire il tuo cognome?-

La ragazza si morse il labbro inferiore. Lo stomaco mi si arricciò. Ma perché?

-Non lo so. Io, non so chi siano i miei genitori.-

Vidi Lisbon fermarsi a bocca aperta, il respiro bloccato a metà. Non se lo aspettava. Io mi trattenevo per pura forza di volontà su quella sedia. Ma perché doveva essere tutto così difficile? Era solo una ragazzina…

-Mi dispiace.- disse la mia collega. ‘Quanto era dolce quando faceva così…’

-Non fa niente. Non poteva saperlo.- fece la ragazza in tono tranquillo.

I suoi occhi erano sinceri e il sorriso d’incoraggiamento che fece alla mia collega era un chiaro invito a non preoccuparsi e ad andare avanti. Anche Lisbon, con mia sorpresa, sorrise. La ragazza per una frazione di secondo mi guardò, intensamente, per poi distogliere lo sguardo.

-Da quanto tempo sei all’orfanotrofio?-

-Da sempre.- rispose lei alzando le spalle, quasi fosse ovvio.

-E da quanto conoscevi Sharon?-

-Sharon la conoscevo da quando era arrivata all’orfanotrofio due anni dopo di me.-

-Eravate amiche?-

-Non proprio. Abbiamo collaborato alcune volte per delle ricerche studio, ma non è che ci frenquentassimo.-

-A te non piaceva, vero?- intervenni io con mia grande sorpresa.

Lei mi guardò. Per un attimo sembrò spiazzata, indecisa se rispondermi o meno.

-No, non mi piaceva.-

-Perché?- chiese Lisbon, non capendo.

-Lei si dava arie e non le piaceva, è così?- risposi io per lei.

-No, non è affatto così. È vero si dava delle arie, ma non era quello il punto. Con la scusa che era una ragazza ricca aveva logicamente alcuni privilegi, tutti noi lo sapevamo che era così. Si comprava molte volte l’amicizia della gente. Il punto era che mentiva, era una persona falsa. Lei era la reginetta a cui tutti dovevano voler bene. Lei poteva fare e dire quello che voleva quando voleva. E a me non andava a genio. Aveva tentato più volte di avvicinarsi a me, ma ho rifiutato sempre il suo invito. Non mi piacciono le persone che giocano con i sentimenti degli altri.-

-Così l’ha uccisa?- intervenni duro.

Sbarrò gli occhi, presa di sorpresa. Andò in panico.

-Cosa? No! Assolutamente! Io non sono un’assassina!-

-Dov’era l’altra sera?-

-In camera mia.-

-Era sola?-

-Certamente. C’è il coprifuoco alle nove.- mi rispose seria.

Il suo volto ritraeva un’espressione dura e determinata, i suoi occhi erano sinceri. Non era stata lei a uccidere Sharon.

-Quindi non può provare di non essere stata lei?- concluse Lisbon.

Mi sentii morire. ‘No, Lisbon ti prego. Non farmi questo.’ Chiusi gli occhi traendo un respiro profondo. Lo sguardo della ragazza si dilatò dalla paura.

-Cosa? Pensate che sia stata io? Non sono stata io!-

-Charlotte, purtroppo non possiamo toglierti dalla lista dei sospettati. Non hai un alibi, ma hai un movente.- cercò di spiegare Lisbon con tatto.

-Il movente che ha lei ce l’hanno un sacco di ragazzi lì dentro. Non è stata lei.- proferii perentorio. Lisbon mi guardò allibita, non si aspettava di certo un mio intervento così pacato e deciso. Mentre la ragazza mi guardava senza capire; ed effettivamente non potevo darle torto. Come si può giudicare una persona che ti accusa di omicidio per poi difenderti del contrario pochi secondi dopo?

Alla fine la lasciammo andare dicendole di rimanere reperibile. Beh, era ovvio; dove mai poteva andare se era orfana e confinata in un orfanotrofio?

-Jane, tu adesso mi spieghi… -

Ma prima che potesse dirmi altro me ne andai dal CBI, non potevo stare lì dentro un minuto di più. Sentii lo sguardo di Lisbon sulla schiena, seguirmi fino all’ascensore, dalle finestre del CBI che davano sul parcheggio, finchè la mia auto non scomparve dalla vista del distretto…Perdonami Lisbon.’

 

Il mattino dopo ero tornato quello di sempre: allegro e spensierato.

Aprii la porta dell’ufficio di Lisbon per salutarla come facevo sempre, quando mi abbassai all’improvviso per schivare un fermacarte che mi stava letteralmente per colpire in testa. L’espressione rabbiosa e corrucciata del mio capo mi fece capire che non era contenta che ieri le avessi interrotto l’interrogatorio, me ne fossi andato a metà frase e non mi fossi fatto sentire per il resto della giornata. Avevo in memoria ancora tutti i messaggi e le chiamate che in quelle ore mi aveva mandato. E a cui io disgraziatamente non avevo risposto. Sembrava decisamente arrabbiata e questa volta dubitavo mi avrebbe perdonato tanto facilmente…

-Jane, sei uno stronzo, idiota, egoista, irresponsabile e… -

-Lisbon, ma ti vuoi calmare?- domandai con la voce stridula. Mi stava trapanando i timpani. Mi fulminò con lo sguardo. Mi guardò ironicamente scettica.

-Calmarmi? Calmarmi? Vuoi che mi calmi? Perché non te ne torni da dove sei venuto? Qui non c’è bisogno di te!- era decisamente arrabbiata.

-Oh, andiamo Lisbon. Non ti arrabbiare.-

-Arrabbiarmi? E chi si arrabbia. Non ho alcuna intenzione quest’oggi di sprecare fiato per uno come te, che a metà lavoro se ne va e non si fa più sentire.-

Mi oltrepassò, diretta in cucina. La guardai stralunato.

-Tu sei arrabbiata perché non mi sono fatto sentire?- le chiesi.

Si versò una tazza di caffè.

-Non tentare di cambiare discorso signorino.- mi redarguì.

-Eri così tanto preoccupata per me?- continuai imperterrito.

-Io? E chi si preoccupa! Tranquillo Jane, non mi impiccerò nella tua vita privata… -

-Lo sai cosa intendo.-

Continuai a seguirla.

-Signori, mi dispiace interrompere la vostra discussione: ma vi devo parlare; ora.- la Hightower era sbucata fuori dal nulla.

Dal suo sguardo deducemmo che non avevamo fatto bella impressione, e che non aveva delle buone notizie da darci.

Quando la porta si richiuse alle nostre spalle, io e Lisbon ci portammo di fronte alla sua scrivania. Benchè lei fosse seduta e noi in piedi, il suo sguardo poteva benissimo dirsi ‘dall’alto in basso’.

-Ho il risultato delle analisi effettuate dalla scientifica sulla scena del crimine. Ci sono due tipi di DNA diversi.- iniziò a spiegare.

-Quello della vittima e quello dell’assassino.- concluse Lisbon.

Hightower annuì.

-Sembra che l’assassino sia una delle ragazze dell’orfanotrofio. Charlotte.-

Mi sentii come se mi avessero appena sparato: cadere nel vuoto. Vidi Lisbon guardarmi per una frazione di secondo, preoccupata per la mia reazione. A quanto pare dovevo essere tornato di ghiaccio.

-Signora, posso chiederle perché ci ha fatto venire qui? Non sarà soltanto per dirci che abbiamo l’assassino?- chiese Lisbon.

-Il punto è un altro Lisbon. Abbiamo cercato nel database per vedere se aveva altri precedenti. E il DNA effettivamente combacia, ma non nella scheda degli ex detenuti.- ci guardò –Nella scheda degli agenti del CBI.-

-Cosa? Il suo DNA combacia con qualcuno che lavora qui?- Lisbon era letteralmente fuori. Io rimanevo impassibile ad ascoltare, incuriosito. Possibile che mi fossi sbagliato su quella ragazza?

Il nostro direttore annuì, prima di puntare i suoi occhi su di me.

-Ha il tuo stesso DNA Jane.-

 

Da troppo tempo non ami

E girando la chiave ti chiudi

Nei tuoi sordi silenzi ti assenti

Con il vuoto negli occhi

Tu non vuoi far vedere se piangi… se ridi

E così ti difendi con scudi

Dagli attacchi violenti degli altri

Non la vedi l’uscita

Ma c’è una luce laggiù

POV. LISBON

 

-Ha il tuo stesso DNA Jane.-

Mi sentii lo stomaco rovesciarsi. Avvertii un freddo glaciale di fianco a me. Mi girai lentamente: scioccata, allibita, spaventata, preoccupata, terrorizzata… a guardare il volto del mio consulente. Non si era mosso. Fermo come una statua. Il suo volto privo di espressione. Solo i suoi occhi mi sembravano lucidi. Quanto avrei voluto poter suddividere quel dolore con lui. Dovevo riprendere le staffe, doveva pur esserci una spiegazione logica, un qualche errore….

-Ma signore, questo vuol dire che… -

-Che è la figlia di Jane, sì.- confermò Hightower.

-Ma è impossibile. Jane non ha avuto altre relazioni oltre a quella con la moglie.-

-Abbiamo controllato Lisbon, quello è il DNA di Charlotte. Non ci sono dubbi.-

-Ma la bambina trovata a casa insieme ad Angela allora?- insistetti.

-Era una sosia.-

-Cosa?- era la prima volta che Jane parlava, mi sorprese molto, e ne fui sollevata. Almeno non aveva avuto una ricaduta della serie ‘non parlo più’.

-Il test del DNA eseguito sull’autopsia dice che è tua figlia. Dopo quello che abbiamo scoperto abbiamo avuto un dubbio. Abbiamo fatto riesaminare il DNA: non è quello di Charlotte. Probabilmente un collaboratore di John il Rosso ha scambiato le due boccette di sangue quando abbiamo fatto il test.-

-Un infiltrato.- conclusi.

C’era un infiltrato nel CBI. Quello stesso uomo che aveva scambiato le fiale delle due bambine e aveva rapito per tutto questo tempo la figlia di Jane. Era assurdo e orribile allo stesso tempo. Non potevo crederci. Non capivo come Jane riuscisse a restare ancora in piedi. Io se fossi stata al posto suo sarei crollata.

-Ma perché l’ha rapita? E poi perché ha permesso che la ritrovassimo proprio adesso? Non ha alcun senso.- non capivo.

-Invece sì. È tutto collegato Lisbon: il messaggio, l’omicidio, il DNA… tutto combacia. È questa la sua ultima mossa. L’ultima mossa per farmi soffrire.-

-Ha aspettato tutto questo tempo per uccidere la tua famiglia una seconda volta.- decretò il nostro direttore.

M Jane negò vigorosamente.

-Quella ragazza non è mia figlia!-

Lo disse diretto, eppure avvertivo una nota di amarezza. Quel suo abbassamento di voce, quella rochezza intensa e profonda. Lo sapevo che non era vero, che sentiva qualcosa. Lo vidi uscire a grandi falcate dalla stanza, sconvolto. Dovevo andare da lui, dovevo convincerlo.

-Signore, posso provare a convincerlo?-

-Devi farlo Lisbon. Non credo veramente che sia stata Charlotte a uccidere Sharon Smith. E se è come dice Jane, John il Rosso non tarderà a farsi vivo. E sappiamo entrambe che Jane non permetterà mai a John di fare del male a un’altra ragazza, specialmente se è davvero sua figlia.-

Lo sguardo dell’Hightower fu lo slancio finale di cui avevo bisogno. Mi voltai e andai alla ricerca di Jane.

 

POV. CHARLOTTE

 

Tu per lei

Avresti dato tutto ma

No non si può

Affidarsi a un altro totalmente no

Allora fingi di star bene solo

Fino a quando un giorno poi

Ti accorgi che

 

Le note che uscivano dal piano erano favolose, rilassanti. Mi stupiva ogni volta come quella leggera pressione di tasti, in un’esatta sequenza di note potesse dar vita ad una fantastica melodia come questa. Le mie dita volavano su quella tastiera, impercettibili, con movimenti lievi ed aggraziati. Il piano, la musica: questo era tutto quello che mi era rimasto del mio passato. Della mia famiglia. La musica entrava dentro di me, superando tutte le barriere e i muri che avevo innalzato contro il mondo esterno. L’unica cosa che avesse libero accesso alla mia mente. Riusciva sempre a calmare il mio animo tormentato, ad acquietare i miei pensieri a volte così tormentati, e al contempo mi aiutava ad esternare le mie emozioni. E la cosa piacevole era, che non solo riuscivo ad esternare quello che provavo, ma nessuno capiva, nessuno riusciva a concepire la musica come la vedevo io qui dentro. In questo modo la mia privacy non era violata in alcun modo. Erano le due del pomeriggio, tutti i ragazzi erano nelle loro camere a parlare o a studiare. Io mi esercitavo come mio solito, dopo quello che era successo la mia ansia era cresciuta a dismisura. Come se la morte non mi avesse tormentata abbastanza nella mia infanzia. In quel momento la mia salvezza era la sonata op. 28 di Beethoven “la Pastorale”. Un pezzo molto bello e molto complicato allo stesso tempo. A mio parere un pezzo, più era complicato e più aveva fascino. Il fascino della sfida. Come una persona che è affascinata dal pericolo. Oramai conoscevo la tastiera a memoria, me la figuravo bianca, con i riflessi del sole sotto le palpebre chiuse. Suonare a occhi chiusi favoriva la concentrazione e il distacco da tutto quello che mi circondava. Potevo anche perdermi nei miei pensieri alcune volte, che non sbagliavo in ogni caso; talmente conoscevo bene quei pezzi e quei tasti. La musica mi attraversava dolce e leggera la mente, come un velo di seta, facendomi vibrare le corde del cuore quando passava tra esse; una potenza e una classe davvero invidiabile. Nessuno era più in grado al giorno d’oggi di dimostrare quella bellezza a gesti o a parole. ‘Che peccato!’

-Charlotte!- sebbene la stanza a pareti di vetro fosse abbastanza isolata per non disturbare le persone al di fuori, il mio orecchio sensibile sentì subito la voce della direttrice chiamarmi dall’altra parte. La donna, sempre con il suo fare apprensivo, ma anche autoritario, entrò nella stanza. Dalla sua espressione e dal sorriso concitato sul suo volto dedussi che ci fossero splendide notizie. Forse avevano trovato l’assassino di Sharon, così adesso potevamo stare tutti più tranquilli. Oppure qualcuno era stato adottato, possibile che fossi io? Boh.

-Signorina Jones.- la salutai.

Il rispetto nella mia voce bastava perché la donna non mi dicesse di alzarmi. Questa mi si avvicinò quel tanto che bastava per appoggiare le sue mani sulle mie spalle. Aveva gli occhi lucidi di felicità, quasi si volesse mettere a piangere.

-Charlotte, ho una grandissima notizia per te.- riuscì a dire in un soffio.

-Hanno trovato l’assassino di Sharon?- domandai, speranzosa.

-Abbiamo scoperto che tuo padre è ancora vivo!- la voce le si smorzò in gola.

A me per poco non venne un infarto. Il mio cuore mancò un battito. Una fitta lancinante. Poi prese a battere furiosamente, gli occhi iniziarono a pizzicarmi. Il punto era che non sapevo se essere felice perché non ero più sola o se essere arrabbiata perché in tutti quegli anni ero stata chiusa lì dentro, senza che provassero a cercarmi. Ma forse mi avevano cercato. Una confusione pazzesca mi colse, una serie di domande senza risposta, tutte incerte… mi venne mal di testa.

-Mio padre? Ma, come è possibile…?- questo era tutto quello che mi venne in mente da chiedere, dopo tutto quel casino nella mia mente. La donna si soffiò il naso, commossa.

-Non hanno voluto spiegarmi i dettagli al telefono, ma mi hanno detto che hanno trovato un riscontro del tuo DNA nel database del distretto del CBI.-

Possibile che fosse più felice lei di me?

-Posso almeno sapere chi è?- chiesi, un po’ di curiosità in fondo l’avevo.

-Il signor Jane, il consulente della squadra investigativa che si occupa del caso di Sharon.-

Non era possibile. Un incubo. Perché mi assillava tanto? Eppure adesso c’era un senso. Potevo dare senso a quella strana sensazione di averlo già conosciuto in passato. Ma era così strano, così… impossibile.

-E’ stato fissato un incontro per voi lunedì, alle tre e mezzo.-

Sollevai gli occhi sullo sguardo eccitato della direttrice. Sì, era più emozionata lei di me. Io al contrario ero tesa come una corda di violino. Solo il pensiero di reincontrarlo, e che lui fosse mio padre, mi faceva venire la pelle d’oca. Ma che potevo fare se non dire di sì, e poi forse era il momento di avere un po’ di risposte.

-Va bene!- risposi a bassa voce.

La donna se ne andò gongolante, tutta contenta come se fosse arrivata prima ad un concorso di bellezza.

 

Da troppo tempo non ami

E girando la chiave ti chiudi

Nei tuoi sordi silenzi ti assenti

Con il vuoto negli occhi

E non si può capire se sei triste o felice

Forse da troppo tempo si dice che per tutti è più dura la vita

Se non vedi l’uscita

Ma c’è una luce laggiù

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Mentalist / Vai alla pagina dell'autore: CaptainKonny