Yume no
Ryoushi
…“LORO” NON
SONO ALTRO CHE MUTI BISBIGLI…RICHIESTE SUPPLICHEVOLI DI ORBI SERVI DELLA
CUPIDIGIA…PRIGIONIERI DI FUNEBRI GABBIE ARGENTEE CHE L’UOMO TRACCIA NELLA
COERENZA…
Solitudine.
Questa
sensazione orribile, di oppressione, che attraversa
rapida il tuo corpo fino a renderti praticamente immune a qualsiasi voglia di
“andare avanti” fa da padrona al mio corpo ormai da giorni. Anche ieri, mentre
attraversavo spedito il grigio viale che separa quel fottuto parco ( che per
inciso ormai è la dimora di tutti i drogati o degli alcolizzati della città) e
la stazione degli autobus, sotto quello che doveva
essere un sole estivo ma che alla fine si riduceva ad un minuscolo punto
pallido appena percettibile in quel cielo così biancastro, la sentivo in me.
Continuavo a camminare, ma in me cresceva ad ogni passo un senso di nausea
probabilmente causato dall’odore malsano
di gelsomino che proveniva da quel fottutissimo parco o dal fatto di aver
passato la notte insonne. Come anche la notte prima, quella prima e quella
prima ancora. In effetti sono passati 5 giorni
dall’ultima volta che ho chiuso occhio e tutto per una stupida illusione.
E
oggi rieccomi, punto e a capo.
1…2…3… Muovo passi lenti in balia di quell’odore acre che aleggia
intorno a me.
Mi sento
ancora così male.
Così
debole.
Per
pochi minuti penso che sarebbe tutto più semplice se chiudessi gli occhi e mi
accasciassi su quel suolo tanto detestato. Ho voglia di piangere. Ma non riesco…ed a pensarci è così fastidioso, sapere che è
tutto così ripetitivo intorno a me. E’ come se qualcuno avesse fatto un copione
e l’avesse distribuito a chi mi sta intorno. Patetico, no?
Erano
le sette di sera ed ero chino sulla scrivania, come al
solito bardata da milioni e milioni di fogli e foglietti. Le cuffie del lettore
mp3 nelle mie orecchie rendevano sensato quel silenzio ovattato che mi
circondava. Forse ero immerso nei pensieri funerei che sono
solito avere o forse ero solo intento a capire qualcosa dei compiti di
matematica, che odio indiscutibilmente, per il giorno dopo; di preciso non
ricordo cosa facessi in quel momento.
Canzoni
dal sapore amaro si susseguivano nelle mie orecchie, ma io non facevo altro che
starmene comodamente disteso (un po’ come fanno i cani per strada d’estate)a
braccia conserte su quel minuscolo tavolino… abbandonato nel rincorrersi dei
successi dei Diru tra i miei pensieri.
L’orologio
alto di fronte a me segnava ancora le sette.
-Fottuto orologio del cazzo! Un giorno vai e un giorno
no…- gli urlai contro prendendolo in mano per vedere cosa non andava. Feci a
tempo ad aprire la cassa del buffo orologio pezzato…Perché un tipo come me ha un orologio-mucca nella sua stanza? Beh, questa è tutta un'altra storia…forse un giorno nel varrà la pena
raccontarla, ma non adesso…
Feci
per aprire la cassa dell’orologio quando sentii una
voce. Era sottile quasi impercettibile; proprio per questo, pensando che fosse
solo una mia impressione continuai ad ascoltare “The
Final”.
…1……2……3……4……5……6…Mi
resi conto che non poteva essere soltanto la mia fantasia. Appoggiai le mie
enormi cuffie sul collo per poter ascoltare meglio e fatto ciò mi girai verso la porta; lei era lì. Non fui per niente stupito
nel vederla davanti a me. La luce illuminava la sua pelle chiara rendendola
così cerulea, quasi come fosse neve. Lunghi capelli corvini le scendevano a
ciocche sul collo per arrivare quasi fino alla vita. Mi scrutava con i suoi
occhi timidi senza proferir parola.
-Silenziosa
vedo, come al solito d'altronde…- le abbaiai dopo
qualche secondo.
-E tu
Kyo,sei sempre più cordiale…- mi rispose lei ironica
ma senza perdere la sua calma.
-In
ogni caso, a cosa devo questa visita?- le chiesi
ignorando la sua battutina dopo essermi alzato e aver appeso nuovamente
l’orologio alla parete.
-Lo sai benissimo- sospirò lei ancora ferma sull’uscio della
porta. -Aki Andou- proseguì con tono serio.
-Aki
Andou?- le domandai, inarcando il sopracciglio destro.
-Si- rispose lei senza aggiungere nulla.
-Oh
no…ci risiamo! Non ho intenzione di farlo…non sono il tuo schiavetto!- finii per urlarle dopo aver capito cosa intendeva.
-Ma…devi
farlo!- disse lei alterandosi leggermente.
-No…non
mi va…non DEVO fare nulla e in ogni caso se ci tieni tanto perché non lo fai
tu, Arashi?!- replicai sbuffando –Credi che se potessi
non lo farei? Che mi piaccia rivolgermi ad un idiota come te!?
Ti ricordo che nessuno tranne te mi può vedere e, purtroppo, solo tu puoi aiutarla!- mi rispose tutto d’un fiato.
-oh,
grazie dell’idiota…- le risposi ormai infuriato –non sono
affari miei! Sbrigatela tu! Trova qualcun altro e fallo fare a lui, magari
trovi qualcuno che non sia un idiota…- ma ancora prima
che riuscissi a finire la frase lei non c’era già più. Lei è fatta così: prima
compare silenziosamente, ti ossessiona e poi scompare senza preavviso. Mi
sembra così lontana la prima volta che l’ho vista comparire sull’uscio di
quella porta per chiedermi aiuto. E’ come se la conoscessi da sempre; lei è
comparsa nella mia vita quando ero ancora un bambino.
La ricordo ancora, piccolina con due grandi trecce che le ricadevan sulle
spalle e con il suo orsacchiotto nero tra le braccia. Era una notte d’estate ed
era anche la prima volta che dormivo da solo in un letto, a dir
la verità ero terrorizzato. Sentì un pianto provenire dall’angolo più vicino
alla finestra della mia stanza. Mi alzai e armato di quel poco coraggio che
avevo mi avvicinai alla finestra e la vidi: stava piangendo raggomitolata in quell’angolino stretta al suo orsacchiotto. Le strinsi la
mano e le chiesi perché piangeva. Mi rispose che era sola e che non aveva
nessun amico e io di tutta risposta le dissi che sarei
stato io, il suo amico. Da quel giorno la vidi praticamente
ogni giorno ma inspiegabilmente ogni volta che dicevo a qualcuno della sua
presenza questi mi guardava come se fossi stato matto. Successe così tante
volte che all’età di dodici anni mia madre mi mando da
uno psicologo. Uno di quegli omini da strapazzo che non fanno altro che
guardarti ed analizzarti e così smisi di vedere Arashi, questo è il suo nome.
Circa
un anno fa la rividi comparire sulla porta della mia
stanza. Era molto cresciuta ma in se era ancora percettibile la piccola Arashi
che conoscevo. Mi chiesi perché era tornata, mi chiesi se stavo
diventando matto. Lei se ne stava lì a guardarmi voleva
il mio aiuto. Cominciò a farneticare, a dire che io
ero speciale e che potevo vedere “loro”. Che potevo
vedere attraverso le paure della gente e tutte delle cose che per me erano, e
sono tuttora, senza senso.
Lei li
chiama “ombre”, mi ha spiegato che sono spiriti creati dalla gente nei momenti
di sconforto come unica ancora di salvezza e che solo i bambini, non essendo
ancora accecati dal troppo realismo riescono a vederli, ma che comunque vivono tra noi. Infine mi ha detto
che io ho l’insolita capacità di vederli, che io sono “Il sognatore”. Da quel
giorno si presenta qui con un nome, una persona che io dovrei aiutare dalla
disperazione.
Io!?
Non ha senso, ho già abbastanza problemi per i fatti
miei!
Mi
accovacciai in un angolino del mio letto a piedi
uniti. Posai nuovamente le cuffie sulle mie orecchie, proprio
quando stava per iniziare “Berry”.
I'm
Sorry
I
didn’t men it
I’ll
be good
I’m
gonna kill you
I’m
gonna blow your head off…like raspberry jam
Quelle
parole mi risuonavano in mente come un disco rotto. Vorrei essere più gentile
con lei, ma ogni volta che la vedo e sono consapevole che lei abbia un nome per
me questo mi fa imbestialire.
[ I’m gonna kill you ]
Continuai
ad ascoltare quella canzone come ipnotizzato. Nella mia mente vagavano mille
pensieri:
Aki Andou. E se
fosse veramente in pericolo? Se forse la mia non fosse
la decisione più giusta?
Ma in fondo è la mia vita, posso farne quello che voglio. Ma ho un dono, delle responsabilità. Non l’ho chiesto io.
Una
battaglia infuriava nella mia mente ed io ero lì come spettatore muto, unico
testimone della mia fottuta insanità mentale.