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Autore: Keiko    22/09/2011    6 recensioni
Poteva avere tutta la musica del mondo in testa, ma Olivia era stata abituata al fatto che i sogni erano il carburante della vita, e pochi erano quelli che – nell’arco di una sola esistenza – riuscivi davvero a realizzare senza il talento, la passione, le basi necessarie ad affrontare i problemi e una discreta dose di buona sorte.
Magari ti illudevi di farlo, ma poi ti accorgevi che non erano davvero sogni, ma sfizi che – una volta raggiunti – non ti davano nessun tipo di appagamento.
Holly aveva intuito che qualcosa – nella retorica dei sogni – entrava in netto contrasto con la loro consistenza quando aveva appeso al chiodo la chitarra.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destini di Vetro'
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 Huntington Beach, 2006.

 
Johnny aveva sempre avuto l’abitudine di lasciare a Dakota carta bianca, ma in quel momento non riusciva a credere che la sua ragazza stesse realmente gettando abiti alla rinfusa nella propria valigia.
“Ma sei sicura che per lei sia una sorpresa? Voglio dire, stai preparando il trolley per entrambe. Holly si incazzerà, lo sai vero?”
“Holly adora le sorprese.”
“Sei pazza. Questa storia di Roxanne ti ha messo addosso una competitività che nemmeno se ci fossi io, di mezzo, avresti.”
Dakota si era irrigidita, stornando lo sguardo dalla propria valigia al ragazzo, seduto sul davanzale della finestra con una lattina di birra in mano.
“Si, voglio dire: che cazzo di senso ha? Holly non si sottometterà mai a nessuno. Di che hai paura?”
“Ha il ragazzo da un anno ormai. E questo significa che sta rivedendo tutte le priorità e i legami della sua vita.”
“E tu credi che Nick la schiacci?”
“Non ho detto quello.”
“No, stai dicendo che la tua amica del cuore è così volubile da rilegarti in un angolo perché non ti vede per undici mesi all’anno. Cazzo, sei peggio di Zacky lo sai?”
“Zacky non ha perso la sua amica del cuore, ma la sua migliore amica, è diverso. E poi lui se l’è cercata, con quella scema di Gena che non lo lascia nemmeno respirare.”
Johnny aveva smesso di bere, osservando la curva della schiena di Dakota illuminata dai raggi del sole del primo pomeriggio di quel freddo venerdì di gennaio.
“Voi siete troppo dure con lei, per i miei gusti. Gena non sarà una che brilla per cultura come Holly, ma è irriverente e sa stare in compagnia.”
“Holly è irriverente, Gena è fastidiosa sia nel breve che nel lungo periodo.”
“Non sei oggettiva perché tu vuoi bene a Holly. Voi due vi siete montate la testa secondo me. Siete state un duo per troppo tempo, il risultato è che qualsiasi altra persona che si avvicina a noi diventa automaticamente un nemico da eliminare. L’avete fatto con Val, Gena e ora ci state provando anche con Michelle. Se volessero massacrarvi lo farebbero coalizzandosi, e tu ti troveresti da sola a gestirle dato che Holly è lontana: secondo me vi lasciano perdere perché vi considerano solo due mocciose.”
“Ma tu da che cazzo di parte stai, Johnny? Non mi dirai che credi seriamente che Gena sia adatta a Zacky, no?”
“Non sono affari nostri. Zacky con lei sta bene, le uniche discussioni che hanno arrivano nell’esatto istante in cui Holly atterra a Los Angeles. Non ti puoi porre il problema che forse la tua amica non può fare il bello e il cattivo tempo ad ogni suo ritorno a casa? Ti ho detto del casino che ha fatto a Londra, no? Matt e Val hanno litigato di brutto, se non fosse stato per Matt a quest’ora non so dove sarebbero.”
“Bella forza quello scemo. Ha praticamente smesso di chiamare Holly, si faceva sentire solo via messaggi. Holly mi ha chiesto se avesse ancora problemi alle corde vocali. Ma cosa credi, che sia facile per lei? Si sta costruendo una vita lontano da qui perché quelli che dovevano renderla felici se ne sono fregati e non hanno voluto guardare in faccia la realtà, cazzo!”
“Eh?”
Quando Dakota aveva chiuso la valigia sbattendola con forza a terra, Johnny aveva capito di aver detto un mucchio di verità, ma a sproposito. Dakota e Holly erano sempre state insieme, da che ricordava di aver messo piede al liceo, e dubitava seriamente che qualcuno potesse dividerle.
“Ehi Dak, ascoltami. Credi che Holly sia infelice?”
Dakota aveva scosso il capo, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo di non mettersi a gridare: Johnny non si meritava di essere trattato da schifo, ma avrebbe voluto che capisse quello che la preoccupava e la supportasse. Si sentiva sola, si sentiva come si era sentita Holly anni prima, quando doveva fronteggiare cinque idioti cercando di costruirsi una propria identità e una vita che potesse racchiuderli tutti senza che qualcuno prevaricasse sugli altri.
“Sarebbe più felice qui forse. Lo pensi davvero Johnny?”
“Cosa?”
“Che ci siamo montate la testa?”
“No, ho esagerato. Però penso che il vostro rapporto vi abbia causato un mucchio di problemi. In un duo come il vostro i terzi non sono accetti, vengono automaticamente scartati e fatti fuori. Per questo ti dico che non dovresti temere nulla. Roxy vive vicino a Holly, ma questo non significa che Holly non ti voglia bene o te ne voglia meno.”
“Se avesse bisogno di aiuto Roxanne sarebbe più vicina.”
“Vorresti andare a Cardiff?”
“No, vorrei solo che non fosse mai partita. Ci pensi mai a come potevano andare le cose se Holly si fosse messa con te al mio posto? O magari con Matt, o Zacky.”
“Non si sarebbe mai messa né con me né con Zacky.”
“Con Matt si, però. Solo lui non lo sapeva, anche se credo abbia preferito ignorare la cosa. Non se n’è pentito, vero?”
“Matt ama Val, nessuno gli farà cambiare idea. Forse anni fa, prima di conoscerla, avrebbe potuto farlo ma è cresciuto con Holly. Come cazzo fai? Sarebbe stato come immaginarsi di scopare sua sorella, oggettivamente parlando.”
“Okay, vado a prendere Holly.”
“Non mi va che andiate a Las Vegas da sole, Dakota.”
“Come se non sapessimo badare a noi stesse, vero?”
“No, è proprio questo che mi preoccupa.”
“Lo so cosa ti sta passando per la testa, Johnny, e scordatelo. Se trovo te e i tuoi amichetti a pedinarci per Las Vegas tu per due mesi puoi scordarti di dormire con me.”
“Ma sei un mostro!”
“No, rendo giustizia alla voglia di prendermi quarantotto ore per la mia amica del cuore, visto che ho dovuto mettermi in lista d’attesa prima di poterla avere un po’ per me.”
“Sei una despota”, aveva sbottato il bassista sgranando gli occhi in un’espressione da cucciolo abbandonato.
“E’ il motivo per cui continui a stare con me, no?”
Dakota gli aveva posato un bacio sulle labbra, mentre Johnny l’aveva attirata a sé cingendole la vita, entrambi aggrappati alla forza dell’altro. Nessuno avrebbe mai scommesso su di loro, eppure erano quelli che avevano avuto meno problemi di tutti. perché non c’erano sospesi o un passato invadente ma solo un un comprendersi totale, una voglia di stare insieme che superava gli scazzi e i malumori quotidiani. E poi Johnny era di cattivo umore solo appena sveglio, e Dakota sapeva sempre come raddrizzargli la giornata.
 
 
“Stai scherzando Dakota?”
“Dai sali, è il tuo regalo di compleanno!”
Holly – in tuta da ginnastica – fissava Dakota che le sorrideva dal posto di guida, occhiali da sole calati sulla faccia e sorriso a trentadue denti.
“Vengo a dire a tua madre che ti riporto indietro domenica sera.”
“Dove mi porti? Non farai come Matt che mi ha costretto ad andare a pescare in quel cazzo di fiume con un freddo pazzesco vero? Ho passato una giornata intera a infilzare esche e vermi vivi sugli ami e il risultato è stato che per poco non mi sono tranciata un dito”, e aveva sventolato il pollice davanti a Dakota mostrandogli un solco rossastro che le divideva il polpastrello in due metà perfette.
“No, andiamo a Las Vegas baby.”
Holly aveva spalancato la bocca prima di richiuderla e sgranare gli occhi con aria adorante nella direzione dell’amica, gettandole le braccia al collo gridando come una pazza.
“Solo io e te?”
“Si, come quando andavamo a Los Angeles qualche anno fa.”
“Ma è Las Vegas, Dakota! Cazzo!”
“E soprattutto, siamo libere di fare tutto ciò che vogliamo.”
Holly aveva dato il cinque all’amica, soffermandosi a squadrarla con aria da professoressa.
“Hai già preparato tutto, vero?”
“Ovviamente.”
“E sei certa che Johnny non verrà a vedere che tutto sia a posto?”
“Assolutamente no. Ma se dovesse venire sono certa che si trascinerà dietro una buona fetta dei suoi amichetti.”
“Okay, dovevi dirgli che mi portavi a fare shopping a New York.”
“Poco credibile.”
“Va bene capo, non ci resta che partire.”
Ad Holly era mancata la spontaneità con cui si innescano i meccanismi in un rapporto consolidato e coltivato: si era abituata, negli ultimi mesi, a gestire convivenze desiderate da altri, imposte dal destino e dalle esigenze della vita. Nella sfiga, però, era stata fortunata ad avere trovato Roxanne, e di quel mito inarrivabile verso cui si era protesa sin da quando era stata abbastanza grande da capire il concetto di “donna”, era riuscita a conoscere una bella fetta di dolore, amore, intelligenza e determinazione. Dakota aveva il sapore dolce dei ricordi della sua infanzia, di quella felicità che ti sboccia sul viso al ricordo di mille e un’avventura che ancora riesci a raccontare nei minimi dettagli con le stesse espressioni di quando le hai vissute la prima volta. Dakota aveva il sapore dei peluche che ti porti a dormire anche quando hai vent’anni, quelli che non abbandoni perché sono stati i tuoi comprensivi confidenti nelle serate storte e malinconiche sin da quando avevi quattordici anni ed eri innamorata del tuo vicino di casa. Dakota aveva lo stesso profumo di Huntington Beach, di Zacky o Matt: era il profumo della sua infanzia, quello che le riportava sempre alla mente la cosa per cui, Olivia Bridges, avrebbe dovuto sempre rimanere coerente con sé stessa, sino alla fine. Faceva male essere coerenti, retti e giusti: spesso a parlare di verità finivi con il ferire gli altri e ammazzare te stesso. Però Holly aveva imparato che nella vita le maschere non servivano proprio a nulla, erano solo un peso che prima o poi ti avrebbe trascinato sul fondo. Aveva deciso, anni prima, di essere sé stessa anche a discapito della diplomazia, e quel profumo di casa le dava sempre la spinta per non scendere a compromessi con il resto del mondo.
 
 
“Non andiamo da nessuna parte, Johnny.”
Il bassista aveva alzato lo sguardo su Jimmy, osservandolo giocare distrattamente con le posate mentre attendevano che la cameriera portasse loro i sandwich che avevano ordinato.
“Due ragazze sole a Las Vegas non è una cosa da niente, Jimmy. Non sei preoccupato anche tu?”
“No, Holly se la sa cavare da sola, e anche Dakota.”
“Io inizierei piuttosto a parlare di quello che dobbiamo fare quando finiranno le vacanze di Natale. Ci aspetta il tour e dovremo pensare anche alle canzoni del nuovo album.”
“Verranno da sé, non abbiamo mai avuto fretta in questo senso Brian. Piuttosto, dov’è Michelle?”, gli aveva chiesto il batterista, sorpreso dalla mancata presenza della ragazza. Gran culo, bel sorriso, ma lo spaventava a sufficienza per tenerlo sempre sulla difensiva. Troppo carattere, troppa determinazione, nessun limite morale: quello che desiderava, Michelle lo otteneva, e Brian non aveva fatto eccezione alla regola.
“Con Val, Gena e Roxy, stasera passano la serata tra donne visto che le altre due hanno pensato bene di farsi una luna di miele in solitaria.”
“C’è anche Roxy?”
“Quella scema di Holly l’ha lasciata da sola, per forza”, aveva rimbeccato Zacky sorseggiando la propria birra.
“Lei hai costrette a convivere, è già tanto se non si sono ammazzate. Ringrazia il cielo per questo.”
“Senti da che pulpito, eh Brian? Ti ricordo che mia sorella è nelle mani della tua attuale fidanzata.”
Scopata, Zacky”, l’aveva corretto il primo chitarrista con il tono di chi aveva appena puntualizzato sulla pronuncia sbagliata di una nuova marca di caramelle, irritando l’amico.
“Possiamo parlare di qualcos’altro?”, era stata la risposta secca di Jimmy, nella speranza di scaricare fuori dalla stanza le tensioni. Perché le donne portavano solo problemi?
“Certo, delle nostre prossime vacanze magari”, aveva sospirato Johnny immaginando paradisi tropicali in cui restare solo con Dakota.
“Niente vacanze sino a fine anno ragazzi, le date sono già state stabilite” aveva risposto nella loro direzione il cantante, senza staccare lo sguardo dal display del proprio cellulare.
Matt inviava messaggi distraendosi dalla conversazione, rientrando – con intelligenza – solo quando erano passati gli argomenti amorosi, affettivi e cose simili. Aveva dovuto sacrificare una buona fetta del suo rapporto con Holly per Val e quella situazione gli pesava di rado, solo nei momenti in cui avrebbe avuto bisogno del consiglio della rossa: diretto, preciso, senza fronzoli. Holly gli serviva per ricordarsi quanto fosse stupido, ecco tutto. Fare quello che stava facendo, tenendosela stretta con messaggi che dovevano sopperire una mancanza fisica e spirituale, era giocare da stronzo.
“Un altro anno in tour, sai che figata?” era stata la risposta esaltata di Zacky che si era scolato così il residuo della sua birra.
“Secondo me godi così tanto perché Gena allenterà la presa”, l’aveva schernito Brian cogliendo al balzo l’occasione per punzecchiarlo.
“E’ Michelle che ti tiene per le palle, amico, o sbaglio?”
Brian aveva lanciato un’occhiata torva a Zacky prima di decidere di lasciare perdere il discorso. Lui di Michelle avrebbe potuto liberarsene in qualsiasi momento, almeno sul lato sentimentale: era una buona compagnia, era un corpo che si adattava alle sue esigenze e un qualcosa che lo faceva sentire meno solo – e più stronzo – quando avvertiva quel senso di incompletezza che scaricava con rabbia sugli altri, portandosi a letto o Michelle o una tizia della prima fila che ci sarebbe stata senza troppi problemi. Brian sapeva a cos’era dovuta quella sensazione di mancanza, ma dargli un nome – e un volto – significava ammettere a sé stesso di essere molto più stupido di quanto non avesse finto di essere in realtà. Erano passati sei mesi da quando aveva lasciato Roxanne ma non riusciva a comprendere cosa – di lei – gli facesse sentire in modo tanto doloroso la mancanza di Huntington Beach.
I ricordi sono la cosa più importante che abbiamo perché sono loro a determinare ciò che siamo oggi, gli aveva detto una volta Jimmy.
“E questa da dove esce?”
“Pensaci per un istante: è la cosa più vera che ti abbia mai detto.”
“Non è farina del tuo sacco.”
Jimmy non gli aveva risposto, e Brian aveva lasciato perdere il discorso, ma non gli occorreva guardare troppo lontano per sapere di chi era quella perla di saggezza, seduta – all’epoca – un paio di sedie dopo le loro a parlare fitto e ridendo vicinissima a Zacky, intenti a fabbricare inquietanti sculture con tappi di bottiglia, avanzi di cibo e plastica sciolta con il calore della fiamma degli accendini. Avevano vent’anni, Brian doveva ancora dichiararsi a Roxy e Holly non aveva ancora deciso di partire per New York: era tutto fermo al punto in cui si aprono mille possibilità di scelta e ognuno di loro aveva fatto le proprie. Chi aveva preso l’uscita migliore e si era gettato a capofitto dall’altro lato , senza guardarsi alle spalle uscendone poi indenne, Brian doveva ancora comprenderlo.
 
 
Roxy non aveva avuto scelta: rifiutare l’invito di Valary sarebbe stato ingiusto, non erano ancora riuscite a stare insieme senza avere intorno Zacky o Matt, e quella serata faceva al caso loro. Che ci fossero anche Gena e Michelle, era un pericolo che Roxanne aveva deciso di correre. Gena non sarebbe stata un problema – lo diventava solo in presenza di Holly, ma la loro era una faida aperta che non si sarebbe mai richiusa -, Michelle si.
“Quando pensate di tornare ad Huntington Beach, Roxy?”, le aveva domandato Val con un sorriso sincero stampato in viso. Convivere con Michelle a volte era difficile, e per quanto potesse difenderla si chiedeva come facessero a essere sorelle. Gemelle, per di più. Roxy e Valary si erano capite sin dal principio, accomunate da quella mancanza di unicità a cui ti sottopone la presenza di un gemello e i loro erano anche ingombranti.
“Non lo so, dipende da quanto sarà impegnata Holly con gli scavi. Probabilmente le affideranno alcuni lavori lontano da Cardiff, le devono confermare la cosa al nostro rientro in Inghilterra.”
Gena aveva storto il naso, inchiodando - con un cucchiaio da cocktail colorato rubato al bancone del pub - la fetta di limone che galleggiava sulla superficie della birra sul fondo del boccale.
“Tu come ti mantieni là?”, le aveva chiesto la ragazza di suo fratello, assorta nell’operazione di distruzione dell’innocente vittima che giaceva ormai inerme contro la base del bicchiere.
“Faccio quel che capita. Revisiono bozze per alcune case editrici, e quando capita faccio la modella per gli amici di Ian.”
“Non sei un po’ troppo bassa?”, le aveva chiesto Michelle con una punta di stizza nella voce. Roxanne l’aveva guardata negli occhi squadrandola per un istante sufficiente a mettere in imbarazzo chiunque, ma non Michelle DiBenedetto.
“Non è una cosa alla Alexander McQueen. E’ un gioco. I loro brand sono tutti di tipo alternativo, non badano troppo all’altezza o al peso. Guardano in genere a qualcosa che possa essere interessante per gli acquirenti.”
“E’ per quello che ha posato anche Holly, anche se è così tonda?”
Roxanne si era girata in direzione di Gena, incerta se mettersi a ridere o trattenere il moto di stizza che le era salito dallo stomaco dritto in gola.
“Holly è normale, più che tonda. Non è di certo anoressica, mettiamola così.”
“Era bello quel set, ce l’ha mostrato Dakota. Era esaltatissima. Secondo me le sarebbe piaciuto esserci,” aveva proferito Val nel tentativo di dirottare il discorso da qualche altra parte. Qualsiasi direzione le sarebbe andata bene, l’importante era che Roxy e Michelle non si scannassero. Aveva deciso di correre il rischio, quella sera, e lo stesso Roxy, ma era l’unico modo per stare un po’ insieme e parlare di cazzate, senza troppi problemi per la testa, come non accadeva da tempo.
Valary voleva sincerarsi delle condizioni dell’amica, voleva toccare con mano se quei sorrisi erano sinceri o frutto di una maschera perfetta e, a quanto pareva, erano veri.
“Si sarebbe divertita, Holly non stava ferma un secondo. Magari possiamo chiedere a Bori di farvi posare con noi, la prossima volta che ha bisogno di modelle a Los Angeles.”
“Sarebbe fantastico!”
“No passo,” aveva risposto in replica Michelle alla sorella. Gena aveva esitato qualche istante, poi un sorriso sornione le si era dipinto sul viso, di quelli che – a detta di Roxy – dovevano aver fatto perdere la testa a suo fratello.
“Se non è un problema io ci starei eccome. Deve essere divertentissimo!”
“Allora possiamo organizzarci, credo che la nuova linea debba uscire tra qualche mese. E’ probabile che per l’inizio dell’estate ci sia la possibilità di lavorarci.”
Roxanne non sapeva se quell’invito sarebbe stato di gradimento ad Holly, ma già il fatto non fosse presente Michelle era un punto a suo favore. Holly poteva anche decidere di non posare come modella, alla fine dei conti. Si era divertita, ma continuava a essere restia a qualsiasi apparizione pubblica: quando poteva evitare di presentarsi, lo faceva più che volentieri. Si era persino nascosta sotto il tavolo, in un pub a Londra, quando alcuni fotografi li avevano sorpresi a festeggiare il compleanno di Nick.
Holly continuava a tenere alla sua vita privata in modo morboso, come se tutto il resto del mondo non dovesse mai venire a contatto con i suoi sentimenti o i suoi ricordi. Roxy non riusciva a comprendere il motivo per cui Olivia detestasse così tanto i giornalisti e i fotografi, o i fans che le chiedevano una fotografia in compagnia sua e di Nick. Roxanne, però, dalla propria parte aveva Ian che la esibiva in modo fiero al resto del mondo, come un diamante puro che nessuno poteva permettersi di toccare. E a lei piaceva lasciarsi guardare da Ian, il suo sguardo fiero e carico di quel desiderio che solo un uomo davvero innamorato può concedere alla sua donna, quello sguardo che ti spoglia davanti a centinaia di persone. Le prime volte Roxy si sentiva a disagio, poi aveva imparato che Ian Watkins era anche quello: passione, e a lei piaceva lasciarsi travolgere e lasciargli condurre il gioco perché si sentiva immortale, bellissima, perfetta.
“E’ andata meglio del previsto, no?”, le aveva sussurrato Val mentre si dirigevano insieme verso il bagno delle ragazze.
“Perché non ci siamo azzuffate come cane e gatto? Immagino sia giusto così. Voglio dire, è lei che sta con Brian ora.”
“Più o meno. Diciamo che sono una coppia aperta. Brian non si fa fregare dallo sguardo da cerbiatta di mia sorella, ha messo le cose in chiaro sin dal principio: lei ha la priorità, ma non è l’unica. A Michelle va bene così, per cui vanno avanti con questa situazione patetica.”
Roxy aveva lanciato un’occhiata fugace a Val prima di tornare a guardarsi allo specchio cercando quella sé stessa che aveva avuto il coraggio di mollare tutto e partire. Quella che aveva anche imparato a vivere senza l’amore della sua vita, che aveva creduto che il secondo potesse essere persino migliore del primo, se si fosse impegnata a dimenticare almeno qualcosa di Brian. La sua memoria non la aiutava di certo, eppure in qualche modo aveva superato la fase “Brian Haner Jr” ed era entrata nella frenetica fase “Ian Watkins”, dove all’idillio si aggiungeva la sicurezza del gallese, carica della strafottenza che Brian non aveva mai posseduto. Con lei Brian era sempre stato un imbranato cronico, ed era bello per quello: Ian sapeva sempre cosa voleva, come muoversi e come farla felice. Sapeva come prendere le donne, perché di donne – prima di lei – ne aveva avute chissà quante. Aveva importanza? C’era lei, nel suo presente, e le andava bene così.
“Scusa, non volevo…”
“Io sto bene, eh. Se non ci fosse Ian potrei mentire, ma non sono il tipo da stare con un tizio solo per… be’, per non sentirmi sola.”
“Lo so. A me quel Watkins sembra un tipo okay, e l’importante è che comunque tu sia felice. Brian è stato un coglione. Non dovrei dirlo, però… eri più adatta tu a lui, di Michelle.”
“Così però non aiuti, eh,” le aveva risposto la ragazza sorridendole.
“Mi sei mancata Roxy. E’ difficile convivere con Michelle soltanto, tu eri una boccata d’aria preziosa. Perché non torni ad Huntington Beach?”
“Preferisco di no. A Cardiff le cose funzionano e girano per il verso giusto, e poi ho Ian. Tornare vorrebbe dire gestire una storia a distanza, e sinceramente non me la sento ora.”
“Sei innamorata di lui?”
“Si. Non nel modo in cui amavo Brian, se è quello che vuoi sapere, ma ogni storia è un caso a sé. Non c’è una regola fissa. Ci si innamora e basta, il più delle volte senza un motivo. Potrei chiederti cosa ti ha fatto innamorare di Matt, ma c’è davvero una cosa soltanto?”
Valary aveva riflettuto per qualche istante, poi era scoppiata a ridere.
“No, direi di no. Sanders o lo prendi a pacchetto completo o lo lasci perdere.”
“E’ fortunato.”
“Non credo se ne renda conto.”
“Si, altrimenti non saresti dove sei ora dopo sette anni, no?”
Val avrebbe desiderato che anche Brian si fosse accorto per tempo di quello che aveva accanto. Quando aveva lasciato Roxanne, aveva avuto paura che anche tra lei e Matt finisse: non era bravo a guardarsi dentro, lui, osservava gli altri e si faceva trascinare dagli eventi e dalle paranoie. Valary aveva avuto paura di perderlo a causa di uno stupido gioco di specchi a cui Brian aveva dato il via chiudendo una storia pressoché perfetta. La loro – invece – che non era perfetta ed era costellata di piccoli litigi, gelosie e attriti, rischiava di naufragare ancora prima.
Invece, erano rimasti al proprio posto, ben saldi l’uno all’altra: perché?
 
 
Avere Holly tutta per sé era un po’ come ritornare ad avere diciotto anni. Dakota aveva temuto che la sua amica del cuore avesse spiccato il volo, si fosse magari montata la testa o avesse deciso di trasformarsi in una di quelle indie fissate con gli abiti vintage e Schiller. Holly era sempre stata speciale perché amava la storia e l’arte vestendosi come un maschiaccio e sproloquiando come solo i surfisti californiani sapevano fare, con intercalari pesanti identici a quelli che utilizzava Zacky. Su Holly risultavano buffi, non riuscivano nemmeno a farla apparire uno scaricatore di porto in miniatura.
“Sono a pezzi,” le aveva sussurrato all’orecchio l’amica, passandole un braccio attorno alle spalle, l’ennesima bottiglia di birra stretta nella mano sinistra.
“Non stiamo esagerando, vero?”
“Siamo a Las Vegas, Dakota. Come cazzo facciamo a non esagerare?”
“Non lo so,” e aveva portato le labbra al collo della bottiglia di Holly, bevendone il contenuto.
“Andiamo al casinò che abbiamo visto quando siamo arrivate?”
“Quale?”
“Quello spaziale pieno di slot machine in vetrina.”
“Vuoi giocare?”
“Magari abbiamo fortuna, no?”
“Abbiamo urlato in quel cazzo di megafono per un’ora di fila, mi spieghi come fai a non essere ancora stanca?”
“Speravi che Cardiff mi avesse rammolita? Illusa”, aveva proferito sarcastica Holly lanciandole un’occhiata obliqua carica di diffidenza, strattonandola per un braccio per farla uscire dal locale.
“Non dirmi che non ti sei divertita a cantare come una pazza.”
“Si ma lo dici anche tu che sono stonata, Holly.”
“Non stavamo facendo un concerto, cantavamo alla cazzo come se fossimo sotto la doccia con altre venti ragazze prese a caso tra la folla. Mi sono divertita un mondo!”
“Poveretta tua madre, Holly. Ma tu canti a quel modo quando ti lavi?”
“No, peggio. Faccio acuti volutamente striduli per sfondarle i timpani”, le aveva risposto lapidaria mentre camminavano per strada, ricercando tra le decine di casinò lungo la via centrale di Las Vegas quello che aveva scelto Holly per dilapidare i suoi soldi.
“Sono felice tu sia venuta. Credevo che non avresti lasciato sola Roxy ad Huntington Beach.”
“E perché scusa? Roxy se la sa cavare benissimo da sola.”
“Siete diventate molto amiche, vero?”
“Be’, era inevitabile. I primi tempi sono stati un inferno. Roxanne riordinava tutto, metteva tutto in ordine secondo la sua cazzo di logica matematica e io non trovavo nulla. Stavo impazzendo.”
“Non l’hai uccisa?”
“No, altrimenti poi mi avrebbe ammazzata Zacky. E poi era necessità, istinto femminile di solidarietà… non lo so, chiamalo come vuoi. Non riuscivo ad arrabbiarmi sul serio, mi irritavo ma non riuscivo a sbottare. Era così carina a sistemare tutto in modo perfetto che sarei stata davvero stronza ad aggredirla.”
“Hai sempre avuto un debole per Roxanne.”
“E’ quella intelligente tra i due Baker, per forza.”
Holly aveva allungato le braccia verso il cielo carico di stelle, stirandosi, poi aveva posato lo sguardo su Dakota, arrestandosi bruscamente.
“Ehi, che è quella faccia ora?”
“Mi dimenticherai.”
“Ma sei scema?”
“Passi dieci mesi all’anno con Roxanne, come pensi ne esca io?”
“Come dovresti uscirne, scusa? Sei la mia migliore amica!”
“I rapporti cambiano, lo sai anche tu.”
“Ma che stai dicendo?”
“Sto dicendo che finirai con il preferire Roxy a me”, aveva sbottato tutto d’un fiato Dakota, sospirando rassegnata e già sconfitta dalla sua rivale.
“Roxy per me è sempre stata un mito inarrivabile. Se avessi la facoltà di scegliere, vorrei essere come lei. E’ femminile, ha carattere, è intelligente. Ha tutte le qualità che una donna dovrebbe avere.”
“Visto?”
“Dakota, cazzo! Mi sembra la scenata di gelosia di un fottuto fidanzato!” era stata la risposta arrabbiata della rossa, che aveva incespicato nei propri piedi prima di riuscire a raggiungere l’amica e strattonarla dal lato opposto a quello in cui erano dirette.
“Che cazzo fai adesso?”
“Andiamo a sposarci.”
“Ma sei scema?”
“No, ma almeno la smetti di rompere le palle con le tue fisime del cazzo. Tu sei la mia amica del cuore, Roxy potrebbe raggiungerti ma non sostituirti. Chi l’ha detto che una persona debba avere solo una migliore amica? O che tu debba sparire dalla mia vita? Io non voglio, okay?”
Dakota aveva le lacrime agli occhi e Holly odiava vedere le donne piangere: in quello, era uguale a Zacky. Aveva abbracciato l’amica lì, in mezzo alla strada, posandole un bacio sulla fronte.
“Dai scema, ma sul serio ti sei preoccupata di una cosa simile?”
“Sono seria. Johnny dice che abbiamo un rapporto malato e distruggiamo tutto ciò che si avvicina a noi, che non accettiamo terzi incomodi e… io non voglio diventare invisibile. Io ho bisogno di sapere che ci sei. Anche se vivi a Cardiff so che posso svegliarti nel cuore della notte solo per dirti che Johnny sta dormendo con i boxer con i cagnolini stampati sopra o per dirti che ho visto un film spaziale che devi assolutamente vedere anche tu. E’ rassicurante, Holly. E’ come se sapessi di potermi sempre lasciare andare nel vuoto perché ci sarai tu ad aspettarmi.”
“Io ci sono, ma devi camminare anche sulle tue gambe.”
“Lo faccio, eh. Però sapere di poterti trovare mi da’ sempre forza, perché so che se le cose dovessero andare male, potrò sempre contare su di te.”
“Smettila.”
“Perché?”
“Perché poi scoppio a piangere anche io.”
“Dai, smettila di fare la dura, Holly. Piangi con me.”
“Sei una maledetta stronza, Dakota.”
“Però mi vuoi un bene incredibile.”
“Già. E probabilmente ora ci scambieranno anche per due lesbiche.”
“Volevi sposarmi… lo faresti davvero?”
“Si, e poi Johnny chi lo sente? Andiamo a giocarci la nostra poca fortuna alle slot machine, quello che vinciamo lo investiamo in un giro di cocktail, che dici?”
“Che forse dovremmo consumarli al bar dell’hotel. Almeno sono certa che salire in camera non sarà poi così difficile.”
Almeno, era quello che sperava, o chi li avrebbe sentiti poi Johnny e gli altri?
 
 
*
 
Zacky aveva dovuto letteralmente strappare Holly dalle mani di Dakota e Matt per averla tutta per sé. Seduta accanto a lui sull’auto, masticava un chew-gum alla fragola scoppiettando di continuo insignificanti palloncini.
“Mi hai fatto preparare lo zaino… dove vuoi portarmi?”
“Ho bisogno del tuo aiuto.”
“Oh, ma davvero Baker? Credevo non avessi più bisogno di me” l’aveva rimbeccato Holly scoppiando a ridere.
“Scema, ho dovuto praticamente rapirti! Io ho il diritto di prelazione su di te, da che mondo è mondo!”
L’hai perso quando ti sei messo con la Chihuahua Scema, ma Holly aveva preferito tacere e ingoiare il rospo. Zacky aveva organizzato la loro festa di compleanno ma era sempre preso da Gena, dal loro stare insieme e da quell’universo che anche Holly aveva imparato a costruire con Nick. In qualche modo comprendeva Zacky ma, allo stesso tempo, le sembrava gli stesse sfuggendo dalle mani qualcosa che non era sicura di voler perdere. Matt era già passato dall’altra parte e non l’avrebbe più riportato indietro, e non voleva che la stessa cosa accadesse anche con Zacky. Aveva fatto tesoro dei propri errori e aveva imparato che non era il caso di diventare la presenza scomoda e ingombrante anche di Gena Pahulhus, perché implicava avere troppi problemi e perdere probabilmente il suo migliore amico. Come aveva perso Matt, poteva perdere anche Zacky, e aveva la sensazione che Gena piacesse davvero a quello scemo benché fossero totalmente differenti. Cosa ci trovasse di così fantastico in lei restava un mistero, ma aveva deciso di rispettare rassegnata la sua decisione: non l’avrebbe condivisa mai, ma l’avrebbe accettata in qualche modo.
“Divertente. Quindi?
“Mi serve un consiglio. E’ il compleanno di Gena tra due settimane e ho bisogno di un’idea esplosiva per il suo regalo.”
“E tu mi hai fatto fare la valigia in fretta e furia per questo?”
“Si, perché ti do quarantotto ore di tempo per aiutarmi e salvarmi il culo.”
“Non lo stai chiedendo alla persona più indicata, lo sai? Non potevi farti aiutare da Val o da tua sorella?”
E con che pretesto poi stavo un po’ con te?
“Okay, sappi che a me Gena non piace, ma questo lo sai già. Vorrei infierire, ma sarei cattiva e tu probabilmente mi uccideresti nel sonno stanotte, dunque starò zitta. Ma sappi che non mi piace nemmeno un po’ e non farò mai nulla per farmela andare a genio.”
“Un po’ come per Michelle?”
“No, Michelle è una stronza. Gena invece non ti rende giustizia.”
“Prego?”
“Non lo ripeterò una seconda volta, fattelo bastare. Allora, cosa vuoi regalarle?”
“Ti ho fatta venire apposta, no? Sei tu la mente tra noi due.”
E pure il cuore e il braccio, se per questo.
“Vuoi qualcosa di esageratamente romantico e struggente? Una di quelle cose che la faranno capitolare tra le tue braccia e pigolare come un pulcino felice?”
“Holly…”
“Una di quelle cose da film che senza l’amica con i cotrocazzi non riusciresti mai ad organizzare?”
“Holly…”
“Una di quelle che tutte le donne vorrebbero avere ma che nessuna ha mai?”
“Holly cazzo!”
“E’ un si, vero?”
L’aveva ignorato per tutta la durata del suo soliloquio e alla fine gli aveva sorriso battendo le mani tra loro e saltellando sul suo posto, gettandogli un’occhiata in tralice: Zacky osservava la strada senza distogliere lo sguardo e Holly vedeva sul suo viso quell’aria impacciata che assumeva solo quando doveva scoprirsi.
O era stato scoperto, o si era scoperto.
Era tenero, quando si passava la mano sulla nuca come se accarezzarsi lo tranquillizzasse un poco.
“Ci sarebbe una cosa, anche se per una come Gena è sprecata. Però è d’effetto.”
“Un viaggio sulla luna?”
“Una serata al MoMa a New York.”
“E come cazzo faccio a far tenere aperto il MoMa per noi?”
“Ti avevo detto che per il tuo piano ti serviva l’amica con i controcazzi, cioè io. Quando studiavo a New York ho passato l’ultimo semestre al MoMa per uno stage, conosco un sacco di gente lì dentro e diverse persone ci stanno ancora lavorando. Forse ci faranno questo favore.”
“E come pensi possa funzionare?”
“La imbarchi su un aereo e la porti là?”
“Non intendevo quello, intendevo la cena e tutto il resto…”
“Non ti basta un cazzo di museo tutto per voi? Vuoi anche la cena a lume di candela nel cuore di Manhattan?”
Holly si era arruffata i capelli sulla nuca, sospirando, tornando a schiacciare la schiena al sedile dell’auto.
“Andiamo in aeroporto poi al resto ci penseremo quando saremo a New York, mmh?”
“E’ un’idea pazzesca, lo sai?”
“Grazie. Mi devi un favore, quindi ricordatelo.”
“Non me l’hai ancora fatto.”
“Il solo fatto di essere qui è un favore, Zacky. Specie perché devo aiutarti con quella . Ma è davvero così come sembra?”
“Così come?”
Holly aveva sgranato gli occhi, poi aveva scosso il capo e aveva preso a guardare fuori dal finestrino senza dargli una risposta. Quando sei innamorato non vedi i difetti dell’altro, smussi gli angoli e riesci a superare qualsiasi pecca che – negli altri – ti provocherebbe l’orticaria. Zacky si era innamorato davvero, peccato si fosse fatto fregare dalla persona sbagliata che rispecchiava però i canoni di Zackary Baker: bellissima, attraente, femminile e maliziosa al punto giusto. A conti fatti Holly non riusciva a essere felice per lui, e si chiedeva con che coraggio l’aveva ripetutamente aggredito, accusandolo di non avere mai appoggiato le sue scelte. Certo, le cose erano differenti, Zacky non era mai stato in grado di essere felice per lei in nessuna occasione: forse per la sua laurea, e solo perché aveva creduto di vederla ritornare a Los Angeles. Il problema era che, per la prima volta, Holly stava vedendo Zacky non come l’aveva sempre osservato – sotto la luce diretta che lo faceva brillare al pari di Dakota – ma sotto la luce dell’essere prima un uomo e dopo, il suo migliore amico. Uno che, con lei, non avrebbe dovuto avere nulla a che fare, secondo gli standard classici dell’essere umano medio. Ma Holly ci aveva sempre creduto all’amicizia tra uomo e donna, era cresciuta circondata da amici maschi ed era certa che niente si sarebbe messo tra loro. Erano gelosi l’uno dell’altra, ma era inevitabile: Zacky era geloso anche di Roxanne, e Holly si era tranquillamente adagiata sul gradino accanto a lei, convinta che la tara di Zackary Baker fosse una questione genetica che l’aveva messa sul gradino della sorella minore.
 
 
“E’ stato facile, no?”
Holly sorseggiava il proprio frappuccino – si era intestardita per averlo nonostante il freddo di inizio anno -, seduta su una delle sedie del cortile interno del MoMa, immerso nel verde rigoglioso di un giardino nascosto agli occhi della città. Anche a gennaio, lì i sempreverdi facevano sembrare un angolo di New York in piena primavera. Forse era per quello che a lei piaceva così tanto, le ricordava che c’erano anche momenti che potevano cristallizzarsi nel tempo e durare in eterno.
“Troppo facile.”
“La cena non sarà perfetta, ma lo scenario credo ripagherà il cibo casereccio. Non potevi pretendere che ti lasciassero il museo aperto senza custodi o precauzioni. Ci sarà Nate a farvi da cameriere e cuoco, è bravissimo a cucinare. E cucina italiano, Zacky, per cui dovresti solo ringraziare la sottoscritta per avere amici tanto fighi e idee tanto geniali.”
“Cucina davvero italiano?”, aveva esclamato il chitarrista con l’euforia di un bambino, lasciandosi poi andare contro lo schienale della sedia.
“Si, sua nonna è di origini napoletane, qualcosa sa cucinare. Gli ho chiesto di prepararti qualche piatto tipico, e probabilmente si farà dare un ricettario da lei. E’ bravo sai?”
“Cazzo sei un mito!”
“Mi chiedo se il regalo sia per Gena o per te, lo sai?”, l’aveva rimbeccato lei ridendo.
“Venivi spesso qui?”
“Si, quando non ero qui per lo stage venivo per scrivere la tesi. Mi piaceva stare seduta su questi gradini: non senti nemmeno il ronzio di sottofondo che c’è sempre qui a New York. Se chiudi gli occhi ti sembra quasi di essere solo anche se sei circondato dai turisti o dalle scolaresche. E poi c’è lui” e aveva indicato un albero i cui rami erano gremiti di bigliettini bianchi e oro, appesi come se fossero addobbi natalizi.
“Cos’è?”
“Il Wish Three (*). E’ un’installazione di Yoko Hono, riprende un’antica tradizione giapponese. Si scrive un messaggio o un desiderio su quei bigliettini e poi li si appende all’albero. Dicono che questi si realizzino.”
“E tu ci hai provato, vero credulona?”
“Si, e ti dirò che si sono persino avverati,” aveva proferito in tono solenne, con quell’aria da saputella che la rendeva buffa e che era assolutamente sua, inimitabile.
“Puoi dirmi cosa ci hai scritto allora, no?”
“No, è un segreto. Ogni anno l’albero viene sostituito con un uno nuovo, e hanno allestito una sala all’ultimo piano dove sono stati raccolti quelli degli anni precedenti. E’ bellissimo stare lì a leggere i pensieri di tutto il mondo. E’ una magia incredibile. Anche se non dovessero avverarsi, ho letto messaggi così belli che stavo per mettermi a piangere. Secondo me quell’albero è magico davvero, apre il cuore delle persone.”
“Allora scrivici un altro messaggio.”
Holly aveva sollevato lo sguardo su Zacky, distogliendolo dalla chioma bianco e oro che risplendeva sotto il riflesso della luce morente del giorno.
“Non ho desideri particolari ora”, gli aveva risposto con aria pensierosa, come se stesse ricordando chissà cosa, lontana da lui.
“Non ci credo.”
“Tu ne hai?”
“Ovvio che si.”
Holly aveva riso alzandosi in piedi e cedendo a Zacky il suo frappuccino, avvicinandosi all’albero e osservandolo dal basso, come una bambina che punta lo sguardo al cielo nella speranza di vedere una stella cadente o l’arcobaleno.
“E adesso dove cazzo vai?”
Olivia – dopo qualche istante, in cui aveva armeggiato con fogli e biro sotto lo sguardo incuriosito di Zacky – si trovava di nuovo dinnanzi a lui, tenendo teso davanti a sé un bigliettino candido e una biro.
“Scrivilo. Così si avvera.”
“E tu?”
“Io ho già scritto il mio, ma non te lo farò mai leggere.”
Zacky si era alzato di scatto in piedi cercando di afferrare il bigliettino che Holly teneva tra le dita, ma con rapidità l’aveva nascosto dietro la schiena correndo lontana da lui.
“Non rompere Zacky, non lo saprai mai! Rassegnati e scrivi quel tuo cazzo di desiderio senza fare l’impiccione!”
Zacky l’aveva inseguita, ma Holly si era sollevata in equilibro su uno dei muretti che racchiudevano le aiuole, in modo da non essere raggiunta dal ragazzo.
“Come minimo avrai scritto qualche smanceria su quel tuo Nick Qualcosa”, aveva borbottato lui a mezza voce.
“Cosa? Hai anche tu una Gena Qualcosa, e allora? Non sono così scema da sprecare un desiderio per una cosa del genere”, e con quelle parole era scesa alla sua altezza posticcia, tornando ad essere più bassa di Zacky e a misura di abbraccio.
“Roxy dice che sei innamorata e bla bla bla.”
“E con questo? Lo sei anche tu, ma non significa che io debba sprecare un desiderio per questo. So cosa voglio, e so chi è Nick. Non ho bisogno di assicurarmi una fetta di buona sorte per noi. E comunque” – e si era avvicinata a lui puntandogli il dito sul petto, facendo pressione – “nonostante tutte le Gena Qualcosa e tutti i Nick Qualcosa di questo mondo, tu resti il mio migliore amico. Sei sempre qui, con me.”
Si era portata il dito al cuore per poi scompigliargli i capelli sorridendo, allontanandosi da lui lasciandolo solo con i suoi desideri, i suoi pensieri e un biglietto che doveva scrivere.
Doveva, perché era quello che non aveva avuto il coraggio di dirle: aveva reso il pensiero – debole e strisciante – di una notte dolorosa in un qualcosa di immortale, lasciarlo come segreto sussurrato ad un albero che non avrebbe mai parlato sarebbe stato come dargli di nuovo forza? Zacky sperava di liberarsene con quel gesto, ma c’era Holly - lì, in punta di piedi, intenta a fare un nodo prerfetto al filo del suo bigliettino nascosto tra decine d’altri per non mostrarglielo - a rendere la cosa talmente viva da risultare irreale, violenta e fottutamente pericolosa, in un certo senso.
Si sentiva già abbandonato, ancora prima che partisse di nuovo per Cardiff. Si sentiva come quella notte: disperatamente solo.
“Io ho fatto,” gli aveva gridato lei spostandosi di qualche passo dall’albero per rimirare il suo operato, cercando di individuare il suo biglietto tra centinaia d’altri, soddisfatta dall’incapacità di riconoscere la propria scrittura.
“Non guardo, okay?”
Si era girata di spalle, coprendosi gli occhi con le mani e dondolandosi sui piedi, infagottata nella giacca pesante mentre Zacky si era soffermato a guardarla per qualche istante prima di legare il proprio messaggio all’albero.
Avrebbe chiuso lì tutto quanto, era l’ultima volta che avrebbe tirato fuori il dolore di quella notte e di un abbandono che scottava ancora. Forse, però, quella cicatrice avrebbe bruciato in eterno.
 
Seize the day or die regretting the time you lost 
I found you here, now please just stay for a while 
I can move on with you around 

I wish Zacky could be the happiest man in the universe. Now and forever. I love U, my friend.
 
La distanza di un abbraccio era tutto ciò che li divideva da sempre. Ma quante volte, davvero, si erano concessi di mostrarsi quell’affetto? Holly gli aveva stampato milioni di baci sulle guance ma un abbraccio, quello gliel’aveva concesso solo quando ce n’era davvero bisogno, quando il resto del mondo faceva così schifo da non riuscire a comprenderlo e c’era solo lei a ricordargli quanto fosse speciale Zackary James Baker.
“Hai visto? Fa miracoli.”
“Perché?” gli aveva chiesto Zacky distogliendosi dai propri ricordi.
“Perché è riuscito a non farci litigare nonostante fossimo qui per Gena. Mi sei mancato, scemo.”
Gli aveva stampato un bacio sulla guancia, sorridendo, e Zacky aveva deciso che doveva cancellare quella distanza, minuscola ma sempre più profonda, per ricordarsi che Holly era vera e che tutto continuava ad essere immutato. Sapere che c’era, che ci sarebbe stata nonostante lui fosse una grandissima testa di cazzo, nonostante tutti i Gena Qualcosa e i Nick Qualcosa del mondo.
L’aveva abbracciata, cingendole in modo maldestro le spalle con le braccia forti, e Holly si era irrigidita per un istante, per poi passargli le proprie attorno alla vita.
“Anche tu.”
“Allora cerchiamo di non litigare sempre? Ci complichiamo solo la vita. Io ho bisogno di sapere che ci sei Zacky, altrimenti che senso ha ricordarmi che sei il mio migliore amico?”
“Già.”
Che senso avrebbe, altrimenti, essere ciò che siamo?
Zacky aveva stretto con un po’ più di forza Holly, cercando in quel contatto tutto l’affetto che gli era stato rifiutato in settimane, mesi e anni di partenze, rientri e abbandoni continui.
Perché Holly non era in grado di fermarsi in un posto e restarci?
 
 
*
 
Quando la voce di Roxanne aveva gridato, dall’altra parte della porta, Brian aveva pensato di scappare e tornare con una decina di minuti di ritardo. Da quando lei e Holly erano rientrate, la vita aveva preso a scorrere nel tipico modo in cui girava quando pel di carota tornava ad Huntington Beach, con la differenza che ora i festeggiamenti erano doppi, così come pure gli impegni. A complicare le cose, erano ovviamente i suoi pensieri sconnessi e la presenza fastidiosa di Michelle. Brian non desiderava altro che ritornare in tour il prima possibile perché si sentiva soffocare dalla sua presenza, dalla sua pretesa di attenzioni e da tutto quel suo stargli così vicina quando c’era Roxanne. Perché cazzo aveva deciso di imbarcarsi in quella storia? Aveva ripercorso rapidamente l’archivio dei ricordi, soffermandosi sulla prima notte in cui erano andati a letto insieme: non c’erano fans, c’era stata Michelle. Il problema era che Michelle era un tappabuchi validissimo, una cosa che per di più sapeva di California e di casa, per cui per Brian era diventata in qualche modo il rifugio di quando sentiva la mancanza della sua vita. E quella, per quanto si divertisse, a volte gli mancava come se gli avessero strappato un braccio o una gamba: si sentiva amputato. Jimmy gli aveva chiesto se non fosse stato che era il cuore – a mancargli – ma Brian si era limitato a stare in silenzio, senza concedergli una risposta valida. D’altra parte, per Jimmy già quello aveva parlato abbondantemente sull’ovvietà del suo avere ragione.
“Si?”
Roxanne aveva squadrato le scarpe in pelle, i jeans larghi, ed era risalita lentamente sino alla vita, dove le mani lasciate a penzoloni lungo i fianchi non ammettevano margini di errore: non era suo fratello, quello.
“Brian?”
“Ehm, si, ciao Roxy. Zacky mi aveva detto di passare per le dieci, doveva darmi un demo di qualche pezzo che aveva inciso, sono in ritardo di qualche minuto e…”
“Zacky non è ancora arrivato, ma so che lui e Holly sono atterrati a Los Angeles mezz’ora fa. Se ti va di aspettarlo puoi accomodarti.”
“No be’, magari faccio un giro in auto e…”
“Brian…”
“Okay, grazie.”
Roxy l’aveva lasciato entrare, facendolo accomodare in salotto.
“Stavo preparando la cena per quei due, tu hai già cenato? Altrimenti puoi fermarti con noi.”
“Li hai aspettati?”
“Si, non mi andava di cenare da sola, e poi è una delle ultime sere che passiamo qui. Preferisco approfittarne per stare con Zacky.”
“Posso darti una mano?”
“Da quando sai mettere mano ai fornelli?”
“Non lo so fare, infatti. Però posso tagliare le verdure, quello dovrei riuscire a farlo senza combinare troppi casini.”
Roxanne era scoppiata a ridere, dirigendosi verso la cucina.
“Vieni, ci sono le carote e le patate da pulire. A te l’onore.”
Brian si era seduto a tavola, mentre Roxy macinava carne per le lasagne dandogli le spalle. La guardava e si diceva che era diventata ancora più bella di come la ricordasse. Forse si era persino costruito un’immagine mentale distorta da quella reale per credere che non fosse poi quel granché, la sua Roxy. Il problema era che di quello che gli apparteneva, di Roxanne Baker, intravedeva molto poco. Aveva lasciato una ragazza intelligente e carina, forte – soprattutto – ma ora aveva la netta sensazione che Roxy avesse dalla propria parte una consapevolezza nuova, di chi sa di poter ottenere tutto ciò che desidera. Roxy era diventata donna, molto più donna di quanto non avesse potuto lontanamente concepire ed era di certo opera del gallese. Aveva notato in lei – ma anche in Holly, seppur in misura ridotta – un qualcosa che tradiva quel sentirsi bene nei propri panni, sentirsi a proprio agio anche quando tutto il resto del mondo cerca di affossarti. Forse era perché la convivenza con una totale esaltata come Olivia avrebbe portato chiunque a cercare di trovare equilibrio dentro di sé, ma era un alibi dietro cui sarebbe stato troppo facile nascondersi. La verità era che Brian si aspettava di vedere Roxanne debole – di essere magari lui, il suo punto debole, dopo sei mesi – invece era come se Roxy fosse stata in grado di reggere il peso di qualsiasi dolore.
Perché? E come aveva fatto, lei, che aveva quella memoria maledetta a ricordarle come un mantra o una nenia mortale tutto ciò che aveva vissuto, attimo dopo attimo?
Avrebbe voluto chiederglielo, in un gesto egoistico di quelli che ti fanno poi sentire una merda, ma che gli sembrava necessario per sentirsi ancora qualcosa, per Roxy.
“Come stai?”
La domanda l’avevano formulata entrambi nel medesimo istante, all’unisono. Roxy si era irrigidita, mentre Brian aveva fatto cadere a terra una patata che si era sfracellata al suo con un tonfo sordo.
Lo stesso che aveva fatto la parte residua del suo cuore, giù, sino allo stomaco.
“Bene, Cardiff è una città davvero interessante e offre un sacco di spunti. Tu invece? Il tour è massacrante?”
Dio se era difficile non scappare di lì e imporsi di resistere, fare la dura anche quando poi – così certa di quello che diceva – non era. Amava Ian ma una vocina, nella sua testa, le diceva che Brian non sarebbe mai stato scacciato del tutto dal suo cuore. E non perché Ian fosse meno importante, ma perché Brian era semplicemente Brian. Uno stronzo, certo, ma pur sempre Brian: e non era neppure cambiato di una virgola, era il solito di sempre.
Era quello, di fatto, a gettarla in crisi, perché le ondate dei ricordi non accennavano ad arrestarsi e la investivano con insistenz, quando lui le era accanto.
Aveva deglutito, inspirando: doveva resistere, prima o poi quei due sarebbero rientrati e avrebbero smorzato la situazione. O almeno, era quello che sperava.
“Si, mi manca Huntington Beach a volte. Ci divertiamo un casino, è tutto spaziale e stratosferico e fighissimo ma a volte sento la mancanza di quello che avevo qui.”
Avevo?
Roxy aveva lanciato un’occhiata veloce all’orologio della cucina: le dieci e mezza. Dov’erano Holly e Zacky?
“E’ normale, il vostro è un ritmo che non avevate prima, e andrà in crescendo. State avendo davvero un enorme successo, dovresti essere felice. State realizzando il vostro sogno più grande.”
“Lo sono, vorrei solo avere più tempo per stare da solo, magari. O per godermi una passeggiata per Huntington Beach senza che la gente mi fermi per strada e mi chieda una fotografia e un autografo.”
“E’ l’altra faccia della medaglia, quella, e siete costretti a sopportarla. Però ora puoi capire Holly, ad esempio. Lei non fa parte di quel mondo e vuole restarne fuori. Stare con voi, giorno dopo giorno come fa Val, avrebbe implicato stravolgere la sua vita e darla in pasto al mondo. Per di più, non per sua scelta.”
C’era dolcezza nel tono della sua voce che tradiva un affetto sincero, e Brian aveva sollevato lo sguardo su di lei, sorpreso.
“Siete molto amiche, vero?”
“Si, non è molto difficile andare d’accordo con lei.”
“Non credo sia del medesimo avviso tuo fratello.”
“Be’, il loro è un rapporto differente. Sono migliori amici, e sono ragazzo e ragazza.”
“Ci credi all’amicizia tra uomo e donna?”
Roxanne si era arrestata, costringendosi a voltarsi e guardare Brian negli occhi: era un’imbranata, ma quel tono di voce incerto e lo sguardo colpevole le avevano dato ragione di credere che quella domanda fosse molto più profonda di quanto non ammettesse una lettura veloce.
“Che razza di domande fai? Certo che si. Jimmy è il mio migliore amico. Al di fuori delle ragazze e di Holly dubito di poter dire di aver mai avuto amiche femmine. I rapporti con voi sono più semplici da gestire. Al liceo femminile era una lotta continua per la supremazia o la sopravvivenza. Io stavo dal lato di quelle che cercavano di sopravvivere senza dare nell’occhio, e meno male c’eravate voi ad alleggerirmi le giornate o sarei impazzita là dentro.”
“Dunque possiamo essere di nuovo amici, giusto?”
Giusto?
Aveva Ian, niente passi falsi verso il passato.
E meno male c’erano Olivia Bridges e Zackary Baker, tempismo provvidenziale e grida fuori dalla porta spalancata in malo modo da suo fratello, mentre Holly gli correva dietro carica di borse e con uno skateboard nuovo sotto il braccio, un sorriso da bambina – lo stesso, ne era certa, che doveva avere la notte della Vigilia quando ancora credeva esistesse Babbo Natale - stampato in viso, Zacky con lo stesso sorriso idiota di quando era al settimo cielo.
“Siete tornati! Quanto vi ci è voluto per arrivare da Los Angeles?”
“Non volevano ridarmi la tavola da skate in aeroporto, Zacky ha cercato di corrompere la polizia doganale. E solo perché era una strafiga assoluta, non certo per farmi riavere il mio regalo.”
“Senti da che pulpito, quella era tutta materia sprecata.”
“Se continuavi a fare lo scemo Roxy doveva venirci a prendere in centrale, lo sai vero?”
“E come l’avete riavuto?”
“Holly ha fatto gli occhi da cerbiatta a un tizio, dicendogli che era il suo regalo di compleanno e menate simili. Insomma, gli ha fatto pena.”
“Sempre il solito simpatico, tu”, e gli aveva assestato volontariamente un colpo al gomito con la tavola da skate, facendolo imprecare a mezza voce, mentre si dirigeva con noncuranza in cucina dall’amica.
“Oh! E tu che cazzo ci fai qui?”
“Sempre carina, tu, eh?”
“Ah, cazzo, Brian. Mi ero dimenticato che dovevi passare”, aveva rimbeccato Zacky lasciando scivolare nelle mani di sua sorella una borsa di Victoria Secret’s.
“E questa…”
“E’ il tuo regalo di compleanno”, aveva bofonchiato imbarazzato Zacky.
“Tranquilla, non è niente di compromettente. L’ho trascinato nel negozio che vende solo la linea sportiva. Sai che tuo fratello è davvero una schiappa in queste cose?”
“Holly, vaffanculo okay?”
“Che hai preparato di buono? Ti fermi a cena anche tu Brian?”
Mai abbassare la guardia: dov’era la fregatura? Holly e Zacky parlavano a più non posso, facevano un casino assurdo e nemmeno gli avevano dato tempo di parlare.
“Roxy mi ha invitato a restare.”
“Figurati se ti sbatteva fuori. Non hai avvelenato nulla, vero?” aveva chiesto la rossa rivolta al primo chitarrista, scettica.
“Tranquilla, gli ho solo fatto sbucciare le patate e le carote.”
“Lasagne! Ho una fame da lupi! Zacky andiamo ad apparecchiare? Qui dentro siamo troppi e Roxy finisce che ci prende a calci se non la facciamo lavorare in pace.”
Zacky aveva lanciato un’occhiata torva a Olivia per poi seguirla nell’altra stanza. Facevano così tanto casino, tra risate e piatti che cozzavano tra loro, che per Brian e Roxy era impossibile parlare.
Ma in fondo andava bene così, ed era un modo strano ma piacevole di sentirsi di nuovo a casa. E insieme.
 
 
Quando era rientrata a casa era tardissimo, e aveva lasciato Roxy sola con Brian dopo averla aiutata a riordinare casa. Era stata una serata  bizzarra, ma aveva trovato Roxanne in forma per cui se n’era andata da casa Baker a cuor leggero, facendosi dare un passaggio da Zacky. Era stanca, e il pensiero che mancavano meno di quarantotto ore al suo rientro a Cardiff la faceva sentire svuotata di ogni energia. Avevano passato ad Huntington Beach quasi un mese, e le cose sembravano essere tornate all’improvviso quelle di sempre: lei e Zacky a fare casino, lei e Dakota a ridere come matte, Johnny a prenderla per il culo, Jimmy e Roxy a parlarsi fitto senza degnare di uno sguardo il mondo, Matt e Val e i loro bisticci. C’erano in aggiunta Gena e Michelle, ma erano presenze tollerabili se le ignoravi. Era stata brava e aveva evitato punti di contatto e attrito: in genere, se sapeva che c’era Gena evitava di farsi vedere, se c’era Michelle ingoiava rospi e stava in attesa di un suo passo falso per farla fuori. Nella vita occorreva equilibrio, glielo diceva sempre Nick. Nick le era mancato, ma c’erano così tante cose lì, ad aspettarla – cose che erano sue da sempre e davanti alle quali si era arresa all’evidenza che avrebbero sempre avuto la priorità su tutto il resto della sua vita – che avevano attutito a pieno il senso di vuoto lasciato dal sorriso di Nick e dalla sua voce.
Si sentiva abbastanza egoista e si era chiesta, in quel momento di lucidità con cui aveva varcato la soglia di casa, se avesse mai seriamente preso in considerazione l’idea di non tornare mai più ad Huntigton Beach. Iniziava a dubitare della sua determinazione, in un certo senso, e la cosa non le piaceva affatto. La verità era che lì stava dannatamente bene e le cose tornavano sempre a girare per il verso giusto quando erano tutti insieme: era come il meccanismo di un orologio svizzero, perfetto nel suo sancire i colpi finché ognuno dei propri ingranaggi girava al proprio posto. Bastava un colpo mancato o un ingranaggio guasto per mandare a puttane una perfezione centenaria.
“Cazzo!”
“Mi sono addormentato, scusami.”
Holly aveva rischiato di far cadere a terra la tavola da skate, sbattendo con il ginocchio contro lo stipite della porta.
“Che cazzo ci fai qui a quest’ora di notte? Sei diventato scemo?”
“Volevo chiacchierare un po’.”
“Avevamo detto niente più visite notturne alla Peter Pan.”
“Solo un po’, poi me ne vado.”
“E’ violazione della privacy.”
E soprattutto, non voglio morire giovane.
“Che succede? Qualcosa non va?”
“Secondo te cosa sbaglio con Val?”
Holly aveva posato in un angolo lo zaino e gli acquisti di New York, restando con le braccia alzate a mezz’aria mentre si toglieva la sciarpa.
“Per che cosa di preciso?”
“Discutiamo.”
“Capita a tutti.”
“Anche a te e Nick?”
“Si, è normale. Voglio dire, non sarebbe normale il contrario. Finisci poi come Brian e Roxy che si mollano all’improvviso solo perché lui non ha le palle per dire le cose al momento giusto, quando non vanno. Ammesso poi che non andasse qualcosa, e su questo ho i miei seri dubbi.”
“Posso chiederti una cosa?”
“Su Nick?”
Matt si era sollevato a sedere, squadrandola mentre si toglieva la giacca per poi sedersi sul pouff dinnanzi a lui.
“Perché con lui sei finita sui giornali e non hai voluto rilasciare nessuna intervista per noi?”
“Voi siete la cosa più preziosa che ho, non voglio condividere con degli sconosciuti quello che ho vissuto con voi. Sono i miei ricordi e la mia vita, e voglio che restino tali. E poi vi avrei fatto sfigurare, come direbbe Zacky.”
“Ma gli presti ascolto sul serio?”
“Ovvio che si, Zacky non racconta mai balle. Purtroppo, è la bocca della verità. Scomoda e rompicoglioni e spesso indesiderata, ma la è.”
“Guarda che sei uguale a lui, tu.”
Holly aveva acceso la luce della camera, portandosi in piedi accanto alla porta.
“Li hai visti?”
“Non li hai cancellati?”
“No.”
Matt aveva fissato le tacche delle loro altezze incise con linee indelebili rosse e nere lungo l’intelaiatura della porta, sorridendo: come sapeva sviare i discorsi Holly, non sapeva farlo nessun altro.
“Perché?”
“Così posso ricordarmi quanto ero piccola e stupida a venirti dietro.”
Matt l’aveva guardata sorpreso, poi si era sollevato andando a osservare meglio l’ultima tacca fatta, risalente al 1999.
L’anno della nascita degli Avenged Sevenfold e in cui Holly aveva deciso di lasciarlo perdere - più o meno - ma con un po’ di sforzo e qualche anno in più, ce l’aveva fatta.
“Manca l’ultima.”
“Di cosa?”
“Di tacche. Son passati sette anni, io sono cresciuto ancora.”
“Io dubito di essere aumentata in altezza, ma vediamo un po’.”
Aveva dato a Matt un pennarello facendogli incidere sullo stipite della porta una tacca altissima, rispetto a quella che stava ad indicare la sua, aumentata comunque di un paio di centimetri.
“Sei rimasto il solito idiota, Matt. Tieniti stretta Valary e non guardare quello che fa Brian. Val ti perdonerà sempre tutto, come lei non ne troverai altre.”
“Anche tu mi hai sempre perdonato tutto, che c’entra?”
“C’entra che io non ti avrei mai perdonato un tradimento, lei si. Per questo dico che sei fortunato. Io non perdonerei mai una cosa del genere a Nick. Con che coraggio la guardi di nuovo in faccia?”
“Sono passatempi.”
“Fatti delle seghe, allora. Anche quelli sono passatempi. Tu sei un eterno indeciso, Matt, qualsiasi cosa ti manda in crisi, come se quello che hai dovesse sempre essere messo in discussione per potergli dare più valore.”
“E’ da quando abbiamo diciotto anni che stiamo insieme, che cazzo ne so se Val è la donna della mia vita? O se siamo davvero fatti per stare insieme?”
“Lo sai ma non te ne rendi conto. Per Val rinunceresti a qualsiasi cosa, e il fatto lei non ti imponga alcun sacrificio non significa che non siate fatti per stare insieme.”
Matt aveva rinunciato a sentire Holly negli ultimi mesi per poter tranquillizzare Val, per avere quella serenità che costantemente veniva minata dalla sua migliore amica.
“Perché voi donne fate sempre confronti?”
“Io non faccio confronti, quindi non generalizzare.”
“Val si.”
“Val ha ragione.”
“Non vuole che ci sentiamo o vediamo così spesso, insomma… vuole che allentiamo il rapporto. Mi sta facendo uscire scemo con questa storia, ma sono stanco di litigare per cose senza senso.”
Holly aveva sollevato lo sguardo su di lui, mordendosi il labbro inferiore: Matt era davvero idiota, quando si impegnava.
“E’ per quello che negli ultimi mesi non ti sei praticamente fatto sentire?”
“Scusami.”
“Sai cosa ti dico? Che mi fai incazzare quando fai così. Smettila di darle la colpa di tutto, Matt. Se ti comporti a questo modo è perché a Valary ci tieni e non vuoi perderla.Ti sei già risposto da solo. Val è quella giusta.”
“Però ti ho lasciata indietro.”
“Non puoi pensare di avere una cozza sempre attaccata alla schiena, no? Dovresti pensare a te e Val.”
“E tu?”
“Io cosa?”
“A cosa pensi?”
“Che sei un idiota. Ma questo l’ho sempre pensato. Andiamo a dormire ora, domani devo preparare le valigie e riordinare camera o mamma mi uccide.”
“Sei una scema. L’ho sempre pensato.”
Ci sono cose di cui ti accorgi quando te le sbattono davanti, nude e crude, e non ti sei mai posto quel genere di problema che ti porta a farti mille seghe mentali. Quando la tua migliore amica è una ragazzina, quando sei cresciuto con le stesse persone di quando avevi quattordici anni, sei convinto che quell’amicizia forte e indistruttibile sia tutto ciò di cui hai bisogno. Poi ti innamori e arrivano i casini, perché i tuoi equilibri sono assurdi per quelli che vengono da fuori e cercano di entrare nel tuo mondo. Era davvero così strano avere una migliore amica femmina? Erano così assurdi, loro, nel vivere in una simbiosi perfetta nonostante gli screzi e i battibecchi continui? Il problema era che doveva scegliere, e se non l’avesse fatto lui, be’, ci avrebbero pensato Holly e Val a farlo per lui. La cosa ridicola era che entrambe avrebbero perseguito il medesimo scopo: avrebbero fatto in modo che si lasciasse alle spalle tutta l’infanzia e tutta l’adolescenza vissuta con Holly. Perché Holly stava crescendo e prima o poi se ne sarebbe comunque andata, e loro non avevano fatto altro che accelerare i tempi, invertendo la rotta di quel loro legame, cercando di affievolirlo in qualche modo. Ma avrebbe davvero funzionato?
 
 
*
 
 
Gena aveva passato la serata a rimirare il piccolo parco in cui stavano cenando, a lume di candela. Era una cosa da Zacky, quella, portarla in un museo di notte per farle osservare il cielo da un oblò di vetro, entrambi distesi sui divanetti del piano rialzato del MoMa.
“Non me lo merito tutto questo, lo sai?”
“Invece si. Il solo fatto che tu riesca a sopportarmi la dice lunga sulla tua santità.”
“Non sembra nemmeno di essere a New York.”
“Già. Sembra di essere sospesi in un altro mondo, vero?”
Fuori le stelle non si vedevano, coperte dalle luci artificiali dei grattacieli illuminati a giorno di Manathann, e Gena si era accoccolata vicina a Zacky, posandogli un bacio sulla guancia.
“Ti è piaciuto il museo quest’oggi?”
“Si, non credevo di poterlo dire in realtà.”
“L’arte contemporanea non è il mio forte, ma ci sono cose davvero fighissime.”
“Mi piace quando sei così.”
“Così come?”
“Senza difese. Te ne stai qui a parlare senza agitarti o fare casino, corri dietro ai tuoi pensieri e li tiri persino fuori. Mi piace stare con te Zacky, questo è il lato di te che preferisco.”
“Quello che non sfodero mai?”
“Si. E’ una rarità ma quando lo tiri fuori è un regalo meraviglioso. Secondo me ti fa bene stare lontano da Huntingtron Beach, in genere hai la tendenza a scaricarti quando siamo lontani da casa.”
“Saranno i fantasmi a perseguitarmi.”
“Cioè?”
“Quelle cose che ti porti dietro da quando sei nato, praticamente, e di cui non riesci a fare a meno anche se sai che sono cose malate. O contorte. O problematiche.”
“Parli dei ragazzi?”
“Di tutti. Siamo sempre stati insieme, uniti come se fossimo un unico essere umano. Ogni tanto mi chiedo se a cinquant’anni saremo ancora così, e ho paura a trovare la risposta giusta. Se è si, significa che saremo ancora dei cazzoni, se è no, significa che avremmo perso ciò che siamo davvero e la parte più bella di noi.”
“Malinconico?”
“Senza maschera, come piace a te.”
“Io ci sarò sempre Zacky. Questo è il compleanno più bello che potessi regalarmi.”
Già. E il posto più idiota in cui avrei potuto portarti.
Zacky l’aveva stretta a sé, posandole un bacio sulla fronte.
“Ti amo.”
E Gena, con l’ingenuità di una giovane sposa, era scoppiata a piangere di felicità: niente, prima, era riuscita a farle credere realmente a quelle due parole ma ora lì, insieme, racchiusi in un bozzolo in cui tempo e spazio erano solo concetti per chi stava all’esterno, era riuscita a sentirle vere per la prima volta da quando stavano insieme.
“Perché piangi ora? Che cazzo ho detto?”
“La cosa più importante di tutte. Grazie.”
Si era asciugata gli occhi strofinandoli con il dorso della felpa di Zacky, posandogli il mento sulla spalla e restando lì, a fissarlo, lo sguardo di lui rivolto al soffitto.
“Chissà dove saremo tra dieci anni.”
“Insieme.”
Gena aveva una certezza incrollabile: che l’amore, uno come il suo, non si sarebbe spento mai.
 
 
Cardiff, 2006.
 
 
“Inizia! Roxy inizia cazzo! Ci sono i ragazzi in tv!”
Holly strepitava come una pazza davanti allo schermo del televisore dell’amica, alzando a tutto volume l’audio.
“Ehi! I vicini mi ammazzano, abbassa!”
“Hai dei vicini che sono dei rompipalle, lo sai?”, aveva sbottato la rossa sorseggiando il frappé alla fragola che si era appena preparata, proprio come se fosse la legittima padrona di casa.
“Scusami se non vivo in un appartamento parcheggiato all’ultimo piano di una palazzina di nonnetti simpatici, eh.”
Sst, voglio vedere se li inqudrano.”
“Sembri una di quelle fans psicopatiche che li adescano per strada quando vanno a fare un giro a Los Angeles, Holly. Li conosci da una vita, te lo ricordo.”
“Che c’entra? Faccio il tifo per loro.”
“Ti ricordo che c’è anche Nick.”
“E allora?”, le aveva chiesto la rossa sollevando lo sguardo verso di lei con l’aria più innocente del mondo.
“Per lui non fai tutto questo casino.”
“Sono patriottica. In questo istante guardo prima al sangue californiano, poi al sentimentalismo.”
“Sai che vorrei proprio vederti se gareggiassero nella stessa categoria?”
“Dato che non è così perché dovrei pormi il problema?”
“Sai che ti dico? Nick è un santo a sopportarti”, e con un gesto rapido Roxy le aveva strappato il frappé dalle mani, bevendone un lungo sorso.
“Mi spieghi come fai a bere in questo affare? E’ scomodissimo,” e aveva sventolato sopra la testa dell’amica il contenitore in plastica a forma di cupcake da cui Holly sorseggiava i suoi frappé con l’aria più felice del mondo, nemmeno stesse bevendo una bathida di cocco su una spiaggia delle Hawaii.
“Dato che ti fa schifo puoi evitare di fregarmelo, no?” le aveva scoccato lapidaria la rossa senza staccare gli occhi dal monitor della tv.
“Oh.”
“Cosa?”
“Com’è bello Nick.”
“Tu sei tutta scema, lo sai?”
Roxy era scoppiata a ridere, mentre Holly aveva preso il cellulare armeggiando convulsamente con i tasti.
“Cos’è, glielo stai scrivendo?”
“Ne approfitto per fargli l’in bocca al lupo.”
“Sei tremenda.”
“Stasera Ian non passa?”
“Dovrebbe arrivare finite le presentazioni. Non credo gli vada molto a genio l’idea di guardare gli altri vincere mentre lui sta seduto in poltrona.”
“Ancora con quella storia, eh?”
“Già. Non riescono ad agguantare la vetta e deve essere davvero frustrante.”
“Se poi sei Ian Watkins credo che la frustrazione sia a mille.”
“Già. Vorrei solo fare qualcosa di più per loro, ma non so sinceramente come potrei aiutarli.”
“Be’, potresti rifargli quell’orrendo sito internet che hanno. E’ inguardabile. Fossi un loro fans, diffiderei di loro per principio.”
“Gliel’hai detto?”
“Sei impazzita? Così Ian mi uccide? Non scherziamo. Proponigli tu di rifarlo, vedrai che ti ci farà lavorare mettendoci ovviamente il naso e rompendoti le palle per fartelo fare come desidera lui.”
“Oh guarda Roxy! C’è la mocciosa di Little Miss Sunshine! Io l’adoro! Ma non è la categoria della nomination dei ragazzi?”
“Alza il volume!”
“E poi sono io la fangirl, eh…” aveva sbottato Holly premendo il tasto del volume sul telecomando.
“Vincono il premi come Miglior Band Emergente gli Avenk… Avenged… Se… Seventold, Bat Country.”
Il silenzio nel teatro aveva coinciso con il silenzio nell’appartamento di Roxy, prima che Holly si sollevasse in piedi sul divano improvvisando un balletto in cui aveva trascinato anche l’amica, urlando come una forsennata.
“Abbiamo vinto! Sono stati grandi Roxy!”
“Mi soffochi, Holly…”
“Scusa,” e si era staccata da lei, gettandosi a peso morto sul divano, sfinita.
“Giuro che te ne comprerò un altro quando avrò sfondato questo. Ma stasera fammi fare casino, dobbiamo festeggiare!”
“Quando mai tu stai buona e tranquilla?”
“Aspetta, guardali! Guarda Zacky che faccia che ha, è felicissimo! E Matt!”
Roxy aveva dato un’occhiata a suo fratello per poi soffermarsi sul sorriso raggiante di Brian e quello di Jimmy che lo abbracciava felice. Quanto potevano essere fieri di tutto quello che avevano fatto e raggiunto? Ogni più piccolo sacrificio, ora, era ripagato con quel fottutissimo premio. Anche lei era stata sacrificabile per una cosa così grande, no?
Holly aveva le lacrime agli occhi, e in quella famiglia grande, scomoda e invadente, c’era anche lei. E c’era anche Roxy, nonostante tutto, e l’orgoglio di esserci, di essere una di loro, era tutto in quel momento.
“Per tutti quelli che non ci conoscevano, ora ci conoscono! Noi siamo gli Avenged Sevenfold.”
“Zacky è il solito stronzo.”
Roxy non fiatava, osservava quel premio e si chiedeva se il loro sogno valeva tutte le lacrime e il dolore spesi e una risposta non sapeva concedersela.
“Devo chiamare Zacky, deve farsi fare un autografo da Little Miss Sunshine!”
Roxanne stava completamente ignorando Holly, persa dietro un fiume di ricordi e pensieri che l’aveva investita in modo inaspettato e fastidioso, da cui non sapeva come uscire.
“Zacky! Siete stati fantastici! Sei felice?”
“Ciao scema, avevi dubbi sul fatto che non potessimo vincere?”
“Zacky fatti fare un autografo da Little Miss Sunshine, ti prego ti prego ti prego ti prego!”
“Holly vuoi che mi scambino per un pedofilo? Devo fermarla nel backstage per farlo.”
“Che ti frega? Le dici che è per me, voglio anche la dedica! Fatti accompagnare da Jimmy, lui non ha la faccia da individuo losco come te.”
“Che cazzo stai insinuando?”
“Nulla, ovviamente. Ti passo Roxy, che se ne sta imbambolata a guardarvi risalire la scalinata. Sei un genio comunque, a rispondere al telefono proprio ora.”
“Si eh?”
Zacky aveva allungato una mano mandando un bacio in direzione della telecamera, sorridendo. Jimmy e Johnny, dopo qualche istante, avevano salutato nella loro direzione e Matt aveva alzato il premio verso di loro: Brian, invece, si era limitato ad alzare lo sguardo, ammiccare e tornare a guardare dritto avanti a sé.
“Brian potevi sforzarti un po’ di più eh. Ma che ore sono lì, Holly?”
“Le quattro del mattino. Grazie Zacky, per tutto. Godetevi la festa, ti passo Roxy.”
Holly le aveva passato il cellular, dandole una leggera pacca sulla spalla come a volerla scuotere dal suo torpore.
“Coraggio. E’ anche un po’ nostro, lo sai, no?”
“Purtroppo si.”
 
 
Los Angeles, 2006.
 
“Che figata, ragazzi!”
Jimmy rideva come inebriato da tutto il casino, gli applausi e i complimenti. Non aveva chiamato le ragazze, ma aveva tutta l’intenzione di chiamare Roxy non appena si fossero liberati dalle premiazioni. Zacky aveva risposto ad Holly in meno di un secondo ed era certo che non aspettasse altro che la sua telefonata.
“Abbiamo vinto.”
“Già. A me sembra passato un secolo da quando giravamo con quel bus scassato.”
“Quello con cui siamo arrivati non si sa come a New York, Johnny?”
“Si, ma tanto la peggio l’avete avuta tu e Zacky quella volta.”
“In compenso Jimmy tu ti sei fatto arrestare a Londra, te lo devo ricordare?”
“Ehi!”, e il bassista aveva accompagnato il grido di sorpresa con una gomitata ben assestata al fianco di Zacky.
“Johnny sei scemo?”
“Quello non è il ragazzo di Holly?”
Zacky si era sporto dalla propria poltrona osservando la posizione indicata da Johnny, una decina di file più in basso rispetto a loro.
“Stai dicendo che è quello rachitico?”
“Quello che sembra uscito dal film sui Doors, esatto.”
“Non ha gusto Holly. Ma proprio per un cazzo”, aveva sbottato lui tronfio.
“Secondo me è così abituata ad avere intorno degli scimmioni che l’unico principe azzurro a cui può cedere è uno di quelli usciti da Raperonzolo. Noi siamo più da Bella e la Bestia, ecco.”
“Non vedo Belle, io”, aveva risposto secco Zacky in direzione del batterista.
“Io invece vedo un mucchio di Bestie. Ehi, sta telefonando! Magari è al telefono con Holly, che dici?” era stata la stoccata finale di Johnny. Lui e Jimmy si divertivano un mondo a prendere per il culo Zacky, con Brian c’era da andare sul leggero, e poi il gallese non era stato invitato e già per quello, Brian aveva dalla propria parte una vittoria morale schiacciante.
 
 
Zacky, così come Brian, era uscito vincitore dalla serata. I The Strokes non avevano portato a casa nulla se non una misera nomination, e il chitarrista aveva tutta l’intenzione di sentirsi grande. Si sentiva, per altro, come il padrone del mondo, un po’ come tutti loro e Gena, al suo fianco, era la ricompensa aggiuntiva al suo premio. Con l’aria strafottente del californiano stronzo – quale era – teneva un braccio sulle spalle di Gena, mentre scendevano la scalinata che portava al backstage, masticando in modo rumoroso un chew-gum.
“Dobbiamo farci fare l’autografo per Holly, Jimmy, altrimenti chi la sente poi? Quella è peggio di mia sorella quando si impegna. E’ una distratta cronica, ma per le stronzate ricorda tutto.”
“E ti presenta anche il conto, eh Zacky?”, aveva rimbeccato il batterista ridendo di gusto.
Quando erano arrivati più o meno alla fila incriminata, Zacky aveva sogghignato al destino che, per una volta, aveva deciso di offrirgli la serata più figa dell’anno, come se per tutta la merda ingoiata potesse almeno per una volta, averle tutte vinte. E la cosa, a Zacky Vengeance, elettrizzava un casino.
“Oh scusami.”
Con noncuranza, Zacky aveva urtato con una spallata Nick che – in piedi vicino al proprio posto – parlava al telefono, a bassa voce, nemmeno temesse di svegliare il mondo, facendolo quasi cadere sulle poltrone.
Nauseante.
“Non volevo farti male.”
“Nessun problema amico.”
“Grazie a dio non abbiamo come amici dei perdenti, noi.”
Nick l’aveva guardato perplesso, tentando di recuperare il cellulare che gli era caduto nell’urto, mentre Julian aveva scoccato a Zacky un’occhiata tutt’altro che cordiale.
“Ehi, non abbiamo problemi con i californiani.”
“Sbandierare i cazzi vostri ai giornali potrebbe già essere un problema.”
A quel punto, Nick aveva recuperato il telefono, la voce di Holly che dall’altro lato continuava a chiamarlo con una cantilena da bambina che l’aveva fatto scoppiare a ridere come un matto.
“Quella scema, sempre a fare casino,” aveva sbuffato Julian, appoggiandosi allo schienale della poltroncina in velluto rosso, calandosi gli occhiali da sole sul viso.
“Scusami, mi era caduto il cellulare.”
“Sei sempre il solito.”
“No, veramente un tizio grande, grosso, tatuato, con l’accento californiano e dall’aria strafottente mi ha appena dato una spallata. E dubito fosse amichevole. Lo conosci?”
“Quello scemo di Zacky…”
“Era il tuo migliore amico?”
“Begli amici di merda che ha!”, aveva gridato Julian, in modo da farsi sentire anche da Zacky, qualche gradino più in basso, che si era voltato mostrandogli il dito medio e un sorriso trionfante. Se fosse finita in rissa, Holly non gliel’avrebbe mai perdonato, e magari li avrebbe persino visti: non era certo che le telecamere fossero già spente, per cui era bastato come ammonimento. Un passo falso, e Valensi e quel gallese sarebbero finiti come un sufflè di cioccolato.
“Di’ a Julian che i miei migliori amici non si toccano, okay?” era stata la lapidaria risposta di Holly dall’altro capo del telefono.
“Sinceramente mi sembrano tipi poco raccomandabili.”
“E io che ti avevo chiamato per sapere come stavi dopo la delusione.”
“Nessuna delusione, a noi va benissimo così. Tu sei felice, vero?”
“Si, sono al settimo cielo. Se lo sono meritato.”
“Ti lascio festeggiare con Roxy, cercate di non affossare quel povero Cristo di Ian, però.”
“Credo che Roxy lo stia chiamando per dirgli di non passare stasera, ci rovineremmo un po’ tutti la serata. Tu davvero stai bene?”
“Si tranquilla. Rientro con Julian, dice che vuole vederti per assicurarsi che non scappi.”
“Bella forza, dove vuoi che vada? Ti aspetto qui. Mi manchi, ma solo un po’.”
“Anche tu. Ma non così poco, credimi.”
Holly era scoppiata a ridere, e Nick si era seduto sprofondando nella poltrona accanto a quella di Julian, che lo fissava di sottecchi mentre riattacava il telefono, sospirando.
“Bella merda l’amore, eh?”
“Non è così male, basta saperlo prendere.”
 
 
Huntington Beach, 2006.
 
 
La fortuna che aveva girato dalla loro parte, aveva preso a far funzionare il tour che li aveva visti impegnati sino all’autunno inoltrato. Erano riusciti a mettere insieme qualche canzone, ma nulla più, e tutto quello che desideravano ormai era una sana pausa ristoratrice. Quando era arrivato dicembre con il loro meritato mese di riposo, sembrava che tutto dovesse essere la perfezione anche in quelle quattro settimane che segnavano il ritorno di Holly e Roxanne. I ragazzi non avevano avuto tregua per tutto l’anno, e le due avevano finito con il passare le vacanze estive con Ian e Nick, in un viaggio che gli aveva fatto attraversare l’Europa per condurli sino a Istanbul, toccando città e – ovviamente, il loro amatissimo mare – che a turno, avevano proposto. Il bello del loro quartetto era una compensazione emotiva che riusciva a far funzionare qualunque cosa facessero insieme, un po’ perché Ian e Holly erano davvero incontenibili insieme - e impossibili da non assecondare - un po’ perché era come vivere davvero, senza sentirsi soffocare da legami che a volte sembravano solo malati, come se tutta la bellezza che vi avevano sempre visto, che avevano sempre vissuto, non fosse altro che una falsificazione della loro memoria.
A confermare che no, loro stavano bene anche ad Huntington Beach nonostante tutto – e Holly si chiedeva se non fosse puro masochismo - , era la memoria di Roxy, che non perdeva un colpo né falsava ricordi. Su quelli che avevano in comune, dunque, Holly era certa non ci fossero cattive sorprese.
“Secondo me a Zacky verrà un colpo quando vi vedrà insieme.”
“Dobbiamo fermarci a Los Angeles per un paio di giorni prima di venire ad Huntington Beach, resti con noi?”, le aveva chiesto Ian mentre leggeva con scarso interesse una rivista di moda maschile, come se lei nemmeno avesse parlato.
“No, preferisco rientrare e passare gli ultimi giorni di pace e serenità prima che il Tornado Baker si abbatta su di noi.”
Roxanne aveva riso, appoggiando la testa alla spalla di Ian, stiracchiandosi poi come un gatto in cerca di affetto.
“Prima o poi dovrà conoscerlo, no?”
“Non sei un po’ troppo ottimista? Tuo fratello non vorrà mai conoscere Ian, figuriamoci. Gli andava bene Brian solo perché era suo amico, qualsiasi uomo è fuori discussione per lui.”
Ian aveva passato la propria mano sotto quella della ragazza, intrecciando le proprie dita alle sue, in un gesto che a Roxy sapeva di certezza, come se tutto il mondo potesse crollare in quell’istante e lei, comunque, restare in piedi.
“Dovrà farsene una ragione.”
“Quel momento arriverà quando Zacky sarà cresciuto, e lo vedo ancora lontano dalla meta, sinceramente,” le aveva risposto Holly inforcando gli auricolari.
“Comunque – aveva proseguito sorridendo – in qualche modo ce la faremo ad arginarlo. Nick non passerà il Natale con noi quindi posso gestire Zacky se diventa insopportabile e non c’è Gena a fare da deterrente.”
“Non ti dispiace non poter festeggiare il compleanno con Nick?”
“Si, ma la casa discografica gli ha imposto diverse date proprio nella settimana di Natale, dubito che possa cancellare i concerti per venire a festeggiare me. Non morirò proprio per il giorno del mio ventitreesimo compleanno, no? Avremo una vita di compleanni da poter festeggiare insieme.”
Roxy era scoppiata a ridere mentre Ian aveva lanciato un’occhiata scettica a Holly emettendo un lungo fischio.
“Da quando ti sei messa a parlare di per sempre?”
“Da quando lo fai anche tu, Watkins. Per non perdere le buone abitudini, no?”, aveva sbuffato la rossa, fingendo di ignorare Ian.
“Ti ricordo che sei in debito con me di un ingresso a Disneyworld.”
“No, vi prego… se ci fosse Nick sarei salva, ma così è scorretto. Sono la minoranza.”
“Lo saresti in ogni caso, Nick ha giurato che mi porterà su ogni attrazione. Di conseguenza, tu sei arruolata quando Mr. Watkins si degnerà di schiodare le sue chiappe dai suoi amichetti a Los Angeles e si degnerà di ricordare che la California non è fatta solo di quell’orribile città.”
“Perché non andiamo a San Francisco per qualche giorno?”
Holly si era girata di scatto verso Ian, Roxanne che aveva sollevato lo sguardo verso di lui sorpresa quanto l’amica.
“Perché proprio San Francisco?”
“Perché è europea,” aveva scoccato lui, secco. Che altro potevano aspettarsi da Ian Watkins? Da uno che puntava al massimo e non si sarebbe mai accontentato del secondo posto? Da uno i cui ragionamenti seguivano l’onda anomala di uno tsunami, sempre fuori luogo ma comunque giusti, a modo proprio. Solo a una come Holly poteva piacere un tipo svitato come Ian, e solo una come Roxy poteva capire tutto quello che non diceva: di quella frustrazione sottile dell’eterno secondo, di quell’essere a un passo dalla vetta senza riuscire a salirvi, di essere quel tipo di persona che la gente considera un genio ma che – voltandosi - chiama mostro.
“Andremo a San Francisco quando ci sarà anche Nick, però.”
“Era scontato .Vuoi che lo rimpiazziamo con Bori?”
“No grazie,” gli aveva risposto Holly arricciando il naso in una smorfia di disgusto. Roxy aveva riso, scoccando un bacio sulla guancia del ragazzo.
“Sei tremendo, lo sai?”
“Mi piace quando mi dipingi come un cattivo ragazzo.”
“Un po’ lo sei.”
 
 
*
 
 
Non ricordava esattamente il motivo per cui, la sera prima, si era sbronzato come un sedicenne insieme a Holly e Jimmy. Quello che si ricordava, però, era che ad un certo punto era arrivata anche quella casinista di Dakota insieme a Johnny offrendo dei cocktail rivoltanti a tutti e quelli, li avevano massacrati. Holly si era rifiutata di bere, asservendosi ad autista – per una volta nella sua cazzo di vita da mocciosa parassitaria – e riportandolo a casa. L’aveva persino accompagnato in camera, perché ricordava che per poco non l’aveva fatta cadere a terra lungo le scale.
“Lo vedi che sei scemo? Che poi, spiegami perché non potevo portarti a casa di Gena come previsto!”
“Poi chi la sente?”
A Gena doveva aver mandato un messaggio Holly, secondo il post-it che gli aveva appicciato sul cellulare – impossibile non vederlo, dunque – in cui si scusava ma sarebbe rimasto a dormire a casa dei suoi, visto quanto era sbronzo e quanto fosse pericoloso rientrare a casa. Ovviamente, l’aveva riaccompagnato Jimmy: molto poco credibile.
Si era trascinato in cucina seguendo l’olfatto lungo le scale, mentre il profumo dei pancakes di sua madre si espandeva per tutta casa come una manna di dio. E lui, aveva anche una fame fottuta a quell’ora.
“Oh buongiorno Zacky!”
Zackary Baker riteneva che il mondo potesse essere molto stronzo se non stavi attento e non riuscivi a fotterlo per primo, e la voce allegra di sua sorella non era contemplata nelle quindici cose adorabili che avrebbe desiderato vedere appena sveglio. I motivi non erano da ricercare in Roxanne, ma al corollario di cose che – con lei – stridevano come unghie affilate su una lavagna.
In ordine sparso, Zacky aveva notato in rapida successione: che sua sorella indossava una camicia bianca che non era proprietà di casa Baker e sgambettava a piedi scalzi per la cucina; il gallese sedeva al tavolo della sua cucina, in boxer, sorseggiando una tazza di tè, perfettamente a suo agio; che lui, indossava i boxer con disegnati orridi maialini rosa con le ali che gli aveva regalato Roxy il Natale precedente.
In fatto a stile, Ian Watkins l’aveva stracciato.
“Zacky questo è Ian.”
“Ehi ciao, hai avuto una bella batosta ieri sera, eh?”
“Che cazzo ci fai qui?”
Aveva ignorato Ian, puntando lo sguardo su sua sorella, cercando di metterla a disagio: Roxy se n’era fregata sorridendogli, avvicinandosi a lui stampandogli un bacio sulla guancia.
“Non sei contento di vedermi?”
“Cazzo si, no, cioè… copriti Cristo! Sei nuda!”
“In fatto di nudità spirituale dovresti solo darti un’occhiata allo specchio,” era stata la risposta al vetriolo di Watkins, sul piede di guerra sin da quando si erano svegliati. Era andato ad Huntington Beach con il solo pretesto di mettere in chiaro la legittimità della sua proprietà, non avrebbe certo aspettato il branco al completo per farsi sbranare.
“Sei sempre il solito esagerato, Zacky.”
“Lui resta?”
“Sino alla fine delle vacanze natalizie. Mamma è al settimo cielo.”
“Mamma che?”
“E’ una bravissima donna, vostra madre. E cucina divinamente.”
Zacky si era assestato un ceffone in pieno viso, sperando di risvegliarsi dal peggiore degli incubi e invece, era tutto vero.
“Non potevate andare in hotel?”
“Mamma ha insistito perché rimanessimo qui.”
Col cazzo che passo il mio unico mese di pace in compagnia di questo esaltato.
“Vuoi un pancake Zacky?”, gli aveva chiesto Ian offrendogli un pezzo del proprio, penzolante da una forchetta e ricoperto di marmellata di arance.
“No grazie, mi si è serrato lo stomaco.”
“Non resti con noi?”
“Vado a fare un giro da Holly.”
Aveva fatto dietro front, poi aveva risalito le scale con passo deciso: aveva un’unica via di salvezza, e l’avrebbe intrapresa supplicando tutti gli déi del mondo perché, almeno lei, lo comprendesse.
 
 
Quando il campanello aveva suonato, Holly si trovava sul retro di casa, intenta a sistemare alcuni scatoloni carichi di vecchi giocattoli in garage.
“Ecco dov’eri!”
Holly si era girata sorpresa, rischiando di far cadere a terra la pesante scatola che teneva tra le mani.
“Che succede Zacky?”
“Quello, cioè… aspetta. Tu lo sapevi? Per questo mi hai fatto ubriacare ieri?”
“Non esattamente. Non credevo rientrassero stanotte ma si, lo sapevo.”
“Quello dorme a casa mia!”
“E allora? Anche tu dormi con Gena: è normale, no?”
“No, io non lo sopporto quel gallese. Ha la faccia da schiaffi, si vede proprio che si crede un figo. Non lo reggo, o ci sto io sotto quel tetto o ci sta lui.”
“Perché devi sempre essere così drastico nelle tue scelte?”
“Sei la mia unica salvezza.”
“Cosa dovrei fare, scusa? Scacciare Ian da casa tua?”
“Potrebbe essere un’idea. Tu sei loro complice, è tuo obbligo morale aiutarmi, visto che sono il tuo migliore amico.”
“Okay, fammi posare questo e poi ne parliamo.”
Zacky l’aveva osservata trotterellare lungo il giardino per poi ricomparire – quache minuto più tardi – da dietro l’angolo della casa, mentre cercava di pulirsi le mani sui jeans strappati.
“Che stai facendo?”
“Un po’ di ordine in camera. Ho portato in garage tutti i nostri giochi di società e un sacco di altre cose che occupano solo spazio. Adesso è pronta per ospitarti.”
“Dici davvero?”
“Puoi dormire nel mio letto, ma solo se non fai un casino assurdo e non ti agiti di notte come tuo solito.”
“Non mi stai prendendo per il culo, vero?”
“Considerando che sei venuto qui con un borsone carico di vestiti, direi che è la stessa cosa che avevi pensato tu. Perché te la prendi così tanto? Roxy è serena con Ian, stanno bene insieme ed è quello di cui ha bisogno ora: qualcuno che la faccia sentire bella e importante. Ian lo fa, dunque sta compiendo il suo dovere. E’ comunque una brava persona, la gente tende sempre ad accusarlo di essere un grandissimo stronzo, ma è solo apparenza. Un po’ come la tua.”
“Non paragonarlo a me, ti prego. Quello la mattina beve il tè, come i vecchi inglesi.”
“Dovrai farci l’abitudine. E’ anche vegetariano, è una sofferenza dover preparare cene quando c’è lui. Hai fatto colazione?”
“No.”
“Allora fammi vestire che andiamo a prenderci qualcosa fuori. Dovevo vedermi con Jimmy, almeno mi aiuterà a tirarti su. Hai una faccia spaventosa, Zacky.”
“Colpa del cocktail di Dakota.”
“E nemmeno un po’ di Ian?”
“Non infierire.”
Zacky l’aveva seguita mestamente, come se fosse privo di qualsiasi lucidità mentale: di fatto era sconvolto dall’invasione barbarica di un fottutissimo inglese.
“Dai, lasciami divertire un po’. Sei così buffo con questa faccia – ed era ritornata sui suoi passi pizzicandogli le guance tra indice e pollice, stiracchiandogli la pelle verso l’esterno – che sarebbe un’ingiustizia non farlo.”
“Sei una stronza. E mi hai anche fatto un male fottuto, cazzo.”
“Cinque minuti e arrivo. Se vuoi bere un po’ di latte, è in frigorifero.”
Holly gli aveva sorriso, correndo sulle scale di casa entrando nella propria stanza, lasciando Zacky in balia di una sensazione di stupidità latente, di quelle che ti fanno sentire un idiota senza un perché. Anzi, il perché lo sapeva sin troppo bene: cos’aveva sua sorella per accalappiare tutti gli uomini più stronzi del pianeta?
 
 
Jimmy aveva passato tutto il tempo della colazione a ridere a crepapelle. Holly parlava e gesticolava convulsamente, indicava Zacky e poi scoppiava a ridere, come se il povero chitarrista non fosse nemmeno presente.
“E che cazzo, basta prendermi per il culo!”
“Ti ho dato asilo, posso permettermi di dire ciò che voglio. Guardati Zacky, sembra ti abbiano trucidato il gatto.”
“Dai Zacky, Holly lo conosce: se dice che è okay perché devi prendertela così a male?”
“Perché è la sindrome possessiva dei Baker: guardalo, si sta già innervosendo al solo pensiero che Ian sia da solo con Roxy. Smettila di rompere le palle, sul serio. Diventi ridicolo poi. Comunque – e aveva ripreso a parlare dopo aver bevuto un lungo sorso di caffelatte – credo non sia il caso di parlarne con Brian.”
“Eh? Io a Brian non tengo nascosto nulla.”
“Certo, così ci ritroviamo Brian a fare la primadonna in competizione con Ian per le prossime tre settimane. Sei impazzito? Non voglio ritornare a Cardiff più stanca di quando sono partita per venire qui, anche perché finchè si tratta di sopportare te posso sacrificarmi, Brian se lo può scordare. E voglio bene a Jimmy da decidere di tutelare anche al sua sanità mentale.”
“E Matt?”
“Cazzo!”
“Ma sei scema?”
“Ho dimenticato di svegliarlo.”
Jimmy le aveva lanciato un’occhiata dall’alto della sua posizione, la tazza di caffè a coprirgli buona parte del volto.
“Perché devi svegliarlo tu?”
“Perché Matt doveva fare la spesa: se non lo fa, Valary lo ammazza. Val oggi dovrebbe essere fuori con Michelle, non ho capito bene per quale motivo. Tipo: andiamo dal parrucchiere insieme e raccontiamoci i cazzi nostri. Probabilmente saranno andate da Gena, e…”
Holly aveva guardato Zacky, imperturbabile mentre mescolava il suo caffè americano da almeno dieci minuti buoni, senza decidere di berne un solo sorso.
“Forse è il caso che avvisi Gena, che dici?”
“Non glielo diremo. Le diremo che dormo dai miei, facciamo prima.”
“Tu vuoi proprio tirarti i casini a casa, però. Perché non vai da Gena?”
“Perché la sua coinquilina mi sta sul cazzo, e vuole farsi Johnny e quindi rompe doppiamente. E se Dakota lo viene a sapere, compie una strage.”
“Johnny lo sa?”, gli aveva chiesto Holly con l’aria di chi era pronto a divorare la prima cosa che gli fosse capitata a tiro se Zacky avesse risposto in modo errato.
“Johnny non la sopporta, figurati. Quello ha occhi solo per Dakota, andrà a finire che si sposeranno prima di Matt e Val.”
“Che male ci sarebbe, scusa?”
Zacky, con una delicatezza pari a quella che avrebbe utilizzato per schiacciare una mosca, le aveva dato una pacca sulla fronte, facendola oscillare pericolosamente all’indietro, sulla sedia.
“Ma sei cretino?”
“Hai la febbre per caso?”
“Perché dovrei?”
“Quindi il piano è: non diciamo nulla a Brian sino a Natale?”, aveva chiesto Jimmy come a voler capire l’assurdità dell’idea di Holly.
“Esattamente. Basterà tenerlo a bada a turno. Per il resto, ci sarà Michelle.”
“Holly, non vorrei distruggere il tuo piano diabolico ma non ti sembra un po’ utopico tenere nascosto a Brian il fatto che Roxy sia rientrata con Ian?”
“No, perché? Basta che non si vedano, e se fa domande diciamo che Roxy ha qualche impegno o cose del genere. Facile no?”
Era palese che Jimmy fosse l’unico a vedere l’assurdità del piano dell’amica, considerando lo stato catatonico in cui versava Zacky, sinonimo che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vedere il meno possibile Watkins e sua sorella insieme.
“Finirà in tragedia, lo sapete vero?”
“Hai qualche altra idea, Jimmy?”
“Far ragionare Brian?”
“Scusa, non riusciamo a far ragionare Zacky, credi che riusciremmo a farlo con quella testa calda di Brian? Non accetterà mai di essere secondo a Ian, e viceversa. Sarebbe come un Brian contro Brian, e solo per il gusto di essere la primadonna della serata.”
“A me piacerebbe vederlo,” aveva risposto lapidario Jimmy.
“A me no, sarebbe insopportabile, credimi.”
 
 
“Cazzo ce l’hai ancora?”
“Si, perché? Dovevo buttarlo?”
Zacky aveva osservato l’orso di peluche che le aveva regalato anni prima, in un compleanno come quello che si stava avvicinando in fretta. Ancora uno, come se la loro vita ormai fosse costellata di compleanni e feste comandate. Come se la vita vera, fosse solo quella.
“Vuoi che guardiamo un film?”, gli aveva chiesto, mettendosi a sedere sul pouff, incrociando le gambe tra loro.
“Horror?”
“Se ti va si, ma ho tutta roba che abbiamo visto un milione di volte ormai.”
“Andiamo a noleggiare qualcosa?”
“Fa un freddo cane, fuori. E siamo già in pigiama Zacky, chi ha voglia di rivestirsi? E poi se incontriamo qualcuno che conosciamo che gli raccontiamo? Che stiamo facendo un’indagine di marketing?”
“Non vorrai stare tutta sera a lagnarti, vero?”
“Semmai non voglio stare tutta sera a sopportarti con il muso. Ah! Guarda cos’ho trovato mentre riordinavo la camera, stamattina.”
Si era inginocchiata a terra, sfilando da sotto il letto una scatola malridotta di cartoncino.
“Guarda un po’,” e aveva sollevato il coperchio mostrandogli sacchettini trasparenti in cui – suddivisi per colore – spuntavano piccoli carri armati in plastica.
“Ce l’avevi tu?”
“Lasciavate tutto a me perché ero quella più vicina alla casa di Matt. E quella che perdeva meno cose, nonostante fossi una disordinata cronica.”
“Tu le cose nel tuo casino le trovi, non sei come Brian che non trova nulla ed è pure disordinato.”
“Facciamo una partita?”, gli aveva chiesto lei mostrandogli un sorriso raggiante, il pigiama a pois rossi che le dava l’aspetto di un fumetto.
“Se vinco io ti chiamerò Pimpa per le prossime tre settimane.”
“Che stronzo. Se vinco io mi concedi un tuffo giù dal molo la vigilia di Natale.”
“Vuoi che ci prendiamo una polmonite?”
“Ci mettiamo le tute da surf, no?”
Non cambi mai, tu.
Holly gli tendeva la mano e Zacky l’aveva presa nella propria, entrambi determinati a vincere per una delle cose più stupide del mondo, come se fosse vera, la guerra che stavano intraprendendo. Il fatto era che erano abituati a giocare a Risiko, e litigare e scannarsi: l’avevano fatto per pomeriggi interi, non si sarebbero risparmiati nemmeno quella sera.
Mentre Olivia sistemava le proprie truppe rosa sulla Nuova Zelanda, Zacky aveva già preso possesso del Madagascar, con la mente rivolta verso i ricordi di un inverno di chissà quanti anni prima, accucciati nel garage di Matt in una partita a squadre all’ultimo sangue. Lui era finito con Holly, Val con Matt, Johnny con Dakota, Brian con Roxy – per volere popolare, dato che ancora non stavano insieme -e Jimmy e i Barry si erano divertiti a dividersi le restanti truppe. Era stato il pomeriggio in cui Holly l’aveva riaccompagnato a casa sotto la pioggia, con un ombrello trasparente che mostrava il cielo sopra di loro.
“Secondo me siamo come quelle nubi, lo sai Zacky?”
“Cioè?”
“Cioè ci facciamo sempre fregare dai venti del destino. Secondo te impararemo a remare controcorrente?”
“E’ una metafora un po’ del cazzo.”
“Però rende chiaro il concetto. Siamo troppo piccoli per decidere cosa vogliamo davvero.”
“Tu sei piccola, noi no.”
Holly si era ammutolita, e dopo sei mesi gli aveva dato la notizia che sarebbe partita per New York.
“Ehi, tocca a te. A cosa pensi? Ancora a Roxy e Ian?”
“No, pensavo a quando giocavamo a Risiko tutti insieme.”
“In due non è così divertente, vero?”
“Col cazzo che mi faccio fregare l’occasione di chiamarti Pimpa.”
“Il tuffo sarà mio, Zacky.”
Gli aveva fatto una pernacchia, poi era tornata a concentrarsi sul tabellone: mai giocare sull’orgoglio di Olivia Bridges, o avrebbe preso seriamente anche una partita a tombola al circolo degli anziani.
 
 
*
 
 
“Zacky sicuro di non avere un cazzo di morbo africano addosso? Non stai fermo un secondo, e soprattutto non stai azzeccando un accordo che sia uno. Sei riuscito a non andare a tempo nemmeno su Walk. Ci credo che sei la seconda chitarra.”
Jimmy, da dietro la batteria, aveva trattenuto a stento le risate, mentre Johnny gli si era avvicinato ridendo: lo spettacolo si auspicava divertente, e godersi i litigi di Brian e Zacky dalla posizione di Jimmy era sempre fantastico. Li potevi prendere per il culo senza che loro se ne accorgessero, infatti.
“Avrò la febbre.”
“Eh?”
In effetti era davvero poco credibile: si è scelta proprio il peggiore dei soci, si era detto Jimmy dando un colpo secco con le bacchette sui piatti, assordando Johnny.
“Ecchecazzo!”
“Scusa nanerottolo, ma era per dare un taglio al match delle prime chitarre.”
“Io sono la prima, Zacky la seconda. Ci tengo a ricordarlo.”
“Stronzo.”
“Cos’è, oggi gira male? Sono tre giorni che non ti si vede, si può sapere dove cazzo eri finito?”
“In giro.”
Jimmy aveva fissato allibito Zacky, consapevole che quello scemo si sarebbe fatto fregare da Brian in pochi minuti se non avessero smesso le prove.
“Sai Zacky, Huntington Beach è una metropoli per poter rispondere in giro. Che è, hai l’amante e non ce l’hai detto per caso?”
Se Holly si può definire la mia amante e passare tre sere a giocare a Risiko nella speranza di vincere una cazzo di partita…
“Fatti i cazzi tuoi, no?”
“Hai l’aria di uno che vive sulla luna. Dobbiamo lavorare, cazzo, e tu continui a fare errori da principiante. Se sei stanco o hai i cazzi tuoi molla e vatti a fare un giro.”
“Dio quanto sei rompicoglioni Brian!”, gli aveva sputato addosso Zacky sfilandosi la chitarra di dosso e prendendo la giacca dal divano.
“E adesso dove cazzo vai?”
“A casa.”
Brian aveva aspettato che Zacky sbattesse la porta dello studio dietro di sé, poi si era voltato in direzione di Jimmy e Johnny.
“Non l’avrà mollato Gena, vero?”
“Purtroppo no,” era stata la risposta sconsolata di Johnny, che si era allontanato in una delle altre stanze alla ricerca di Matt, trovandolo alle prese con i cavi dell’X-Box appena comprata, nel tentativo di farla funzionare.
“Così Val non si incazza perché ci gioco a casa e non la considero.”
“Non ha nemmeno tutti i torti, Matt,” e senza aggiungere altro aveva preso il joypad che gli porgeva l’amico, sedendosi sul tappeto accanto a lui, schiacciando il tasto play del più cazzuto degli sparatutto.
 
 
Zacky era tornato dove stava la sua dimora temporanea da tre giorni a quella parte, e non aveva fatto caso all’auto nera parcheggiata davanti a casa dei Bridges né al fatto che la porta di casa fosse spalancata, senza nessuno sulla soglia.
Zacky pensava soltanto che era finalmente nell’alcova rosa dove viveva Holly, dove ci sarebbe stato un sorriso pronto ad accoglierlo e un dvd horror nuovo di zecca, a cui aveva obbligato Holly all’acquisto quella stessa mattina.
“Cazzo…” aveva mormorato a denti stretti inciampando in un borsone da palestra simile al suo, adagiato malamente in mezzo al corridoio.
“Holly?”
Per un attimo aveva temuto che fosse stata rapita, o magari che un gruppo di malviventi l’avessero legata e gettata nell’armadio per compiere una rapina in piena regola, invece Holly aveva fatto capolino sorridente dalla camera da letto, correndo nella sua direzione per afferrare la borsa che stava ai suoi piedi.
“Che succede?”
“E’ arrivato il mio regalo di compleanno anticipato,” gli aveva risposto lei raggiante senza preoccuparsi del motivo per cui si trovasse lì, e non in sala prove con gli altri.
Fuori il cielo era grigio, eppure sembrava che lì dentro splendesse un sole estivo, e la forza di tutta quella luce era la presenza di Nick Valensi.
L’aveva realizzato – con una punta di amarezza e fastidio - nell’esatto istante in cui Nick era stato trascinato fuori dalla stanza di Holly, che li aveva portati ad un confronto diretto al centro dell’atrio.
“Nick ecco qui Zacky.”
Holly aveva aspettato che i due si dessero la mano, senza però che la cosa si realizzasse.
Prevedibile, persino scontato.
“Come sono andate le prove?”
“Una merda.”
“Per stasera ho comprato anche i pop corn da fare al microonde.”
“Stasera non ci sono, esco con gli altri.”
E dormo in sala prove, tranquilla.
“Ti lascio le chiavi, così puoi rientrare quando vuoi.”
“Ma sei scema? Dormiamo tutti e tre insieme?” aveva sbottato Zacky dirigendosi verso la sua stanza, mentre Holly lo seguiva come un’ombra, senza osare sfiorarlo: era incazzatissimo e ignorare la sua rabbia cercando di farlo calmare con un po’ di accondiscendenza e buonsenso, non serviva proprio a nulla.
“Be’, no, io dormo senza problemi sul divano,” era stata la risposta innocente della ragazza, certa che la sua buonafede potesse essere compresa da Zacky. Non aveva voglia di discutere, erano tornati a battibeccare senza le loro stupide prese di posizione, e adesso la costringeva a tornare indietro, riavvolgere il nastro e ripartire dall’ultimo litigio, riafferrare i cocci e incollarli di nuovo insieme, riavvicinarsi lentamente, con i loro tempi sempre più dilatati e poi allontanarsi di nuovo, come due calamite che non potevano stare vicine senza respingersi.
Dio se erano stupidi.
“Che diavolo ti prende ora?”
“Lasciami, vado da Brian e gli altri.”
“Non…”
“Non sono cazzi tuoi. Goditi il tuo regalo di compleanno.”
“Dovevamo preparare la festa insieme…”
“Fallo con Jimmy, lui ci avrebbe dato una mano comunque. O con Roxy e il vostro amico gallese.”
“Sei insopportabile quando fai così, te ne rendi conto almeno?”
“Si, e allora? Non vi obbliga nessuno a reggermi no?”
“Sei un idiota. Un grandissimo coglione. Ti avevo persino comprato i pop corn al caramello.”
“Mi fanno schifo quelli.”
“No, sono i tuoi preferiti. Proprio come per Roxy.”
Zacky le aveva lanciato un’ultima occhiata, poi l’aveva oltrepassata lasciandosela alle spalle, senza curarsi di averla ferita o provocata in modo del tutto gratuito. Il suo territorio era invaso, ed era giunto il momento di prendere in mano le armate e posizionarle lungo la zona di confine, pronte ad attaccare.
 
 
“E ora che cazzo ci fai qui?”
Brian e Jimmy sedevano sul divano della sala prove, intenti a parlare di musica e dell’ultimo numero di Playboy. Zacky aveva sbattuto violentemente la porta gettando a terra il proprio borsone, e Jimmy aveva capito che il piano di Holly era durato esattamente settantadue ore scarse.
“Quel newyorkese da strapazzo dorme nel letto dove ho dormito io con Holly, okay? E poi dove lo mettiamo il gallese, quello ha una faccia che lo prenderei a schiaffi. E quel chitarrista del cazzo! Andiamo, si vede lontano un miglio che sta con Holly solo perché è un’ingenua. Quello è uno stronzo proprio come me e Brian: le tipe se le scopa e poi le molla.”
“Forse non era il modo più indicato per farlo sapere a Brian, Zacky,” l’aveva apostrofato Jimmy avvertendo Brian irrigidirsi accanto a lui, mentre estraeva meccanicamente dalla tasca posteriore dei jeans il pacchetto di Marlboro per accendersene una.
“Danne una anche a me. Ah Jimmy, vai tu con Holly a organizzare la festa di Natale. Io non ci metto mano.”
“Lo sai che ci tiene.”
“Ha il suo coso lì, a farle da lacché. Non ha bisogno di me.”
Brian stava in silenzio, osservava Zacky senza parlare, mentre il ragazzo camminava avanti e indietro per la sala senza fermarsi.
“Era per quello che eri scazzato prima?”
“No, prima era per Roxy. Avevamo deciso di non dirtelo, okay? Per evitare cazzi e mazzi e rendere queste settimane più leggere per tutti.”
“E poi guarda come si è ridotto lui in quattro giorni, per renderti conto di come saranno le nostre prossime settimane,” aveva soccato secco Jimmy, dando una pacca sulla spalla dell’amico.
“Io fossi in voi mi farei una birra a tu per tu: vi sfogate, vi scaricate per bene l’uno con l’altro e quando tornate non rompete il cazzo a nessuno con questa storia sino a Capodanno. Ce la potete fare, non siete così gelosi e stupidi, no?”
“No,” avevano risposto all’unisono con una decisione tale da risultare ridicoli.
Chi volevano prendere per il culo?
 
 
*
 
Potevi essere il re del mondo, ma quando avevi passato le ultime tre settimane a borbottare e fomentare un astio naturale, non potevi poi che prendere atto di essere uno sconfitto e anche un grandissimo idiota. Jimmy aveva aiutato le ragazze ad organizzare il party di Natale a Los Angeles, meta obbligata per invitare più gente possibile e stemperare la normale tensione che le aveva costrette a vivere ad Huntington Beach con la fastidiosa sensazione di essere sempre in fallo. Roxy era al limite della sopportazione, Holly semplicemente aveva finito con l’evitare Zacky per non macchiarsi di omicidio premeditato. La sera della Vigilia avevano rinunciato ad andare la molo, perché Zacky aveva preferito passare la serata con Gena anziché prestare fede al proprio pegno di perdente e Holly aveva accusato il colpo dichiarandosi vincitrice su tutta la linea.
La presenza di Nick le aveva alleggerito e complicato la vita al contempo, ma erano riusciti – lui e Julian – a posticipiare le date di un paio di giorni, in modo che Nick potesse stare con Holly sino a Natale per poi ripartire per New York. Los Angeles, dunque, era servita anche per agevolare lui.
I ragazzi erano già tutti presenti, e per una volta non era Zacky a fare la star: quella sera c’era qualcuno più in ritardo di lui, e non aveva voglia di credere che fosse un atto voluto di rappresaglia.
Quando avevano varcato la soglia del SoundGarden, Zacky per poco non aveva sputato la birra che stava bevendo addosso a Brian, incapaci entrambi di credere che quella abbracciata a Watkins fosse davvero Roxy.
Dakota aveva emesso un gridolino di vittoria, lanciando poi un sorriso fintissimo in direzione di Michelle che osservava l’ingresso della festeggiata con la più genuina invidia: perché quel tubino viola, i tacchi alti che la slanciavano e i capelli che le ricadevano in una cascata di boccoli sulle spalle, erano un insieme difficile da ignorare e da digerire.
Ian aveva posato un bacio sul collo di Roxy, lanciando un’occhiata in direzione di Brian: e no, vaffanculo.
Il chitarrista aveva mosso un passo in avanti, afferrato in tempo da Jimmy che gli si era parato di fianco con un bicchiere di birra in mano.
“Non lo vuoi fare davvero. Se non hai un cazzo di alibi valido, non puoi farlo.”
“Da che parte stai?”
“Sono al centro, ma vederti fare la figura dell’idiota non mi va.”
Brian gli aveva lanciato un’occhiata in tralice, mentre Jimmy continuava a fissare Roxy e Ian salutare gente e dispensare abbracci e baci a conoscenti e amici.
“Che schifo, ho il voltastomaco.”
“Per una volta non sei tu il vip, Zacky?”
“Ehi Dakota, è probabile che la tua migliore amica abbia deciso di fuggire anziché venire a una festa in cui tutti sono tirati a lucido come i newyorkesi che lei odia tanto, rassegnati. Il compleanno di Holly si festeggia domani.”
Zacky, fiero della propria vittoria sulla ragazza, aveva dovuto ritrattare nel momento in cui Dakota l’aveva scansato in malo modo correndo incontro a una figura vestita di nero, su cui spiccavano capelli rosso fuoco raccolti sulla nuca.
“Non è…”
Zacky non era riuscito a terminare la frase, perché Holly aveva abbracciato l’amica prima di liberarsi dalla sua stretta ricongiungendosi immediatamente a Nick, senza sfilare mai la propria mano da quella del ragazzo. E c’era qualcosa, in quei due, che lo metteva a disagio. Forse era il modo in cui Holly guardava Nick, o il modo in cui si guardavano, la stessa aria complice e intima che aveva scorto nelle foto di Kerrang! quasi un anno prima. Holly aveva bisbigliato qualcosa a Nick, poi si erano diretti insieme a Dakota verso Ian e Roxy. A quel punto, Johnny non era riuscito a trattenersi oltre dal commentare.
“Ma quando cazzo…”
“Non dirlo Johnny, fidati,” era stata la pacata risposta di Jimmy, che aveva stabilito che la serata sarebbe andata come voleva lui: senza intoppi, senza casini, senza problematiche trascinate in secoli di vita, amicizia e relazioni.
Ian, quando Holly si era avvicinata a loro, le aveva assestato una pacca sul culo ridendo, sciogliendole i capelli sulle spalle scompigliandoli, passandole poi attorno alla vita la propria cintura dalla fibbia enorme, per rendere meno serio il vestito aderente che indossava.
“Io non posso farcela, giuro che vomito la cena di Natale di un anno fa.”
“Scusate il ritardo, Holly non voleva saperne di uscire con quelle scarpe. Tra mezz’ora girerà scalza.”
“E ci credo, come cazzo si è conciata?”, aveva sbottato Zacky in direzione della sorella.
“Come una donna qualunque.”
“Non sei gelosa? Quel porco del gallese ha toccato il culo a Holly.”
“Quando siamo tutti e quattro a letto insieme queste cose non hanno importanza.”
“Cazzo ma siete promiscui!”
Roxy aveva lanciato al fratello quel tipo di sguardo che hanno solo i vincitori, e si era diretta da Val, iniziando a parlare fitto con l’amica. Brian aveva la netta sensazione di essere preso per il culo, e che ogni parola di Roxanne fosse indirizzata a lui, non certo al povero Zacky.
“Povero” era un parolone comunque.
“E tu ora dove vai?”
Matt nemmeno l’aveva ascoltato. Era stanco delle menate di Zacky e Brian, specie perché non vedeva nulla di così ignobile in Nick o Ian. Certo, come aveva detto Jimmy, quei due erano così diversi da loro che forse, qualche domanda, avrebbero dovuto porsela, prima o poi, ma Matt aveva deciso di non ascoltare né Zacky né Brian, lasciandoli a bollire nel loro pentolone di bile.
Zacky aveva assotigliato gli occhi, osservando Matt avvicinarsi a Holly, cingerle la vita e abbracciarla. Lei si era sollevata in punta di piedi ugualmente, nonostante qualche centimetro guadagnato con i tacchi – decisamente più bassi di quelli che portava sua sorella – e gli aveva stretto le braccia attorno al collo, come era solita fare quando doveva aggrapparsi a qualcuno di loro.
Era sola?
Per un istante, nella testa di Zacky, quel pensiero era esploso con la preopotenza di un fuoco d’artificio sull’oceano. Non era sola, aveva attorno Nick, Dakota, Matt, Johnny, Roxy e Ian. Eppure, da qualche parte, c’era una voce che gli gridava che per essere perfetto, quel Natale avrebbero dovuto essere tutti insieme, senza guerre intestine, ma lui non sapeva come le battaglie finivano in tregua, sollevando bandiera bianca: era sempre stato abituato ad andare avanti e perdere regolarmente campo e nazioni.
“Vado a salutare Holly, venite?”
Jimmy era stato battuto però sul tempo, perché Holly si era diretta verso di loro arruffandosi i capelli con aria pensierosa.
“Volete diventare un tutt’uno con la parete?”
“Non è troppo corto quel vestito?” l’aveva accusata Zacky sorseggiando un sorso di birra dal proprio bicchiere.
“Stai benissimo Holly, dovresti vestirti così più spesso.”
“Ho solo reso felice Roxy e Ian, almeno un paio di volte all’anno posso immolarmi alla causa. Grazie Jimmy.”
“Vi state divertendo?”
“E’ una noia questa festa.”
“Sei tu il piatto forte Zacky, se non ci sei a fare il pagliaccio come pensi che possiamo animarla una serata in un locale di Los Angeles? E’ anche il tuo compleanno, no?”
“No.”
“Sei una noia, lo sai? Smettila di atteggiarti a questo modo, sei fastidioso. E ti riesce pure da schifo la parte. Goditi la festa, Jimmy ha trovato un paio di gruppi fighissimi. Mi ricordano voi i primi tempi. Ci credono, e questo si vede.”
Dakota li aveva di nuovo raggiunti, strattonando Holly per un braccio.
“Dai, Johnny ha detto che ci offre il primo giro di cocktail!”
Holly si era voltata verso Zacky, disegnando in aria una mezzaluna con gli indici di entrambe le mani, piegando poi di lato il capo.
Il chitarrista l’aveva guardata, poi aveva riso con quel suo modo identico a quello dell’amica, reclinando il viso verso il basso: erano così uguali, a volte, che avrebbero potuto leggersi dentro, se solo avessero avuto la voglia di mettersi a scrutare tra le pieghe dell’ovvio.
 
 
“A che gioco state giocando Roxy?”
“Cioè?”
Jimmy si era seduto sullo sgabello accanto al suo, al bancone del locale, facendosi servire l’ennesima birra della serata.
“Sicura che non state giocando sporco?”
“Tu credi davvero che Holly possa giocare in modo subdolo? Guardala – e l’aveva indicata stretta a Nick, in un angolo del locale, intenti a ballare un lento fronte contro fronte, godendosi le ultime ore insieme – credi possa davvero preoccuparsi di una cosa simile?”
“Lei no.”
“Io si però. Zacky non c’entra nulla, è solo troppo geloso.”
“Lo fai per Brian?”
“La domanda esatta è se sto con Ian solo per fare una ripicca a Brian, vero?”
“Più o meno.”
“Ian mi piace, e io piaccio a Ian. Stiamo bene insieme, ci divertiamo, ci amiamo. In un modo che non è lo stesso di Brian, ma credo sia amore anche questo. Non mi faccio troppi problemi in merito.”
“Non te ne sei mai fregata di quello che provano gli altri, il cinismo non è il tuo forte.”
“Ho imparato ad amarlo ed accettarlo. Non so se è l’amore della mia vita, non ho voglia di pensarci sinceramente. Ora mi va bene quello che abbiamo. Un po’ come Brian con Michelle.”
“Michelle è capitata, non l’ha cercata.”
“Ma c’è lei ora, Jimmy, e questo basta a far crollare il muro di bugie di Brian.”
“Non erano bugie, aveva solo paura. Tu eri davvero troppo grande per lui.”
Roxy era scoppiata a ridere, tornando poi a fissare l’amico.
“Io sono troppo per lui, e basta. Lo dice sempre, Holly. E ha ragione.”
“Sino a qualche tempo fa non ti andava a genio.”
“Posso essere libera di rivalutare le persone, no? Mi è stata vicina quando ero sola, mi ha dato una spintarella verso l’alto. Ed ora eccomi qui.”
“A me Nick sembra un tipo okay.”
“Non la farà mai soffrire. Sono fatti per stare insieme quei due. E se non ti rendi conto del perché, guardali: Nick tra due ore ha l’aereo per New York, hanno un piccolo tour che li terrà impegnati sino a metà gennaio. E’ riuscito a mollare tutto per passare con lei più tempo possibile, ed è riuscito a strapparle persino il giorno del suo compleanno. Quanti l’avrebbero fatto? Lui è fatto così, e lei per Nick farebbe qualsiasi cosa. La vostra Holly è una principessa innamorata ora, è cresciuta anche lei.”
“L’ho vista crescere, lo so benissimo cos’è.”
“Cosa non mi hai detto di Brian?”
Roxy aveva guardato Jimmy negli occhi, e lui l’aveva guardata di rimando, per poi sollevarsi in piedi dandole le spalle.
“Lo sai cosa non ti ho detto.”
“Se non dai voce ai pensieri, questi è come se non esistessero.”
“Devi fartelo bastare Roxy, io rispetto il silenzio altrui. Non giocare guerre inutili, non ha senso.”
Roxy l’aveva guardato allontanarsi e immergersi nella folla, scorgendo Zacky e Gena poco distanti da dove si trovava lei, ma di Brian e Michelle non c’era traccia.
“Ehi tutto bene?”
Ian le si era avvicinato, posandole il mento sulla spalla nuda.
“Sono solo un po’ stanca.”
“Prima o poi smetterete di combattere, no? Ah, la tua amica bionda se n’è andata.”
“Chi, Val?”
“No, Michelle. Ha cercato di fare la carina con me, e le ho detto che doveva girare al largo.”
“Perché?”
Perché tu e Brian eravate fatti per stare insieme e lei te l’ha portato via.
“Chiediglielo. Credo sia un po’ permalosa.”
“O tu troppo cattivo quando ti impegni?”
“L’importante è che con te sia adorabile, no?”
“Scemo.”
Aveva preso tra le dita la punta della cravatta, tirandolo verso il basso posandogli un bacio sulle labbra, cercandolo con la lentezza esasperante con cui aveva atteso, paziente, Brian negli anni: profumava di ricordi e di nuovo, Ian, perché tra le dita le aveva lasciato il biglietto per la felicità. Aveva afferrato la corsa, preso il treno sino alla stazione in cui, forse, avrebbe deciso di cambiare meta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Il Wish Three esiste realmente al MoMa, anche se credo sia stata un’installazione temporanea nell’anno in cui sono andata a New York io, nel 2010. Visto però che mi andava di sfruttarlo, l’ho utilizzato senza troppi problemi.
 
 
 
Note dell'autrice. Online il settimo capitolo. Ormai ci avviamo alla conclusione della storia, per cui tenetevi forti per il gran finale! Questa volta ho ridotto un poco le pagine del capitolo, sono stata brava XD Il prossimo dovrei riuscire a pubblicarlo entro il 15 di ottobre, abbiate fede. E sarà lunghissimo, sappiatelo! Grazie come sempre a chi commenta, legge e segue questa storia con devozione e affetto. Siete adorabili <3
   
 
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