UNA CASA TROPPO PICCOLA
Era
già notte fonda, lontano il cielo cominciava a schiarire, quando aveva
parcheggiato la sua moto in garage. Aveva camminato lentamente verso
l’ascensore ed era salito al piano del suo appartamento. Era da un paio d’anni
che viveva lì, che aveva un posto che poteva definire casa. Era una bella novità, dato che aveva interpretato fino a poco
tempo prima il ruolo del nomade, del personaggio senza fissa dimora nella
commedia della sua vita. Che poi, definirla commedia era decisamente non
appropriato.
“Una vera merda!”
Lo pensò senza remore e, anche se lo
avesse detto qualcun altro, gli avrebbe dato ragione, senza picchiarlo, senza
infierire su di lui. Era la verità, perché nasconderlo?
Frugò nella tasca della sua giacca di
pelle le chiavi dell’appartamento; le trovò in fretta e le mise nella toppa.
Appena fu dentro, pensò che era meglio non accendere la luce: l’ultima volta
che l’aveva fatto i suoi due coinquilini si erano lamentati, dato che avevano
l’abitudine di dormire con la porta delle loro stanze aperta.
«E’ disturbante.» aveva detto uno dei
due, infilandosi come un fungo nel bel mezzo di una discussione sull’argomento tra
lui e l’altro abitante di quella casa.
Sbuffò, ripensando a quell’episodio.
Fece qualche passo, ricordando a memoria dove fossero i mobili, dove fosse il
ripiano della cucina con il suo svuotatasche in
vimini. Tentò di fare il giro intorno al tavolo, ma qualcosa finì sotto i suoi
stivali. Sollevò immediatamente il piede, dato che aveva sentito già un sinistro
crack, come se un guscio d’uovo fosse
stato lasciato sul pavimento. Appena però tentò di metterlo altrove, si ritrovò
qualcosa di tubolare, duro e liscio: rischiava di cadere e ripeté l’operazione
precedente. Con il tacco dello stivale schiacciò qualcosa che prese voce.
«Che la Forza sia con te!»
Provò a indietreggiare ancora, ma
qualcuno aveva teso un filo tra il mobile del televisore e una delle sedie.
Questo bastò a far rovinare a terra il ragazzo, che per evitare il peggio,
provò ad aggrapparsi al tavolo, tirandoselo quasi addosso con tutte le sedie in
un fracasso infernale. Finì con il culo per terra e il coccige che gli doleva. Come
se non bastasse, qualcosa dal mobile accanto a lui cadde tra le sue gambe. Non
seppe dire per quale miracolo non colpì i suoi genitali.
Poi attese. Tutto quel rumore avrebbe
dovuto svegliare quei due decerebrati che vivevano con lui. Attese. Aspettò di
sentire lo scalpiccio dei piedi nudi di uno e lo strusciare di stoffa
dell’altro, ma niente. Si sorprese di sé stesso: non era ancora esploso, ma non
ci volle molto.
«NEAR!!! MATT!!!» aveva urlato nel
cuore della notte. Solo allora qualcosa si mosse. Lentamente e senza alcuna
fretta, un lume si accese e due figure assonnate, con i capelli per aria,
comparvero davanti a Mello, seduto in mezzo a un
mucchio di robot e con la Playstation in braccio. Il suo sguardo non era per
niente rassicurante.
«Perché hai urlato?» chiese Near, nel suo largo pigiama bianco, una mano a coprire la
bocca per soffocare uno sbadiglio e un dito ad arrotolare i capelli in un gesto
meccanico.
Matt, in mutande e con una maglietta
con su scritto “I’m a perfect
man”, preferì non fiatare, anche se era terribilmente preoccupato per la
console: l’aveva riparata da poco e temeva si fosse rotta. Vista la faccia
assassina del ragazzo, sperava che Mello non la
usasse come arma contundente, altrimenti nemmeno lui sarebbe riuscito a farla
funzionare di nuovo.
«Voi due…»
sibilò lentamente il ragazzo biondo, la voce bassa, gutturale, simile al
ringhio di un cane rabbioso «Voi due mi ammazzerete prima o poi! Anzi, sono io
che vi uccido con le mie mani!» e strinse in un pugno uno dei robottini di Near per
minacciarli.
«Oh…» disse
il ragazzo con i capelli bianchi, sul viso candido un’espressione consapevole
«Si è rotto qualcosa?» chiese poi.
Fu un attimo. Mello
si alzò in un nanosecondo scalciando giocattoli qui e là, prese Near per il colletto della camicia, lo sollevò e lo
spiaccicò sul muro di fronte.
«Io rompo te adesso!!!» lo disse a
due centimetri dal volto del ragazzo che, però, non cambiò espressione. Lo
faceva incazzare. Lo detestava! Non si poteva mai capire cosa provasse quel
nanerottolo. Pareva non si arrabbiasse mai; Mello,
invece, si incazzava per tre e fin troppo spesso. Sarebbe morto per infarto o per
ulcere, se continuava a quel ritmo.
«Ok, stiamo calmi.» provò a
intromettersi Matt, con la voce più gioviale che potesse tirar fuori anche se,
in realtà, era terrorizzato dalla reazione di Mello.
Il biondino voltò il capo lentamente
verso di lui con sguardo omicida. Lasciò la presa su Near
che si afflosciò ai suoi piedi senza emettere suono. A passi lenti e cadenzati,
con il rumore dei tacchi dei suoi stivali neri, Mello
si avvicinò a Matt.
Non era una bella situazione. Matt
iniziò a indietreggiare istintivamente.
«Cosa hai detto, Matty?»
il tono del biondino era suadente.
“Pericolo!”
I sensori naturali di Matt erano
all’erta, ormai era completamente sveglio. Lo aveva anche chiamato “Matty”: non era un buon segno.
«Ho detto…
di c-calmarci un po’.» la voce gli tremava. Lo sguardo glaciale dell’amico era
decisamente spaventoso. Lo avrebbe picchiato, oh sì, ne era certo. Non sarebbe
stata la prima volta. La parte peggiore era scoprire se sarebbero mai tornati a
dormire o se avrebbero passato la nottata all’ospedale.
«Calmarci? Io sono calmo.» disse il
ragazzo con la giacca in pelle, fissandolo.
Matt raggiunse la porzione di muro
tra le due camere da letto. Ci sbatté la testa senza tanti complimenti e un
braccio di Mello finì per bloccare una delle vie di
fuga possibili. Puntò un dito guantato contro il suo
petto.
«Se solo trovo un’altra volta le
vostre cose sparse sul pavimento ad attentare alla mia vita» e spostò lo
sguardo per un attimo su Near, rimasto per terra e
che lo osservava con la coda dell’occhio «giuro che butto via tutto e vi caccio
a calci nel culo da qui, perché, fino a prova contraria, questa è casa mia!»
Detto questo imbucò a passo di marcia
la porta alla sua destra.
Matt sospirò, le ginocchia si
piegarono e anche lui finì a gambe incrociate sul pavimento. Che brutto
momento! Aveva temuto il peggio. Si voltò verso l’altro ragazzo. Sembrava
stesse aspettando che lo guardasse per aprire bocca.
«Questa è tecnicamente casa sua, ma anche noi paghiamo la nostra parte di
spese.» obiettò con voce atona.
«Vi sento!» urlò Mello
dalla sua stanza.
Matt aveva chiuso gli occhi per
attutire un possibile ritorno del Castigatore della Notte, ma non avvenne.
«Andiamo a dormire.» sussurrò infine
all’altro ragazzo. Meglio chiudere la conversazione, oppure questa volta
sarebbe finita male. Mello era stato magnanimo,
conoscendolo.
Near si sollevò con una leggerezza tutta
sua e imboccò la porta accanto a quella dove il biondino si era rifugiato.
«’Notte.» disse tranquillo.
Il ragazzo con i capelli rossi non
era fortunato come lui, non aveva una sua stanza, dato che la condivideva con Mello, meglio, condividevano il letto e questo era
potenzialmente pericoloso quando il ragazzo aveva le palle girate.
Entrò con nonchalance, una mano a
grattarsi la nuca, gli occhi verdi che saettavano in giro per vedere che non ci
fossero armi o oggetti da usare come tali, che non fosse altro in disordine,
perché Mello era ossessivo-compulsivo
quando si trattava di pulizia e ordine, appunto. Vide il ragazzo intento a
infilarsi un paio di pantaloni del pigiama, gli indumenti in pelle riposti
ordinatamente su un trabiccolo di legno che aveva comprato apposta.
Si spostò dal suo lato del letto e si
infilò sotto le coperte. Era vigile per la paura della sua reazione, ma
qualcosa doveva pur dire o fare, oppure sarebbe scoppiato.
«Mello… »
chiamò con voce dolce.
«Che vuoi?» il tono dell’altro era
seccato. No, non aveva voglia di parlare e no, non voleva sentire scuse
imbecilli per quello che era successo. Prima gli rompevano le palle sulla luce
e poi disseminavano il percorso di trappole mortali. Lo facevano apposta!
«Solo…
senti, lo so che sei arrabbiato» e si girò di fianco, la testa sorretta da un
braccio «però sei tutto intero.» constatò semplicemente.
Mello, ancora seduto sul letto a sistemare
le ultime cose, si bloccò e Matt vide sollevarsi il suo caschetto biondo, fino
ad allora chino. Il volto di Mello fece capolino a
cercare il suo sguardo.
«Mi fa male il culo!» ammise,
sperando di rendere colpevole il ragazzo che gli aveva osato rivolgere la
parola.
«Mi dispiace.» disse quello con un
tono tristissimo, sperando di fare breccia nel cuore di Mello.
A volte ci riusciva, ma aveva bisogno della giusta congiunzione astrale per
riuscirci effettivamente.
«Adesso ho sonno e voglio dormire.» tagliò
corto Mello e spense la luce del comodino
sistemandosi sotto le coltri, un braccio dietro la testa e chiuse gli occhi.
Matt era ancora nella stessa
posizione ed ora osservava nella penombra il suo profilo. Riusciva a vedere
solo la parte di volto martoriata da una cicatrice. Qualche anno prima avevano
avuto un incidente, in quella che era stata la loro casa per poco tempo, una
roulotte sgangherata che aveva preso fuoco. Mello
aveva tirato fuori dalle fiamme sia Matt che Near, ma
avevano perso tutto, non si era salvata nemmeno una loro fotografia. Per il
vanitoso Mello era stato duro accettare quello
sfregio che gli mangiava parte del collo e della spalla, ma ora non ci faceva
più caso.
Una mano del ragazzo con i capelli
rossi andò ad accarezzare il braccio dell’altro che spalancò le sue iridi
azzurre e sospirò rumorosamente.
«Matt, non è aria.» disse scocciato,
girandosi su un fianco, dandogli le spalle «Mi state facendo rincoglionire.» si
riferiva ad entrambi i suoi coinquilini «A volte penso che questa casa sia
troppo piccola per tutti e tre.» buttò lì, sperando di concludere la
conversazione.
«Vuoi che me ne vada?» a dirlo non
era stato Matt, ma Near che, a quanto pareva, stava
origliando la conversazione sdraiato nel suo letto. Quelle dannate porte! Che
le avevano a fare se erano perennemente aperte?!
Mello roteò gli occhi al cielo. Non era
possibile! Dio doveva proprio odiarlo, se gli aveva appioppato quei due a
sfiancarlo.
«Near,
dormi!» ordinò Mello, con i nervi a fior di pelle.
«Volevo solo sapere.» si difese il
ragazzo dall’altra stanza.
Mello si alzò con un passo da elefante e
chiuse la porta della sua stanza sbattendola. Mormorava parole incomprensibili
per tutto il tragitto. Si rituffò nel
letto, sollevò la coperta fin sulla sua testa e sperò che per quella notte la
commedia fosse finita.
Ah, no, aveva dimenticato Giulietta
accanto a lui che aveva insinuato una mano sul suo fianco e aveva preso a
baciargli leggermente il collo.
«Matt, capisci quando parlo?» chiese
stizzito.
Il rossino
fece finta di non aver sentito e continuò la sua operazione. Si strinse di più
contro la schiena di Mello, strusciando una gamba tra
le sue.
«Calmati.» disse soave Matt.
«Infatti vorrei dormire, se sua
signoria me lo permette.» no, non glielo permetteva, tanto che arrivò a
voltarlo per catturargli le labbra.
Mello lo lasciò fare, ormai aveva perso la
speranza: quella notte andava così, si facevano tutti beffe della sua autorità.
Sentì le labbra di Matt premere contro le sue, nella speranza che si decidesse
a schiuderle, ma non era dell’umore giusto. La lingua dell’altro iniziò a cercare
di convincerlo in modo più sensuale e alla fine cedette. Scivolò lentamente
dentro di lui, passando una mano dietro la sua nuca per attirarlo verso di sé.
Tanto valeva cogliere l’invito e sfogarsi. Lasciò che la passione lo avvolgesse
calda e voluttuosa, cercando il conforto nel corpo di Matt. Sì, si arrabbiava
per niente, in fondo era intero, il culo non faceva poi così male, non quanto
avrebbe fatto male a Matt, quando ci avrebbe messo le mani sopra. Nella sua
mente ghignò maleficamente. Ribaltò le posizioni lentamente, calcolando i suoi
movimenti, passando una mano sotto la stupida maglietta dell’altro e lasciando
aderire il suo bacino su quello di lui. Lentamente …
“Toc toc!”
Near bussava alla porta. Mello si bloccò all’istante, lo sguardo fisso sulla
testiere del letto senza vederla.
«Mello…»
provò a chiamarlo Matt, ma questi non rispose.
Il biondino si rimise sdraiato sulla
sua parte di letto fissando il soffitto bianco, senza la voglia di dire niente,
perché se avrebbe aperto bocca sarebbero venuti fuori improperi a fiumi, peggio
di uno scaricatore di porto!
Il sospiro triste di Matt non fece
alcun effetto e nemmeno la porta che venne aperta dal nano bianco con tanto di
orsacchiotto in braccio.
«Disturbo?» disse innocentemente.
«Che cosa c’è, Near?»
la voce di Matt era tranquilla e si sedette sul letto.
«Ci siamo ricordati di comprare il
latte?»
«Sì, Near.»
rispose in un soffio il ragazzo, facendosi piccolo piccolo,
perché vedeva le mani di Mello stritolare il
lenzuolo.
«Ah, ok, buonanotte.» e sparì,
richiudendo la porta dietro di sé.
Matt guardò il compagno accanto a
lui, con gli occhi diventati due fessure diaboliche. Avrebbe ucciso, ne era
sicuro.
«Me…»
«Non dire niente e non fare niente»
dato che il suo nome, interrotto alla prima sillaba, era stato accompagnato da
una mano che stava per posarsi sulla sua «Se mi tocchi giuro che ti soffoco con
il cuscino, solo per il gusto di vedere le tue braccia e le tue gambe muoversi
convulsamente. Sono stato chiaro?!»
«Sì.» rispose secco Matt,
sdraiandosi, la coperta fino al collo.
«Ora dormi.» era un ordine.
Note dell’Autore
Ok, mi sono voluta cimentare in
qualcosa che ho fatto rarissime volte. La commedia non è esattamente il mio
forte, devo proprio essere dell’umore giusto o in uno stato di sfiancamento
mentale tale da rimbambire in queste cose (e pensare che avrei una tesi da
finire …).
L’ispirazione è stata data da
un’immagine demente su internet, dove Mello fa il
bagno e Near contemporaneamente gioca con le paperelle… la faccia del biondino è un programma! Uah ah ah! Amo vederlo incazzato! Bellissimo!
La coppia Mello/Matt
è finita per piacermi a causa delle fanfiction che ho
letto, perché normalmente vedrei Matt etero fino alla punta dei capelli e Mello indeciso … mi ricorda molto Brian Molko
in gioventù.
Spero vi sia piaciuta. A me scriverla
tantissimo …
Grazie a tutti!