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Autore: SonLinaChan    04/06/2006    2 recensioni
Dopo la caduta della barriera e la sconfitta di Darkstar, Lina, Gourry, Amelia e Zelgadiss sono tornati alle proprie vite, ed il continente ad una apparente calma... ma gli equilibri del mondo al di qua della barriera sembrano destinati ad essere scossi, da una micaccia che si profila ai confini del regno di Sailune...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale, Philionel, Amelia, Zelgadis Greywords
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco altri due capitoli, postati in extremis prima della sessione estiva degli esami… e per i prossimi temo se ne riparlerà a

Ecco altri due capitoli, postati in extremis prima della sessione estiva degli esami… e  per i prossimi temo se ne riparlerà a metà luglio…^^’’’ (ma confido che allora riuscirò a scrivere con un minimo di regolarità…XD) Ovviamente i commenti e le critiche sono sempre graditi! ^^

 

La prima sensazione che i suoi sensi rilevarono fu un odore che non conosceva.

L’odore che la sua mente associava al palazzo era lindo, dolce, con un sentore di antichità… quello che sentiva ora attorno a sé era l’odore della battaglia. Sangue, misto a sudore. E morte.

 

‘Forse mi hanno uccisa.’ Fu il suo primo pensiero. ‘E mi hanno abbandonata sul campo di battaglia.’ Per un momento, fu quasi una speranza. Perché avrebbe significato non dover aprire gli occhi. Non dover affrontare quanto temeva la aspettasse. Perché sentiva di non avere più la forza di agire come il suo ruolo di principessa le avrebbe imposto…

 

“Ben svegliata, mia signora…” Quella voce fredda spezzò immediatamente le sue illusioni. Per un momento pensò di fingere di non avere ancora ripreso i sensi, ma le bastò un momento per rendersi conto di quanto questo sarebbe stato inutile, ed infantile. Quindi, fece violenza a se stessa. E aprì gli occhi.

 

La luce che ferì la sua vista bastò ad indicarle che era già giorno pieno. Si riparò per un istante gli occhi, confusa. Era sdraiata su di una semplice stuoia stesa al suolo, il suo corpo coperto ancora dalle vesti che indossava quando era stata catturata. Un lenzuolo di lino era stato steso su di lei, a difenderla dall’umidità e dal freddo, ma  il suo corpo era comunque indolenzito, per il lungo contatto con la dura terra. Doveva essere stata priva di sensi per tutta la notte, e l’intera mattinata.

 

“Mi dispiace di non averti potuto garantire un alloggio più consono al tuo rango, ma l’accampamento non offriva di meglio. In poco tempo raggiungeremo uno dei castelli che abbiamo conquistato, e allora avrai delle stanze tue, e qualcuno al tuo servizio.”

Sollevò lo sguardo verso il proprietario di quella voce gelidamente cortese. La sua figura la sovrastava. Un uomo che avrebbe potuto dirsi affascinante. Doveva avere più o meno l’età di suo padre, ed era altrettanto imponente, per quanto più esile. Gli occhi del colore di un lago ghiacciato, la barba e i capelli brizzolati, la mascella contratta. Le sue braccia ed il suo petto avevano la forza del guerriero, il suo corpo il portamento di un re. Forse normalmente ne sarebbe stata affascinata. Ora, verso di lui provava solo un fremito di repulsione. Perché aveva già compreso di chi si trattava…

“O… Oberon…”

“Mio signore.” L’uomo la corresse, glaciale. “Questo è il titolo con cui ti rivolgerai a me. Davanti ai miei uomini, e nel privato. Ed io ti userò la medesima cortesia, mia signora. Perché questa si confà ai rapporti fra due consorti.”

I denti di Amelia si strinsero, mentre la rabbia si impadroniva di lei. “Noi non siamo sposati.”

Oberon annuì. “Non ancora. Ma confido che tuo padre darà presto la sua approvazione. Dato che al momento nelle mie mani si trova un prezioso strumento di trattativa…” Le tese la mano, per aiutarla ad alzarsi, ma Amelia la rifiutò. A fatica, si sollevò con le sue sole forze.

Oberon si strinse nelle spalle, apparentemente non turbato dalla sua ritrosia. “Ti farò raggiungere da una servitrice che si occuperà di te temporaneamente. Immagino che desideri un bagno, e abiti puliti…” Fece per allontanarsi.

Per un momento Amelia fu sul punto di negare, mossa dall’orgoglio. Ma bastò un attimo a farle cambiare idea… sudore, sporcizia e sangue le incrostavano i capelli e le vesti. In quel momento non desiderava che affondare in un mare di schiuma e di acqua calda, e dimenticare il mondo che la circondava…

Invece del secco rifiuto che aveva in mente, però, altre parole si trovarono a prendere forma sulle sue labbra. Parole che temeva di pronunciare…”Che ne è stato di mio padre?”

 

Oberon, già di spalle all’entrata della tenda, si volse nuovamente a fronteggiarla. “Riteniamo che sia fuggito.” Rispose, senza scomporsi. “La fortezza interna deve ancora cadere, ma non è più stato avvistato sulle mura. Ho inviato degli uomini alla sua ricerca, anche se non ho troppe speranze di riuscire davvero a ritrovarlo…” La sua voce non vacillò. “Ma avendoti nelle mie mani, mia signora, le mie preoccupazioni si riducono notevolmente…”

Amelia rimase ammutolita. Fuggito? Abbandonandola lì? Non era possibile. Quell’uomo stava mentendo… “Mio… mio nonno…” La sua voce la tradì… avrebbe voluto piangere, ma sapeva di non poterselo permettere…

Oberon si accigliò. “Lo so. E me ne dispiace. Ho già rimproverato duramente Elmerish per aver fatto sì che una signora assistesse ad uno spettacolo del genere…”

Che cosa voleva che gliene importasse dei suoi rimproveri!!! “Ogni generale è degno del suo comandante…” La voce di Amelia era tagliente, mentre ripeteva quelle parole, che aveva sentito pronunciare a suo padre ogni volta che un suo generale aveva compiuto qualcosa di sbagliato.

La mascella di Oberon si contrasse ulteriormente. “Questo sarebbe uno dei motti dell’integerrima famiglia reale di Sailune?” Il tono della sua voce le parve soffuso di ironia, anche se non sapeva dirne il motivo… “Io penso che ogni persona debba essere personalmente responsabile delle sue azioni, invece. Ma con questo non voglio negare le colpe che possono derivare dall’eccessivo lassismo. Elmerish sa che verrà punito. Dopo che avrà portato a termine la sua missione.” Fissò lo sguardo su Amelia, uno sguardo che sembrava penetrarle l’anima. “Un uccellino mi ha detto che sgattaiolare fuori dalle mura non è solo prerogativa dei regnanti, a Sailune. Ho inviato Elmerish ad assicurarsi che tutte le chiocce tornino da brave al loro ovile…”

Amelia non ebbe bisogno di fare domande per capire a chi Oberon si riferiva. Strinse i denti, delusa che il loro piano fosse stato scoperto. ‘Ma sei un illuso se pensi che prenderai Lina-san. Ormai sarà già a Raizerl. E tornerà qui, e lei e Gourry -san ti rificcheranno in gola a colpi di incantesimi e di spada tutte le tue stupide speranze di metterla in gabbia.’

Oberon squadrò accigliato la sua espressione. “Farai bene a mantenere la calma, mia signora… rabbia e ribellione non sono sentimenti graditi qui. Un atteggiamento remissivo ti garantirà un trattamento migliore. Se osserverai con lucidità i fatti, riconoscerai che chi si è ribellato a me finora non ha avuto sorte felice, in questa guerra…”

Quell’affermazione non fece che riempirla ulteriormente di inquietudine… c’era un’altra domanda che assillava la sua mente… un’altra domanda a cui non osava dare voce…

“E ora… se la mia signora vuole scusarmi… impegni importanti richiedono la mia presenza…” Oberon fece per allontanarsi, nuovamente…

“Gli uomini che erano con me…” Amelia ebbe la forza di fermarlo, e domandare. “Quelli che mi difendevano, nella torre di mio nonno… avete catturato anche loro…?”

Oberon le lanciò solo una breve, impietosa, occhiata.

“Per quanto ne so… sono tutti morti.”

 

 

***

 

 

Il dolore inizialmente fu insopportabile. Forse fu proprio quello a strapparlo all’oblio. Da quanto la sua pelle era stata tramutata in pietra, non era più stato abituato a provare sensazioni del genere.

 

“Re… recovery…” Bisbigliò fra i denti, senza nemmeno sollevare il volto dal suolo, portandosi la mano allo stomaco. Doveva ritenersi fortunato. Le ferite in quel punto erano fra le più dolorose, ma anche fra le più lente nel portare alla morte… oh, ad un comune essere umano un colpo del genere sarebbe stato più che sufficiente… ma doveva ringraziare le sue parentele altolocate per il fatto di NON ESSERE un comune essere umano…

‘Bè, GRAZIE INFINITE, Rezo. Spero che queste parole ti giungano… mentre vieni torturato all’inferno…’

Sospirò. Il dolore si stava lentamente attenuando. Non si trattava di una ferita profonda, se ne rese immediatamente conto. Altrimenti non sarebbe riuscito a guarirsi da solo… il grosso del danno doveva essere stato procurato dall’impatto piuttosto che dalla lama. Del resto, si sarebbe poco stupito se un’arma di quelle dimensioni fosse stata in grado di tagliare a metà una persona…

‘Per fortuna pare che quel gigante non abbia avuto tempo di fermarsi a controllare le mie reali condizioni… altrimenti ora io non sarei… ah!’

L’improvvisa presa di coscienza lo fece sollevare repentinamente dal terreno, procurandogli una nuova fitta di dolore. Al momento, tuttavia, il suo cervello la registrò solo vagamente, mentre i suoi sensi si allertavano in tutt’altra direzione.

“Amelia!”

Chiamò ad alta voce, incautamente. Ma anche se si fosse messo a gridare follemente, non avrebbe fatto alcuna differenza. La sala attorno a lui era deserta. L’intera torre lo era, a giudicare da come i suoni rimbombavano sulle antiche pareti. E tutto attorno a lui, a circondarlo, c’era solo l’odore del sangue.

Diversi corpi erano riversi al suolo, accanto al suo. Li riconobbe. Erano i soldati giunti nella torre per portare la principessa in salvo. Nessuno di loro era stato risparmiato. Anche i cadaveri di diversi dei nemici erano stati abbandonati in quel luogo… ma non c’era traccia del gigante… e nemmeno di Amelia.

 

“Merda!!!” Il pugno di Zelgadiss batté al suolo. Era rimasto a Sailune appositamente a quello scopo. Aveva promesso di difenderla, in assenza di Lina e Gourry. Ma non era riuscito a fare niente. Niente!

 

Al di fuori della finestra della torre, schiamazzi di soldati e suoni di battaglia continuavano a risuonare. Si alzò in piedi, a fatica, e si trascinò fino alla finestra, sporgendosi con cautela. Figure di militari armati correvano da una parte all’altra del cortile, lungo e oltre le mura semi crollate. Ovunque era disseminata morte. Dal punto in cui si trovava non era in grado di assistere alla battaglia, ma poteva facilmente immaginare cosa stesse accadendo. La fortezza interna era sotto assedio. Le ultime resistenze di Philionel, l’ultimo baluardo alla salvezza del regno. Ma non c’era niente da fare. Il grosso dell’esercito nemico sembrava essersi allontanato dalla capitale, e l’accampamento era stato smantellato, ma le forze che rimanevano erano più che sufficienti a sconfiggere un manipolo di uomini feriti, stanchi, demoralizzati.

‘E anche io sono fra questi.’ Non aveva la più pallida di idea di cosa fare. Di cosa sarebbe stato di lui.

 

Si sedette in un angolo della stanza, prendendosi la testa fra le mani, e cercando di riflettere. Tuttavia, la sua mente era a corto di soluzioni. C’era poco che potesse fare per Amelia, o per Sailune. Se anche fosse andato là fuori, e avesse cercato di fermare le truppe che assediavano la fortezza interna, avrebbe ottenuto solo di farsi uccidere. E non sapeva se Philionel si trovava ancora fra gli assediati. Se fosse stato saggio, avrebbe scelto di usare un tunnel come quello che avevano usato Lina e Gourry, e fuggire da quel luogo. In più, era probabile che Amelia fosse stata già portata lontana da quel luogo, per ragioni di prudenza. Forse, verso uno dei castelli fortificati che si trovavano sulla strada verso sud, in attesa di essere condotta nelle terre di Oberon…

‘Potrei trovarla, e…’ E? E cosa? Anche ammesso che riuscisse a scoprire dove era tenuta prigioniera, come poteva pensare di superare le difese dell’esercito nemico? E se la avesse raggiunta, come avrebbe potuto portarla via sotto il naso a quell’uomo?

Probabilmente la soluzione più saggia sarebbe stata quella di cercare di fuggire. Cercare di fuggire, magari tenendo le orecchie e gli occhi aperti per aiutare i suoi amici, certo, ma comunque tirandosi fuori dai pericoli inutili… Se si fosse trovato lì un paio d’anni prima, non aveva dubbi che avrebbe agito esattamente così… ma ora il pensiero che le tre persone che forse gli erano più care al mondo si trovassero con ogni probabilità nei guai fino al collo continuava a martellargli nella mente, impedendogli di propendere per una simile soluzione…

 

Colto da una improvvisa risoluzione, si sollevò in piedi. Forse uscire da lì mentre la battaglia era ancora in corso era inutile, e pericoloso. Ma non poteva rimanere con le mani in mano come se nulla fosse successo…

‘Devo riuscire ad infiltrarmi in qualche modo fra i soldati nemici… devo per lo meno scoprire dove hanno portato Amelia…’

A fatica, ancora indolenzito per la ferita riportata, uscì dalla sala, e si trascinò giù dai gradini della torre. Gli bastò lanciare un’occhiata alle sale che sorpassò per comprendere in che condizioni versasse Sailune. Non un arazzo, non un oggetto prezioso era stato risparmiato. Zelgadiss quasi si stupì che le mura del palazzo fossero ancora in piedi, e non fossero state date alle fiamme… ‘Anche se in fondo c’è poco da sorprendersi… il bastardo vorrà avere un posto da cui governare…’

 

Raggiunse l’ingresso della torre e si premette contro la parete, guardingo… il cortile era affollato, eppure nessuno pareva avere il tempo o l’interesse di volgersi in sua direzione. Tuttavia, non poteva sperare di passare inosservato, se avesse cercato di vagare nel palazzo alla ricerca di qualcuno che gli fornisse informazioni. Non LUI.

‘Ho bisogno di camuffarmi in qualche modo.’

Divise ed insegne si sprecavano fra gli uomini che si affrettavano portando armi alla fortezza interna ed oggetti verso le poche tende ancora in piedi al di fuori delle mura. Se si trovava in inferiorità numerica, poteva pensare di risolvere la cosa con un po’ di astuzia…

 

Individuò velocemente qualcuno che facesse al caso suo. Quello che pareva come un mercenario unitosi all’esercito, le insegne di Oberon esposte su abiti che non appartenevano alla divisa indossata comunemente dai soldati che avevano assaltato il castello, e nessun simbolo ad indicare uno specifico gruppo di appartenenza… e apparentemente molto più interessato a raccattare quanto di recuperabile dai cadaveri che lo circondavano che a vincere le ultime resistenze di Sailune… In più, si muoveva solo. Dubitava che se anche fosse scomparso qualcuno si sarebbe preoccupato di cercarlo, o di verificare la sua morte…

 

“EHI TU!!!”

 

Nel caos e nel viavai di soldati, nessuno gli prestò ascolto, ma le orecchie del mercenario, addestrate più a cogliere suoni e movimenti nascosti che il fragore della battaglia, immediatamente si misero in allerta al richiamo. La figura in armatura si volse verso di lui, guardinga, sollevando il cappuccio del mantello, forse temendo che si trattasse di un generale che intendeva redarguirlo per il suo scarso interesse per le sorti della battaglia. Zelgadiss, il cappuccio a sua volta tirato sul capo, non fece nulla per nascondersi al suo sguardo. E immediatamente lo scorno fu sostituito negli occhi del mercenario dalla diffidenza e dalla curiosità.

“E tu chi diavolo saresti?” Gli urlò di rimando, quasi un grugnito.

Ma Zel non rispose. Si limitò a fargli un breve cenno, invitandolo ad avvicinarsi, e poi ritirandosi nello stipite della porta, come se non volesse farsi vedere.

Il mercenario tentennò per  qualche istante, poi si risolvette ad avvicinarsi, spada alla mano. Ma non entrò nell’ingresso in cui era sprofondato Zel. Si mantenne a diversi metri di distanza, appiattendosi contro la parete, come se si fosse appoggiato un attimo a riprendere fiato, così da non dare nell’occhio…

‘Un uomo accorto…’ Si trovò suo malgrado a pensare Zelgadiss, con una punta di ammirazione…

“Che diavolo vuoi?” Bisbigliò il mercenario, con fare spazientito, ma con una voce che tradiva curiosità.

Zelgadiss si ritirò ulteriormente nell’ombra, perché l’uomo non lo vedesse in volto, ma non attese di farlo innervosire ulteriormente. “Sono un tuo nemico.” Rispose, pronto, affrettandosi ad aggiungere. “E sono un disertore. Mi sono rifugiato in un luogo sicuro della torre finché la battaglia infuriava. E ora voglio solo uscire velocemente di qui prima che l’assedio finisca e le razzie riprendano, facendomi scovare ed uccidere.”

Il mercenario sputò al suolo. “Ed io che c’entro con questo?” Domandò, nella più totale indifferenza.

La risposta di Zelgadiss fu pronta. “Se girovagassi da solo finirei per destare sospetti… ma se mi muovessi con te, uno di loro, nessuno si prenderebbe la briga di porsi domande, con una battaglia che infuria… e dal momento che non mi sembra che per te un nemico fuggito in più o in meno faccia molta differenza…” Lasciò la frase in sospeso, lasciando trarre al mercenario le conclusioni. In realtà, come piano faceva acqua da tutte le parti. Ma al momento la cosa gli importava quanto gli sarebbe importato sapere di aver calpestato sterco di cane…

“Mmm…” Il mercenario studiò l’elsa della propria spada, accigliato. “Ed io cosa ci guadagno?”

Zelgadiss si aspettava una domanda simile. “So che non lo faresti gratuitamente.” Si affrettò a rispondere. “Per questo ti ho chiamato qui. In questa torre, come in tante altre parti del palazzo, ci sono numerose nicchie, e passaggi nascosti, che nascondono oggetti anche di grande valore… non ho dubbi che se i tuoi compagni soldati avranno tempo di fare razzia qua dentro prima o poi li troveranno. Ma io ti offro la possibilità di ottenere gli oggetti più preziosi prima di loro, e più velocemente. Se il mio pagamento ti avrà soddisfatto, allora mi accompagnerai fuori…”

Zelgadiss sapeva che a quelle parole il mercenario poteva trarre due diverse conclusioni: che lo sciamano che aveva di fronte stava cercando di imbrogliarlo… o che era infinitamente stupido. Il mago sperava solo che il richiamo del denaro lo portasse a propendere per la seconda delle ipotesi…

 

“Uhm…” Concluse il mercenario, dopo avere riflettuto per qualche istante. “In effetti… potrei considerarlo uno scambio equo…” Si volse verso Zel, cercando inutilmente di scorgere il suo volto al di là delle ombre del cappuccio. “Sei disposto a farmi strada ora?”

Zelgadiss mascherò un sogghigno. “Naturalmente.” Si limitò a rispondere, volgendo le spalle al guerriero per risalire i gradini della torre. Quell’atto imprudente, sperava, avrebbe definitivamente convinto il mercenario della sua ingenuità…

Risalirono la scalinata velocemente. Zelgadiss, nonostante l’indolenzimento del suo corpo, fece il possibile per muoversi rapido, temendo ad ogni istante una irruzione di soldati all’interno della torre, che avrebbe inesorabilmente infranto i suoi piani… Il mercenario sembrava tranquillo, per quanto guardingo… doveva averlo catalogato come un soggetto poco pericoloso…

 

In pochi minuti giunsero al luogo che Zelgadiss aveva scelto. La stanza di Eldoran, dove Amelia era stata catturata. Sufficientemente in cima alla torre perché nessuno sentisse… e sufficientemente adatta, a parere di Zel, a divenire il luogo da cui avrebbe avuto inizio la vendetta di Sailune…

 

Zelgadiss superò il letto vuoto ed incrostato di sangue dell’anziano sovrano, e si accostò al camino spento. Solo per un attimo, si volse verso il mercenario che lo squadrava accigliato, ancora in piedi sotto lo stipite della porta. “Questa era la stanza del sovrano. Qui sono nascosti gli oggetti per lui più preziosi.” Si limitò a spiegare.

“Prega che siano preziosi anche per me, disertore…” Replicò il mercenario, sarcastico. “Avanti.”

Zelgadiss, annuì, e si inginocchiò di fronte al focolare, fingendo di armeggiare con l’attizzatoio. Il guerriero alle sue spalle avanzò di qualche passo, incombendo sempre più su di lui. Zel non aveva dubbi su quali fossero le sue intenzioni. Accertarsi con una rapida occhiata che gli oggetti che lo sciamano gli offriva erano realmente preziosi… quindi ucciderlo, senza dargli nemmeno il tempo di voltarsi. ‘Il mondo è pieno di furbi, eh, guerriero?’ Zelgadiss si concesse un sogghigno… prima di appoggiare la mano al suolo.

Madre Terra…” Chiamò, senza più preoccuparsi di fingere. E l’elemento che invocò immediatamente rispose.

Prima che il mercenario potesse reagire in qualsiasi modo, il suolo cominciò ad ondeggiare sotto ai suoi piedi, facendogli perdere l’equilibrio.

“Che diavolo…???”

Zel non si fece distrarre. “Dig Volt!!!” Sapeva che quell’incantesimo non era pienamente controllabile per lui nelle condizioni in cui si trovava, dal momento che non era propriamente un elemento naturale quello che si trovava sotto di loro, ma una costruzione eretta dall’uomo. Ma ciò che gli importava in quel momento era solo creare un elemento di distrazione… e riuscì perfettamente nello scopo.

Il mercenario, annaspò evitando gli spuntoni di pietra che dal nulla emergevano sotto i suoi piedi, barcollò e cadde, schiena all’indietro, troppo stupito anche solo per pensare ad una controffensiva. E subito Zel fu sopra di lui. Con l’agilità che il suo corpo da chimera gli conferiva, in un solo movimento estrasse la spada, e la conficcò nel collo dell’avversario. Il mercenario ebbe il tempo solo di emettere un rantolo. Per un momento cercò di sollevarsi, ma poi nuovamente annaspò, vomitando sangue, e poté solo crollare al suolo definitivamente, boccheggiando.

 

Zel attese per qualche istante, quindi estrasse la spada dal nemico, indietreggiando di qualche passo mentre si asciugava il sudore dalla fronte. “Non è stata una mossa leale…” Mormorò, come a giustificarsi… “… ma tu avresti fatto esattamente lo stesso con me…”

 

Ma Zel non aveva tempo di meditare su quanto aveva appena compiuto. Velocemente, spogliò il mercenario delle sue vesti e delle sue armi, e se ne rivestì. Pulì alla meglio il sangue sul colletto, e cercò di ricoprirlo col mantello, quindi recuperò dai propri vestiti la fascia che usava per mascherarsi il volto, e se la avvolse attorno alla bocca. Poi, rivestì il cadavere con i propri pantaloni, tunica e mantello, in modo da non destare sospetti se qualcuno avesse visto il corpo. Recuperò solo il fodero con la sua spada, e gli oggetti che teneva nelle tasche del mantello… Gli appariva strano, quell’uomo morto davanti a sé, con le vesti che da anni, da quando era divenuto chimera, lo contraddistinguevano… ma nemmeno per i presentimenti in quel momento c’era tempo. Con un ultima, inquieta, occhiata alla sala, lasciò le stanze di Eldoran, e si gettò nuovamente lungo i gradini della torre, verso il fragore della battaglia.

 

 

***

 

 

La principessa di Sailune era immobile, nell’acqua ormai fredda. Aveva l’impressione di non essere in possesso delle facoltà del suo corpo, in quel momento. E aveva solo una vaga idea di come fosse finita in quel conforto profumato… ricordava di essersi lasciata trascinare in quella tenda e di aver osservato le donne a cui era stata affidata riempire il recipiente di assi di acqua calda, e lozioni… ricordava che la avevano trascinata dentro, e che la avevano esortata, con una gentilezza esasperante, a lasciarsi aiutare a lavarsi… ricordava di aver gridato loro qualcosa, qualcosa di terribilmente cattivo e del tutto lontano dalle parole che avrebbero potuto essere appropriate per una principessa… ma quelle grida, e l’agitarsi, dovevano aver sortito l’effetto voluto. Perché in quel momento era sola, come aveva desiderato.

Ma ora temeva che sarebbe sprofondata, e non avrebbe più potuto alzarsi, se qualcuno non fosse giunto a tenderle una mano…

 

Morti. Zelgadiss-san era morto. Non riusciva nemmeno a piangere,a quel pensiero. Le sembrava addirittura assurdo… fino a poco tempo prima sarebbe stata incredula all’idea che la chimera morisse nel tentativo di difenderla… la aveva protetta contro Garv, era vero… aveva riportato una grave ferita, in quella occasione, ma…

Dei. No. Non Zelgadiss.

Appoggiò il volto alla mano, deglutendo, lottando contro il capogiro che ancora la catturava, nel momento in cui ripensava agli eventi di quelle ultime giornate…

‘Ti eri avvicinato a me… Avevi promesso di confortarmi…’ Un groppo le strinse la gola. Avrebbe preferito essere rabbiosa. Ora, invece, si sentiva solo impotente. L’unico suo pensiero era che, comunque avesse agito, qualsiasi reazione avesse avuto, le cose non sarebbero cambiate…

“Papà…” Mormorò, stringendosi le ginocchia al petto… era forse la prima parola coerente che fosse riuscita a pronunciare da quando Oberon le aveva dato la notizia… voleva suo padre al suo fianco, a confortarla… non poteva credere che fosse scappato, e fosse miglia e miglia lontano… avrebbe voluto aver accettato la proposta di Oberon sin dall’inizio. Se lo avesse sposato, ora suo padre sarebbe stato al suo fianco. E Sailune ancora integra, popolata di vita. E Zelgadiss sarebbe stato ancora vivo. E invece ora sarebbe stata sua moglie comunque. Ma ormai tutto era perduto.

‘No…ci sono ancora Lina -san e Gourry -san…’

Ma Lina -san e Gourry –san non avrebbero riportato in vita Zel… e forse a quel punto anche loro erano già stati catturati, e uccisi. ‘No. NO. Non devo pensarlo.’ La sua mente cercava di convincerla. Ma l’angoscia del suo spirito in quel momento era superiore a qualsiasi pensiero razionale… voleva solo abbandonarsi a quell’acqua fredda, e perdere coscienza. Voleva che all’improvviso nella sua mente tornassero a farsi chiare quelle risposte di cui era sempre stata convinta di essere in possesso.

‘Che senso ha tutto questo? Che giustizia ha tutto questo? Papà… Zel… mamma… rispondetemi…’

 

“Principessa…” La voce improvvisa di una servitrice la scosse dai suoi pensieri, mentre una mano le si poggiava sulla spalla, facendola sussultare.

“VIA!!!!!” Reagì d’istinto, e non le diede tempo di aggiungere altro. Prese ad agitarsi forsennatamente, scrollandosi le dita di dosso. “AVETE IL MIO REGNO, AVETE ME, ORA LASCIATEMI IN PACE!!!”

“Non è possibile, principessa…” La voce la affrontò, con ferma gentilezza. “Il vostro Signore desidera vedervi…”

Amelia sollevò lo sguardo. A fronteggiarla, ora, non erano le giovani servette di prima, ma una attendente già nel pieno degli anni, i capelli scuri striati di grigio legati in una crocchia, gli occhi verdi sicuri, occhi di una persona che nella vita ha imparato a gestire qualunque situazione… non abbassò lo sguardo di fronte alla sua occhiata ostile, la sua fermezza non mostrò ombra di incrinatura, pur venandosi di quella sottile compassione che si può provare osservando un cane malmenato per strada… improvvisamente, sotto quello sguardo, Amelia avvertì la sua precedente reazione come infantile…

“Che cosa vuole da me?” Impose alla sua voce quanta più freddezza era in grado di instillarvi in quel momento. 

“Semplicemente, avervi al suo fianco per la cena. Sarà consuetudine, d’ora in poi. Come è normale, in previsione delle vostre nozze…”

Un commento tagliente salì alle labbra di Amelia di fronte alla menzione del matrimonio con Oberon, ma serrò le labbra e lo tenne per sé. Un minimo di dignità. Tanto le era rimasto. Non avrebbe perduto anche quello.

 

In silenzio si sollevò, e prese il panno che le veniva porto, servendosene per asciugarsi… l’attendente nel frattempo spiegò da un fagotto che aveva portato con sé un vestito di colore blu, elegante ma semplice, quanto di più adeguato poteva esserci per una principessa in viaggio…Amelia lasciò che la donna la aiutasse a rivestirsi, con una tranquillità quasi passiva, del tutto in contrasto con l’aggressività di poco prima. Il bagno l’aveva tranquillizzata, ma ora che la confusione nella sua mente si stava dissipando le restava solo amarezza. Aveva l’impressione che tutto ciò di cui era sempre stata convinta si stesse inesorabilmente sgretolando…

 

“Siete molto bella, principessa…” L’attendente la scrutò con occhio attento, parlando con cortese pacatezza. “Il vostro signore sarà certamente compiaciuto…”

Ad Amelia non poteva importare nulla del compiacimento di quell’uomo. Fosse stato per lei, avrebbe potuto strozzarcisi, nel suo compiacimento. Ma tacque, e si limitò a rivolgerle un’occhiata vacua.

L’attendente non ne parve disturbata. “Prego…” La invitò con un gesto a seguirla, e si avviò al di fuori della tenda, nell’accampamento… Amelia le si accodò, silenziosa, camminando a testa bassa per evitare gli sguardi dei soldati che, sentiva, l’accompagnavano ad ogni passo… avrebbe incontrato anche occhi alleati, fra di essi, se solo avesse avuto il coraggio di guardare? Era stato preso qualche altro prigioniero? Non aveva la più pallida idea di dove fossero, o di che tipo di truppe la tenesse prigioniera… il vago pensiero che avrebbe potuto tentare di fuggire usando la magia le attraversò la mente, ma fu subito rimpiazzato dal ricordo di come i suoi incantesimi non avessero funzionato durante l’assalto a palazzo… che le era successo? Oberon aveva trovato il modo di sigillare la sua magia, come una volta era accaduto anche a Lina? Ma com’era possibile ad un uomo venuto da oltre la barriera?

Improvvisamente, si rese conto che non le importava. L’unica cosa di cui le importava in quel momento era terminare la cena, e tornare alla solitudine, ovunque, anche in un giaciglio pieno di pulci, non le importava… voleva stringersi al cuscino, chiudere gli occhi al mondo e fingere che tutto quello che le stava accadendo non avesse mai avuto inizio…

 

“Mia signora…”

Sussultò. Non si era resa conto che Oberon le era venuto incontro all’entrata della tenda, finché l’uomo non le aveva porto la mano. Sollevò lo sguardo su di lui, senza prenderla… si guardarono per un istante negli occhi, quindi lo sguardo dell’uomo vagò brevemente su di lei e sulle sue nuove vesti, senza tradire la minima emozione…

“Suppongo… che avrebbe potuto andarmi peggio…” Si limitò a commentare, in tono completamente inespressivo. Quel commento fece risvegliare in Amelia l’aggressività che credeva definitivamente sopita. Lo fissò. Dei, non aveva mai desiderato tanto uccidere una persona prima di allora…

Oberon forse colse l’ostilità del suo sguardo, perché piegò il capo, e le parlò in tono lievemente più accorato… “Sono stato addolorato nell’apprendere che la notizia della morte dei tuoi difensori ti ha sconvolta tanto… ma è il prezzo da pagare per la guerra. Suppongo che sia la prima volta che ti trovi di fronte a questo genere di situazione. Ma temo che non potrò evitarti altri dolori di questo tipo, a meno che tuo padre non decida di arrendersi a breve.” Lo disse con lo stesso tono con cui avrebbe potuto invitarla ad una colazione…

“Vorresti farmi credere che se si arrendesse lo risparmieresti? Chissà perché non trovo la tua parola particolarmente affidabile, mio Signore…” Il tono della principessa era tagliente.

Oberon non colse, o non volle cogliere, l’ironia della sua voce… “Scoprirai invece che io mantengo sempre le mie promesse, mia Signora… nel bene o nel male per chi ne è oggetto…” Il suo tono suonava pacatamente minaccioso. Di fronte a quella sua odiosa imperturbabilità, Amelia non seppe più trattenersi…

“Tu… tu SEI un bugiardo! Hai attaccato Sailune senza preavviso! Quando avevi promesso di trattare!!!”

Oberon la squadrò, con cupa freddezza. “Io vi ho offerto una proposta di resa, e voi avete rifiutato, mia Signora. Offrendo un’alternativa di trattativa, è vero, ma avete rifiutato. Ho vagliato le vostre proposte, ma il presupposto alla cessazione delle ostilità era che venissero accettate le MIE condizioni… cosa che voi non avete fatto. Quindi, mia Signora, non addossarmi colpe per cui non hai nessun altro da interrogare… se non te stessa e i tuoi alleati.” Non c’era rabbia in quelle parole, solo una ragionevole pacatezza. Ma per Amelia furono comunque peggio di una percossa. Di chi era davvero la colpa? Di chi era davvero la colpa della morte di Zelgadiss-san?

“Ed ora… se vuoi seguirmi, mia Signora… nel mio regno è consuetudine che i servitori attendano al banchetto, ma sia la moglie ad offrire il cibo al marito… se ciò ti compiace…”

Impotente, stralunata, Amelia lo seguì, e quasi meccanicamente afferrò il braccio che lui le offriva.

 

  
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