Cassiechan
is back! Finalmente il seguito! Una piccola
pagina di avvisi! Per prima cosa, vorrei dedicare questa fic a tutte le persone
che hanno letto la prima e che l’hanno commentata! Senza il vostro sostegno,
probabilmente non sarei mai riuscita a finirla! Ho ancora bisogno di voi, se
questa storia vi pace come la prima commentatela! Così mi invogliate a
scriverla, altrimenti poi la lascio perdere,
ne sono perfettamente capace! Seconda cosa: essendo una storia in
divenire, i capitoli saranno molto più brevi di quelli di BMAY! Specie quando
non sarò eccessivamente ispirata! Terza cosa: la trama è ancora più complicata
della prima, per qualsiasi chiarimento fatemi sapere!
Capitolo 1 – Beautiful stranger
Era
una bellissima giornata di gennaio, e, anche se l’aria si preannunciava ancora
abbastanza fredda, l’aria era piena della luce del sole, che splendeva terso
nel cielo privo di nubi. Un vento freddo soffiava tra gli alberi della grande
villa, sollevando le foglie cadute dagli alberi e i seppur pochi petali delle
magnolie, sopravvissute alle folate di vento, che costeggiavano il lungo
vialetto d’ingresso, che portava alla casa signorile. Bianca, si stagliava nel
paesaggio cittadino, circondato da una lunga cancellata, anch’essa bianca, che
teneva fuori i malintenzionati, ma anche molti che vi avrebbero voluto entrare,
ma che non erano ammessi nella casa, a causa delle strette misure dei
proprietari. Tre grandi pastori tedeschi sonnecchiavano al sole, mentre uno più
piccolo, che doveva avere solo pochi mesi, entrò nella villa, passando sotto un
portico, ornato da fiori bianchi rampicanti, attraverso la porta di legno
scuro, aperta da una donna grassa ed anziana.
Il
cucciolo entrò in cucina, dove un gruppo di persone era seduta apaticamente a
tavola e stava facendo colazione. All’improvviso, una donna sulla quarantina,
che stava addentando una fetta biscottata, proruppe in una smorfia annoiata e
rassegnata, scuotendo il capo e i lunghi capelli rosso scuro.
“Dov’è
tua sorella, Miky?” chiese ad un bambino di circa sette anni, che le era seduto
accanto, e che aveva i suoi stessi capelli, ma gli occhi di un intenso azzurro
chiaro, piegati in un’espressione teneramente dispettosa.
“Non lo
so, mamma” rispose candidamente, passando un pezzo di torta al cucciolo, che
attendeva con la bocca aperta sotto il lungo tavolo di legno.
“Ma
insomma, si può sapere che fa tutte le mattine, per scendere così tardi?!” si
chiese, non aspettandosi una risposta, che invece le giunse da parte di
un’altra persona, seduta vicino a lei, un bell’uomo in giacca e cravatta con i
capelli biondi e gli occhi celeste chiaro.
“Esattamente
quello che facevi tu alla sua età… stare tre ore in bagno, arrivando in ritardo
a scuola tutti i santissimi giorni…”.
La donna
assunse un’espressione offesa e disse: “Non è vero, Ryan… io non ero così
ritardataria…”.
Lui non
si scompose minimamente e, portandosi la tazza di caffè alle labbra, rispose,
guardandola oltre il quotidiano che stava sfogliando: “Hai ragione, Strawberry…
eri anche peggio…”.
Miky
scoppiò a ridere, mentre Strawberry sospirò, poi, sorridendo, disse: “Credo che
tu abbia ragione, ma ciò non toglie che tua figlia è enormemente in ritardo…”.
Aveva
appena finito di parlare che nella sala irruppe una ragazza di sedici anni, che
indossava una divisa scolastica, formata da una gonna a pieghe azzurra, una
camicia bianca con una cravatta dello stesso colore della gonna e una giacca
sempre azzurra che teneva sottobraccio. Aveva lunghi capelli biondi ed
ondulati, e grandi occhi castani, che apparivano in quel momento assonnati e
vistosamente trafelati. Parte dei capelli era trattenuta da un fermaglio, a
forma di pesce, sempre di colore azzurro. Ai lobi, portava dei lunghi orecchini
con delle perline, sempre azzurre, e alle braccia dei braccialetti della stessa
tonalità di celeste.
Piegata
in due, per la corsa fatta per le scale, disse solamente: “Mamma, papà… io vado
a scuola… sono in ritardo e Grace e Nick mi stanno aspettando…”.
Strawberry
la guardò irata e preoccupata, e disse: “Quindi scommetto che neanche
stamattina farai colazione, vero? Un giorno di questi, cadrai svenuta per
strada…”.
Kathrine
non si scompose minimamente e, riavviandosi i capelli con le dita, disse:
“Mangerò qualcosa per strada… ciao mamma! Ciao papà! Ci vediamo più tardi!” e
corse fuori, mentre Strawberry sospirava vistosamente.
Inutile
dire che Kathrine era, oltre che una bellissima ragazza, anche una pasticciona
e disordinata di prima categoria, esattamente come era stata lei. Il problema
di Kathrine, però, non stava solo in questo, ma in quella strana fusione
genetica che era accaduta tra lei e Ryan, e che aveva generato i loro due
meravigliosi figli. Miky era un bambino molto vivace, e aveva ereditato in
pieno il carattere della madre, anche se alcune astuzie per ottenere quello che
voleva erano sicuramente tipiche dell’indole di Ryan. Ma, nel caso di Kathrine,
mai come in quel caso, i loro caratteri si erano fusi in qualcosa di unico.
Aveva i lineamenti di suo padre, era infatti alta e magra, ma poi aveva le
labbra corallo come quelle di Strawberry stessa, i suoi capelli erano biondi,
ma erano carichi di sfumature ramate, i suoi occhi erano castani, ma, in
particolari momenti, si tingevano di ombre e di pagliuzze verde acqua. E questo
era niente… Kathrine aveva preso interamente il carattere di Ryan, era infatti
sicura, determinata, alle volte anche altezzosa, ma era capace di slanci
affettivi, che erano tipici solo di Strawberry. Quando voleva, era seria,
posata e impeccabile, ma quando era a casa, era vivace, divertente e anche
imbranata. Era anche molto intelligente e aveva voti altissimi, caratteristica
pienamente corrispondente alle doti di suo padre, cosa che le faceva
raccogliere attorno molte persone, desiderose del suo aiuto, ma lei si
prodigava solo per pochissimi, ignorando gli altri, operando scelte nelle sue
amicizie, che molti non capivano, preferendo persone poco popolari alle
reginette della classe. Ma, intanto, che la si amasse o la si odiasse, Kathrine
era sempre sulla bocca di tutti, anche per via di quell’aria sbarazzina e anche
originale, tipicamente americana, che Ryan riconosceva come una caratteristica
della sua defunta madre.
Ma, se
Strawberry era semplicemente preoccupata che sua figlia si cacciasse nei guai
per via di quel suo essere così sfacciatamente sopra le righe di ogni regola
che le poteva essere imposta e che le procurava continui litigi con lei, nel
caso di Ryan la preoccupazione aveva ben altra origine, un’origine che solo i
padri possono condividere. Amava i suoi figli con tutto sé stesso, erano la
cosa più bella che avesse, e poi erano il dono di quell’unico sentimento, che
dopo tanti anni era sopravvissuto a tutto il tempo trascorso, ossia il suo
amore per Strawberry. Di Miky si preoccupava spesso, era troppo sveglio, troppo
vivace, ma di Kathrine lo impensieriva il fatto che fosse semplicemente troppo
bella. Sapeva delle decine di ragazzi, che a intervalli più o meno regolari, si
innamoravano di lei, tutti puntualmente respinti, ma che al contempo, c’erano
ed era un fatto. Cosa sarebbe accaduto il giorno, in cui si sarebbe
effettivamente innamorata di qualcuno? Conosceva il suo carattere e conosceva
altrettanto bene quello molto simile di Kathrine, e sapeva che, se lui aveva
fatto migliaia di sciocchezze quando era innamorato non corrisposto di
Strawberry, la stessa cosa sarebbe accaduta a lei, aggiungendoci pure la ben nota
impulsività, che sua figlia aveva ereditato dalla madre. Sua figlia… Katy…
avevano un bel rapporto tutti e due, lei si confidava con più facilità con lui
che con sua madre. Gli diceva tutto o quasi, e si faceva coccolare ancora come
quando era bambina. Si ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista, gli
era sembrata un fiore d’oro. Ricordava una favola che sua madre gli aveva
raccontato, quando era piccolo. In un bel campo, cresceva un bellissimo fiore
dai petali dorati, splendente di luce, alto, altero e costantemente rivolto
verso il sole. Tutti gli altri fiori avevano invidia di lui, perché vedeva
sempre in faccia il sole, perché poteva seguirlo, perché era più bello. E
allora chiamarono le nuvole e fecero coprire il sole, per giorni e giorni, finchè
morì, mentre gli altri fiori bevevano con le corolle aperte le gocce di
pioggia, che cadevano dal cielo. Solo quando il fiore fu morto, il sole
riapparve, ma non fu più come prima. Era triste, spento, e non amava più la
terra, non voleva più vederla. Sua sorella, la Luna, vide la sua infelicità e
allora gli fece un regalo: prese una bella margherita gialla, e le donò la sua
luce e la sua forza, affinché, diventato un gioioso girasole, potesse seguire
sempre il sole, che riprese a comparire sulla Terra, riscaldando tutti i fiori.
Ryan si
ricordava d’aver chiesto a sua madre: “E il fiore d’oro? Che fine ha fatto?”.
Sua madre
lo aveva abbracciato e gli aveva detto: “La luna lo fece diventare una
bellissima stella dorata, che adesso poteva abitare sempre accanto al sole, nel
suo stesso cielo…”.
Sospirò
lungamente, quella storia non aveva per niente un bel finale. Il mondo sapeva
essere invidioso, e per via di quella gelosia, sapeva diventare anche cattivo.
Pregava ogni giorno che questo non accadesse anche al suo fiore dorato.
Kathrine
camminava allegramente per strada, avvolta nel suo cappotto bianco latte e nel
suo basco delle stesso colore. La cartella ondeggiava nella sua mano, al ritmo
del suo passo, mentre lei si dirigeva verso la casa dei suoi migliori amici,
Grace e Nick. Si allontanò decisamente dal suo quartiere, quello pieno di case
bianche e lussuose con infiniti giardini, tipici delle persone che avevano
fisso un posto sui rotocalchi, e si diresse verso un quartiere residenziale di
villette a schiera gialle e azzurre. Si fermò di fronte ad una di quelle case,
da cui provenivano delle voci concitate. Si sporse leggermente davanti al suo
basso cancelletto, e vide un uomo con i capelli castano chiari sostare
pigramente davanti alla porta, mentre di sicuro stava aspettando qualcuno. Non
era molto alto, certo lo era molto di meno di suo padre, ma emanava gioia, come
del resto tutti i componenti di quella famiglia.
“Buongiorno
signor Taruto!” disse Kathrine allegramente all’indirizzo dell’uomo, che si
voltò e le rispose, sorridendo.
“Grace e
Nick scendono subito… hanno avuto solo un piccolo problema con Teddy… ha
completamente distrutto i loro appunti di una qualche materia…”.
Kathrine
sorrise e disse: “Anche mio fratello era così a quell’età… anzi era anche
peggio…”.
Tart
sorrise e confermò con un cenno del capo, giustificando così pienamente il
comportamento della sua figlia più piccola. Poi, si spostò al passaggio dei
gemelli usciti di corsa dalla cucina. Grace e Nick erano praticamente identici,
avevano entrambi i capelli castano chiaro e due luminosi occhi dorati, un’aria
molto allegra e spensierata, ed erano entrambi molto legati a Kathrine
Shirogane, loro amica da quando erano in fasce, e compagna di scuola
dall’asilo.
Grace
salutò il padre e saltò la bassa staccionata, senza aprirla dopo il fratello,
salutando poi Kathrine, chiamata da lei affettuosamente Kitty e apostrofata con
tutto il suo nome completo da Nick, sempre in evidente imbarazzo davanti alla
giovane Shirogane.
Iniziarono
a camminare allegramente, dopo aver salutato Tart, e dirigendosi verso la loro
scuola, che era parecchio lontana dal quartiere residenziale. Si fermarono solo
quando Kathrine si comprò una ciambella da un venditore ambulante, addentandola
con gusto, dato che come al solito non aveva toccato cibo a casa.
“Non
capisco perché non mangi mai a casa tua, Kitty…” commentò Grace “Eppure oggi
non è la giornata libera di Marie… non avrà cucinato tua madre, spero…”.
Kathrine
scosse la testa: “In realtà no… andavo solo di fretta… se avesse cucinato mia
madre, non sarei sicuramente ancora viva… mi avrebbe ingozzato a forza, come al
solito… pensa che mio padre si alza sempre tardi per non trovarla più in casa,
dopo che è andata a scuola… così getta tutte le cose, che cucina…”.
Grace
scoppiò a ridere, mentre Nick, ricordandosi improvvisamente di qualcosa, eruppe
in un’esclamazione veloce: “A proposito, hai saputo di Chiyo?”.
Kathrine,
voltandosi verso il ragazzo, chiese: “Che cosa le è successo? Non starà male,
spero…”.
Nick, di fronte al suo viso,
così inaspettatamente vicino, arrossì e tacque, mentre la sorella continuava:
“Mia madre mi ha detto che i suoi genitori si sono separati…”.
“Veramente
non si sono mai sposati…”.
“Lo so,
ma sembra che stavolta abbiano avuto un brutto litigio… la madre di Chiyo se ne
è andata di casa e si è trasferita in Europa, mentre Chiyo è rimasta con suo
padre… dicono che non tornerà più a casa…”.
“Fanno
così da anni…” commentò tranquilla Kathrine “Vedrai che tornerà a casa… anche
mia madre e mio padre litigano ad intervalli di più o meno cinque secondi, ma
poi fanno sempre pace… è normale, quando due persone si amano molto…”.
“Sarà…”
convenne Grace “Anche se a me gli Aoyama, non è che mi hanno fatto sempre
l’impressione di due persone innamorate…”.
Su questo
dovette concordare la stessa Kathrine. Pur essendo estremamente ottimisti, la
situazione familiare della loro amica comune, non era certo un mistero da
potersi interpretare in qualche altra chiave. Poteva anche dirsi di essere
troppo abituata ai suoi genitori, che si baciavano ogni secondo, in cui erano
da soli, ma allo stesso tempo anche il padre e la madre di Grace e Nick erano
vistosamente innamorati l’uno dell’altra, anche se non così affettuosi come
Strawberry e Ryan. Invece, Halinor e Mark tutto erano, tranne che due persone
innamorate: erano troppo formali tra loro e con la figlia. Non a caso, Chiyo
era venuta fuori con il carattere di una principessa di altri tempi…
Una voce
li fece sobbalzare, una voce dolcemente decisa: “Ciao ragazzi! Che c’è, ve ne
stavate andando senza di me?”.
Kathrine
si voltò, sorridendo a Chiyo: “Certo che no… ti stavamo aspettando!”.
Grace e
Nick annuirono, mentre la ragazza si aggregava a loro. Chiyo, sebbene un anno
più grande di loro, continuava a fare la strada assieme a loro ogni mattina, da
quando erano piccoli, per poi dividersi da loro all’arrivo nell’edificio
scolastico, dove Grace e Kathrine, compagne di classe, proseguivano assieme,
separandosi invece da Nick. Chiyo era una bella ragazza, dal volto e dai lineamenti
un po’ tristi, e aveva un atteggiamento estremamente più maturo di quello dei
suoi amici, sebbene nel suo aspetto non dimostrava la, seppure sensibile,
differenza di età. Aveva lunghi capelli neri e due luccicanti occhi verdi, che
le davano l’aria da cerbiatta indifesa che faceva tanto impazzire i ragazzi, ma
aveva un carattere impossibile, molto di più di quello che i coniugi Shirogane
imputavano a Kathrine. Era viziata, isterica, nevrastenica, in alcuni momenti
limiti; perennemente insicura e timorosa di perdere le sue amicizie e le
persone che amava. Solo con i suoi quattro amici d’infanzia si lasciava
leggermente andare, ma anche loro certe volte non sopportavano i suoi continui
sbalzi d’umore, che alla fine giustificavano e accettavano alla luce della sua
situazione familiare particolarmente difficile.
Mentre
camminavano, un auto li affiancò, un bella berlina azzurra, il cui conducente
abbassò il finestrino, chiamando la stessa Chiyo.
“Che c’è
papà?” chiese Chiyo a Mark, che continuava a guidare al loro fianco.
Mark,
all’inizio, non rispose, fissando la figlia di Strawberry. Quella ragazza,
sebbene non ce ne fosse apparente motivo, gli dava continuamente una sensazione
strana; era impossibile non notarla tra le sue amiche per quanto fosse bella,
ma non era quello che lo colpiva. Era il suo atteggiamento, che conservava
tracce di sua madre a frastornarlo senza sosta. Adesso, si era messa solo i
capelli dietro le orecchie, ma l’aveva fatto come lei, come Strawberry. Ma, di
solito, tutto durava molto poco, perché poi lei mostrava subito in modo
lampante di chi era anche figlia, e allora lo fece, inarcando un sopracciglio
all’indirizzo di Nick, che le aveva mormorato qualcosa. Riprese la capacità di
parlare e disse alla figlia, che aveva dimenticato il pranzo. Glielo consegnò e
poi, gettando un’ultima occhiata a Kathrine, rimise velocemente in moto. Chiyo
osservò la macchina sfrecciare via, mentre si chiedeva perché mai suo padre non
guardava mai lei, o sua madre, come per quel solo secondo aveva guardato
Kathrine. Che cosa aveva lei in più da meritare tanta attenzione? Perché suo
padre le chiedeva sempre di Kathrine e di sua madre? Perché teneva in un
cassetto della scrivania una sua foto da ragazzo, assieme con la allora
giovanissima madre della sua amica? A quelle domande, non riuscii a trovare
come sempre una risposta, ma come sempre finii per reagire istintivamente nei
confronti di Kathrine, dicendo che andava di fretta e che li avrebbe preceduti,
non prima di aver fatto un commento acido sul fatto che arrivavano sempre in
ritardo per colpa della biondina.
“Chi la
capisce, è bravo…” commentò laconico Nick, mentre ormai la sagoma della loro
scuola si intravedeva. Sentendo la campana della scuola, che suonava,
iniziarono a correre, fermandosi solo ai loro armadietti.
Kathrine
rimase indietro perché non era riuscita ad aprire subito il suo armadietto,
dato che la sua chiave si era incastrata, perciò perse qualche minuto, per poi
affannarsi in corridoio, mentre Nick saliva le scale per raggiungere la sua
sezione e Grace era ormai sparita, senza aspettarla. Rallentò davanti alla
porta della presidenza, poi, superata, riprese a correre; davanti alla
segreteria, però, la sua corsa fu frenata da uno scontro, con una persona che
vi usciva.
Kathrine
ricadde all’indietro, sbattendo violentemente per terra, mentre una pila di
fogli bianchi si sparpagliavano dovunque. Dolorante, sollevò lo sguardo per
vedere chi aveva urtato, biascicando parole di scusa. A terra, seduto e
anch’egli dolorante, c’era un ragazzo, che sembrava molto più grande di lei.
Aveva anche lui la divisa del istituto, ma la sua cravatta non era impeccabile
come quella di Nick, ma era allentata, mentre la camicia bianca non era
infilata nei pantaloni azzurri. Aveva un’aria studiatamente negletta, esaltata
anche dai capelli neri falsamente spettinati, ma in realtà curati in una
pettinatura, che sicuramente gli era costata molto tempo davanti allo specchio
e anche molto gel. A completare il tutto, c’erano i suoi occhi di un blu
semplicemente troppo profondo e irreale. Aveva l’aria di uno, che non era mai
venuto a scuola in vita sua, tanto appariva rilassato e serafico. Kathrine non
ricordava di averlo mai visto da nessuna parte; un tipo del genere se lo
sarebbe sicuramente ricordato.
Lui le
disse con voce canzonatoria, leggermente velata da piccoli lamenti: “Che ti
prende ragazzina? Lo sai che non si corre per i corridoi?!”.
Kathrine
arrossì all’istante, poi mormorò in preda alla rabbia: “Ragazzina?! Guarda che
sei tu che mi sei venuto addosso, non io…”. Cercò di sollevarsi, ma sentì una
fitta alla caviglia. Perfetto, la professoressa di educazione fisica l’avrebbe
uccisa, se avesse chiesto di non giocare a pallavolo quel giorno. Vide la mano
tesa di lui, che si era intanto alzato in piedi. Era anche abbastanza alto,
certo molto più di lei, e poi aveva un modo di stare in piedi particolare… non
aveva mai visto una persona stare in piedi così, sembrava un alto ufficiale…
“Spicciati,
alzati, non si dica mai che lascio una ragazzina seduta a terra a piangere
perché si è fatta la bua…” mormorò, sorridendo ironico.
“Ancora?!
Si può sapere chi ti ha dato tanta confidenza?!” rispose ancora lei furiosa,
sollevandosi e reggendosi sulla sua mano aperta. Lui abbandonò la sua
espressione precedente, assumendo un aria confusa e spaesata.
“Che
c’è?” chiese lei, ancora appoggiata a lui “Ti sei incantato?!”.
Lui non
rispose, ma cadde svenuto addosso a lei, gli occhi vuoti e stranamente
spalancati. Kathrine, presa di sorpresa, cadde ancora all’indietro, il ragazzo
che respirava a fatica sulla sua spalla. Spaventata, chiese: “Che ti prende?
Ehi tu, svegliati…”.
Seduta
per terra, con il ragazzo incosciente, stava per chiamare aiuto, poi sentì la
sua voce dirle: “Si può sapere chi sei?”.
Kathrine
lo guardò, mentre si allontanava da lei, vistosamente affaticato e grondante
sudore freddo.
“Ma che
ti è preso? Ti sei sentito male?” chiese, riavvicinandosi di un passo a lui.
“Sto bene
adesso…” mormorò lui, poi ripeté, passandosi una mano sulla fronte sudata “Vuoi
dirmi per piacere chi sei adesso?”.
Lei lo
guardò senza capire, poi mormorò: “Kathrine… mi chiamo Kathrine Shirogane…”.
“Hai
detto Kathrine? E’ un bel nome… bene, Kathrine, ci vediamo presto…” disse,
alzandosi e recuperando la sua solita espressione. Kathrine rimase per terra,
poi mentre lui si allontanava, gli urlò dietro: “E tu chi sei? Non ti ho mai
visto da queste parti…”.
Lui,
senza abbandonare la sua posa, continuò a camminare di spalle, le mani
affondate nelle tasche dei pantaloni. Disse solo: “Kevin… mi chiamo Kevin
Shirayuki…”.