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Autore: Madeline_95    25/09/2011    2 recensioni
Missing-moment del ritrovamento di Harry da parte dei Dursley. Come l'avranno presa trovando un bambino davanti alla loro porta? Cosa avranno pensato? Leggete e scoprirete!
Enjoy it!
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter | Coppie: Petunia/Vernon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Il bimbo nella cesta

 

I vicini odiavano quel cane. Era scorbutico, abbaiava sempre senza motivo. Sporcava, era stupido e in più apparteneva a quegli antipatici dei Dursley. Tutti sapevano che era stato comprato in seguito a un capriccio interminabile del “piccolo” della famiglia, Dudley. Aveva solo due anni, ma in casa quello che comandava era lui. Era amato e coccolato, e quando il suo più grande desiderio fu quello di avere un cane, i suoi cari genitori corsero subito a prendere un labrador color oro, grande e sbavoso. Tutti sapevano che ogni desiderio di Dudley era un ordine. Ma nessuno sapeva perchè il cane sopracitato, chiamato dal bambino Martin, aveva passato tutta la notte ad abbaiare e raspare contro la porta.

 

***

 

 

Quel maledetto cane sbavoso, non ha smesso di abbaiare un solo secondo questa notte!”. Pensava la donna dal viso cavallino mentre scendeva le scale per preparare la colazione alla famiglia. Si affaccendò ai fornelli, pensando al figlio e a quanto gli voleva bene. La sera prima era tornato a casa con centinaia di caramelle, essendo Halloween. “Anche i vicini vogliono bene a Didino Piccino,” pensava la donna “se no non gli avrebbero dato tutte quelle caramelle!”. Dispose la colazione sul tavolo, premurandosi che tutto fosse in ordine e pulito, e poi decise di andare a fare la spesa. Uscì dalla cucina, prese il cappotto e guardò il cane. Era sdraiato davanti alla porta, annusando con frenesia il legno che la componeva. Guaiva e grattava, sembrava impazzito. Petunia lo guardò con disgusto, gli diede un piccolo calcio e lo fece spostare dall'ingresso. Uscì, una ventata di aria fredda le spazzò il viso, e un vagito proveniente dal suolo la fece saltare dalla paura. Chinò lo sguardo, spaventata, e vide un bambino dagli occhi verdi che lo fissava da dentro una piccola cesta. Rimase senza parole. Gli occhi che la fissavano erano gli stessi della sorella.

Il bimbo tese le manine verso il viso cavallino della donna, sorridendo felice. Non aveva paura, non era triste o piangente. Aveva perso la sua famiglia, ma lui ancora non lo sapeva. La donna si chinò e prese in braccio il bambino, facendo scivolare a terra una lettera chiusa da un sigllo verde. La prese in mano, strinse il bambino, raccolse la cesta e rientrò velocemente in casa. Non voleva che i vicini sapessero che accoglieva i trovatelli in casa sua. Ma quel timbro verde aveva acceso una scintilla nella sua mente. Un ricordo, vivido e chiaro, gli apparve davanti agli occhi.

 

Il gufo planò dolcemente sul suo letto, facendola urlare di paura. Odiava quegli animali. Odiava tutti gli animali. Odiava anche sua sorella, la brillante Lily Evans. La odiava per la sua bellezza, impossibile da comparare. La odiava per i suoi voti a scuola, sempre ottimi e soddisfacenti. La odiava perchè era una strega, la odiava perchè faceva magie, la odiava perchè lei poteva studiare ad Hogwarts, mentre lei andava in una stupida scuola di campagna. Per questo aveva deciso di scrivere al preside di Hogwarts. Aveva preso il gufo della sorella e aveva chiesto al preside se poteva frequentare anche lei la scuola di magia. Lo aveva supplicato, implorato. Strappò la pergamena che il gufo teneva tra gli artigli, scollò con dolcezza il sigillo verde che la chiudeva, la stese e lesse con avidità. Terminata la lettura, lacrime amare solcarono il suo viso. Prese il foglio e lo lanciò via con odio. Era stata rifiutata. Non aveva doti magiche, non poteva andare nella scuola della sorella. Pianse lacrime di odio, pensando alla sorella e alla sua magia. Da quel momento in poi non le avrebbe più parlato. La odiava terribilmente, e così sarebbe stato per sempre.

 

Appoggiò la cesta con il bambino sul divano del salotto, si stese sulla poltrona e scollò il sigillo della lettera. Si sentiva come quando aveva 12 anni e aveva fatto gli stessi gesti, sotto gli occhi attenti di un gufo postino. Stese la lettera e la lesse, curiosa ed impaziente.

Cara Petunia Evans,

Sono Albus Silente, il preside della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Le scrivo questa lettera per avvisarla di un fatto accaduto alla sua famiglia la notte del 31 ottobre. Sua sorella è morta, assassinata dalla magia di un mago Oscuro, pericoloso e mortale, Lord Voldemort. Suo marito, James Potter, è morto nel tentativo di salvare la vita alla moglie e al figlio. Il bambino che ha trovato davanti alla sua porta è il loro figlio, Harry Potter. Vede la cicatrice a forma di saetta sulla testa del bambino? È il segno della Maledizione che l'ha colpito, lasciandolo però vivo. Sua sorella ha donato il suo amore e la sua vita al figlio e, secondo le regole magiche più antiche, facendo così ha garantito al bambino una vita sicura e priva di pericoli, ma ad una condizione. Il piccolo deve essere accolto dal sangue del suo sangue e deve sempre poter dire di avere una casa. Finchè voi gli garantite una casa e lo tenete in vita, la protezione della madre scorrerà nel suo sangue. Spero che non ignorerete la mia richiesta, avete davanti a voi l'orfano più ricercato e voluto del mondo magico. Grazie per l'aiuto.

 

Albus Percival Wulfric Brian Silente

 

Ps: Se vuole chiedermi qualcosa, sa dove scrivere.

 

Appoggiò la lettera sul tavolo, accanto alla cesta. Fu una fortuna che era seduta, perchè si sentì svenire. Sua sorella era morta, il suo genero era morto, suo nipote era in pericolo di vita, e lei doveva accettarlo, volente o nolente. I passi pesanti del marito che scendeva dalle scale la distrassero dai suoi pensieri. Alzò la testa di scatto, rivelando le lacrime che le solcavano il viso. Il marito la guardò con apprensione e le corse accanto. “Petu, che ti succede? Che cos'è quella cesta? Chi è quel bambino?” domandò, il tono della voce che si alzava ad ogni domanda. Petunia si alzò, si mise davanti al marito, guardandolo fisso negli occhi. “Questo bambino è nostro nipote. È orfano, e lo dobbiamo allevare noi. Se non lo facciamo, morirà”. Petunia fissò gli occhi verdi del piccolo, che intanto succhiava allegro un lembo della coperta che lo avvolgeva. Più guardava gli occhi del bambino, più la sua odiata sorella faceva irruzione nei suoi pensieri. Pensava a lei, ai loro maledetti genitori che avevano sempre rifiutato la non-maga della famiglia, o come la chiamavano loro, la Babbana. Pensava a tutte le lettere che la sorella le aveva inviato, implorando il suo perdono. Fondamentalmente, Petunia voleva bene a Lily, era sua sorella, sangue del sangue.

Fondamentalmente, voleva bene anche al bimbo che aveva davanti, era suo nipote, sangue del sangue.

 

Ma Petunia non era capace di provare simili sentimenti. Petunia odiava tutti, tutti odiavano Petunia.

Era solo una stupida Babbana, eclissata dalla sorella, strega brillante.

Era solo una moglie impicciona, che viziava il figlio in maniera sproposiata.

Era solo una donna triste e sola, che rifiutava ogni cosa estranea al suo mondo.

 

Era solo una figlia unica. E su questo, non aveva nulla da ridire.

   
 
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