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Autore: Ariana_Silente    25/09/2011    0 recensioni
La vita è qualcosa di così fragile ed effimero. L'attimo prima esiste, l'attimo dopo non esiste più.
Come un fiore di pesco che dura una breve stagione o una margherita, basta il vento a trascinrne via i petali.
E' un'amara verità che i fratelli Silente hanno scoperto forse troppo presto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Declino'
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Oggi sono di cattivo umore, anzi sono di pessimo umore e non sto nemmeno così bene, tze. 
Ho un motivo buono per scrivere una storia triste. Non che ne abbia bisogno, in effetti.

Leggi caro lettore, ma sappi di leggere un triste racconto.




§§§
 

 

Perduta. Perduta per sempre.

 

 

«Ero io il suo preferito» aggiunse, e in quel momento un ragazzino sporco balenò sotto le rughe e la barba arruffata di Aberforth.

 

Era così dolce e tenera, la mia sorellina, con i suoi lunghi capelli ramati e i suoi occhi celesti. Grandi occhi da bambina in cui mi rispecchiavo e vedevo il cielo e il mare e nel suo visetto vispo e paffuto riconoscevo i tratti di mio padre, appena accennati.
La sua risata era coinvolgente, passavamo ore intere a dare la caccia agli gnomi da giardino o sui rami del pesco ad osservare le nuvole, cercando di dare un nome alle forme vaporose e sfuggenti sopra le nostre teste.
Poi, a sera, mentre il sole aranciato calava giocondo, mamma ci chiamava e facevamo a gara per tornare a casa. Nell'ingresso dovevamo sostenere il suo esame e quasi mai lo superavamo: tornavamo immancabilmente con le mani sporche, le vesti in disordine, qualche volta anche stracciate più o meno a livello delle ginocchia, ma dipendeva dal tipo di caduta. Allora facevamo a gara a difenderci, inventandoci le scuse più strampalate. Una volta dicemmo di aver lottato contro un Runespoor, persino mamma si arrese, lasciandosi addirittura sfuggire un sorrisetto, ma con tono deciso ci spediva di sopra, nonostante la fandonia di turno, a riassettarci prima di andare a cena.
Mentre ridacchiando facevamo i gradini della scala a due a due, la frase che ci raggiungeva era sempre la stessa.
«Dovreste assomigliare di più a vostro fratello. Ariana, diventerai un maschiaccio e quel che è peggio è che non sembra minimamente interessarti.»
Con la sfrontatezza della nostra gioventù lasciavamo da parte l'educazione e scoppiavamo a ridere di gusto: nessuno dei due voleva assomigliare ad Albus, sempre chiuso nella sua stanzetta – più del solito, ecco – da quando aveva ricevuto la lettera da Hogwarts e Ariana era bellissima così: mani sporche, gote arrossate dall'aria e dal sole e risposta sempre pronta, nonostante fosse così piccola.
Ci divertivamo da matti, il nostro paese aveva smesso di avere segreti per noi, così come il vecchia catapecchia in fondo alla strada principale, tanto che eravamo a capo della banda di ragazzini del paese.
Era meraviglioso, era la nostra vita, la nostra famiglia, il nostro mondo: chi mai avrebbe potuto infrangere il nostro idillio?

E invece la nostra fanciullesca innocenza ci aveva tratti in inganno.

Ci eravamo sbagliati enormemente.

 

«Quando mia sorella aveva sei anni, fu aggredita da tre ragazzi babbani...»

 

Quel giorno... quel giorno non ero con lei in giardino, quel giorno stavo facendo un lavoro per mamma.

Non ce ne accorgemmo subito.

Mamma era con papà nel retro della casa a sistemare non so quale creatura si era insediata là e Albus stava inutilmente tirando a lucido la fiammante bacchetta in camera sua.
Fui io a sentire le grida.
Lasciai cadere le stoviglie che stavo lavando, chiamando allarmato mia sorella, corsi col cuore in gola fino al giardino e lo slancio mi fece quasi perdere l'equilibrio quando uscì dalla veranda: quello che vidi come al rallentatore mi si impresse a fuoco fino nell'anima.

Tre ragazzi erano chini in avanti, troneggiavano su un corpo riverso a terra, tremante.

Col mio precipitoso arrivo, tutto si zittì di colpo: i ragazzi si voltarono verso di me. Le espressioni arrabbiate e arroganti si cristallizzarono per un paio di secondi sui loro visi aggressivi, poi nei loro occhi baluginò la paura mentre ci raggiungevano i miei genitori, preceduti dai loro richiami.
«Aberforth!»
«Ariana!»
Mi avvicinai a mia sorella mentre gli altri tre si allontanavano mano a mano che gli adulti avanzavano verso di noi e poi se la diedero a gambe.
Le strinsi la mano e le accarezzai i capelli. Mi lanciò uno sguardo che mi sconvolse: non riconobbi subito i suoi occhi ancora celesti ma privi di quella luce misteriosa che solo fino a qualche ora prima li illuminava.
Guardai i miei genitori, ci mettemmo poco a ipotizzare cosa poteva essere successo.

 

«...L'avevano vista fare magie, spiando attraverso la siepe del giardino, non poteva controllarlo, nessuno ci riesce a quell'età...»

La facemmo alzare: aveva una guancia arrossata e un labbro rotto, ma quei mostri dovevano averle dato anche dei calci.
La tragicità dell'accaduto ci travolse solo allora: c'era qualcosa di terribilmente sbagliato in Ariana, qualcosa non andava.
Papà fece un gesto secco con la bacchetta mormorando qualcosa verso di lei e non successe niente, se non che la bambina fece qualche passo indietro scuotendo la testa.

Guardai Ariana.

Poi mio padre e quindi mia madre.

Mamma si lasciò sfuggire grosse lacrime e un gemito, papà tremava nell'osservare inorridito la sua bacchetta ed alternativamente Ariana. Sembrava che si sentisse tradito da una delle due o da entrambe, quasi.

Poi qualcosa sul suo viso cambiò.
I muscoli s'irrigidirono, gli occhi s'arrossarono.

Fino a quel momento non avevo mai conosciuto l'odio, ma lo incontrai quel tardo pomeriggio di fine estate: inciso sul viso di mio padre fece bella mostra di sé odio, accompagnato da vendetta. Che mutarono i suoi lineamenti così elegantemente decisi, facendone un'unica maschera oscena.
Non so cosa gridò prima di voltarsi e far sparire la siepe e correre via come una furia.
Mamma fece qualche passo scoraggiato nella sua direzione, una mano tesa in avanti verso la sua schiena che si allontanava e l'altra sulla bocca a coprire il pianto disperato.
Io non capii subito, ero confuso e sbigottito. Rimasi qualche passo indietro, con una mano stringevo quella ancora tremante di mia sorella.

Ebbi tutto il tempo di capire cos'era successo, cosa le avevano fatto.

Cosa ci avevano fatto e compresi allora l'ira e la furia cieca di mio padre, le feci mie, diventarono mie diaboliche compagne.

 

«...Erano spaventati, immagino. Attraversarono a forza la siepe, e quando lei non riuscì a spiegare il trucco, esagerarono un po' nel tentativo di fermare la mostriciattola. L'hanno distrutta: non si è mai più ripresa. Non voleva usare la magia, ma non poteva sbarazzarsene, si è come rigirata dentro di lei e l'ha fatta impazzire, esplodeva quando lei non riusciva a dominarla, e a volte era strana, pericolosa. Ma la maggior parte del tempo era dolce, spaventata e innocua.»

 

Era ancora la mia sorellina.

Qualche anno più tardi, ebbe un ennesimo attacco. C'era solo mia mamma con lei, ma era diventata vecchia. Ariana non riuscì a controllarsi, fu un incidente e mamma morì.
Sarei rimasto a casa con lei, le sarei rimasto accanto con gioia.
L'avrei ancora portata nel giardino della nuova casa, l'avrei fatta sedere sull'erba. Certo, non ci sarebbe più stato il nostro pesco, ma avrei potuto comunque raccoglierle le bianche margherite che crescevano copiose.
Avremmo ancora giocato a dare un nome alle nuvole in cielo. Non sarebbe stato un peso per me, Albus avrebbe potuto continuare i suoi studi.
Ma lui non volle, lui che prima d'allora non si era mai curato di noi, fece questo sacrificio.
Per un attimo fui orgoglioso di lui e tornare ad Hogwarts non mi sembrò così tremendo.

 

«Ma Albus se la cavò, per qualche settimana... finché non arrivò quell'altro.» ora Aberforth aveva un'espressione decisamente minacciosa.
«Grindelwald. Finalmente mio fratello aveva trovato un suo pari con cui parlare, un ragazzo intelligente e dotato quanto lui. E allora Ariana passò in secondo piano, perché loro avevano i loro progetti per un nuovo ordine magico da ideare, e i Doni da cercare, o quel che era che li interessava tanto...»

 

Portai pazienza per qualche settimana, ma il ritorno ad Hogwarts si avvicinava e allora non ne potei più e li affrontai, Albus non poteva allontanarsi da casa o portarsi dietro Ariana e se non ci arrivava da solo dovevo essere io a ricordarglielo.
Ma lui, Grindelwald, si arrabbiò e litigammo.
Combattemmo.

Albus cercò di fermarlo, ma ci trovammo a combattere tutti e tre. I lampi e le esplosioni facevano impazzire Ariana, non li sopportava.

 

«...Io credo volesse aiutarmi, ma non sapeva quello che faceva: non so chi di noi sia stato, potrebbe essere stato chiunque...»

 

Ci fu silenzio allora.

Un frastuono assordante appena dopo la nostra lotta.
Sul corpo riverso a terra di Ariana troneggiavano tre ragazzi chini in avanti. 

I miei occhi si posarono di nuovo sul suo corpo.

Questa volta era inerte e immobile.

 

«Mi... mi dispiace tanto.» sussurrò Hermione.

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                                    «Perduta. Perduta per sempre.» 





*******

AS's space.

Le citazione (quelle non in corsivo) sono tratte da HP e I Doni della Morte circa alle pag 520 e dintorni.

  
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