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Autore: Gaea    26/09/2011    3 recensioni
Caterina d’Aragona è in una situazione insostenibile: abbandonata dal legittimo marito, innamoratosi di una nuova donna, langue, preoccupata del futuro suo e della sua unica figlia. L’arrivo del Re e il suo discorso potrebbero cambiare le carte in tavola...
“Non essere sfacciato! Come osi insultare la mia intelligenza? Non esistono leggi che vietino alle donne di salire al trono, tu avresti già un'erede! Guardati Henry, cavillare su inesistenti questioni di Stato pur di accampare giustificazioni alla tua volontà di possedere una donna più giovane!"
Classificata seconda al contest "Taboo" di Gefyun su EFP
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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Autore: (Gaea) sul forum, Gaea su EFP
Titolo: L’abbandono
Genere: Storico, Introspettivo, Slice of life
Avvertimenti: rating giallo per essermi lasciata andare un po’ col linguaggio! One-shot
Parole da inserire e taboo: rosario-corte-mente-fondere; divieto di usare la parola “perché”
Riassunto: Caterina d’Aragona è in una situazione insostenibile: abbandonata dal legittimo marito, innamoratosi di una nuova donna, langue, preoccupata del futuro suo e della sua unica figlia. L’arrivo del Re e il suo discorso potrebbero cambiare le carte in tavola.
Nota dell'autore: Sto scrivendo un’altra one-shot con questi protagonisti e me ne sono innamorata: non tanto dei personaggi descritti dai “Tudors”, quanto dei veri personaggi storici, molto diversi da come la tradizione li ha raffigurati. Leggendo la parola “corte” fra gli obblighi, non ho potuto non riutilizzarli!

 

Avvisi: i nomi dei personaggi sono nella lingua originale: Catalina per Caterina (in spagnolo), Henry, Thomas e Anne per Enrico, Tommaso e Anna (inglese); le parole da inserire sono in blu per facilitare la vita alla Giudicia. E ora… Si va in scena.

 

 

L’abbandono

 

Recita il rosario. La sua devozione è incontestabile – il popolo la ama proprio in virtù della sua fede e del suo carattere gentile. Eccola lì, in ginocchio davanti all’effige della Madonna con Bambino che il defunto primo marito le regalò il giorno delle nozze. Piange mentre prega. Piange la sua sfiorita bellezza, piange il suo essere regina dimenticata in una stanza, piange la sorte che le ha imposto di chinare il capo e tacere, lei che ha fatto della sua cultura un vanto e che figura nell’albo dei politici europei, unica donna a far le veci di un ambasciatore. È il 1532 : Catalina piange il suo grembo moribondo che non è riuscito a dare un erede a Sua Maestà e piange l’umiliazione d’esser sbeffeggiata dalla stessa donna che pochi mesi prima era la sua prima ancella.

Termina la decina, si rialza in piedi, così aristocratica nella sua pur appassita figura. Le carni meno sode, la pelle meno vellutata, rughe di preoccupazione che le solcano l’alta fronte. Osserva fuori dalla finestra: il Re è tornato. Lo vede scendere dal cavallo, lasciare le briglie del proprio stallone bruno e di un palafreno dorato ad un valletto. Lei era con lui dunque: ora lo accompagna nelle cavalcate diurne quanto in quelle notturne, pensa.

Torna allo scrittoio e termina la lettera che aveva iniziato per Thomas, sollecitandolo a inviargli notizie dal Vaticano: come procede la pratica dell’annullamento? Verrà accettata? Respinta? Gli raccomanda di far pressioni al Santo Padre, di ricordargli di chi è figlia lei e di chi è figlia quella Bolena… che gli ricordi di suo nipote, difensore massimo della fede… sorride mestamente vedendo a quali mezzucci deve appigliarsi lei, pur di mantenere un certo decoro e di assicurare il trono all’unica creatura uscita viva dal suo grembo, il suo dolcissimo angioletto biondo, Maria.

Un improvviso trambusto fuori dalla porta la fa sobbalzare: nessuno entra più nella sua ala del palazzo da quando è caduta in disgrazia.

“Maestà, vi prego, la Regina sta pregando, non potete…”

“Posso invece! Levati immediatamente da lì: osi sbarrare forse il passo al Re d’Inghilterra?”

Con la solita energia, che tanto aveva affascinato in passato Catalina quando entrambi erano più giovani ed innocenti, Enrico varca la porta di legno intarsiato.

“Catherine, sono venuto sin qui per discutere con voi e non tollero che qualche inutile servitore me lo impedisca! Sappiate che verrà fustigato”.

“Voi avete perso sovranità sui miei servitori da molto tempo, Maestà, più o meno lo stesso da cui non condividiamo il letto”. Catalina non è certo inerme. Per anni è stata creduta una semplice donnetta facilmente manovrabile, ma dietro l’apparenza mite si nasconde un animo formidabile, che incute rispetto persino ai suoi più acerrimi nemici. Si alza in piedi fronteggiando il marito. La mascella volitiva è contratta, il Re è irritato e la cosa la fa sorridere: forse non scatena più la sua passione, ma vede che, per lo meno, riesce ancora a suscitare in lui una qualche forma di emozione.

“ Vai pure Domenigo – congeda il paggio – il Re non mi farà male, stai tranquillo. Vai nelle cucine a prendere qualcosa di buono, va bene?”

“Cosa volete Henry? No, non parlate, so benissimo cosa vorreste. Mi vorreste morta in modo da poter essere un ricco vedovo con la necessita di consolarsi e…”

“Non vi voglio morta – ribatte lui con forza – siete pur sempre la madre della mia adorata Mary! Nutro un grande affetto nei vostri confronti, ma sapete che ho la necessità di assicurare il trono. Non è una questione personale, Catherine, è lo Stato che…” “Non essere sfacciato! Come osi insultare la mia intelligenza? Non esistono leggi che vietino alle donne di salire al trono, tu avresti già un erede! Guardati Henry, cavillare su inesistenti questioni di Stato pur di accampare giustificazioni alla tua volontà di possedere una donna più giovane! Vedo che non è solo la mia dignità ad esser stata messa alla berlina – prosegue la donna, il viso rosso per il tumulto che la anima – tu stesso vieni preso in giro da quella sgualdrina e non te ne accorgi! Ha stregato la tua mente con il suo bel corpo, facendoti dimenticare i tuoi reali doveri verso lo Stato, fra cui la sottomissione alla Chiesa! Tu sfidi Dio stesso per lei!”.

Guardarla mentre parla così animatamente fa ricordare a Henry quanto l’abbia amata, al di là del matrimonio combinato: la sua intelligenza non ha pari, né ne aveva la sua bellezza. Potrebbe amarla ancora, pensa. Potrebbe sfogare la sua lussuria con le cortigiane e rimanere formalmente legato a questa donna straordinaria.

Muove la testa, come scacciando una mosca fastidiosa: il solo aver riflettuto sulla questione lo irrita. Lui è il Re, sa quali sono le scelte migliori. Sa che Anne non è la puttana che tutti credono, ma che è istruita e benevola e religiosa in maniera più consona al regno inglese di una cattolica spagnola. Se davvero l’ha stregato non l’ha fatto con filtri e polveri, non è una strega: l’ha fatto col cervello, oltre che con il corpo. Osserva Catherine – Catalina, come si fa nuovamente chiamare – e per la prima volta la odia. Detesta la sua dignità inattaccabile, detesta l’amore che riceve dal popolo, detesta suo padre che, per mantenerne la dote in Inghilterra, lo costrinse a sposarla.

“Catherine, mandate una missiva al Papa e ditegli voi stessa che volete l’annullamento, rendiamo questa situazione il meno lesiva possibile per le nostre casate – spiega alla fine in maniera meccanica, come se avesse imparato il discorso a memoria – non obbligate lo Stato a dividersi fra coloro che saranno contro di voi e i pochi che resteranno con voi. Non rompete l’armonia della corte. Non obbligatemi a trattarvi in maniera poco consona al vostro stato”.

La risata da Catalina è improvvisa e inattesa, amara come fiele.

“Mio signore, lasciate che vi dica che la corte è già spezzata, che già molti tramano in favore mio o della vostra nuova cortigiana. Credete di essere così intoccabile? Il popolo ama la vostra forza, ma non amerà lo scempio che causerete. Il Papa non darà l’annullamento se non sarò io a chiederlo ed io non ho intenzione di farlo. Voi avete fatto sì che tutti, dai popolani ai cavalieri, dalle massaie alle sguattere della corte, potessero farsi beffe di me. Mio signore, il minimo che possa fare è restituirvi lo stesso favore” e, con un inchino, indica all’uomo la porta, invitandolo ad uscire. Lui freme. È inammissibile che la sua autorità possa venir contestata da un vile vestito di bianco e da una donna.

Troverà una soluzione e alla fine sarà lui a trionfare. La guarda con odio e, per la prima volta, Catherine lo teme. Ma non può fare a meno di infilare ancor di più il dito nella piaga, non può fare a meno di restituirgli parte del dolore che le ha fatto provare in questi mesi.

“Prima che usciate, c’è un’ultima cosa: pretendo che mi siano restituiti tutti gli oggetti con lo stemma del regno d’Aragona, comprese le lenzuola di seta che la vostra nuova fiamma tanto predilige. Rivoglio anche l’abito che la Spagna vi inviò come regalo per le nozze e i gioielli fatti con l’oro delle colonie d’oltremare. E i mobili che ho lasciato nell’altra ala del palazzo…” prosegue sorridendo, quasi timidamente, come se il suo non fosse un ordine ma una gentile richiesta.

Infuriato, Henry annuisce: se anche potesse negare questa volontà, sarebbe un suo stesso desiderio quello di cancellare ogni traccia di quella donna dalle sue stanze. “… anche l’anello che portate ora, Henry. Il rubino che vi regalai per i vostri diciassette anni”.

Questo è un colpo basso e lo sa: l’anello è stato un regalo precedente al matrimonio e il Re lo ha sempre amato. Raramente se ne separa.

È pazza. La solitudine l’ha fatta ammattire come la sorella. È l’unica spiegazione…è l’unica che Henry riesce a pensare ora, mentre una cortina rossa cala sui suoi occhi e il desiderio di stringere le mani intorno a quel candido collo diventa impossibile da frenare.

Si leva l’anello, lo guarda un’ultima volta. Poi, con violenza, lo getta per terra, incurante dei danni che arreca alla pietra.

“Lo potete fondere Maestà – ribatte e a denti stretti – lo potete fondere per quel che mi riguarda. E fateci una lama per tagliare la vostra lingua forcuta!”.

Voltatosi con la stessa energia dell’ingresso, il Re abbandona la Regina. Questa, mestamente, si china a raccogliere il gioiello. Lo osserva, persa nei ricordi di anni più felici. Scrolla il capo. Si siede allo scrittoio e inizia una nuova missiva per l’amico Erasmo: vuole proprio conoscere la sua opinione sulla follia.

 

  

 

 

 

 

Un minimo di storia: Catalina è Caterina d’Aragona, prima moglie di re Enrico VIII, che venne lasciata (l’annullamento del suo matrimonio sta alla base dello scisma anglicano) per Anna Bolena. Avete presente i Tudors, la serie? Ecco. Questo è un po’ più storia e un po’ meno orge, ma è fondamentalmente lo stesso :) Il nipote è Carlo V, l’uomo sul cui impero “non tramontava mai il sole” perché regnava su gran parte dell’Europa e sulle Americhe. Thomas è Tommaso Moro, noto umanista: intratteneva un rapporto epistolare con la Regina, che era una donna molto acculturata e una vera e propria mecenate, che garantiva fondi a scuole per l’istruzione femminile…ricordiamo che all’epoca alle donne era richiesto solo di sorridere e procreare! È una figura importante, spesso svilita, che mi affascina da molto. Infine, Erasmo… beh, che la regina chieda a lui pareri sulla follia è scontato: se non avete mai letto il suo “elogio alla Follia”, fatelo, è incredibile quanto sia bello e attuale nonostante sia del 1500! Il riferimento alla pazzia della sorella...veniva chiamata "Giovanna la Pazza": Credete basti? :D
Incollo i giudizi della Giudicia di questo contest:
Al secondo posto: (Gaea), per "L'abbandono".
Aspetto stilistico: 10/10 punti;
Grammatica e sintassi: 14/15 punti;
Caratterizzazione dei personggi: 10/15 punti;
Originalita': 10/10 punti;
Gradimendo personale: 6/10 punti;
Per un totale di... 50 punti!
grazie mille :)

   
 
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