“Una
dolce estate movimentata”
“THE
MIRACLE.
FELICITA’,
TI HO PRESA FINALMENTE.”
Chap n.33
Mi sono alzata
stamattina, con l’odore di caffè che inonda le mie narici.
Mi alzo dal
letto ancora insonnolita, vagamente lamentosa, per la notte insonne che ho
passato.
E come avrei
potuto chiudere occhio.
Ci siamo
lasciati sorridendo per la bella serata, ma tristi dentro,
per il lasciarsi nuovamente, fra qualche giorno.
Oh… ma
perché?
Perché
tutte a me?
Ci sono
cascata di nuovo, questa doveva essere l’estate delle partenze, dello
scappare dalla città senza problemi, senza pensieri; invece
l’unico pensiero fisso e costante sarà lui!
Di nuovo.
Di nuovo un
viaggio e di nuovo lui. Ossessionatamene lui.
Il vapore
fumante che fuoriesce dalla tazza, salda nella mia mano, mi ipnotizza, in
quella nuvola bianca e densa penso a le risate che ci
hanno accompagnato ieri notte.
Sto davvero
bene con lui, non ho parole per descrivere quello che provo
quando ci sto insieme; a volte rabbia, perché non capisco i suoi
silenzi e perché non esprime con le parole ciò che prova, a volte
felicità, perché nella complicità di uno sguardo o un
sorriso, riesco a leggergli dentro, senza aver bisogno di troppe parole.
L’attrazione
fisica poi, passa in secondo piano, mi fanno impazzire i suoi occhi, mi piace
il suo corpo modellato, ma ciò che sento scorrermi nelle vene non
è solo passione carnale.
Io lo adoro.
Mi fa
impazzire.
Ma il destino
mi è avverso.
-“Guarda
che ti squilla il cellulare, cretina!”-.
Mio fratello,
attira la mia attenzione mollandomi un ceffone dietro la nuca.
Lo fulmino con
lo sguardo, tirandogli contro una ciabatta.
Poi attizzo
gli orecchi; il cellulare si spegne sull’ultimo trillo.
Ero
così assorta nei miei pensieri che non mi sono resa
conto da quanto è che squillava.
Mi alzo, lo
afferro, accendendolo vagamente seria.
Uno
chiamata persa e un
messaggio sono in memoria, ad attendere di esser letti.
Mi appresto a
farlo, ma mio fratello richiama la mia attenzione.
-“Insomma,
hai già trovato il sostituto, eh?!”-.
Stamattina
è in vena di farmi arrabbiare; girovaga in cucina, con addosso gli slip neri della play boy, che poi ho deciso di
regalargli per il suo compleanno.
Si versa del
latte, mi fissa, attende una risposta, sorride beffardo.
Corrugo la
fronte, sfogliando distrattamente una rivista.
-“Uh?!”-.
Rispondo vaga, non ho voglia di dare spiegazioni a un moccioso di sedici anni.
-“Ti sei
rifatta subito, non hai perso tempo eh?!”-.
-“Ma che
vuoi?! Ti sei alzato male stamattina?!”-.
-“Ti ho vista ieri sera, tutta abbarbicata a quello là…
Marco!”-.
Sfoglio il
giornale e di colpo le mie mani battono sul tavolo; rido,
guardandolo sconcertata. Anche il nome sa! Oddio, lo conosce!
-“Senti
carino… stavamo solo parlando..”-.
-“Sì
come no, di letteratura? O lingua?! Forse la
seconda…”-.
-“Ma sei
disgustoso, mio Dio! E poi che fai, mi pedini adesso?”-.
-“Certo.
Io devo sapere tutto!”-.
Gli tiro addosso la rivista, ed anche il pacco di biscotti in cui
stava trafficando;
mi appoggio di peso allo schienale della
sedia, braccia conserte e faccia incazzatissima,
continuo a parlargli.
-“Tesoro
sono maggiorenne, vaccinata e abbastanza responsabile da sapere che cosa farne
della mia lingua, perciò fatti gli affaracci
tuoi”-.
-“Sì
una volta! Adesso non ti si riconosce più, tocca starti dietro come una
badante!”-. Ride, imitando la voce di mia madre.
-“Oh
sì certo, peccato che non sto qui a subirmi la paternale da un semi sedicenne, perciò…”-. Poggio le braccia sul tavolo facendo leva per tirarmi sù –“ ti saluto! Bye…
e finisci tutto il latte poppante, mi raccomando!”-.
Gli rubo un
morso al biscotto che aveva appena inzuppato, e corro
in camera mia.
Finalmente un
po’ di pace, mi sdraio nuovamente sul letto, il braccio piegato a
sorreggere la testa leggermente inclinata.
Quanti pensieri,
pillole di tempo passato, trascorso, vissuto in quest’estate quasi al
termine.
Domani
è già agosto, domani parto.
Vorrei
tracciare un bilancio, ma c’è poco da tracciare, quando le
emozioni non sono ancore finite.
Eppure, mi
sembra trascorsa una vita. No non è decisamente
tempo di bilanci.
Improvvisamente
mi ricordo del messaggio da leggere e delle chiamate; afferro il cellulare da
sopra la mensola e me lo porto dinnanzi gli occhi.
E’
Marco. L’ho pensato tantissimo, ho paura per ciò che
succederà.
“Queste giornate passate con te,
sono stato veramente bene, più passa il tempo e più ho voglia di
abbracciarti. C’è qualcosa di speciale in te, mi manchi un bacione”
Paura ?!
Cos’è
la paura, quando il ragazzo più bello e dolce della terra ti da
sicurezze?
E’ solo
un sentimento che non ti appartiene più.
Perché
io sono speciale per lui.
E allora,
è venuto il tempo di fargli capire quanto lui, lo è per me.
Subito!
Afferro il
telefono, lo chiamo.
Mi risponde
sempre allegro, con quella voce ridente, solare, che aprirebbe anche un cielo
nuvoloso di novembre.
Parlo
sommessamente, gli dico che voglio vederlo, non voglio perdere più
tempo, perché voglio farlo mio, una volta per tutte. Da oggi
all’eternità.
Mi dice che
lui adesso non può uscire, è in caserma.
-“Caserma?!
Che diavolo ci fai in caserma?!”-.
-“Mi
congedo. Basta non posso aspettare oltre!”-.
-“Beh,
ma ti manca poco ormai..”-.
-“Non
importa! E poi, mi serve agosto libero! Ma non farmi domande, tanto non ti dico
nulla!”-.
Non so se
preoccuparmi o meno, ma lui ride e quindi rido con lui.
Di tutto il
resto, non me ne frega nulla.
Ci salutiamo
dandoci appuntamento nuovamente di sera.
Nuovamente al
cancello verde.
Attacco
sorridente, mi vesto di fretta, quasi senza più pensieri ed esco.
Senza meta,
sì proprio senza meta.
Come la mia
dolce estate movimentata.
*****
-“Allora
che fai, mi vieni a prendere?!”-.
Simona
è dall’altro capo del telefono, ci stiamo organizzando per la
serata e dimenticavo d’averle promesso che avremmo passato del tempo insieme, prima della mia partenza.
Mi mordo il
labbro; ultimamente la vedo più serena, seppur senza il suo amore, che
mi dispiacerebbe non godermela un altro po’.
La prospettiva
di starle lontana in questo mese mi deprime, lei è una di quelle persone
che sanno rallegrarmi la giornata, anche con niente.
Dall’altro
lato c’è Marco, abbiamo un appuntamento, ma ritardare la sua
veduta, non farà altro che accrescere la voglia di stargli accanto.
Così,
prendo la mia decisione.
-“Ti
passo a prendere fra dieci minuti, fatti trovare giù mi
raccomando!”-.
Digito
brevemente un messaggio, in cui faccio le miei scuse a
Marco, spostando l’appuntamento direttamente in comitiva. Capirà.
Chiudo la zip del mio giubbetto di jeans, prendo le chiavi della
macchina ed esco.
Masini è leggermente in sottofondo, le
strade sono vuote e desolate, stasera c’è un
arietta fresca in circolazione, che mi mette uno strano buonumore
nonostante più le ore trascorrano, più si avvicini la mia
partenza.
Metto la
freccia, ho appena passato il semaforo, svolto a sinistra imboccando la
stradina del comprensorio dove vive Simona.
Lei è
ad attendermi, sul fondo della strada.
Spengo la
macchina, scendo e corro verso di lei.
Ci abbracciamo
forte.
Mi sussurra in
un’ orecchio qualche parolina dolce, prima di
accucciarsi sulla mia spalla.
Quanto
è tenera la mia amica, ma come farò senza di lei, non lo so!
-“Senti,
tu mi vieni a trovare, sì?! Ti ospito anche
tutto il mese sai?!”-.
-“Magari
ciccia.. ti prego salvami dai miei noiosissimi
genitori!”-.
-“Sarò
la paladina della tua estate donzella! Vieni pure quando
vuoi, le porte sono aperte!”-.
Ride,
spingendomi un po’ all’indietro. Poi si stacca, fissandosi su un
punto nel vuoto dell’oscurità della strada.
Le sventolo una
mano dinnanzi agli occhi, ridendo già di gusto.
Simona ha una
capacità di incantarsi spaventosa; poggia lo sguardo su qualcosa e
voilà, ne resta ipnotizzata per lo meno cinque minuti.
-“Ehi
là! C’è nessuuuuuuno?!”-. Sembro la particella di sodio della
pubblicità.
-“No aspetta che mi sono incantata…”-.
Appunto.
Lascio perdere, la partita è persa in partenza.
Ma poi la
guardo e guardo il buio; se lo fissa così, vorrà pur dire
qualcosa.
Allora mi
metto a fissare anche io il suo punto lontano e restiamo così, come due
sceme ipnotizzate sulla strada.
Uhm…non
si vede nulla di che, i lampioni sono spenti e sono le dieci di sera; che
intuizione eh?!
Ma no, voglio
restare seria, qualcosa ci sarà…oddio non ci riesco, non riesco a
staccare la testa da questo corpo, non posso far a meno di pensare!
Sono un caso
disperato. Sì-sì.
Sto per
arrendermi, quando la mia vicina di ipnosi mi da una gomitata.
-“Oh, ma
quello là… è Marco?!”-.
Indica con il mento il fondo della strada; una macchina, arriva minacciosa
verso noi.
-“Ma che
dici…non può essere lui!”-. Poi guardo meglio, ma nel farlo
l’auto ci ha già raggiunte fermando al sua corsa.
–“Oddio è lui… ma che ci fa qua?!”-.
Bisbiglio, Simona alza le spalle, poi mi guarda seriosa come a voler dire..
“Davvero non lo sai?!”.
-“Ciao
eh!”-. Spalanca il suo finestrino, rompendo i nostri silenzi.
-“Ciao!
Che ci fai qua?!”-. Mi avvicino, ma lui apre la
portiera e si porta giù.
-“No,
voi che ci fate qua… al buio e impalate come due zombie! Mi avete fatto
quasi paura!”-. Si porta una mano al cuore, imitando un infarto.
Simona si
poggia sulla sua fiancata.
-“Però
sei ancora vivo…”-. Ridacchia, roteando gli occhi al cielo.
-“Senti nanetta, non sono qui per te perciò…”-.
Gli da una leggera spintarella –“puoi anche toglierti di
torno!”- e si porta dinnanzi a me.
-“Hai
visto che ore sono?!”-. Mi fa, guardandomi negli
occhi.
-“No…”-.
Sussurro, girando il polso per vedere l’ora.
-“Ti
stavo aspettando con impazienza, sono le dieci e non vedendoti arrivare ho
intuito che potevo trovarti solamente qua…”-.
E’ qui
per me, mi ha cercata e mi ha trovata.
Annuisco, un
brivido corre sulla schiena.
Mi tuffo fra
le sue braccia, baciandogli il collo.
-“Ehm-ehm scusate… ci sono anche io! E lo spettacolo
è pessimo! Non sapete fare altro che abbracciarvi, voi due?! Bleah…”-.
Simona sbuca da
dietro l’auto, con una faccia tra lo schifato e lo sconcertato; ci fissa
entrambi, batte nervosamente un piede sull’asfalto giocherellando con i
suoi riccioli.
-“Dovrai
insegnarmi tecniche di seduzione Marylin Monroe dei poveri!”-.
-“Ovvio,
che facciamo?! Andiamo o dobbiamo mettere radici qui?!”-.
Io e Marco la
guardiamo, per un attimo un sorriso complice spunta su tutte e tre le labbra;
un sorriso giovane e felice, come quelle tre persone.
-“Musica!”-.
Mi urla Simona nelle orecchie. Non le concedo il bis, accendo lo stereo che
illumina il frontalino in un istante.
Marco mette in
moto, sicuro e deciso nella sua guida che tanto amo.
Rotonda.
Destinazione prescelta.
Scendiamo
dall’auto e alcuni ragazzi del gruppo ci vengono incontro; nelle loro
facce abbronzate leggo serenità, spensieratezza, un’estate lunga e
dolorosa per alcuni, ma pur sempre fantastica.
Amo queste
persone, l’incredibile semplicità che si respira fra questi volti,
l’armonia di legami uniti anche se pur superficialmente, uniti comunque.
Perché
ognuno di loro darebbe la pelle per l’altro, anche se non amico fino in
fondo, anche se ultimo arrivato.
-“Che
c’è?! Sei pensierosa?!”-.
Marco mi arriva di fianco, poggiandomi un braccio sulla spalla. Ci sediamo
insieme sul muretto, sempre vicini- vicini.
-“No macchè, pensieri
stupidi! Insomma ti mancavo eh?!”-.
-“Sì.”-.
Risponde timido, abbassando la testa per soffocare il sorriso,
come fa di solito quando arrossisce.
-“Anche
tu. Sai, ultimamente ti sto pensando tanto…”-.
-“Ah
sì?! Sono molto felice. Anche io ti penso
sempre…”-.
Gli accarezzo
una guancia, lo vedo socchiudere gli occhi e trattenere un sospiro.
Vorrei
baciarlo, vorrei stringerlo forte, ma c’è il mondo intorno a noi.
Fuggo via con
lo sguardo, cambio discorso.
-“Insomma
domani parto… tu che combinerai invece qua, fra questi pazzi?!”-.
-“Mi suiciderò sicuramente senza te…”-. Mi
guarda, ride. Mi sta prendendo in giro lo scemo! Gli mollo un buffetto sulla
fronte, colpendolo perfettamente.
-“Ah…vuoi
fare la fine dell’altro giorno?!”-.
-“Magari,
vorrei stare sola con te.”-. Sussurro, un
po’ gattina.
Detto- fatto.
Mi prende in braccio, facendosi largo verso la gente, in direzione della sua
macchina; poi si ferma, tentenna, torna indietro fermandosi di fronte Simona.
-“Salutala
adesso, perché ho intenzione di farla mia per tutta la sera!”-.
Simona ci
guarda a bocca aperta, annuisco inconsapevole, almeno quanto lei.
Si alza, mi
stampa un bacio umido sulla guancia e mi sussurra un “Poi mi chiami
perché voglio sapere tutto” all’orecchio, prima che Marco mi
rapisca definitivamente.
-“Allora
hai pensato a un posto dove andare?!”-. Mi fa,
appena mi abbandona sul sedile della sua Polo.
-“Non
so… ci vorrebbe un posto speciale.”-.
Lo vedo
confabulare qualcosa, sorridere e sgommare lontano verso qualcosa che ancora
non so.
Quando ci
fermiamo, siamo al parco sotto l’autostrada; sorrido, questo posto in
qualche modo ci appartiene, come la scena madre di un qualsiasi film
d’amore.
Ma questo
è il nostro, e la regia è ancora tutta al lavoro per scrivere un
finale degno di un’incantevole storia d’amore alle prime battute.
Scende per
primo, fermandomi il braccio, intento ad aprire la portiera; fa il giro
dell’auto, venendomela ad aprire lui.
Come ogni buon
gentleman che si rispetti.
Quanto
è dolce.
Mi prende per
mano, addentrandosi con me nel parco.
-“Andiamo
sulle altalene?!”-. Gli indico,
con un braccio teso nell’aria.
-“Stavo
pensando la stessa cosa! A chi arriva primo?!”-.
E si mette a
correre, lasciandomi spiazzata; accondiscendente, bimbo, allegro, corre ed io
con lui, che non voglio certo perdere la gara.
Il vento mi
scompiglia i capelli, l’aria umida si appiccica sulla mia faccia,
arriviamo insieme, storditi, paonazzi, affaticati ma gioiosi.
-“Non
barare siamo arrivati insieme!”-.
-“Di
poco, ma ti ho superato signorina, ammettilo!!”-.
-“No!!!”-.
Gli sposto l’altalena, sulla quale si stava poggiando. Per poco non
ruzzola fra la fanghiglia.
Mi spinge ma riprende subito, facendomi sua; si siede, con me
sulle sue gambe.
-“Sai
che farò questa estate?! Niente, perché
il mio cuore sarà lì con te.”-.
-“Non
intendevo, quel fare… perché se ti azzardi ad andare con
un’altra, t’ammazzo!”-.
-“No,
giuro che ti sarò fedele…”-. Ride. Giù un altro
buffetto sulla fronte.
-“Ma
noi, cosa siamo?!”-. Stavolta lo guardo seria e
non so come me ne sono uscita, ma l’ho chiesto
perché sinceramente lo ignoro davvero.
-“Siamo…
siamo… lo sai che non lo so?! Scopriamolo.. no?!”-.
-“Diventiamolo
più che altro…”-.
Mi accarezza i
capelli e poi la guancia, fredda.
Ma dentro
c’è un fuco ardente.
-“Allora
stabiliamo cosa possiamo diventare: domani io parto e qui non ci piove, quindi
o lasciamo perdere tutto restando amici, o lasciamo le cose a metà,
ognuno si fa i cavoli propri e ci rivediamo a settembre, o in alternativa…”-.
-“In
alternativa?!”-. Parla a
raffica, curioso, voglioso di sapere.
-“In
alternativa ci…”-.
-“..Ci?! Dai, non fare la scema che mi stai facendo morire!!!”-.
-“Ci
mettiamo insieme.”-. Bisbiglio, mangiandomi le
parole, quasi.
-“Ma sai
che non ho sentito?!”-. Mi sta prendendo in giro
lo so, ma voglio andare a fondo.
Voglio stare
con lui.
-“Ci
mettiamo insieme. Ci fidanziamo e ci comportiamo da stupidi, chiamandoci trenta
volte al giorno, parlandoci con la voce tutta
smielata, dicendoci cose sdolcinate e lacrimevoli. Chiaro così?!”-.
-“Allora
già stiamo insieme io te…”-. Ride. Lo guardo, ha ragione!
Poi continua –“anche perché restare amici non si può,
siamo più che amici io e te, farci i comodi nostri per poi ritrovarsi a
settembre, sarebbe troppo squallido per quello che proviamo l’uno per
l’altra… per cui non resta che metterci
insieme.”-.
-“Dici
sul serio?!”-. La voce mi muore in gola.
-“Serissimo.
Lo voglio, davvero.”-.
-“Marco
mettersi insieme a me, così, è un
impegno, lo sai.”-.
-“Voglio
impegnarmi, allora.”-.
-“Ma io
starò lontano tutto questo tempo, tu resterai qui…insomma è
complicato!”-.
-“Il mio
cuore è con te, lo è con te da quando ti
ho conosciuta, non saranno cinquanta chilometri a farmi dimenticare tutto
questo! Fidati di me.”-.
-“Mi…
mi fido.”-.
-“Allora,
si fa?!”-. Mi allunga la mano, tendendomi il
braccio.
-“Si
fa.”-.
Rispondo
sicura, allungando la mia.
Le mani si
stringono, come a voler sigillare un patto.
Poi basta uno
sguardo, pochi attimi spesi l’uno negli occhi dell’altro, per
perdersi in un bacio dolcissimo e lunghissimo.
-“Siamo
le uniche persone, che si mettono insieme, stringendosi la mano! Non siamo mica
normali io e te!”-. Mi dice, quando ci stacchiamo.
-“Perché
avevi qualche dubbio, per caso?!”-. Gli rispondo,
ridendo.
-“Speranza,
si chiamava speranza! Ahimè è morta oramai…”-. La sua
voce afflitta, va rompendosi con quella sua risata che amo tanto.
Allora lo
guardo, rompendo le sue parole con un abbraccio impetuoso e forte.
-“Sono
la tua ragazza… che effetto che fa!”-.
-“Perché
avevi dubbi, che non lo saresti diventata?!”-.
Mi fa il verso.
-“Speranza,
si chiamava speranza! Ma ahimè, è morta ormai…”-.
Mi guarda
scuotendo la testa, allora mi alzo e comincio a scappare; conosco quell’ espressione
e se stavolta mi fa sua, mi uccide sul serio!
Ci alziamo
quasi insieme, correndo nel buio come due pazzi.
Ma
l’amore è un po’ così. Pazzo, folle, squilibrato.
E corre anche
esso.
L’amore
corre, su un filo sottilissimo, passa per un giornata
monotona e scialba e finisce con l’incasinarti l’estate, la
vita.
Se questo
fosse un film, allora filmerei questa ultima scena finale, con una telecamera
che ruba la felicità dai volti dei due protagonisti, alzandosi da terra
per inquadrare dall’alto, quei due giovani che si rincorrono fra le
altalene di ferro e legno, in quel parco illuminato soltanto dalla magia dei
loro sorrisi.
E li
porterebbe su… su… fino alla luna, fra le stelle e il cielo.
Il cielo
limpido, scuro, tetto di una fantastica favola.
E
intanto… quei due giovani corrono ancora.
Come
l’amore, che passa impetuoso per una dolce estate movimentata.