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Autore: Beckss_    26/09/2011    4 recensioni
Scivolava fra le vie di New York con un’aria apparentemente tranquilla e pacata, nascondendo sotto gli occhiali da sole gli occhi gonfi dal pianto. La Grande Mela la osservava mentre sfilava sui suoi tacchi alti in una calda giornata primaverile,diretta chissà dove; la città la osservava mentre si districava fra un groviglio di persone. Il vestito nero che indossava lungo fino al ginocchio ricadeva delicato sui fianchi e si muoveva leggermente ogni volta che accelerava il passo.
Un anno dopo, con una nuova vita e una nuova voglia di vivere.
Kate Beckett affronterà il suo viaggio da sola? Riuscirà una sconvolta e triste KB a ritornare quella di prima?
PICCOLI SPOILER
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione, Quarta stagione
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Photos.

Lo scrittore rimase interdetto, cercò di capire se fosse colpa sua, se la causa di quel dolore fosse dovuta a lui che l’aveva spinta a rivangare tutto.
Raccolse la foto per terra e la osservò.
Era così sorridente quella Beckett che quasi poteva dire di non conoscerla una Kate così.
Girò l’istantanea e vide una data risalente al primo giorno di servizio della Detective quando già Montgomery l’aveva presa sotto la sua ala, per proteggerla.
 
Il suo pensiero ricadde ancora sui sensi di colpa, quelli che lo divoravano da oramai tanti mesi. Da quando era successo, poi non si erano più parlati. Quel giorno, quel pranzo, quel suo invito Castle aveva sperato fossero segni di un nuovo inizio e in cuor suo sapeva che era così; si domandava solo se ne valesse la pena.
 
L’hai sempre vista triste e quelle poche volte in cui lei ti aveva mostrato un sorriso vero, quelle poche volte le avevi nel cuore e le custodivi gelosamente a ogni costo.
Sapevi di amarla, si, Richard Castle si era innamorato di nuovo di lei una volta giunti a casa sua; una volta giunti a casa di Beckett lui si era reso conto che il loro rancore, i loro dissapori, stavano portando a qualcosa di più grosso, stavano portando al vero chiarimento.
 
Richard teneva ancora fra le mani quella foto continuando a rigirarla come a voler stampare in mente ogni singolo frammento di inchiostro. Pensò che lei dovesse essere molto gelosa di quel ricordo, così come appunto lui lo era di altri.
 
Si sistemò meglio sul divano e fissò il muro bianco perso, così, nel vuoto e nei suoi pensieri; più tardi sarebbe andato da Beckett a consolarla e a farle da spalla, ma prima voleva lasciarle del tempo.
 
Tempo. Quella parola risuonava nella mente di Castle come l’eco in una caverna: tempo, lui gliene aveva concesso tanto, ma poi si era spazientito.
Scacciò via i momenti che gli ricordavano la sfuriata di qualche mese prima e cercò di focalizzare solo le cose positive.
 
Si chiedeva se fosse giusto ciò che stava facendo, si chiedeva se fosse stato giusto rientrare di nuovo nella sua vita.
Castle si riteneva un uomo maturo, ma con un piccola vena da Peter Pan, estroverso e soprattutto si riteneva un buon alleato. L’aveva sempre sostenuta eppure forse ora, il suo aiuto non serviva più oppure era diventato troppo poco.
 
Si sentiva inutile in quel momento: l’aveva vista alzarsi e andare a piangere da un’altra parte. Pensava forse di bastare, lui da solo a poter attutire il grande dolore che quella donna provava? Certo che no, ma sperava che lei almeno si confidasse, sperava ameno che quel rapporto fatto di confidenze ricominciasse.
 
Una morsa attanagliava lo stomaco di Castle, l’agitazione si era impossessata del suo corpo, la sua mente sapeva che era ora di andare da lei.
 
Erano passati quarantacinque minuti e Castle sperava che lei lo facesse entrare.
 
Bussò un volta e sentì all’interno della stanza un piccolo movimento.
Bussò una seconda e una terza volta.
 
“Beckett se non mi apri, la butto giù questa dannata porta!” urlò Castle tra il serio e il faceto e giurò di averla sentita ridere, o forse sorridere.
 
Un flebile “è aperto” giunse dalla stanza. Lui tirò giù la maniglia ed entrò.
 
Un forte odore di candele pervase le sue narici, ma i suoi occhi non furono altrettanto contenti di entrare in quel nuovo ambiente.
 
La stanza era in penombra, le finestre abbassate e una piccola abat-jour illuminava la stanza. L’aria era densa e quel luogo contribuiva a sciogliere la morsa che si era impadronita dello stomaco dello scrittore.
 
Era sdraiata abbracciando un cucino sul lato sinistro del letto, fissando la libreria davanti a lei.
 
Lo scrittore mescolò la sua vena seria con quella da Peter Pan decidendo di voler sbloccare la situazione.
 
Si tolse le scarpe e si distese sul letto di fianco a lei incrociando le dita e appoggiandosele sullo stomaco. Fissò a differenza sua il soffitto panna.
 
“Beckett te la posso fare  una domanda? Perché panna e non bianco? In effetti bianco fa troppo ospedale mentre il color panna smorza un po’ quella rigidità del colore bianco. Quando c’è sole – c’è sole in questa stanza Becks? – questo posto dovrebbe essere molto luminoso. E comunque, ripeto, ottima scelta il colore panna. Sai, fa bene anche alla meditazione. Veramente ottimo. Brava! Ti chiamerò quando dovrò ridipingere il loft!”. Aveva fatto un monologo e sperava avesse sbloccato la situazione.
 
Senza proferire parola lei si girò e lo guardò con quegli occhioni che lo facevano sciogliere.
Pensò fosse un buon segno.
 
Si sistemò un po’ poi continuò:
 
“L’ultima volta che ho fissato un soffitto bianco è stato quando ho avuto la prima ragazza. Appena ebbe un ritardo pensai che sarei diventato padre di lì a poco… oppure che sarei morto. – fece una pausa ridendo poi ritornò a raccontare – il padre mi venne a cercare a casa e per poco non mi uccise; mi chiusi in camera per otto lunghe ore, poi uscii. La mia camera aveva il soffitto panna.
È l’ultima volta che ho fissato un soffitto: a casa mia fisso le pareti.”
 
Si girò verso Beckett voltando il viso con un’espressione che la fece sorridere.
 
Il suo intento era di farle capire che si poteva fidare di lei, che lui era rimasto il solito Castle di sempre, il solito vecchio Castle che la faceva svagare e la faceva stare bene.
 
Gli occhi della donna si velarono di lacrime e in quel momento assomigliavano a quelle di un piccolo cerbiatto.
 
Si mosse impercettibilmente e si andò ad accoccolare sul petto di Castle.
 
Forse ora era pronta.

Angolino Mio! Sono tornata a Romaaaaaaaaaaaa! E l'ispirazione torna! Sisisisiiiiii! Non vi libererete mai di me! Ahahahahahahahha. Vado, vi lascio al commento e ai commenti; me li lasciate vero, belle donzelle?? Vi adoro girlss ù.ù E mi raccomando, HUG PANDA! :D



  
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