Note: Quando ho letto per la prima volta il nome
di Afton
nella lista alla fine di Breaking Dawn mi sono innamorata. Del nome,
intendo, perché il suo personaggio non era ancora nato nella mia
mente. Ma ci mancava poco. Io sono così: mi innamoro dei nomi, li trovo
affascinanti. Non
devono per forza avere un significato correlato al carattere del
personaggi, devono solo essere belli. E Afton è un nome bellissimo,
secondo me. Peccato – o forse no, chissà – che Afton non fosse altro
che
questo: un nome. Poi abbiamo saputo che è il compagno di Chelsea,
che può rendersi invisibile e che si trova a Volterra per volere
della sua compagna, perché Aro non può che compiacerla, vista la
sua importanza. Da qui, ho cominciato a pensare:
se Afton si trova tra le Guardie più per il desiderio di Chelsea e
non perché è qualificato o possiede una abilità speciale, allora
la cosa, in qualche modo, dovrà pur pesargli.
Non è che un uomo, sia pure per amore, sopporti stoicamente un ruolo
del genere. Qualche pensiero se lo crea. Ma Afton ama Chelsea. E come
convivono questi aspetti?
Leggete.
Questa one shot servirà anche per capire meglio le drabble dedicata
a Afton nella raccolta “Riflessi Oscuri”. C'è anche un
riferimento ad Alec, che sarà sempre presente in quella raccolta.
Ho finito, tranquilli XD
Buona lettura,
Alexiel.
Ps: io davvero, mi scuso per questi aggiornamenti
continui, ma la
maggior parte del materiale era già pronta – abbandonata da secoli
per mancanza di ispirazione – e io ho dovuto rivederla in questi
giorni.
Perdonatemi.
Eco mortale
Se qualcuno gli avesse chiesto: “Ehi, bello, ti piace il tuo
lavoro?”, Afton avrebbe prima ignorato con una smorfia il “bello”
e poi, con un'occhiata lapidaria, avrebbe squadrato la persona che
gli fosse stata di fronte. Lentamente. Dopo qualche secondo di
imbarazzante silenzio – perché il silenzio imbarazza tutti e crea
quella tensione da sudore freddo, da “oh, cavolo, voglio
sparire/oh, cavolo, questo mi ammazza” e ti lascia il tempo di
rilassare la mente dopo una valanga di chiacchiere idiote – Afton
avrebbe alzato un braccio e per avvolgerlo intorno alle spalle del
malcapitato, e poi avrebbe finalmente risposto alla domanda:
“Tesoro, hai mai
notato, durante un matrimonio per esempio, quei camerieri il cui
unico compito è sostituire le brocche d'acqua o vino? Dopo averlo
fatto, tornano nel loro angolo e fingono di non esistere, invisibili
a tutti.”
Certo, avrebbe risposto in quel modo se gli fossero piaciute le
chiacchiere o se avesse perduto ogni briciola di amor proprio; ma,
per qualche strana ragione, Afton ne conservava ancora un po'. Era
pur sempre un uomo. E le chiacchiere neanche gli piacevano.
Oppure avrebbe dato quella risposta se alla fine avesse potuto
azzannare la giugulare del malcapitato “tesoro”. No,
neanche (l'avrebbe azzannata in ogni caso). Quella era la risposta
che avrebbe pensato, ma in realtà l'unica risposta sarebbe stata:
“E' lavoro. O lo fai come si deve o ti buttano fuori.”
Sì, magari.
In teoria lui avrebbe anche potuto grattarsi la pancia, ballare la
macarena nudo di fronte a Marcus per cercare di scatenargli qualche
reazione – no, in realtà ad Afton Marcus piaceva così com'era –
o chiedere un aumento. Afton sarebbe rimasto lì, perché Chelsea
voleva così. E se Chelsea voleva così, anche Aro voleva così e
tutto erano contenti e soddisfatti.
Tranne Afton, si capisce.
Intendiamoci: Afton amava Chelsea e separarsi da lei, dopo tutti
quegli anni, sarebbe stato impossibile. Marcus gli piaceva, ma non
voleva finire come lui; apprezzava il suo silenzio e quella strana
gentilezza che veniva fuori ogni tanto e lo rendeva così diverso
dagli altri due Capi, ma non invidiava il motivo del suo stato. Per
tutti questi motivi, ad Afton bastavano l'amore, l'affetto, i giochi
di Chelsea e restava insieme a lei nel suo – loro – angolino.
Di certo non avrebbe potuto evitare un qualche tipo di punizione se
avesse cercato di fare il lavativo – Jane tendeva a divertirsi per
conto proprio qualche volta e Aro la lasciava fare, perché impedire
a Jane di sfogare la sua vena sadica poteva rivelarsi una mossa
sbagliata. Ma sarebbe finita lì. I bambini cattivi che vogliono
dimostrare qualcosa, una volta ignorati oppure puniti distrattamente,
senza che la punizione sia direttamente proporzionale all'azione
commessa, a un certo punto s'annoiano. E' quello il punto, no? Essere
notati, essere puniti, dare un senso a ciò che si fa.
La noia non si combatte quando sei un vampiro e hai l'eternità
davanti, aspetti solo che ti sfinisca, che ti trasformi in un essere
dalle pelle friabile, polverosa, e intanto puoi riflettere sul senso
della vita, della morte e di tutte quelle questioni affascinanti; ma
alla fine ti ritrovi punto e da capo.
Tra i Volturi tutti avevano i propri hobbies, anche quelli più
importanti e impegnati, perché la noia non risparmia nessuno. Dopo
una bella missione, dopo aver spadroneggiato e aver imposto la
propria autorità e fatto rispettare la legge, anche i gemelli
stregati diventavano persone quasi normali. Alec, per esempio, si
dava al nuoto.
Afton aveva tutto il tempo del mondo per inventarsi nuovi hobbies,
ma non aveva mai trovato qualcosa che lo interessasse più del suo
adorato silenzio. O di Chelsea.
Per tutte queste ragioni, il vampiro sfogava la sua poca
sopportazione per le chiacchiere, e per tutto il resto, con una buona
e sana bevuta. Il che capitava anche senza che nessuno gli
domandasse alcunché o gli tediasse l'anima. A volte, più che per la
sete di sangue o la rabbia, Afton uccideva per il silenzio. Sempre
lui.
Il silenzio dopo i gemiti di paura e dolore; il silenzio dopo il
sangue che scorreva e ricopriva la lingua come ambrosia e che
scendeva giù per la gola, fortificando. Il silenzio dopo la morte.
Tutte le volte che toglieva una vita, Afton assaporava il sangue, a
occhi chiusi, mentre l'eco delle urla ancora non abbandonava le
pareti, e vibrava. Era ciò che rimaneva della vita strappata,
succhiata via, e continuava a esistere anche dopo la morte, per
qualche secondo. Afton ci faceva caso e al piacere del sangue
aggiungeva quello dell'eco mortale. Diventava difficile a volte,
soprattutto quando Felix cominciava ad accatastare i corpi
dissanguati e a commentare al tempo stesso. Felix commentava tutto.
In particolare cose inutili. Forse era per quel motivo che lui e
Afton non erano mai riusciti a rivolgersi la parola: perché Afton
racchiudeva in sé tutto ciò che era essenziale e Felix, poverino,
proprio non trovava niente da dire.
Insomma, a Afton piaceva il momento in cui l'eco si spegneva per
celebrare, finalmente, il silenzio della morte.
Pura poesia, quella che poteva essere colta solo nello stesso istante
in cui nasceva e moriva. Ad Afton piaceva anche la poesia, soprattutto quella
che non aveva bisogno di parole. Ecco perché non gli piacevano le
domande, le parole superflue. E i commenti di Felix.
Probabilmente era abituato al silenzio, alla sensazione di essere il
cameriere nell'angolo, invisibile. Non gli piaceva essere inutile –
a nessuno piace essere inutile – ma solo la benedizione del
silenzio. Avrebbe potuto essere uno importante e goderne comunque, di
quella benedizione – come Marcus, per esempio – ma invece era il
cameriere nell'angolo.
Afton si sentiva esattamente così, in particolar modo quando doveva
lavorare.
Quando arrivavano troppe segnalazioni tutte insieme e le Guardie
importanti iniziavano a scarseggiare, Aro chiamava lui. Perché? Be',
non poteva lasciar andare Corin, che doveva badare alle Mogli. Non
poteva privarsi della protezione di Renata; tutti gli altri erano
fuori. Appello finito, classe assente.
Ah, no, aspetta, c'è Afton. Che bravo Afton, puoi sempre fare
affidamento su Afton quando gli altri non ci sono. Dieci e
lode, Afton, bravissimo.
“Afton, mio caro, ti spiacerebbe risolvere per me questo
increscioso problema?”
Domanda retorica. I problemi di Aro erano i problemi di tutti. O
almeno, dovevano esserlo, perché altrimenti diventavi tu stesso il
problema di Aro. E i problemi di Aro venivano risolti sempre. O
quasi. Una volta gli era capitato di pensarlo e Aro l'aveva
guardato come se fosse carne da macello. Ma che poteva farci, lui, se
aveva fatto la figura dell'idiota dopo la disfatta a Forks, contro i
Cullen? Proprio niente. Letteralmente. Come sempre. E c'erano momenti
in cui arrivava a fregarsene, ma l'orgoglio era difficile da mettere
a tacere. Come Felix. Sibilava, era possibile sentire il suo sussurro
anche nel rumore più assordante. L'orgoglio se ne stava nella sua
dimensione, al di sopra di tutto, e gli ricordava chi era. Non solo
Afton, quello che amava Chelsea e il silenzio. Ma anche
Afton, quello quasi inutile. Era inutile tra la sua gente,
ma là fuori poteva essere più forte di tanti altri. Solo, per quel
mondo non era abbastanza dotato, non era di Classe A, non era un
vampiro d'élite.
“Certamente, Signore.”
La risposta di ogni servo fedele, anche del più misero. In quello,
Afton era uguale a tutti gli altri: non poteva rifiutarsi. Da lui Aro
si aspettava una risposta, diversa dal silenzio, che manifestasse
fedeltà e devozione. Il Boss non era il tipo da accontentarsi di uno
sguardo di intesa o di un cenno del capo.
“Molto bene.”
Un sorriso, la sicurezza negli occhi che se lui si trovava lì era
solo per merito suo e per la sua compagna e poi un “buon
viaggio, fa' attenzione e non deludermi, mi raccomando”. Ci
mancava solo il fazzoletto bianco di pizzo da lasciar svolazzare nel
vento e qualche lacrima finta. No, a volte neanche lui riusciva a
trattenere certi commenti dal nascere nella sua mente e proprio non
immaginava quando Aro ne avrebbe avuto abbastanza. Forse mai. Aveva
notato, dopotutto, che era da un po' che evitava di toccarlo per
esaminare i suoi pensieri; era certo che Afton non avrebbe mai fatto
niente di stupido per ledere ai Volturi e che, in ogni caso, sarebbe
intervenuto in tempo. Inoltre c'era Chelsea con lui, la sua garanzia,
la sua arma più importante.
Era così inutile da rasentare l'innocuità. E sarebbe stato felice –
davvero, euforico – se qualcuno gliel'avesse fatto notare a voce
alta, con un commento lanciato a sproposito, o a proposito, mentre
lui passava. Ma no, nessuno osava, nemmeno Felix, perché lui era
l'essere quasi inutile di Aro e Chelsea, la riserva, e come tale
meritava un qual certo rispetto. Che sapeva più di scherno, il più
delle volte. Non timore o reverenza.
Neanche Jane, sempre così attenta alle preferenze del suo
Aro, risultava irritata. Le piaceva quel gioco, le piaceva vedere
Afton in quella situazione. Sadica, come sempre.
Eppure, Afton restava legato a quel luogo; riempiva le
brocche vuote
dei suoi capi e poi se ne tornava nel suo angolino, da Chelsea.
Invisibile a tutti, ma non a lei. Invisibile fino al prossimo giro –
che avrebbe potuto essere tra un secolo come tra un anno – ma mai,
neanche per un attimo, invisibile a lei.
A volte Afton si chiedeva che effetto avrebbe fatto andare incontro a
Chelsea per scoprire che ai suoi occhi non era diventato nient'altro
che polvere. Era un desiderio strano, che svaniva come veniva, quando
lei gli avvolgeva le braccia intorno al collo per baciarlo, per
legarlo a sé più intensamente di prima.
Quando il suo spazio veniva riempito dalle mani e dalla voce di
Chelsea, il silenzio di Afton diventava l'assenza di tutto il resto.
L'orgoglio restava a guardare, ma il suo sibilo eterno andava
semplicemente a nutrire il potere di Chelsea, l'amore per Chelsea, e
diventava parte integrante di quello che erano. Si univa a quei suoni
che creavano la loro storia e riecheggiavano nel cielo, per sempre,
fin quando loro l'avessero voluto.
Se non fosse stato per lei, non si sarebbe neanche accorto di
possedere un orgoglio, forse.
Se non fosse stato per lei, non avrebbe potuto godere in eterno
dell'eco mortale e del silenzio dopo la morte.
Ma neanche lui era così inutile e Chelsea lo sapeva bene.
Se non fosse stato per lui, lei non sarebbe potuta rimanere a
Volterra seguendo una motivazione che non fosse il potere. E, per
quanto le piacesse, Chelsea era molto più felice così.
Se Afton non fosse stato lì, nessuno l'avrebbe guardata in quel
modo: come se racchiudesse in sé l'esistenza intera. Nemmeno Aro.
Afton era essenziale, Chelsea era tutto quello che gli serviva per
mettere in risalto quell'essenzialità. L'ombra sotto i suoi passi,
l'eco della sua voce, la concretezza del suo pensiero.
Chelsea era la sua eco mortale, quella che avrebbe risuonato in
eterno tra le pareti della sua anima, tenendolo legato a lei fino
alla fine.