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Autore: Thefoolfan    27/09/2011    6 recensioni
Passati alcuni mesi da quanto successo al funerale di Montgomery, Beckett, torna finalmente a lavorare al distretto. Fin da subito però si trova ad affrontare un nuovo caso. Un serial killer che uccide le sue vittime seguendo un macabro piano. Riuscirà la nostra detective, aiutata da Castle e colleghi, a fermare l'assassino prima che sia troppo tardi?
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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CAPITOLO 23

 

 

Prima ancora che potessero raggiungere la macchina Weiss li fermò e ricordò loro che il lavoro li non era ancora terminato. Beckett seppur infastidita dovette dargli ragione, d'altronde non c'era alcuna fretta, era sicura che il mandante di quegli omicidi non si sarebbe mosso dalla propria casa.

 

“L'ambulanza sta arrivando per prelevare il corpo, che ne facciamo dei bambini?”Domandò Ryan che insieme ad Esposito aveva raggiunto i tre vicino al corpo di Bradley e si erano fatti raccontare quanto era accaduto in quell'ufficio.

 

“Direi di non dire nulla. A prelevarli cosi di notte, mentre dormono, creerebbe solo agitazioni. Weiss ha già chiamato una squadra speciale per dare un occhio al marchingegno che avete trovato nei sotterranei. Lasciamo che questo week end prosegua come era stato programmato”. Suggerì Castle ottenendo l'approvazione di tutti. Ormai era notte inoltrata ma per fortuna nessuno si era accorto di quanto stava per accadere. Una decina di poliziotti erano entrati nell'edificio e avevano spiegato agli animatori che era stata segnalata una fuga di gas all'interno della struttura, ma che dopo i dovuti controlli tutto era tornato alla normalità e loro potevano procedere con il proprio lavoro. Lanie intanto era arrivata sul luogo e l'unica cosa che fece fu quella di confermare il decesso dell'uomo e acconsentire al trasporto in obitorio.

 

“Come state?”. Chiese una volta finito a Beckett e Castle i quali, incuranti della pioggia, se ne stavano ancora in mezzo alla strada, ormai completamente fradici.

 

“Pensavo che una volta trovato Bradley sarei stato meglio ma non è cosi. In un certo senso non mi pare giusto il modo in cui è finita questa storia”. Confessò Castle stringendosi nella sua giaccia, iniziando a sentire brividi di freddo.

 

“E tu Kate?”. Chiese diretta il medico legale alla detective che non le aveva ancora risposto.

 

“Starò bene quando anche l'ultimo tassello di questa vicenda sarà andato a posto. Abbiamo ancora un arresto da compiere”. Rispose a Lanie non rivelando oltre delle supposizioni che aveva macchinato in quelle ultime ore. Aveva avuto modo d riflettere con mente lucida su ogni evento e alla fine quello che aveva intuito le sembrò la giusta soluzione del caso. Bradley, come aveva fatto capire, non aveva agito completamente da solo e lei aveva scoperto chi altri c'era dietro a tutta questa storia. Finalmente, alle prime luci dell'alba, Weiss diede loro il permesso di tornare a casa, invitandoli però a presentarsi in ufficio quella mattina stessa per erigere tutti i rapporti e verbalizzare quanto successo tra loro due e l'assassino. Mentre tutti gli altri si concessero qualche ora di sonno Beckett e Castle si fecero una doccia bollente, si cambiarono i vestiti e uscirono di nuovo per strada. Lo scrittore aveva ancora dei dubbi su dove la donna lo stava portando ma quando lei gli chiese di prendere il foglietto sulla quale era appuntato l'indirizzo della sede dei Rinnovatori capì tutto. Arrivarono nel parcheggio dove l'autista li aveva fatti scendere durante la loro prima visita e subito riconobbero la porta d'ingresso. Bussarono e videro nello spioncino i soliti occhi e quando l'uscio si spalancò vennero invitati ad entrare dal solito ragazzo. Castle lo guardò ancora, solo che questa volta sapeva benissimo chi fosse.

 

“Eri tu quel giorno per strada?. Il giovane che ci ha consegnato il volantino riguardante il week end organizzato da Mikael.” Chiese al giovane in cerca di conferma. Questi parlando a bassa voce, forse per non farsi sentire dagli altri, si rivolse ai due.

 

“Nick mi aveva chiesto di farlo. Voleva che vi dessi una mano per trovarlo. Vi ho seguiti fin fuori dal distretto e poi vedendovi per strada ho colto l'occasione”. Rivelò il giovane che in cambio ricevette una pacca sulla spalla dallo scrittore che poi si apprestò a seguire Beckett attraverso le stanze fino a giungere a quella che loro interessava. Fuori da questa notarono Robert, il servitore di Leonard, in piedi come se li stesse aspettando.

 

“Ha saputo della morte di Mikael e mi ha cacciato fuori, ma sono certo che con voi vorrà parlare”. Disse aprendo la porta cosi che potessero entrare nello studio ma prima Beckett doveva porgergli ancora una domanda.

 

“Come ha fatto a saperlo?. I giornali non saranno ancora usciti”.

 

“Abbiamo molte conoscenze in molti ambiti”. Rispose rimanendo sul vago ma alla detective quell'informazione bastava, ai fini dell'indagine non sarebbe servito a nulla quel dettaglio.

 

Quando entrarono la porta si richiuse subito dietro di loro e ai loro occhi si palesò Leonard, tremante sulla propria sedia mentre tra le mani teneva una fotografia. Non sembrava nemmeno essersi accorto del loro arrivo.

 

“Credo che lei ci debba delle spiegazioni Leonard o dovrei chiamarla con il suo vero nome?”. Chiese Beckett avvicinandosi alla scrivania. Castle provava pena per quell'uomo che dal loro precedente incontro sembrava essere invecchiato di dieci anni.

 

“Come avete fatto a capire che c'entravo anche io con questi omicidi?”. Domandò posando quella foto sulla scrivania. Lo scrittore si avvicinò per osservarla. Erano una giovane donna e un bambino che non aveva avuto più di quattro anni.

 

“Ebbi una conversazione con Castle in cui lui si lamentava di quanto riportato sui giornali, dettagli inventati per attirare più lettori possibili. Mi ricordo che gli risposi che solo i diretti interessati sapevano la verità, quindi noi e l'assassino.”. Cominciò a parlare la detective cosi da rispondere all'uomo che ora la osservava, sudato e con un pesante mal di testa.

“Poi ripensai a quanto era saltato fuori durante il nostro colloquio. Aveva affermato di leggere i giornali e quindi di sapere come si erano svolti gli omicidi peccato che, a differenza dei vari articoli usciti, lei mi descrisse una scena del crimine alla perfezione, con dettagli che non erano stati specificati in nessun giornale”. Concluse la donna iniziando a spiegare le prove che l'avevano condotta fino a li.

 

“Solo questo mi ha tradito?. Uno stupido errore”. Sogghignò l'uomo versandosi dell'acqua nel bicchiere davanti a se, rovesciandone più fuori che dentro il contenitore di vetro, vedendolo in difficoltà Castle decise di aiutarlo e versò lui il liquido.

 

“Nicholas ha anche rivelato di aver contatti con i Rinnovatori e qui di aver trovato la sua famiglia. In particolare ha parlato di un uomo, che l'ha sostenuto, che l'ha introdotto a questo gruppo, che gli ha dato la vita due volte”. Beckett ora si trovava attaccata alla scrivania e fissava l'uomo sul cui volto si poteva leggere un infinita sofferenza.

 

“E chi si prende cosi cura di un giovane se non un padre”. Dichiarò infine la detective, parlando chiaro su quale fosse stata la sua intuizione.

 

“Quando sua madre è stata uccisa mi son cosi concentrato sui Rinnovatori che ho iniziato a trascurare Nicky, sapevo che era un errore e cosi lo affidai a mio cognato, pregandolo di non dirgli mai chi fossi, che l'avrei cercato io quando fossi stato pronto.” Raccontò Leonard portando poi il bicchiere alla bocca e bevendo per bagnarsi la gola secca.

 

“Quando aveva 24 anni lo contattai ma solo dopo che tornò dalla guerra gli rivelai la mia vera identità. Da quel momento abbiamo fatto di tutto per recuperare quel rapporto padre e figlio che tanto desideravamo entrambi”. Castle che fino a quel momento era stato in silenzio si intromise avendo qualcosa da chiedere anche lui.

 

“E poi cos'è cambiato? Perchè ha fatto commettere a suo figlio quegli atroci omicidi?”. Lo scrittore non si preoccupò di trattenere la propria indignazione anche se si trovava davanti a un uomo anziano, il quale aveva appena perso un figlio. Per qualche secondo cercò di rivolgersi a Leonard con calma ma alla fine la rabbia prese il sopravvento, lui non avrebbe mai chiesto ad Alexis di fare male nemmeno a una mosca.

 

“I tempi stanno cambiando, tutto quello che avevo costruito in questi trent'anni si stava sgretolando tra le mie mani, non volevo perdere la mia famiglia e cosi chiesi a Nicky di trovare una soluzione, in quanto sarebbe stato il mio successore”. Tornò ancora a bere per riprendere fiato, questa volta però insieme all'acqua inghiottì anche una delle pastiglie che erano disposte sulla scrivania.

 

“E cosi suoi figlio gli ha proposto questi omicidi e lei accettò”. Finì la frese per lui Castle, Leonard semplicemente annuì.

 

“Non potevamo però fare tutto alla luce del giorno, gli insegnamenti che davo erano contro queste azioni e cosi inscenammo l'allontanamento dalla nostra famiglia. In realtà però mio figlio mi teneva continuamente aggiornato. Volevamo solo riportare i Rinnovatori agli antichi splendori”. Disse tramando, nascondendo il volto tra le mani, singhiozzando.

 

Castle e Beckett approfittarono di quel silenzio per rimettere in ordine le loro idee. Lo scrittore si avvicinò alla donne sussurrandole in un orecchio cosicchè solo lei potesse sentire.

 

“Mi chiedo se sia un pazzo o cosa”.

 

“é solo un uomo disperato Castle”. Disse la detective continuando ad osservare l'anziano. Castle non riusciva a provare tutta quella compassione che la donna invece sentiva nei confronti di Leonard, lui era colpevole come lo era Mikael.

 

“6 persone innocenti sono morte solo per il vostro desiderio di grandezza inoltre se non fossimo arrivati in tempo a quest'ora si sarebbero contati anche dei bambini tra le vittime”. Continuò lo scrittore aggirando la scrivania, costringendo Leonard a guardarlo in volto girandogli la sedia verso di lui.

 

“Nicholas non l'avrebbe mai fatto. Non li avrebbe mai uccisi”. Rivelò la verità ai due urlandogliela in faccia, dicendo quello che Mikael non era riuscito a confidare.

 

“Cosa?”. Chiese Castle pensando di non aver capito bene.

 

“Mi chiamò qualche giorno fa, confidandomi i suoi dubbi, dicendomi che non voleva più andare avanti. Comprendemmo che eravamo andati troppo oltre quando ormai era tardi. Mi aveva fatto una promessa e io gli diedi il permesso di fare tutto ciò che poteva per scioglierla”.

 

“E cosi lei ci ha cercati, ci ha rivelato il nome di Mikael in modo che potessimo fermarlo. Ci ha consegnato suo figlio”. Parlò Beckett dicendo quello che l'uomo non aveva forza di spiegare. Da un punto di vista quella storia era assurda. Due assassini che si pentono e alla fine aiutano la polizia per essere rintracciati e fermati. Quelli che alla fine erano sembrati segni di sfida in realtà erano indizi per scoprire la verità.

 

“Coma ha potuto suo figlio promettergli tutto questo?”. Domandò curioso Castle. Seppur un figlio doveva rispettare il proprio genitore questo andava al di fuori di ogni canone. Leonard non rispose, mise le mani sulla scrivania e iniziò a giocare con le pastiglie.

 

“Sà ho fatto delle ricerche sulla medicina che prende”. Intervenne Beckett vedendo quel suo strano gesto.

“Quando mi son avvicinata a lei la prima volta lessi il nome sulla scatola “Matadan”. É un medicinale per i malati di parkinson e dai sintomi che ho potuto vedere è in uno stadio molto avanzato”.

 

“Mi fu diagnosticato poco più di un anno fa. Mi dissero che bastava una semplice polmonite per morire e il mio ultimo desiderio era quello di rivedere la mia famiglia potente come una volta. L'unica colpa di Nicky è stata quella di amare troppo suo padre e di concedergli quell'ultimo, folle sogno”

 

“E alla fine ne è valsa la pena?”. Domandò Castle perdendo tutta quella collera che aveva accumulato in quei minuti, ora per l'uomo provava solo pietà. Un vecchio che aveva agito spinto dalla realizzazione dei sogni della sua gioventù, dalla malattia che lo stava corrodendo, da una visione del mondo totalmente sbagliata.

 

“Alla fine ho perso tutto e l'ho capito troppo tardi. Mi son concentrato troppo sui rinnovatori, facendo di tutto per non perderli, che non mi sono accorto di quello in cui stavo trasformando mio figlio. Solo ora che non c'è più capisco che i rinnovatori erano l'utopia di un pazzo mentre Nicky era la mia realtà, ma per orgoglio non l'ho mai ammesso”. Urlò quelle ultime parole. Liberò tutta la rabbia che aveva in corpo contro se stesso, prese il bicchiere e lo lanciò con le poche forze che aveva contro il muro. Stanco ricadde sulla scrivania dove Castle si avvicinò per sorreggerlo.

 

“La portiamo in ospedale. Deve essere visitato da specialisti prima di poter affrontare un processo”. Lo informò Beckett mentre si avvicinò a Leonard, mettendosi dalla parte opposta a quella dove stava Castle, per aiutarlo ad alzarsi. L'uomo raccolse la foto sulla scrivania e la fissò.

 

“Non ha importanza. Ormai se n'è andato tutto ciò che mi teneva in vita”. Detto questo chiuse gli occhi, passando le dita sui volti impressi sulla fotografia mentre questa veniva intrisa delle sue lacrime.

 

******

 

Beckett e Castle avevano condotto Leonard in ospedale ma non avevano ancora avvisato Ryan ed Esposito, tanto meno Weiss, prima di farlo volevano sincerarsi sulle condizioni dell'uomo. Erano in piedi nel corridoio quando un dottore si avvicinò a loro.

 

“Abbiamo visitato il Signor Bradley, la malattia ormai è in una fase acuta e lo stress a cui l'uomo è stato sottoposto in questi giorni non gli ha giovato. Tra poco un infermiera lo porterà in una stanza ma non c'è molto che possiamo fare”. Spiegò il medico prima di scusarsi e tornare al proprio lavoro.

 

“Che facciamo Kate?!. Lo facciamo morire in un carcere?”. Domandò Castle alla donna che teneva lo sguardo fisso verso la porta da cui di li a poco sarebbe uscito l'anziano. Sospirando si voltò scrollando il capo verso il proprio compagno che nel mentre si era messo a toccare medicinali e siringhe che vi erano su un carrello vicino a lui.

 

“Deciderà il giudice, noi non avremo voce a riguardo. ”

 

“Si però, escludendo quello che ha fatto, è più giusto che stia qua, che finisca i suoi giorni in una struttura dove può essere seguito piuttosto che in una squallida cella”. Lo scrittore incrociò le braccia chiedendosi da dove veniva tutto quel desiderio di aiutare quell'uomo, dopo tutto aveva contribuito all'omicidio di 6 persone, non meritava tutte quelle preoccupazioni.

 

“Sono un poliziotto Rick è cosi che si concludono le storie per me”. Affermò Beckett vedendo la porta della sala visite aprirsi e Leonard comparire, sorretto da un infermiere. Fece qualche passò e poi prego l'uomo di lasciarlo, volendo proseguire da solo. L'infermiere guardò la detective e allentò la presa quando la vide annuire. L'anziano era tramante, ricurvo su se stesso e con lo sguardo sempre fisso su quella foto. Beckett prendendogli le sue mani nelle proprie si rivolse a lui.

 

“Suo figlio l'ha perdonato, lo faccia anche lei”. Leonard alzò gli occhi nel momento in cui sentì quella parole e un istante dopo cadde a terra. Nella caduta tirò con se anche il carrello spargendo per il corridoio le siringhe, le medicine, i guanti. Subito gli infermieri si misero all'opera per raccogliere il tutto e aiutare l'uomo ad alzarsi. A Beckett e Castle non sfuggì il movimento repentino della mano di Leonard che si infilò qualcosa in tasca. Quando tutto si sistemò i due osservarono quanto ora c'era sul ripiano metallico e subito si accorsero di quel che mancava. Incrociarono subito gli occhi dell'uomo che implorò i due.

 

“Ricordate che mi siete debitori”. Fece appena in tempo a finire la frase che gli infermieri lo accompagnarono nella sua camera lasciando la detective e lo scrittore ammutoliti nel corridoio. Castle alzò per un secondo gli occhi al cielo e poi si girò, pronto ad uscire da quel reparto, quando Beckett richiamò la sua attenzione.

 

“Rick non possiamo permetterlo”. Gli disse rimanendo ferma tra l'uomo e la camera di Leonard.

 

“Questo è un finale che non tocca a noi scrivere, in un modo o nell'altro questa storia finirà, lasciamo decidere a lui come”.

 

La detective guardò un ultima volta rassegnata quella stanza e poi iniziò a camminare verso Castle, il debito era stato pagato.

 

*******

 

Redarre i rapporti, notò Castle, era una delle cose più noiose del lavoro di poliziotto. Stare attento a ricordarsi ogni minimo dettaglio, descrivere quanto accaduto in maniera adeguata, stare attento a non esagerare e scrivere di conseguenza informazioni inutili. Quando finalmente lui e Beckett finirono di compilare quello riguardante la conversazione con Bradley lo scrittore si prese quella meritata pausa caffè. Ne preparò due molto forti, uno per sé e uno per Beckett, che intanto si stava occupando della stesura del rapporto su Leonard, o come scoprirono dopo alcune ricerche su Sullivan Bradley.

 

“Ehi Beckett O'Shea, la guardia del penitenziario, mi ha chiamato prima chiedendomi quando Bradley sarà trasferito da loro. Gli ho detto che mi sarei informato e l'avrei richiamato, che gli dico?!”. Domandò Ryan dalla sua postazione facendo fermare la detective dal compilare il rapporto. La donna in quel momento non sapeva che rispondere, non sapeva nemmeno lei cosa sarebbe accaduto domani.

 

“Aspetta ancora qualche minuto prima di richiamarlo”. Gli disse semplicemente ma l'irlandese capì subito che c'era qualcosa che non andava.

 

“Che succede Beckett?”. Le domandò alzandosi dalla sedia per avvicinarsi a lei. Esposito, anche se non capiva il motivo di quel gesto, lo seguì immaginando che ci fosse sotto qualcosa di interessante.

 

“Forse non sarà necessario il trasferimento”. Disse Castle raggiungendo i tre con due tazzine di caffè fumante nella mani. Ryan ed Esposito si guardarono come se l'altro avesse una risposta a quella strana affermazione.

 

“Spiegateci”. Ordinò Esposito portando le braccia al petto e osservandoli in trepida attesa.

 

“Mentre eravamo in ospedale Bradley è inciampato contro un carrello che trasportava i medicinali. Quando era ancora a terra abbiamo visto che si è messo qualcosa in tasca, non notato dagli infermieri”. Iniziò a spiegare Castle ciò che lui e la detective avevano visto e di conseguenza delucidare sul motivo per cui immaginavano che quella chiamata al penitenziario sarebbe stata una perdita di tempo.

 

Leonard ringraziò l'infermiere che lo aveva accompagnato nella stanza e gentilmente gli chiese di poter stare da solo qualche minuto, incoraggiandolo a lasciarlo pure li mentre andava a recuperargli una vestaglia. Il giovane si limitò ad aiutarlo a salire sul letto e si assentò per andare a prendere il necessario. Leonard approfittò di quei minuti in cui non vi era nessuno in stanza per estrarre ciò che aveva in tasca e nasconderlo sotto il cuscino.

 

“Che ha preso dal carrello?. Cosa poteva interessargli cosi tanto?”. Domandò Ryan supponendo che fosse qualcosa che l'uomo avrebbe usato per tentare la fuga.

 

“Delle siringhe”. Li rispose Beckett.

 

“E che se ne fa di quelle?”. Continuò con le domande Esposito. Di certo non le avrebbe usate per aggredire gli infermieri, sarebbe stato inutile.

 

“A lui non interessavano le siringhe in sé. Gli importa più di quello che c'è dentro”. Spiegò Castle passando solo ora il caffè alla detective e iniziando a bere il suo, dando dei leggeri soffi per non scottarsi.

 

Ringraziando l'infermiere che l'aveva aiutato a cambiarsi e a riporre i vestiti nell'armadio Leonard si sdraiò sul letto e prese in mano il telecomando accendendo la tele. L'infermiere chiese se avesse ancora bisogna di qualcosa ma quando si sentì dire che tutto era a posto uscì dalla stanza, promettendo che qualche medico sarebbe passato a controllarlo di tanto in tanto. Quando la porta della stanza fu chiusa Leonard riprese le siringhe e tolse il tappo a tutte quante. Seppur le sue dita fossero tremanti da mesi in quegli attimi furono più salde che mai. Facendo un profondo respiro allungò il braccio e mirando la vena versò in essa il contenuto della siringa.

 

“Cosa contenevano di cosi importante?”. Chiese Esposito che non aveva capito cosa ci potesse essere di cosi tanto utile dentro a delle siringhe, non aveva compreso il vero motivo per cui servivano a Leonard.

 

“Morfina probabilmente”. Ipotizzò Beckett. Non era pratica di ospedali ma per quel poco che sapeva dentro quelle siringhe poteva benissimo esserci dentro quel medicinale.

 

“Si vuole uccidere”. Capì in quel momento Ryan cercando conferma e trovandola nei volti di Castle e Beckett che fecero di tutto per evitare i loro sguardi.

 

Quando anche la terza siringa cadde a terra insieme alle altre Leonard iniziò a sentire i primi sintomi. Una parte di lui lottava per chiamare i soccorsi, il pulsante era cosi vicino che gli bastava allungare la mano per premerlo, ma la sua forza di volontà ebbe la meglio. Fece per prendere la quarta siringa ma lo sforzo per alzare il braccio era immane. Si portò una mano al petto alla ricerca di quel respiro che si rifiutava di scendergli fino ai polmoni. Con la poca forza rimastagli sollevò la testa e guardò la foto che portava sempre con se.

 

“Perchè glielo avete permesso? Dovevate avvertire gli infermieri quando avete visto che si era impossessato delle siringhe”. Pronunciò in tono accusatorio Esposito non sapendo dei tormenti che si erano dati i due quando avevano dovuto prendere quella decisione, non essendo a conoscenza della conversazione che avevano avuto, nemmeno l'aveva mai visto Leonard, nessuno poteva comprendere.

 

“Avevamo un debito e quello era il momento giusto per pagarlo”. Nemmeno Castle era contento di quella decisione ma era la cosa più giusta da fare. Leonard si sarebbe comunque lasciato morire, loro almeno gli avrebbero permesso di farlo in un posto tranquillo.

 

“Era malato, molto malato, sarebbe morto lo stesso, forse anche nel giro di pochi giorni. Cosi almeno passerà i suoi ultimi minuti in un comodo letto piuttosto che su una lurida brandina”. Beckett informò i due di quel particolare di cui fino ad all'ora erano rimasti all'oscuro. Sentendo quelle parole Esposito di calmò. In un certo senso come logica ci stava, forse era davvero meglio cosi.

 

“E ora che facciamo?”. Domandò Ryan non avendo idea di come comportarsi in quel momento, tanto meno di cosa sarebbero andati a dire a Weiss quando avrebbe finito di parlare con i suoi superiori.

 

“Aspettiamo che chiamino”. Suggerì Beckett fissando il suo cellulare in attesa che si illuminasse e sul display comparisse il numero dell'ospedale.

 

Bastarono pochi minuti e il cuore di Leonard, indebolito dalla malattia e dal dolore, smise di battere. Un infermiera che passò di li per controllarlo diede l'allarme. Subito ci fu un via vai di dottori che vedendo le siringhe a terra compresero subito. L'infermiera si preoccupò all'istante di iniettargli qualche sostanza che contrastasse la morfina mentre il dottore utilizzò il defibrillatore urlando di caricarlo a un voltaggio sempre più potente ogni volta che vedeva che i suoi tentativi erano inutili.

 

Tutti e quattro erano li, attorno alla scrivania di Beckett, in attesa che il suo cellulare suonasse e alla fine accadde.

 

“Beckett”.

“D'accordo, la ringrazio”. Poche parole e poi disconnesse la chiamata, riappoggiò il telefono sulla scrivania e unendo le mani si rivolse ai tre uomini davanti a lei.

 

“Alle ore 12,47 è stato dichiaro il decesso di Sullivan Bradley, la causa delle morte è overdose di morfina. Hanno provato a rianimarlo per più di mezz'ora ma è stato tutto inutile. È morto stringendo nella mano la foto della moglie e del figlio”. Ripeté parola per parola quanto le era stato detto dal primario che l'aveva informata dell'accaduto.

 

“Quindi, che facciamo ora?”. Si volle informare Ryan.

 

“Chiama O'Shea e di che non ci sarà nessun trasferimento. Il caso è definitivamente chiuso”.

 

Dopo qualche minuto Weiss fece la sua comparsa e si mise subito vicino alla detective e allo scrittore.

 

“E cosi è morto”. Commentò.

 

“Già, i medici non hanno potuto far niente”. Gli rispose vagamente Castle non avendo la ben che minima voglia di parlare dell'accaduto in quel momento.

 

“Mi conviene non indagare non è vero?”. Domandò avendo già la sensazione che i due gli stessero tenendo nascosto qualcosa, lo si poteva benissimo leggere sui loro volti.

 

“Il caso è chiuso, se lo faccia bastare”. Gli suggeri in tono minaccioso Beckett poggiando il dorso sullo schienale della sedia.

 

“Immagino che sia cosi”. Ribattè Weiss sistemandosi la giacca e la cravatta prima di tornare a parlare.

“Il mio lavoro qui è finito. È giunto il momento che ritorni a casa, per vostra somma gioia”. Riportò ai due in poche parole quello che gli avevano ordinato i suoi superiori. L'assassino era morto, il mandante anche, non c'era più necessita che permanesse li al dodicesimo.

 

“Ha fatto rapporto anche su di noi?”. Domandò Castle curioso di sapere, in fondo era il motivo secondario della presenza dell'agente al distretto. Lui con un semplice gesto poteva decidere se porre o meno fine alla sua collaborazione con i detective. Anche Beckett era interessata a saperlo ma cercò di non palesare l'ansia che in quel momento la opprimeva.

 

“Si, ho parlato di voi ai miei superiori. Lei detective Beckett è fin troppo emotiva durante le indagini, si interessa della vittima e questo a volte la porta a compiere indagini fuori dagli schemi. Lei invece, signor Castle, è una continua distrazione per i detective che lavorano ai casi di omicidio, le sue battute sono sempre fuori luogo e più volte ha dimostrato la sua raffinata capacità di mettersi nei guai”. Ragguagliò i due su quanto aveva detto ai suoi superiori. Weiss era sempre stato oggettivo nei suoi giudizi e lo sarebbe stato anche questa volta, seppur il caso fosse stato risolto dai due che ora lo fissavano in malo modo.

 

“Ma ho detto loro che è grazie alla sua capacità di vedere oltre che lei risulta essere una delle migliori poliziotte con la quale ho avuto la fortuna di collaborare. Per quanto riguarda lei Castle, devo ammettere che la squadra ha bisogno di un elemento fastidioso come lei per lavorare al meglio. Sono i vostri difetti che vi rendono i migliori in questo campo e visto che funzionate cosi bene non c'è alcun motivo per porre fine a tutto ciò”.

 

Beckett in quel momento si senti improvvisamente più leggera, quelle parole le avevano tolto un macigno dalle spalle, Castle invece manifesto diversamente la sua gioia. In un attimo avvinghiò Weiss che fu letteralmente colto di sorpresa da quell'abbraccio. Quando lo scrittore lo mollò lui si schiarì la voce e si rimise a posto la giacca non sapendo come comportarsi, non essendo abituato a gesti simili. In sua salvezza arrivò Beckett che gli porse la mano.

 

“Dopo tutto è andata bene”.

 

“Già. Credo che d'ora in poi negli uffici dell'fbi sarà più famosa per le sue capacità investigative piuttosto che per altre sue doti, anche se la storia dei cubetti di ghiaccio me la tengo come Jolly”. Disse stringendole la mano ridacchiando, contento per la prima volta da quando era arrivato al distretto. Beckett fu piacevolmente colpita nel vedere che dopo tutto pure lui sapeva ridere. Poi fu il turno di Castle.

 

“Posso sperare di trovare un personaggio ispirato a me nel suo prossimo libro?”. Domandò Weiss inarcando un sopracciglio e osservando fitto fitto lo scrittore, in fondo ci sperava veramente.

 

“Solo se mi permette di farlo altezzoso, sicuro di se, un po' narcisista e incurante dell'incolumità altrui”.

 

“Non lo vorrei diversamente”. Scambiò gli ultimi saluti anche con Ryan ed Esposito e se né andò.

 

“Sai c'è una cosa che ho imparato in tutta questa storia”. Disse la detective osservando Weiss entrare nell'ascensore prima di tornare a sedersi alla propria sedia.

 

“E cosa?”. Domandò curioso lo scrittore mimando il gesto della donna.

 

“Che bisogna saper distinguere cosa è veramente importante nella vita da quello che lo è di meno, che non bisogna dar nulla per scontato e che alla fine, anche se siamo pieni di dubbi e di domande, bisogna rischiare perchè si potrebbe scoprire un nuovo mondo, un posto dove siamo veramente felici, in un modo che non avremmo mai immaginato.”.

 

Castle annuì non capendo però il motivo di quel suo discorso. Da ogni omicidio imparavano qualcosa di cui poi facevano tesoro ma ora non comprendeva quale fosse il succo della questione. Beckett intuendo le sue difficoltà si avvicinò a lui e presogli una mano nella propria lo guardò negli occhi.

 

“Chiedimelo ancora Rick”. Lo scrittore la guardò dubbioso per qualche secondo, non avendo il minimo indizio su cosa stesse parlando, poi d'improvviso ebbe un ispirazione.

 

“Vieni a vivere con me Kate”. Forse, forse questa volta. Se l'aveva suggerito lei c'erano ottime speranze o no?!. Il cuore di Castle batteva all'impazzata.

 

“Credo che lo farò, presto. Molto presto”. Non era ancora la risposta che voleva sentirsi dire ma per Rick fu come la manna dal cielo. Entro la fine dell'anno, era sicuro, sarebbero stati una famiglia, avrebbe vissuto per sempre con Kate. Dopo tutto quello era il suo destino, quello era il motivo per cui era nato.

 

 

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E cosi si chiude il sipario su questa storiella in cui ho cercato di mettere insieme diversi elementi, sperando di non aver fatto una confusione totale. Il capitolo si racconta da se, credo, quindi occupo questa sezione per ringraziare giustamente tutti coloro che si sono soffermati a leggere capitolo dopo capitolo, con pazienza e disponibilità, in particolare il ringraziamento va a coloro le cui recensioni mi hanno spinto di volta in volta a continuare. Grazie infinite.

  
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