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Autore: _morph_    27/09/2011    4 recensioni
Il segnale di aiuto che invia il cuore può essere recepito solo e soltanto dal destinatario che l'ha provocato. In questa storia vedremo una Chocola 15enne, sfinita dalle forti emozioni, troppo debole per continuare ad affrontarle, piena di lacrime da versare, piena di rabbia accumulata contro l'unica persona che abbia mai amato davvero, la vedremo combattero contro se stessa e contro i suoi sentimenti, tornando poi indietro, poiché soprafrfatta dal solo pensiero di poter vivere senza di "lui".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Whoooa, my love, my darlin'
I've hungered for your touch 
A long, lonely time
And time goes by so slowly
And time can do so much 
Are you still mine
I need your love
I need your love
God speed your love to me
The Righteous Brothers-Unchained Melody
Una futile settimana. Una sola settimana per prepararsi a vedere tutto ciò che aveva fatto in 1820 giorni e qualche mese, essere spazzato via neanche fosse stato un castello magistralmente costruito, ma fatto di carte, che ad una sola alitata di vento, tirata dal maestro dei sortilegi, essere spazzato via. Tutti gli sforzi compiuti, tutto il rinnego verso un sentimento troppo saldo, arso nel momento peggiore, dissolversi. Si preparò alla meno peggio, in quel breve lasso di tempo, provando elisir di apatia, che scompariva non appena sentiva soltanto pronunciare il suo nome. Dunque quell'apatia si trasformava in batticuore, il tremolio si distingueva nelle mani. Fecero il possibile per convincere il ragazzo a non venire, a desistere, coinvolgendo ogni carta presente nel loro mazzo, ma la sua testardaggine era ferrea quanto quella di Chocola, che da quel suo poco cavalleresco gesto, si convinse maggiormente dell'egoismo che troneggiava nella sua testa, dando ordine che non fosse trattato con riguardo, anche se, era certa, sarebbe riuscito facilmente a stregare anche le persone presenti a palazzo, proprio come aveva fatto con lei. Si rinchiuse nella sala del trono, la sera prima del suo arrivo, che sarebbe avvenuto in mattinata. Si sedette senza troppo indugio sul seggio imperioso, stagliante dinanzi alla maestosità degli affreschi. Assaporò con i polpastrelli la consistenza di quella stoffa chiara, così odiata dai suoi gusti, non le era mai piaciuta, eppure, per quanto potesse negarlo, era legata a vita, affezionata come fosse un figlio, a quel tessuto di velluto, cotone e tela. Socchiuse gli occhi, giusto il tempo di imprimersi nella testa quegli occhi azzurri, lasciandosi andare, almeno per quella volta, ai ricordi, che ancora una volta, l'attendevano impazienti e incontenibilmente traboccanti di nuove idee e convinzioni, nuovi pensieri che lei rifiutava, invece, con tutta se stessa. Sospirò, lievemente, senza nemmeno accorgersi della lacrima indiscreta posata sulle ciglia.
-pensierosa, Chocola?- alzò lo sguardo, posandolo sulla donna nascosta nell'ombra.
-no, sono solo consumata dalla realtà- rispose incolore, alzandosi, pronta a fronteggiare quella figura che ancora una volta la faceva sentire una bambina bisognosa di qualcuno che la protegga, ma che deve rendersi conto troppo presto, che è sola.
-veniamo tutti consumati dalla realtà, cara, ogni giorno. Ci sono bambini che nascono e persone che muoiono, sempre. E tutto procede ugualmente, non si ferma di certo un sistema per un misero evento provocato da una particella- espose calma, sfoderando un ghigno, mostrando i denti bianchi.
-il sistema funzionerebbe meglio se nessuno provasse sentimenti, sarebbe tutto più concreto, e non ci sarebbe tempo di pensare a ciò che è bene e ciò che è male, perché tutto va da se-
-il sistema funzionerebbe meglio se non potessimo compiere delle scelte, che fruttano il cambiamento degli eventi- fece un passo in avanti, in modo da poter guardare quella ragazzina, ormai donna, sconosciuta a lei, ma troppo coinvolta nella sua vita per poterla ritenere un'estranea; e per quanto non lo riconoscesse, era maledettamente fiera di lei, della sua maturità, del suo coraggio e tenacia -figlia mia, se potessi, vivresti senza sentimenti?-
-non soffrirei-
-non ameresti- la corresse, tornandosene nel suo nido, pieno di spine, ma anche troppo pieno di lei, della sua vita, per abbandonarlo.
-quanto ancora dovrò stare male?- chiese, allora, con il viso imperlato dalle lacrime, spingendosi in avanti, sperando che l'avesse ascoltata.
La donna si voltò, continuando a camminare all'indietro. Aprì le braccia ampliando un sorriso spensierato sul viso -abbastanza da poterti ritenere soddisfatta alla fine- e così scomparve, nel nulla, come era solita fare, come amava fare.
-non ha senso! Io non soffrirò più! Mi ha uccisa, ha assassinato il mio cuore, come potrei ritenermi soddisfatta?- gridò tra i singhiozzi e le perle grondanti dagli occhi a incorniciarle i delicati lineamenti. Non ricevette risposta. Eppure, la vera risposta, le era davanti: soddisfatta che solo e soltanto lui fosse l'artefice di tutto.
Bella soddisfazione, pensò andandosene a dormire.
 
Da quando era entrata in quella stanza, il cuore non aveva smesso neanche per un singolo istante di simulare ripetutamente un infarto. Si passò il dorso della mano sulla fronte, percependo lievi e velate stille di sudore. Sospirò, ticchettando nervosamente le mani sul tavolo -a che ora è stato detto sarebbero venuti?- domandò sull'orlo di una crisi di nervi.
-le 9, maestà- rispose uno dei saggi come a voler accontentare il capriccio di un bambino troppo stupido per rispondersi da solo. Gli riservò un'occhiataccia, inarcando un sopracciglio.
-e che ore sono?- snocciolò con calma, desiderosa di togliergli quell'espressione arrogante dalla faccia. L'uomo si rintanò nel silenzio, appena scoperto che stavano per scoccare le 10, ritenendo opportuna l'idea di non farla andare fuori di testa, più di quanto già non fosse. La ragazza, sistemata la questione, si concentrò in lunghi e profondi respiri. Sentì lo sguardo apprensivo dei suoi amici puntato dritto verso di lei.
-Chocola, tutto bene?- chiese Saul, squadrando una fanciulla fin troppo nervosa.
-a te che sembra?- ringhiò sentendo lo stomaco contorcersi, cominciò a desiderare con tutta se stessa che arrivassero, solo per far passare il momento, e non dover più sopportare tutta quell'oppressione addosso. Non appena infilò la testa in quei ragionamenti volutamente precisi e calcolati, si rese conto del respiro che lentamente, si regolarizzava. Sorrise, fiera di se, puntando il viso verso la sua amica Coco, diventata un'ospite fissa dei saggi, ammaliati dalla sua astuzia e intuitività -ancora poco, e avrei chiamato un medico- ironizzò, strappandole un sorriso divertito.
-uno psichiatra, vorrai dire- controbatté affinando lo sguardo. La rossa raccolse la sfida con estrema tranquillità costruendo un sorriso sornione.
-perché non me ne consigli uno? Sei esperta, no?- scoppiarono entrambe a ridere in pochi istanti, viste le facce allertate da un possibile litigio, delle persone a lei intorno. Sentirono la porta emettere un lieve schiocco, prima di essere spinta verso l'interno, l'ossigeno cominciò a diminuire, finendo tutto nel cervello.  "sono un'ossigenata" pensò insensatamente un'istante prima di tornare con l'attenzione concentrata. E, seppur pensava di essere costretta a fingere di accusare un terribile mal di testa, pur di non cascargli letteralmente tra le braccia, la rabbia del momento le ribollì in un istante dentro, la sentì pulsare irrequieta nelle vene, senza tregua. Cominciò a desiderare di fargli scontare tutto ciò che le aveva fatto passare, tutte le notti insonni, prive di lacrime, poiché ormai le aveva esaurite, o meglio, consumate. Ma si ritrovò nuovamente a ricredersi, non appena lo vide sbucare dall'entrata. Tutto quel risentimento si affievolì, fino a scomparire del tutto. Indurì la mascella, sentendosi mancare la salivazione. Distolse immediatamente lo sguardo, comprendendo quanto quella situazione potesse sfuggirle di mano.
-benvenuti- proferì Glass al suo posto, comprendendo tutto il suo disagio, ben esposto sul viso di porcellana, puntato in una direzione all'angolo della stanza, visibilmente angosciato -siamo felici abbiate deciso di accettare la nostra proposta. Chocola, quali stanze hai fatto preparare ai nostri ospiti?- tutti si concentrarono sul suo volto, in attesa che riprendesse a respirare, o che almeno desse segni di vita. La ragazza fece una smorfia contrariata nel momento in cui si rese conto di dover ridestare la sua attenzione. Si alzò, comprendendo che se solo si fosse mostrata debole, gli avrebbe dato modo di calpestarla ancora, e certamente questa era l'ultima delle sue intenzioni. Si disincantò da quel desiderio sopito di vederlo che si era lentamente accumulato in quei esecri giorni, arrancando nella direzione dei suoi nuovi “compagni di guerra”.
-seguitemi- mugugnò a mezza voce, trattenendo il respiro, accorgendosi che ovunque guardasse, riscontrava sempre e involontariamente lui. Uscirono, e per quanto potesse cercare di mantenere la calma, la sola idea di camminare in quegli immensi corridoi, in compagnia di quegli obbrobri, definiti così dalla sua parte nell’inconscio, più sadica, le creava un misto nello stomaco di nausea e timore. Escogitò in pochi istanti una moltitudine di modi in cui definirli, da quando loro, “colleghi” del devastatore della sua anima, avevano cominciato oltre che ad esserle alleati, ad esserle i peggiori avversari, visualizzati così dalla sua testa, considerandoli uno dei tanti artefici del suo amore a senso unico, cosa che ovviamente non avrebbe mai ammesso.
-non ti sei alzata molto- constatò in tutta la sua inutilità Silvet, riferendosi alla sua bassa statura. Ignorò deliberatamente l'esclamazione, scovando migliaia di nomignoli dispregiativi, ma uno meno convenzionale dell'altro -conosci senza indugio la strada- affermò nuovamente, facendo vibrare i suoi nervi già poco stabili, ogni istante in più che passava, in cui doveva sopportare la sua odiosa vocetta, perdeva sempre più lucidità. Notò il desiderio puntiglioso che provava nel sentirla parlare, cosa che lei non condivideva, anzi, percepì un moto di irritazione, ripudio, estendersi a macchia d’olio nel minuto corpo, per tutti loro, così interessati alla sua insofferenza per la situazione, che la scrutavano con sguardo fermo e attento.
-incredibile, eh? Vivo qui dentro solo da cinque anni- disse velenosa, continuando a puntare gli occhi di fronte a se.
-passati da sola- bisbigliò colpendola con uno degli infiniti sistemi esageratamente accessibili che avevano per neutralizzarla.
-mai sola quanto tante altre persone, che ci affogano nel loro eremo- rimbeccò riferendosi volutamente a tutto l’isolamento che loro stessi, instancabilmente, senza avere scelta, dovevano sorbire. Si pentì immediatamente dell’iperbole della sua affermazione, troppo grande per essere espressa da una bocca che non aveva mai assaggiato le loro costrizioni nel loro mondo di sogni di gloria.
-sola quanto basta per essere infelice- non rispose, trovandosi completamente d'accordo con l'insinuazione. Avvertì un lieve spostamento d'aria, sentendo penetrare nelle narici, il profumo seducente di Pierre, fece ruotare gli occhi, notando la vicinanza creatasi tra loro, ma quando riscontrò le iridi azzurre, incatenarsi alle sue, non poté evitare di voltarsi, umiliata dallo stesso amore autodistruttivo che provava per lui -credi nell'amore?- per quanto potesse imporsi, non poteva impedirgli di sganciare tutte le bombe che aveva nel palmo della mano.
-credo nella sincerità- bisbigliò schiacciata dal passato, da tutto ciò che ancora doveva subire, tutto ciò che era ancora troppo fresco, troppo vicino alla pelle viva.
-io ti ho chiesto se credi nell'amore-
-è triste-
-cosa, l'amore?-
-no, la situazione- rispose decisa regalandogli un'occhiata colma di superiorità netta nel solo saper essere stata capace ad affrontare tutto, senza dover rompere, per puro divertimento, l'anima a nessuno.
-sono semplici domande- si giustificò passandosi una mano tra i capelli argentei, costruendo un sorriso sornione.
-Silvet, basta così- decretò senza indugio Pierre, creando turbolenza all’interno della sua gabbia toracica. Si sentì nuovamente protetta, avvolta nel calore dei suoi abbracci, in un nido ovattato in cui era sicura ci fosse lui.
Ma ricordava perfettamente quanto le fosse costata la distruzione di quel mondo, la distruzione di tutte le speranze che lui stesso le aveva costruito.
-non ho bisogno del tuo aiuto, grazie- esclamò spaurita, puntando, per la prima volta forse, lo sguardo nel suo, riuscendo a tenergli testa,  concedendosi il tempo di studiare quelle sfumature cerulee e allo stesso tempo adornate di velati pigmenti color carta da zucchero, che si scurivano fino al blu cobalto vicino alla pupilla. Ci si poteva innamorare anche solo per gli occhi, che venivano sfoggiati da quel viso con tanta eleganza e incomparabile maestria nel sedurre e intrigare.
-io credo ne avessi- le rispose mantenendo la sua naturale calma e freddezza, facendo alterare i suoi bollenti spiriti. Le si tinsero le guance assumendo una tonalità purpurea. Gli venne da ridere nel vederla così infervorata, sarebbe stato difficile riprendere l'abitudine dei suoi ritmi così vivi.
-non ho bisogno di te!- esclamò traboccante di ira fino alla punta dei capelli, per poi crogiolarsi nell'imbarazzo, solo qualche attimo più tardi, dopo una pausa di concreta serietà da parte di entrambi, desiderosi di dimostrarsi chi per primo avrebbe ceduto nelle braccia dell'altro. La ragazza costruì un muro, attorno a se, che non lasciasse penetrare neanche la più discreta e involontaria parola che facesse anche solo un vago riferimento alla loro storia finita da troppi anni, ma a cui non era mai stata data una concreta fine, poiché ancora troppo presto, erano ancora desiderosi di farsi del male, di farsi cullare da quella tristezza, che presto o tardi si sarebbe trasformato in una spiacevole malinconia.
Li scortò ancora per pochi metri, per poi confermargli che li aspettavano nella sala in cui erano stati precedentemente. Si affrettò ad allontanarsi, consapevole della pericolosità di quella vicinanza. Avrebbe sicuramente ceduto.
 
-come facciamo ad essere sicuri che non è un complotto per sabotarci?- domandò lascivo il consigliere del “principe”. Alla ragazza tremarono le mani dall’irritazione provata per quella sottospecie di essere.
-allo stesso modo in cui noi vogliamo credere voi non vogliate organizzare una rappresaglia- spiegò, per l’ennesima volta, Robin.
-saremmo nel vostro territorio-
-siete anche nettamente più forti- lei sentì il suo sguardo scivolare fino alla sua figura, studiarla con deliberata lentezza, schernirla con gli occhi.
-il bersaglio sei tu, maestà, fai attenzione- alzò le pupille, fronteggiando quell’uomo che aveva sempre odiato con tutta se stessa.
-state attenti anche voi, al vostro principino. Oh, quasi dimenticavo, se non sbaglio il vostro Principe è tornato con la coda tra le gambe dai Malefici, è al sicuro. Allora ti devo dar ragione, Silvet, fortunata come sono, se anche provassero a proteggermi, potrebbe sempre esserci l’uccellino troppo codardo che rivela dov’è il tassello debole da colpire-si espresse lentamente, gustandosi ogni cambiamento di espressione, ogni movimento che la facesse sussultare di gioia. Dopo aver sputato il rospo su ciò che pensava di Pierre, avvertì comunque una strana sensazione di malessere che le attanagliava il cuore. Si alzò stordita dal mal di testa, facendo per andare verso la porta d’uscita, ma le fitte le limitarono persino le forze.
-Chocola, che hai?- sentì le gambe cedere, facendola crollare in ginocchio a terra. Percepì le mani di Houx, avvolgerle la vita con un braccio, invitandola ad alzarsi.
-vieni, ti porto nella tua stanza- la sollevò da terra, quando era sull’orlo di perdere i sensi, come era già capitato fin troppo spesso.
-pare non abbiate una regina troppo in forze- espresse a voce i suoi pensieri, uno degli ospiti a loro sconosciuti. Gli occhi di Vanilla svettarono sulla sua figura, divenendo glaciali nel sentire quelle parole rivolte alla sua migliore amica.
Pierre fu torturato per qualche interminabile secondo, divorato dal desiderio di sapere cosa stesse succedendo –era già capitato?- chiese spaurito. Saul lo squadro mordendosi la lingua pur di non urlargli in faccia quanti danni e problemi aveva causato la sua assenza –ha qualche problema alimentare, non va d’accordo con il cibo- cercò di esprimersi in maniera più gentile possibile, nonostante i denti stretti.
-ha frequentemente cali di zuccheri, non mangia quasi per niente quando è semplicemente nervosa, preoccupata, o pensierosa. Quando esce ha bisogno di qualcuno che la scorti, on d’evitare incidenti- la notizia lasciò sbalorditi i presenti, e per quanto cercasse di farne a meno, Pierre non poteva evitare lo sguardo puntato di Saul, che gli avrebbe fatto sbranare, in quella e mille altri notti, il rimorso di aver agito, in apparenza, come il più miserevole dei vigliacchi.
 
Commenti dell’autore:
Ok, cominciamo con il titolo “every teardrop is a waterfall” (ogni lacrima è una cascata) ho scelto questo titolo non solo perché credo profondamente nel significato, ma poiché ne ho fatto il mio nuovo mantra, per così dire. Sì, perché quando scrivo una scena, cerco sempre di pensare alla frase, poiché in ogni piccola emozione cerco di mettere una cascata, anche se in una scena di Shakespeare in love, il protagonista avverte l’attore di non mettere troppa enfasi in ogni cosa, per non consumare tutto subito C: io comunque cerco di far sì che le sensazioni vengano percepite forti e chiare, dritte al punto, così da far percepire, anche se da lontano, le stesse emozioni.
Il frammento di testo che ho messo all’inizio è di una delle mie canzoni preferite, che da anche il nome alla storia, ogni volta che la sento mi piange il cuore e non posso fare a meno di commuovermi, metaforicamente parlando, si intende. 
Successivamente, c’è il discorso con la madre, che fa intendere quanto distacco ci sia ancora tra le due, ma comunque fa capire anche che Cinnamon, in un modo o nell’altro, è una presenza nella vita di Chocola. Io, sinceramente, la trovo una delle mie scene preferite. Successivamente c’è l’incontro-scontro con i Malefici, e non da meno, con lui. Non ritengo la sequenza sia venuta nel modo in cui volevo farla apparire, spero comunque abbia fatto comprendere ciò che intendevo.
Nell’ultima parte ci sono 2 fattori rilevanti, il pensiero che ha Chocola di Pierre, la delusione che sente nei suoi confronti visto che quando l’ha lasciata, è tornato dai Malefici, senza fornire spiegazioni, e i suoi problemi alimentari, che spiegherò successivamente come sono iniziati e anche la causa (anche se credo sia palese).
Mi auguro di non annoiare troppo con i primi capitoli, e di riuscire a coinvolgere anche solo in minima parte la vostra attenzione.
Bacio Marmelade
   
 
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