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Autore: ValeEchelon    27/09/2011    6 recensioni
Mary e Jared si conoscono all'età di 18 anni, quando non erano nessuno, se non due ragazzini pieni di sogni e desideri. La loro esistenza si intreccerà a tal punto da legarli per sempre, qualunque cosa succeda.
Fanfiction ispirata alla canzone omonima, Buddha for Mary, dei 30 Seconds To Mars. Ho cercato di descrivere nel migliore dei modi la Mary del nostro Jared, con tutti i suoi problemi e con tutte le sue avversità. Spero solo di non essere andata troppo fuori con i temi e spero che vi piaccia.. Vi aspetto!
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tempo passava e ogni giorno, ogni sera in compagnia dei due amori della mia vita era un dono così grande, mi riempiva di tanta felicità e tranquillità che non mi sarei mai aspettata di provare in vita mia.
Tutto era tornato ad una strabiliante normalità, tutto era diventato routine e questo mi stava bene, era questa la vita che avevo sempre cercato.
Il rapporto fra me e Jared si era ristabilito, il nostro amore era una fiamma continua di passione, amore e comprensione, e tutto andava meravigliosamente. Non c’erano fantasmi, finalmente, e la nostra casa sembrava il rifugio più sicuro dove passare il nostro tempo.

Ormai Junior aveva quasi quattro anni e si era quasi fatto un ometto e io adoravo vederlo crescere, sentivo che lui era tutto per me, non avrei potuto mai farne a meno. A volte sentivo strane fitte o avevo improvvisi mancamenti ma continuavo a dirmi che era tutto a causa della mia debole costituzione e della gravidanza, anche se in effetti erano passati già quattro anni.
Un giorno ebbi uno di questi mancamenti davanti a mio fratello Josh e da quel momento si aprì un nuovo capitolo della mia vita. L’ultimo capitolo.
Eravamo tutti riuniti a casa mia per le feste natalizie. Io, Jared, Junior, Shannon, Sophie, Josh e la sua ragazza, Costance e Carl e a grande sorpresa di tutti si era unita a noi anche la nonna. Casa mia era molto grande e non avevamo problemi di spazio, quindi decidemmo di fare una bella cenetta in famiglia. Finalmente mi sentivo parte di qualcosa, parte di una famiglia vera. Avevo sempre guardato con diffidenza quelle pubblicità o quei film in cui le famiglie erano riunite e avevano dei gran sorrisi stampati in faccia. Nella mia adolescenza li chiamavo “ipocriti”, erano questo per me. Non avrei mai creduto che tutto questo potesse capitare anche a me e, invece, eccomi lì; seduta a tavola con loro, le persone che amavo, a ridere e scherzare allegramente, come se tutto il male che avevamo subito e che avremmo dovuto subire non esistesse. Mi sbagliavo, mi sbagliavo maledettamente.
Mi ero ripromessa di preparare il miglior pranzo che i miei commensali avessero mai assaggiato e misi tutta me stessa in quella sfida. La cena procedeva nel migliore dei modi e vedevo come tutti apprezzavano la mia cucina. Ero felicissima e irradiavo gioia da tutti i pori. Andai in cucina a prendere il fantastico dolce che avevo preparato. Avevo trovato la ricetta in uno dei pochi libri di cucina di mia madre, nascosti in casa. Quella era l’ultima cosa che mi restava di mia madre.
Josh fece capolino in cucina e con un sorriso a trentadue denti si offrì di portare il dolce, che in effetti era molto pesante. Subito dopo averglielo dato nelle mani sentii l’aria che mi mancava, le forze che abbandonavano il mio corpo e dovetti appoggiarmi al piano cucina per non crollare. Lo sguardo di josh divenne immediatamente serio e, lasciato andare il dolce, accorse in mio aiuto preoccupatissimo.
“Mary, che hai?Tutto bene?”
“Si, tranquillo Josh. Sono solo un po’ stanca per tutto questo lavoraccio in cucina”dissi, abbozzando un sorriso.
Lui sembrò tranquillizzarsi, fino a che non vide le mie mani nere. Erano come piene di lividi e continuavano a pulsare, facendomi male. Il suo voltò si rabbuiò in un istante.
“Questa non è semplice stanchezza..-disse- Hai qualcosa che non va?”
“Non ho niente, davvero.”risposi. “Ti prego, non dire niente agli altri, non voglio che gli altri di là si preoccupino. Non voglio rovinare questo momento così magico.”
“Ma io..”
“Promettimelo.”lo interruppi.
“Solo se tu mi prometti che domattina verrai in ospedale e ti farai controllare, non farmi stare così in pensiero.”
“Te lo prometto, lo farò. Ora andiamo di là o gli altri si insospettiranno. Ti prego”
Josh si convinse ma prima mi portò in bagno a rinfrescarmi un po’ e poi insieme tornammo nella sala da pranzo. La serata continuò normalmente, se non fosse stato per gli sguardi preoccupati che Josh ogni tanto mi mandava.
La mattina dopo lascia Junior con la nonna e mi diressi in ospedale. “Dannazione, sempre qualche piccolo problema. Vabbè oggi lo risolveremo con Josh e tutto tornerà alla normalità”pensai.
Josh mi accolse premuroso e mi fece fare una miriade di test, controlli e altre robe mediche che io sinceramente odiavo. Mi affidò a un suo collega molto bravo per alcuni test particolari che non riuscì a capire neanche a cosa servissero. Dovemmo aspettare tre giorni per i risultati delle analisi e quando mi recai di nuovo da Josh sembrava tranquillo e sereno.
“Dai miei esami risulta tutto in regola, forse solo una leggera mancanza di vitamine. Per il resto tutto bene, forse era solo davvero stanchezza”il suo volto era illuminato e rilassato, con un sorriso rassicurante. “Ora ci tocca passare solo dal mio collega, ma non credo ci sia da preoccuparsi.” Stranamente io lo ero.
Arrivammo nell’ufficio del dott. Arise e ci accomodammo subito. Avere un fratello chirurgo e candidato come futuro primario del reparto di chirurgia aveva i suoi vantaggi. Arise era serio e cominciò a prendere le cartelle con su scritto il mio nome. Guardò per quasi tutto il tempo Josh, come se non avesse il coraggio di guardarmi in faccia.
“Mi dispiace darvi questa notizia, specialmente a voi due. Io e Josh siamo diventati molto amici e mi piange il cuore dirvi certe cose”. Non era granché come discorso iniziale e del quale non dovevamo preoccuparci.
Josh era confuso e spaesato, cominciò ad agitarsi e chiese subito spiegazioni. Io ero immobile, non so se per la paura di quello che avrei sentito o per un’accettazione che era nata inconsapevolmente in me riguardo a ciò che ne sarebbe stato della mia vita.
“Mary ha una malattia genetica degenerativa. Il suo organismo sta lentamente cedendo, i suoi organi interni a breve cominceranno a collassare..”il dott.Arise continuò a elencare i sintomi e le conseguenze ma sia io che Josh avevamo capito dove sarebbe andato a parare il discorso.
“Le do un anno, al massimo due.” Disse.
Josh era sconvolto e cominciò a chiedere chiarimenti riguardo la malattia, le eventuali cure. Io ero paralizzata. L’aria intorno a me si era fermata, le parole sembravano arrivare da un altro mondo, non riuscivo più a distinguerle bene, i colori persero la loro consistenza e sentii un vuoto nel petto che immaginai mi avrebbe ingoiato. Allora era questa malattia il mostro che mi portavo dentro da anni e a cui non ero riuscita a dare un nome? Mi persi nei miei pensieri e ritornai in me solo quando sentì proferire alcune parole dal dott. Arise:
“Però è strano. Questa malattia viene diagnostica alla nascita e se curata in tempo fin da piccoli, può quasi diventare innocua. I suoi genitori ne sarebbero dovuti essere a conoscenza, o almeno la madre, dato che è una malattia che si trasmette solo in presenza di due cromosomi x, cioè nelle donne della famiglia.”
Allora mia madre sapeva. Sapeva di tutto ciò e non mi aveva mai detto niente, mi aveva tolto quest’ultima possibilità di salvezza quand’ero ancora una bambina. Poteva spingersi fino a tanto l’odio, il menefreghismo di una madre? In fondo ero sempre sua figlia, sangue del suo sangue.
 “Allora diamole queste pillole, facciamo qualcosa!” sbottò Josh.
“Ormai è tardi, quella cura la farà solo stare peggio e non aumenterà le sue aspettative di vita.” ,rispose malinconicamente il dott.Arise.
Non mi accorsi neanche che loro due continuarono a parlare, che ci alzammo e andammo fuori. La mia mente vagava in cerca di un appiglio, qualcosa che avesse un senso. Mi resi conto che a spaventarmi non era la morte, era dover lasciare il mio amato Jared e il mio piccolo Junior. Pensare di non averli più accanto mi angosciò tremendamente. Finalmente avevo trovato un po’ di pace e di felicità in questa vita costellata di disgrazie e tristezza. 
Ora dovevo abbandonare tutto.
Josh era frenetico e non smetteva di camminare avanti e indietro. Riuscivo a intravedere i suoi occhi lucidi. Non doveva essere facile nemmeno per lui; ritrovare una sorella dopo tanti anni e perderla in così poco tempo. Oltre alla nonna, io ero ciò che rimaneva della sua famiglia. Mi nascondeva i suoi occhi, pensava di dover essere forte anche per me in quel momento e non voleva sentirsi un peso per me, un’altra persona da compatire.
Mi si avvicinò e parlò con voce tremante:
“Come ha potuto?come ha potuto quella donna farti questo?! Non merita neanche di essere chiamata ‘madre’ ! Ma ora si pentirà di quello che ha fatto, gliela farò vedere io. Le parlerò e vedremo con quale coraggio ha potuto compiere un gesto simile!”.

Josh era furente, avvertivo la disperazione nella sua voce. A volte cerchiamo di coprire il dolore con la rabbia, l’odio, qualcosa che non ci faccia cadere nel baratro della disperazione.
Ciò, invece, non era così per me. Non avevo motivo di sprecare energie per alimentare la mia ira, dovevo utilizzare il tempo che mi rimaneva per poter vivere serenamente. Per poter vivere dignitosamente. Per poter vivere. Per poter amare. 
“Tu non ci andrai, Josh.”la mia voce era ferma e decisa, abbastanza da non farlo replicare e lasciarlo con uno sguardo dubbioso.
“Riguarda me e lei, è tutta la vita che questa storia riguarda solo me e lei. Le parlerò io.”
Josh aveva insistito per accompagnarmi da lei, ma io avevo chiaramente espresso il desiderio di parlarle da sola.

Mentii a Jared e dissi di dover allontanarmi da casa per due giorni a causa di alcuni problemi riguardanti le aziende di mio padre.
Quella fu l’unica volta che gli mentii in tutta la mia vita.
Mentre ero in aereo pensavo ancora a quello che era successo, a quello che mi era successo: non era possibile che un milione di disgrazie piombassero addosso sempre e solo alla stessa persona, era assurdo come la sua persona riuscisse ad attirare disgrazie di tutti i tipi così, gratis, senza niente in cambio.
Quando arrivai davanti alla casa uno strano brivido mi si insinuò per il corpo.  Non potevo fermarmi ora, dovevo continuare. Mi soffermai a guardare il paesaggio circostante: era incantevole. Mi domandai come fossi stata così stupida da non apprezzare prima tutto quello che mi circondava, ora tutto mi sembrava molto più reale, più bello. Avevo dato per scontato tutto quanto, la stessa aria che mi circondava, e mi sentii così sciocca; ma in fondo, chi non lo è? Ci accorgiamo dell’importanza delle cose solo quando ci sfuggono dalle mani.
Suonai il campanello e la voce di un uomo brontolò qualcosa.
“Sono Mary” risposi sporgendomi per guardare oltre il cancello.
Qualche secondo di silenzio e si aprì.  Mi addentrai nella villa che era stata di mio padre e il custode mi scortò fino all’entrata. In quella casa regnava il silenzio. Attesi qualche minuto nell’ingresso e poi fui accompagnata nella camera di mia madre.
Eccola lì, seduta vicino alla finestra, con musica da sala in sottofondo e foto della sua breve carriera di ballerina sparse in tutta la stanza.
“Come si dice in questi casi? La pecorella smarrita che torna all’ovile?” una risata fredda e sterile uscì dalla sua bocca.
Non ero in vena di litigare, ero lì per rivederla l’ultima volta e capire cosa le passasse per la testa. Volevo sapere la verità, volevo sapere perché ce l’aveva tanto con me.
Andai subito al sodo.
“Sto per morire.” Dissi tutto d’un fiato.
“Le solite tragedie esagerate di voi giovani. Smettila di annoiarmi con i tuoi piccoli problemini, avrai al massimo un raffreddore e vieni qui a lamentarti.”, disse portando alle labbra una tazzina bianca di porcellana.  Non si era neanche girata a guardarmi.
“Sto per morire e tu sai anche il perché. Smettila di fingere e affronta la realtà per una volta nella tua vita. Sapevi che prima o poi sarebbe arrivato questo giorno.”
Le sue mani cominciarono a tremare e un po’ del contenuto le cadde sulla gonna.
“Allora..hai saputo. Pensavo di essere già morta quando sarebbe arrivato questo giorno. Mi dispiace, è una disgrazia che portiamo in famiglia.”
“Una disgrazie che poteva essere evitata quando ero ancora una bambina, ma tu hai preferito farmi soffrire!” cominciai a tremare anche io.
“Guarda che io..”
“No, – la interruppi – non sono venuta qui per sentirti parlare e inventare qualche blanda scusa. Sono qui per dirti che ho trovato un uomo fantastico che sta al mio fianco, che abbiamo un bambino insieme ed è la creatura più dolce che esista su questo pianeta. Sono qui per dirti che ho finalmente trovato una vera famiglia, che sono finalmente felice, nonostante tu non lo abbia mai voluto. Non sei mai stata una madre per me, non mi hai mai trattata come una figlia. Mi hai odiata perché secondo te ero stata io a rovinarti la vita, quando invece eri stata tu a farti mettere incinta per incastrare papà. Sì, morirò. Morirò prima di te, ma morirò contenta perché so di non aver sprecato la mia vita come hai fatto tu, chiusa nel tuo risentimento, nel tuo odio. Morirò contenta perché so che ci saranno persone che mi ricorderanno con affetto, persone con le quali ho condiviso emozioni molto più grandi di tutte quelle che hai vissuto tu. Morirò contenta perché non porto rancore nei tuoi confronti, perché già ti sei fatta del male da sola vivendo tutta la vita allontanando me e papà, le persone che ti avrebbero amata senza limiti. Morirò perché è così che deve andare, ma morirò felice. Tu, al contrario, sarai sola, e questa è l’unica cosa che mi consola.”
Le parole uscirono di botto, senza che io le pensassi.

Mi avvicinai lentamente alla sedia su cui era seduta vicino alla finestra: la luce porpora del tramonto filtrava dalla finestra. Volevo tornarmene a casa, volevo stare tranquilla nella mia casa con i miei amori più grandi, mio figlio e Jared.
Si girò con un’espressione di odio in volto.
“ Tu hai sempre avuto ciò che volevi. Soldi, vestiti, tutto. Di che ti lamenti?”, disse scuotendo la testa lentamente.
“ Di che mi lamento? Spero tanto che tu stia scherzando. Come fai a dire certe cose? Come fai a dire che non mi è mai mancato nulla quando non avevo niente? Niente. Molte persone vengono da famiglie umili che non riescono nemmeno ad arrivare alla fine del mese, eppure crescono bene, crescono nell’affetto dei loro genitori..Ed io? Cos’avevo? Una casa troppo grande e vuota? Troppo silenziosa e triste? Io avevo bisogno di te ma tu non c’eri. Sei sempre stata più interessata a serate mondane e partite di burraco con le tue amiche piuttosto che a tua figlia che non aveva nemmeno un cane con cui stare e a tuo marito che non desiderava altro che il tuo amore. Hai distrutto la sua vita e la mia vita.”
Mi guardava con sguardo vitreo, i lunghi capelli biondi erano raccolti in una stretta crocchia e gli occhi ridotti a piccole fessure minacciose.
Si alzò ed iniziò a vagare per la stanza vuota, poi si avvicinò al mio viso: potevo sentire il suo profumo forte sotto il naso, il suo fiato caldo sul viso.

“ Avresti voluto essere coccolata, vero? Avresti voluto essere accompagnata a scuola la mattina da me, mano nella mano. Avresti voluto che ti facessi i capelli e ti vestissi. Avresti voluto  che io ti stessi accanto, avresti voluto raccontarmi il tuo primo bacio e la tua prima volta. Ma non è stato così.”
“Non è stato così perché non lo hai mai voluto!”, gridai.
“Sì, è vero. Non l’ho mai voluto perché tu non sei mia figlia. Non lo sei mai stata e non lo sarai.. Nonostante io ti abbia messa al mondo, nonostante abbia sofferto per te. Sei stata un’errore. Sei il frutto di un amore costruito e ricostruito. Questa è la verità. Ora puoi anche andartene.”, disse rivoltandosi verso la finestra.
La guardai, schifata,  presi la mia borsa dalla sedia e mi avvicinai a lei.
“Addio.”
Uscii da quella casa con la bocca amara ed un peso enorme sulle spalle. Davvero mia madre mi aveva detto questo? Davvero non le interessava che stavo per morire? Davvero non mi riteneva sua figlia?
Evidentemente sì e questa era la risposta che cercai. Il mio taxi era ancora davanti alla porta della villa, salii in fretta e mi feci portare in aeroporto. Con gli occhi pieni di lacrime e l’orgoglio distrutto, mi promisi che nulla mi avrebbe più fatto male. E’ vero, la mia vita era segnata dalla morte, mi rimaneva poco tempo da vivere e c’erano tante cose che avrei voluto fare, ma purtroppo non mi è stato possibile.
   
 
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