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Autore: MoonlightDreamer    27/09/2011    1 recensioni
Avril è una ragazza come tante.
Ha un fidanzato, una vita normale.
Ma nelle sue vene scorre il sangue di una Tinwë, un popolo di donne guerriere, antico quanto potente.
E Galbatorix non può lasciarsi sfuggire un'arma del genere.
Tra spionaggi, amori, battaglie all'ultimo sangue e nuove amicizie, Avril dovrà decidere qual'è la parte giusta con cui combattere: Se quella del suo padrone o quella del suo amore.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Murtagh, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

 




Draghi!
Quel pensiero le rimbombava nella mente. E ora?
Continuò a correre a perdifiato verso la locanda dove alloggiava. Lì non l’avrebbero mai trovata, messo e non concesso che stessero seguendo lei.
In ogni caso, aveva bisogno di riposare e di riordinare le idee. Il sibilo che aveva sentito le faceva ancora venire i brividi.
L’arrivo dei draghi aveva buttato giù dal letto metà città, e la gente si riversava nelle strade, cercando di capire cosa stesse succedendo, mentre le guardie cittadine cercavano di farsi largo tra la folla.
Quelle immagini erano fin troppo familiari per Avril.
La ragazza scacciò via il ricordo della sua vecchia vita e si concentrò nella corsa. Era meglio non incontrare i Cavalieri. Galbatorix le aveva ordinato di restare nell’anonimato. E lei così avrebbe fatto.
Finalmente, intravide l’insegna della Mela D’Argento. Che nome banale.
Si avvicinò lentamente alla porta. Lì intorno non c’era anima viva.
Tutti i civili svegli di Dras-Leona si erano raggruppati nella piazza. Poco male.
Forzò un poco la serratura ed entrò, senza fare rumore.
Il locale era terribilmente triste e deserto. I pochi tavoli mangiucchiati dalle tarme erano sparsi senza un ordine preciso per la stanza principale, e da dietro il bancone dell’oste si intravedeva una pila di piatti sporchi.
Lentamente, si avviò verso la sua stanza.
Era piccola, e c’entrava solo il letto sistemato alla bell’e buona al centro della stanza e una scrivania semidistrutta. La stanza era avvolta dalle tenebre.
«Brisingr!» sussurrò la ragazza. Subito, un globo di fuoco scaturì dalle dita di Avril ed illuminò la stanza.
Sorrise, avvicinandosi alla finestra e chiudendo per bene le imposte. Non voleva avere sorprese quella sera. A notare dal silenzio che si era creato lì intorno, i Cavalieri se n’erano andati. Probabilmente avevano solo attraversato la città, ma non si poteva mai sapere. Con ogni probabilità, c’era l’intero esercito dei Varden che attendeva il momento giusto per attaccare, appena fuori dalle mura di Dras-Leona.
Sospirò, avvicinandosi al letto. Era sfinita.
Che quei topi di fogna attaccassero pure! Lei se ne sarebbe andata entro poche ore. Prima però, doveva riposare.
Si distese sul letto, vestita, ed abbracciò il cuscino, lasciandosi andare al sogno. Ed ai ricordi.
 
Era successo un paio di mesi prima.
Si era risvegliata su un letto, sudata, sporca di sangue.
Un uomo dagli occhi completamente neri le aveva sorriso, mostrando la lingua biforcuta.
E lei aveva urlato con quanto fiato aveva in corpo, ricadendo nell’incoscienza.
Quando aveva riacquisito i sensi, si era ritrovata in una stanza degna di una regina, stesa su un baldacchino e circondata da soffici coperte. Aveva sorriso, felice.
Poi, i ricordi l’avevano assalita.
Le urla delle donne e dei bambini avevano ricominciato a rimbombarle nelle orecchie.
La testa le doleva ancora, dopo la botta, che ricordava solo ora, aveva ricevuto.
Qualcuno era entrato nella camera.
Era un uomo dai capelli bianchi e gli occhi stanchi.
Le aveva sorriso. Un sorriso normale, poté felicemente constatare la ragazza.
«Sono contento che ti sia svegliata, Avril Jessasdaughter» aveva sussurrato l’uomo.
Oh, allora era così che si chiamava. Avril Jessasdaughter. Sì, le sembrava di ricordare qualcosa di simile.
Lei aveva borbottato qualcosa di incomprensibile. Le doleva la gola.
Lui allora le aveva dato un bicchiere contenente un liquido indaco. La ragazza non se l’era fatto ripetere due volte. Aveva svuotato il calice in meno di un secondo, rovesciandosene un po’ anche sul vestito azzurro chiaro che indossava. Strano, non ricordava di aver mai avuto un vestito del genere.
L’uomo si avvicinò a lei, continuando a sorridere, premuroso.
«Il mio nome è Galbatorix, giovane Tinwë.»
Avril l’aveva guardato stupita. Sia per il nome con il quale si era presentato, sia per come l’aveva chiamata.
Galbatorix (se era veramente lui, si disse la ragazza) aveva curvato in su gli angoli della bocca, divertito dall’espressione di stupore di Avril.
«Sì, sono proprio quel Galbatorix. L’imperatore. Il Cavaliere. Il quasi padrone di Alagaësia. E tu, sì, tu sei una Tinwë. Una delle giovani donne guerriere. Ma forse è troppo presto per parlarne. Riposati, quando sarai più in forze continueremo il discorso.»
Ma Avril non voleva rimandare il discorso. Galbatorix poteva essere chi voleva, ma le doveva una spiegazione. E subito. Riuscì ad articolare una frase che assomigliava vagamente a quello che voleva intendere.
L’anziano Cavaliere continuò a sorridere, mentre si risedeva su uno sgabello accanto al letto.
«So che per te saranno troppe informazioni tutte insieme, ma sappi che è tutto vero. Ogni singola parola. Artæ nïeryn unghaûlen ärefrataï.» disse, concludendo la frase nell’antica lingua.
Avril lo sapeva. L’aveva studiato a casa sua, tempo fa.
«Tu sei una Tinwë. Una delle giovani donne guerriere» ripeté. «Il tuo popolo abitava nella pianura davanti alla Du Weldenvarden. Era interamente composto da donne. Odiavano gli elfi, e spesso lottavano contro di loro. Era un popolo molto orgoglioso. Per mille anni, prosperarono, espandendo il loro dominio su gran parte di Alagaësia. Gli Elfi e i Nani non potevano niente contro la loro furia guerrigliera. Ma la loro rovina arrivò presto, troppo, presto. La loro regina, Admïrta, si innamorò perdutamente di un giovane Elfo. Quando le Tinwë lo scoprirono, montarono su tutte le furie, esiliandola. L’Elfo del quale si era innamorata la stolta  regina rigirò la cosa a suo vantaggio. La convinse a tradire il suo popolo, anche se il come lo fece resta ancora un mistero. E la povera Admïrta era talmente innamorata che lo fece. Aiutò gli Elfi a sconfiggere le donne guerriere. Non si sa che fine abbia fatto. In ogni caso, aveva portato il suo popolo alla rovina, tradendolo per uno stupido sentimento come l’amore. Non corrisposto, per giunta. Ma una Tinwë sopravvisse, e si unì in matrimonio con un umano, in modo da continuare la discendenza. Cercando in lungo e in largo, siamo riusciti ad arrivare a te. L’unico essere vivente con il sangue delle Tinwë che ancora cammina su questa terra. Puoi immaginare come mi sono sentito quando ho saputo della tua esistenza. Ho sempre studiato con passione il tuo popolo. Erano forti, orgogliose, temerarie e disprezzavano l’amore più di ogni altra cosa. Dovresti essere fiera di essere una di loro.»
Avril aveva ascoltato affascinata il racconto dell’uomo.
Alla fine, aveva capito che era tutto vero. Sentiva qualcosa dentro di lei smuoversi, urlarle che lei era veramente una discendente di quel popolo.
Ed aveva sorriso, fiera.
Quando Galbatorix le aveva chiesto se voleva unirsi a lui, non aveva esitato.
Il tempo di rimettersi in sesto, e aveva iniziato l’allenamento.
L’uomo con gli occhi completamente neri e la lingua biforcuta si era presentato come suo maestro, e l’aveva subito messa sotto con gli esercizi di magia e prestazione fisica.
Nel giro di due mesi, Avril era diventata una macchina da guerra.
Poi, era arrivato l’incarico. “Uccidi il consigliere”, ecco cosa doveva fare. E lei l’aveva fatto. Bene, per giunta.
Un leggero bussare alla porta la riportò alla realtà.
Chi poteva essere?
Sussurrò l’incantesimo per vedere attraverso i muri, e per poco non gridò dalla sorpresa. Un’Elfa dai lunghi capelli neri si trovava davanti alla sua porta, con le braccia incrociate sul petto e un’espressione truce negli occhi.
Sul fianco, pendeva la custodia di una spada.
Maledizione!
Era nei guai, ma doveva pensare con lucidità, o non sarebbe mai riuscita a scappare.
La finestra? Aveva chiuso le imposte, e in ogni caso, avrebbe fatto troppo rumore.
La porta? Certo che no, c’era l’Elfa!
Sorrise, notando uno spioncino appena sopra la scrivania.
Era piccolo, ma ci sarebbe dovuta entrare.
Si avvicinò a passo felpato e salì sul tavolo. 
I colpi alla porta si fecero sempre più insistenti. Avril tenne la mente ben sigillata.
Lo spioncino non era più grande di un comodino, ma andava più che bene.
Si arrampicò e sporse la testa al di fuori.
Sotto, solamente un vicolo piuttosto zozzo. Sopra, solo il tetto.
Sorrise, portando la testa e il busto fuori dallo spioncino.
Si rigirò e si aggrappò al cornicione superiore. Poi, riuscì ad uscire anche con le gambe, restando aggrappata al cornicione.
Poi, si lasciò cadere. Atterrò in piedi, e subito iniziò a correre.
Sperò che l’Elfa continuasse con le buone maniere ancora per un po’. Povera illusa.
La luce dell’alba illuminava i vicoli della cittadina.
Avril si maledì per non essersi cambiata prima. Con i pantaloni e il corpetto nero, era tutt’altro che invisibile. I capelli biondi le svolazzavano qua e là, mentre sforzava le sue gambe al massimo per arrivare alla breccia nelle le mura.
L’aveva scoperta la settimana prima, mentre girovagava cercando di trovare più punti di fuga possibili.
La spaccatura non era molto larga, ed iniziava a parecchi piedi d’altezza. Ma questi erano dettagli.
Maledizione, sono appena scappata da uno spioncino! Riuscirò ad uscire da una breccia, o no?
Pensò, mentre intravedeva la spaccatura tra la roccia.
Sorrise. Ce l’aveva quasi fatta. Dall’altra parte della breccia c’era il bosco.
Solo, mancava un piccolo particolare … un cavallo! Come diamine faccio ad arrivare ad Urû'baen a piedi?! 
Sospirò. Avrebbe dovuto pensarci prima. Ora, poteva solo correre.
Si girò, ma nessuno la seguiva. Non per questo aveva intenzione di prendersela comoda. Un’Elfa che bussa alla tua porta non è un buon segno. Soprattutto se è quell’ Elfa. Avril l’aveva riconosciuta. Si chiamava Arya. Galbatorix le aveva parlato di lei. Era quella che aveva inviato l’uovo del Drago davanti ad Eragon. La ragazza la odiava per questo. Se fosse rimasta buona buona a rigirarsi i pollici nella sua Casetta Felice nel Boschetto delle Farfalle, Galbatorix avrebbe già vinto. E tutto sarebbe finito per il meglio.
Si avvicinò alla spaccatura, ansimante. Ce l’aveva fatta! Quasi.
La spaccatura iniziava poco più in alto rispetto alla testa di Avril.
Se solo potessi crescere di qualche centimetro. Non dico tanti. Almeno al metro e settantacinque.
Sospirò. Era inutile pensare a quanto fosse bassa, in quel momento.
Saltò, aggrappandosi con le mani ai bordi della breccia. Si sentiva così ridicola!
Si tirò su e con un salto passò oltre.
Libera!
Sorrise al sole che avanzava.  Non l’avevano presa. Nemmeno questa volta. E lei aveva compiuto la sua missione.
Finalmente si torna a casa.   




Angolo Autrice:
Ce l'ho fatta! *Saltella tutta contenta per la casa.*
Uh, è stato più faticoso di quanto pensassi scrivere questo capitolo. Ed è anche venuta fuori una schifezza totale ç.ç  
Lo so, Avril non fa altro che correre da tre capitoli, ma che ci posso fare?
Siccome io sono estremamente pigra, almeno i miei personaggi un pò di esercizio fisico lo dovrebbero fare u.u 
Okay, ho i neuroni del cervello in fumo! 
Un bacio!
.::Ellie::.
  
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