DISCLAIMER
I personaggi non sono miei. Hogwarts non è mia. Nemmeno le scale sono mie. Non c'è niente che mi appartenga in questa storia, quindi non sperino i miei creditori di trovarci qualcosa da pignorare. Né si facciano illusioni che grazie ad essa io riesca a racimolare qualche soldo, perché il fine di lucro è assolutamente escluso.
RINGRAZIAMENTI
I miei più sentiti ringraziamenti a Nisi Corvonero, che mi ha guidato lungo i corridoi del castello di Hogwarts e alla mia impagabile (infatti io non la pago ma la faccio lavorare gratis) Jean Genie, il fido Virgilio che mi ha condotto ancora una volta dall'Inferno dei nidi di subordinate al Paradiso della forma leggibile.
...
FONTANE DI SALE
Hagrid esitò un momento prima di scegliere la direzione da prendere. Destra o sinistra? Nella
foresta non sbagliava mai ma, sebbene avesse vissuto a Hogwarts per quasi tutta la vita, gli
capitava ancora di perdersi e di ritrovarsi in fondo a corridoi ciechi o sull'orlo di soglie
che sembravano aprirsi sul vuoto. Più facile ancora, avendo come meta l'ufficio della
professoressa Sprite, ritrovarsi nelle cucine in mezzo a una folla di irritabili elfi
domestici.
Hagrid controllò che la preziosa fiala di latte di toporagno fosse ancora al suo posto, al
sicuro in una tasca interna del cappotto, avvolta amorevolmente in una pezza di lana. Poi
scelse a caso la direzione da seguire e con un sospiro si inoltrò in un corridoio oscuro e
alquanto sbilenco, il cui soffitto di tavelle di legno multicolori sembrava pericolosamente
prossimo al suo testone.
Gli spazi chiusi non piacevano a Rubeus Hagrid. Forse ciò era inevitabile, perché sua madre era
una Gigantessa e i Giganti non amano avere un tetto sopra la testa; questo principalmente, ma
non solo, perché significherebbe prendere certamente molte zuccate. Forse, se non fosse stato
espulso da Hogwarts e avesse potuto completare i suoi studi, sarebbe diventato qualcosa di
diverso che il Custode dei Luoghi e l'Insegnante di Cura delle Creature Magiche di Hogwarts e
si sarebbe abituato a trascorrere le sue giornate tra quattro pareti. Olimpia, del resto, non
passava forse buona parte del suo tempo nel suo ufficio di Beauxbatons?
Come sempre, il ricordo della sua compagna d'avventure estive gli portò una sensazione
piacevole, un po' come quando, dopo una lunga passeggiata in una giornata fredda, si trova
pronta una fumante zuppa e si comincia a goderne il confortante calore ancora prima di
assaggiarla. Una sorta di sorriso si fece strada tra il folto pelo nero che adornava il mento
poderoso e quello non meno scuro ed arruffato che costituiva i baffi. Un bambino del primo
anno che portava i colori di Serpeverde gli sorrise a sua volta, d'istinto, nel momento in cui
si incrociavano nel corridoio, salvo riprendere al più presto quell'espressione corrucciata e
infastidita che gli esponenti di quella Casa parevano coltivare con particolare impegno. Il
ragazzino lo salutò formalmente, col rispetto dovuto a un insegnante, e Hagrid si chiese se
fosse stato presente all'ultima lezione di Cura delle Creature Magiche. Se era così, non lo
ricordava. L'unica cosa che ricordava, di quella spiacevole ora della sua vita, era Dolores
Umbridge; e l'umiliante sensazione di non sapere dove posare gli occhi, se sulle sue grandi
mani o sugli stivali scalcagnati o sulle piccole facce spaventate dei suoi alunni, mentre
quella strega maligna faceva a pezzi i suoi metodi d'insegnamento, sulla cui efficacia
oltretutto Hagrid coltivava di nascosto già tanti dubbi per conto suo.
Sospirò di nuovo e si chiese, non per la prima volta, se l'incontro che avrebbe avuto di lì a
poco con Pomona Sprite avrebbe compreso una sezione anti-Umbridge. Hagrid sapeva bene che, per
quanto si sforzasse, non sarebbe mai diventato un buon cospiratore e pertanto, sebbene fosse
favorevole a qualsiasi soluzione che liberasse Hogwarts da quella malefica presenza, trovava
piuttosto inquietante la prospettiva di dover discutere con la collega il metodo migliore per
defenestrare la Umbridge.
Hagrid si fermò di nuovo: non riconosceva affatto quel corridoio, e il mago adorno di un paio
di folti mustacchi rossi che lo occhieggiava dal quadro appeso al muro tra una collezione di
piatti di ceramica, gli era del tutto estraneo.
"Senta, signore" si azzardò ad interpellarlo nervosamente. "Non è che..."
Il mago nel quadro sobbalzò per la sorpresa e parlò con voce cavernosa in una lingua gutturale
che Hagrid non seppe individuare.
"Scusi, non importa. Non volevo mica disturbarla."
L'uomo nel quadro, che non sembrava capire Hagrid più di quanto quest’ultimo capisse lui,
proseguì a parlare imperterrito a voce sempre più alta, come se il suo eloquio non potesse
arrestarsi dopo essere stato messo incautamente in moto.
Hagrid lo salutò nervosamente e proseguì per il corridoio a grandi passi, guardandosi
cautamente alle spalle, inseguito da quelle frasi incomprensibili come da un animaletto
selvatico che si fosse appeso ai suoi stivali.
"Però, poveretto" si disse mentre approfittava del primo angolo per sfuggire a quel torrente
di parole oscuramente pressanti "Che brutta cosa stare appesi qui in un paese straniero, che
nessuno ti sta a sentire."
Solo a pensare al povero, vecchio mago con i baffi rossi del quadro, tutto solo nel corridoio
buio da chissà quanto tempo, ad Hagrid veniva il magone. Ma per quanto gli dispiacesse per lui,
non era così commosso da singhiozzare. Quindi, pensò con stupore quando si accorse che qualcuno
stava piangendo, quel qualcuno non poteva essere lui. Questo era strano, perché di solito chi
piangeva nelle vicinanze di Hagrid era proprio lo stesso Hagrid, fatto salvo i casi, più
frequenti di quanto sarebbe stato opportuno, in cui qualcuno dei suoi giovani allievi veniva
azzannato, stritolato, graffiato o avvelenato da una delle pericolose creature che nel corso
degli anni avevano trovato ospitalità nel suo grande cuore delicato e avevano condiviso il suo
rustico alloggio.
Ancora più strano che non ci fosse nessuno in vista. Il mezzogigante si trovava adesso in un
piccolo locale circolare che aveva per soffitto una cupola adorna di vetri colorati, attraverso
la quale la luce del giorno scendeva con sciabolate verdi, rosse e blu, in mezzo a nuvole di
pulviscolo, fino al pavimento di minutissime tessere di legno scuro. Lungo il perimetro del
locale si aprivano tre porte, malandate e malassortite, una sola delle quali era aperta e
lasciava intravedere l'inizio di una stretta scala a chiocciola. Hagrid riconobbe vagamente il
posto, sebbene potesse giurare che l'ultima volta che l'aveva visto i vetri della cupola
fossero di colori diversi e le porte in numero superiore; ma allora come adesso, era di sicuro
molto lontano dalle cucine, dalla casa di Tassorosso e dall'ufficio della Sprite, ragion per
cui era ormai evidente che aveva sbagliato strada. La luce della porta davanti alla scala era
così stretta che esitò prima di chinare il capo e passare, cosa che gli riuscì solo mettendosi
di lato; i singhiozzi provenivano da lì, anche se il luogo continuava a sembrare deserto.
Hagrid scrutò nuovamente al di sopra della balaustra di legno ricurvo, si schiarì rumorosamente
la voce e girò attorno alla scala. Eccolo. Anzi, eccola, rannicchiata sul terzo gradino con la
testa china e i lunghi capelli neri davanti alla faccia, le esili spalle scosse dai singhiozzi
e la sciarpa neroblu stesa sui gradini come lo strascico dimenticato da una sposa afflitta,
così minuta che la balaustra della scala l'aveva riparata completamente alla sua vista.
"Signorina?"
La ragazza sollevò lo sguardo e piantò in faccia ad Hagrid due occhi scurissimi, ombreggiati da
lunghe ciglia nere e pieni di lacrime. Sul viso dai lineamenti delicati il pianto si era
scavato una stradina sporca di mascara disciolto, che Hagrid, figlio unico, cresciuto senza
madre e ancora scapolo, riconobbe subito come tale solo grazie alla sua recente spedizione
estiva in compagnia di Olimpia Maxime.
"Mi spiace, sono mortificata" riuscì a dire la ragazza tra un tirar su col naso e l'altro.
Hagrid spostò cautamente la sciarpa e si sedette a sua volta, non sullo stesso gradino, dove
non c'era spazio a sufficienza, ma su quello più in basso, senza curarsi che così facendo
avrebbe avuto le ginocchia davanti al petto, come succede ai papà quando s'incastrano nelle
seggioline in miniatura per giocare a prendere il tè con le loro bambine. Anche se, nel suo
caso, i ricordi di suo padre erano differenti da quelli che poteva avere qualsiasi altro
individuo. Ripensava spesso con tenerezza a tutte le volte che si era seduto sulla sedia
che Hagrid usava da bambino. In quelle occasioni sembrava piuttosto, con i suoi piedini che non
riuscivano a raggiungere il pavimento, un bambolotto dimenticato lì da una piccola strega
distratta. La ragazza smise di piangere per guardarsi in giro spaventata quando la scala
scricchiolò sinistramente sotto il peso del guardiacaccia e portò istintivamente la mano alla
bacchetta, che saggiamente e a scanso di incidenti teneva appesa al collo con una stringa
invece che in tasca.
Hagrid buttò la testa all'indietro per guardare in alto, nella cavità oscura in cui la scala si
inerpicava avvolgendosi su se stessa, senza che si riuscisse a capire dove sarebbe finita: "Non
abbia paura, signorina Chang: le scale di Hogwarts sono molto robuste, anche se hanno un po' il
vizio di andarsene in giro per conto loro. Scommetto che questa scala qui arriva su in cima
fino al sottotetto, ma non so esattamente in che punto."
Cho Chang seguì il suo sguardo e non seppe resistere, da autentica Corvonero, alla tentazione
di cercare una soluzione razionale al problema che le era stato appena prospettato.
"Forse siamo alla destra della torre di Astronomia" rispose in tono quasi normale dopo averci
pensato su un momento "È troppo buio perché ci possiamo trovare di fronte alle finestre del
nostro dormitorio" e immediatamente, quasi che pensare alle finestre della sua camera da letto
avesse direttamente rinnovato il suo dolore, riprese a singhiozzare più forte di prima mentre
le sue lacrime cadevano sulla manica della giacca di Hagrid e vi lasciavano macchioline umide,
come se piovesse.
Per quanto robuste fossero le scale di Hogwarts, in quel momento a quest'ultimo non sarebbe
dispiaciuto invece sprofondare chissà dove insieme al gradino su cui stava seduto; aprì e
chiuse la bocca più volte di seguito senza riuscire ad emettere suono, mentre l'agitazione
cresceva dentro di lui insieme col rammarico che non fosse possibile smaterializzarsi entro le
mura della scuola. Sebbene Hagrid non avesse mai conseguito la patente di smaterializzazione,
la prospettiva di poter sfuggire a situazioni del genere avrebbe costituito un potente
incentivo perché si decidesse a farlo.
Hagrid non aveva figlie ma se ne avesse avuta una, avrebbe desiderato che fosse come Hermione,
e cioè, nell'ordine, intelligente, leale e coraggiosa. Così come avrebbe desiderato, se avesse
avuto un figlio, che fosse come Harry, perché Harry era, altrettanto nell'ordine, coraggioso,
leale e intelligente. In ogni caso, Hagrid teneva in gran conto l'intelligenza altrui,
ritenendo a torto di non esserne stato sufficientemente provvisto e non rendendosi conto che
ciò che veramente gli mancava era la più elementare prudenza, della quale purtroppo non aveva
invece mai sentito la mancanza in vita sua.
Hagrid, che era sicuro che la signorina Cho Chang fosse molto intelligente perché altrimenti il
Cappello Parlante non la avrebbe mai smistata a Corvonero, sospettava confusamente che dovesse
avere un buon motivo per disperarsi in quel modo. E questo lo preoccupava. Allo stesso tempo,
non poteva fare a meno di pensare che non era esattamente la prima volta che vedeva la
Cercatrice di Corvonero sciogliersi in lacrime e che non sempre queste occasioni si erano
rivelate delle vere e proprie emergenze. C'era stato, durante il primo anno, un episodio quando
Ernie MacMillan aveva inavvertitamente schiacciato uno schiopodo. E un altro episodio al terzo
anno, quando Marietta Edgecombe era partita per le vacanze di Natale dimenticandosi di
salutarla. Naturalmente, c'erano stati anche momenti in cui le lacrime di Cho erano parse
assolutamente giustificate, ad esempio quando si era fatta seriamente male a un ginocchio
precipitando dalla scopa durante la sua prima partita di Quiddith o peggio ancora, alla fine
della Coppa Tremaghi, quando Harry era uscito dal labirinto portando con sé il corpo di Cedric
Diggory.
Il pensiero di quella scena rinnovò nel cuore di Hagrid la familiare sensazione di vuoto che
aveva conosciuto per la prima volta il giorno in cui un ancora giovane Silente lo aveva
chiamato nel suo ufficio per comunicargli la morte di suo padre; da allora si era insediata
stabilmente dentro di lui, come il ricordo di un ponte che un tempo varcava il baratro verso
una sponda meravigliosa divenuta irraggiungibile per sempre. Col passare degli anni questo
sentimento si era ristretto in un nocciolo, piccolo e duro, che però poteva in un attimo
risvegliarsi e diventare grande, mostruoso e tremendamente aggressivo.
Hagrid aveva riconosciuto il mostro e lo aveva visto afferrare e stritolare Amos Diggory,
svuotare le sue guance e incurvare le sue spalle nello spazio di un attimo, quello in cui il
povero padre si era reso conto di aver perso per sempre quel figlio bravo e bello per un
destino incomprensibile e assurdo. In quello stesso istante, l'imbarazzante capacità di
simpatizzare con i sentimenti altrui aveva riempito gli occhi del Guardiacaccia di lacrime e
schiacciato il suo petto sotto un cupo senso di oppressione. E ora bastava che quella scena si
ripresentasse alla sua mente perché si sentisse di nuovo male e gli venisse da piangere.
Per quanto non particolarmente addentro alle vicende sentimentali dei ragazzi di Hogwarts,
persino Hagrid sapeva che per Cho Chang il povero Cedric era stato più di un semplice compagno
di scuola: sebbene in pubblico gli insegnanti mostrassero di ignorare i pettegolezzi su una
relazione, inevitabili quando i protagonisti erano popolari e brillanti come la Cercatrice di
Corvonero e il campione di Tassorosso, in privato e davanti a un buon boccale di idromele si
lasciavano andare a qualche commento divertito.
Giunto a questo punto delle sue riflessioni, Hagrid fece quello che avrebbe dovuto fare da un
pezzo e si contorse nella sua scomoda posizione per riuscire ad estrarre dalla tasca il suo
fazzoletto a pallini e porgerlo alla singhiozzante creatura.
Cho afferrò delicatamente un lembo dell'enorme fazzoletto - un regalo di Madama Rosmerta - e
notando forse che non era molto pulito, lo lasciò ricadere. Poi si tolse una molletta dai
capelli, afferrò la sua bacchetta e con un unico gesto fluido ed elegante la trasfigurò in un
igienico e moderno pacchetto di fazzoletti di carta.
"Sono allergica" si giustificò aprendo la confezione con la punta delle sue dita delicate "Ma
grazie lo stesso, professore."
"Di niente" rispose Hagrid, approfittando della circostanza di essere rimasto in possesso del
suo fazzolettone per potersi asciugare gli occhi.
Mentre Cho si soffiava il naso con meno grazia di quanto si sarebbe aspettato, Hagrid tirò su
col suo e sbatté le ciglia per snebbiare la vista.
"Certe volte" disse il mezzogigante "Quando a uno ci viene da piangere, non c'è proprio modo
per evitarlo."
Cho prese un altro fazzoletto e si asciugò delicatamente gli occhi macchiandolo di mascara
sciolto e di altra roba luccicante; guardò Hagrid pensosamente e sembrò riflettere su questa
profonda affermazione così a lungo che questi cominciò nuovamente a sentirsi piuttosto a
disagio.
"Mi capita troppo spesso" sospirò lei alla fine "Non so che cosa mi succede: non riesco a
controllarlo."
Con gli occhi rossi e il viso pulito, era ugualmente molto graziosa, ma sembrava più giovane
dei suoi sedici anni. Sembrava - pensò Hagrid - una bambina che la mamma avesse dimenticato di
consolare.
"Signorina Chang" replicò con convinzione "Lei è fortunata."
"Io sono cosa?" replicò sorpresa Cho in tono piuttosto bellicoso. Era una ragazza gentile e
beneducata, ma non sarebbe stata una buona Cercatrice se non avesse saputo farsi valere. E
visto che il suo ragazzo era stato ammazzato meno di un anno prima, poteva suonare piuttosto
indelicato alludere alla sua fortuna.
"No, no" si affrettò a spiegarsi Hagrid "Non volevo... Dicevo solo per via del pianto. Lei è
una bella ragazza, la gente mica si mette a ridere o fa cose così se vede che c'ha le lacrime
agli occhi."
Ora Cho non piangeva più, ma si sistemava accuratamente le pieghe della gonna attorno alle
gambe; non si era mossa per raccogliere la sciarpa dai gradini ma l'aveva richiamata sottovoce
con un incantesimo d'appello e ora se la stava rimettendo attorno al collo.
"Veramente" disse dopo un po' guardando francamente Hagrid negli occhi "La gente farebbe bene a
non mettersi a ridere nemmeno di lei, professore."
"Le persone talvolta non sono gentili." replicò quest'ultimo, piuttosto imbarazzato dalla piega
che aveva preso la conversazione.
"Sì. Ma spesso sono prudenti." osservò Cho "Non hanno paura di lei?"
"Di me?" chiese Hagrid sorpreso "Lei sa, vero, che io non sono molto abile con la magia? Sono
bravo con i miei animali, però loro non hanno certamente paura di me."
"Oh, andiamo, anche senza magia lei potrebbe benissimo ammazzare un uomo con un pugno."
"Non lo farei mai!" esclamò Hagrid inorridito "Mai e poi mai. Non mi importa se dicono che sono
un frignone. Cioè, adesso non lo dicono più, lo dicevano quando ero giovane, piccolo, voglio
dire quand'ero più piccolo di quello che è lei adesso. Più giovane, cioé."
"A me dicevano che ero una piagnucolona. Gli altri bambini, persino i figli dei Babbani."
Hagrid scosse il capo, comprensivo "È solo che siamo sensibili."
"Ci commuoviamo facilmente." rincarò Cho.
"Perché abbiamo buon cuore. Lo diceva sempre il mio papà."
"Anche mia madre me lo dice." ricordò Cho con un sorriso "Anzi mi dice che sciolgo in lacrime e
sale i nodi del mio cuore.”
Hagrid sospettava che se mai avesse avuto un figlio, non sarebbe stato capace di separarsene
per mandarlo a scuola. Spesso si era chiesto come facessero i genitori degli studenti di
Hogwarts, dopo che rimanevano là soli a casa senza i loro ragazzi, e se non passassero tutto
il loro tempo a girare tristemente per le camerette vuote; in quanto ai figli, arrivavano
quando erano ancora dei bambini e nonostante le attenzioni di cui erano circondati, certamente
sentivano la nostalgia della famiglia (quando l'avevano, s'intende, non quando erano costretti
a vivere con un paio di brutti arnesi inutili come era capitato a Harry). Lui aveva sentito
moltissimo la mancanza di suo padre, durante il primo anno di Hogwarts, sebbene Albus Silente,
consapevole che i mezzogiganti incontravano l'ostilità degli altri maghi, l'avesse preso dal
primo momento sotto la sua ala protettiva.
A maggior ragione i ragazzi dovevano sentire la mancanza delle famiglia, ora che nubi oscure
sembravano assediare da ogni lato il cielo un tempo sereno di Hogwarts.
"Era per quello che si era rifugiata qui, signorina Chang? Perché aveva sul cuore un nodo che
non voleva sciogliersi?"
"Io... non so esattamente come sono finita qui. Ho paura che quei nodi siano più di uno."
replicò Cho onestamente. Sembrava contenta che Hagrid si fermasse un poco a parlare con lei ed
egli fu sorpreso di provare una sensazione di responsabilità e di sollecitudine, un po' come
quando aveva nutrito con le sue mani il suo piccolo drago. Confusamente, si chiese se questo
fosse ciò che gli altri insegnanti provavano quando quelle giovani menti si rivolgevano a loro
per consiglio e per conforto; gli venne da pensare che questi sentimenti potessero colmare la
loro vita priva di affetti familiari, persino quella dell'arcigno Severus, così come i suoi
animali e i suoi amici - Harry, Ron ed Hermione - avevano riempito la sua. E Olimpia. Perché
adesso c'era anche Olimpia, ricordò Hagrid e subito il suo cuore compose con quel nome un
ritornello. Olimpia, Olimpia, Olimpia.
"È un brutto periodo, questo qui." osservò il mezzogigante in tono incoraggiante "Non che
l'anno scorso sia andato meglio."
"L'anno scorso Cedric Diggory è morto." disse Cho guardando nel vuoto.
Hagrid approvò con un cenno del capo: "Certe cose si devono ripetere molte volte prima che
sembrano vere. Vere davvero, cioé. È stata una cosa terribile, un ragazzo così giovane e così
bravo. Suo padre..."
"Durante l'estate saremmo dovuti andare insieme a visitare Stonehenge. Con suo padre, voglio
dire." lo interruppe lei con voce piatta "Il signor Diggory era così orgoglioso di Cedric: era
un piacere per lui accontentarlo in qualsiasi cosa desiderasse."
"Si vedeva proprio che andavano tanto d'accordo, quei due." convenne il mezzogigante mentre le
sue ghiandole lacrimali si mettevano di nuovo in moto, ligie al dovere almeno quanto il più
scrupoloso degli Auror fosse dedito al suo servizio al Ministero.
Cho Chang sorrise debolmente e gli passò in silenzio un fazzoletto di carta.
"L'estate scorsa non riuscivo mai a pensare a nient'altro se non a lui e a quanto mi mancasse
ed era terribile. Ma ora penso anche ad altre cose ed è ugualmente terribile, perché ho paura
di dimenticarlo. È come se... come se..." lottò con le parole senza riuscire a spiegarsi.
"È come se tu lo lasci morire un'altra volta." completò Hagrid.
Cho lo guardò con espressione stupita e con una sorta di rispetto.
"Sì, sì: è esattamente così, professore."
Hagrid scosse in su e in giù il testone, comprensivo: "Quando le persone che noi ci vogliamo
bene ci lasciano, noi pensiamo sempre che un po' è anche colpa nostra. Ma non è mica vero. Non
deve pensare che Cedric è scontento se lei smette di piangere per lui. Deve solo ricordarlo
dentro il suo cuore, non lo deve dimenticare mai. Questo lo può fare, vero?"
La ragazza ricominciò a piangere, ma senza singhiozzi, questa volta: le lacrime le solcavano le
guance con una sorta di dolce compostezza e lei le lasciò scendere, senza tentare di
nasconderle o di asciugarle.
E mentre piangeva non smise un attimo di guardare Hagrid, come se egli fosse una pesante ancora
- o più probabilmente un grosso blocco di cemento - a cui legare la fragile barca dei suoi
pensieri che altrimenti sarebbe stata travolta dal mare in tempesta delle emozioni.
"Certo che non lo dimenticherò mai" disse come se stesse facendo, prima ancora di una promessa,
una semplice constatazione, e proprio per questo motivo Hagrid fu indotto a crederle.
"Anche se vedrò altri... altre persone" aggiunse guardando speranzosa il Guardiacaccia "Persone
coraggiose e simpatiche che non hanno avuto nessuna colpa, voglio dire."
Hagrid si sentì come quando Severus Piton snocciolava distrattamente lunghe e complesse formule
di pozioni, con quel tipico tono impaziente di chi si sta chiedendo se l'interlocutore possa
essere veramente così stupido da non capire.
"Sì?" prese tempo disperatamente, mentre cercava di ripensare a quando e con chi avesse visto
la signorina Chang negli ultimi tempi. Certamente non a lezione, perché Cho, così come la
maggioranza degli studenti del sesto anno, aveva deciso di non seguire il corso avanzato di
Cura delle Creature Magiche. Questo non era un pensiero che rallegrasse particolarmente Hagrid,
tantomeno dopo le sue ultime, penose esperienze con la Umbridge ed egli lo accantonò nell’
angolino mentale sempre più affollato delle cose che non vanno bene prima di
concentrarsi nuovamente nel cercare di ricordare dove avesse incontrato la ragazza.
Partite di Quiddich. Sala Grande. Quando era stata chiamata per accompagnare in infermeria una
piccola Corvonero che si era fatta male durante una lezione (questo non era un ricordo
piacevole, no, non lo era per niente). Allenamenti di Quiddich. Sì, Hagrid aveva intravisto Cho
ai bordi del campo dopo un allenamento. Insieme ad Harry. Quello che era successo in seguito
con Grop e con la Umbridge glielo aveva fatto completamente dimenticare.
Possibile... ma sì, perché no, in fondo? Harry non era più un bambino, dopotutto, ed era
plausibile che prima o poi cominciasse ad interessarsi alle ragazze. E come aveva appena
detto, Cho? Simpatico e coraggioso. Almeno secondo Hagrid, Harry era certamente molto
simpatico; e in quanto al coraggio, nemmeno il più maligno dei suoi detrattori avrebbe messo in
discussione che fosse coraggioso.
"Chissà perché" si azzardò a dire "chissà perché quando penso a un ragazzo simpatico e
coraggioso che non ha colpa delle brutte cose che gli capitano, io penso a Harry Potter."
"Harry Potter" ripetè Cho mentre il suo sguardo vagava per il viso di Hagrid senza fissarsi su
un punto in particolare "È sempre così attento a quello che pensano i suoi amici."
Il Guardiacaccia osservò la ragazza di sottecchi, piuttosto orgoglioso di aver indovinato che
ci potesse essere qualcosa tra lei e Harry. Attento a quello che pensano i suoi amici?
"Ronald Weasley e Hermione Granger, in particolare." chiarì Cho fermandosi finalmente per
guardare Hagrid negli occhi. C'era una vasta ombra violacea attorno all'occhio destro, proprio
come se qualcuno gli avesse tirato un pugno nell'occhio piuttosto di recente. 'Assurdo' pensò
Cho 'Forse si è preso un calcio mentre mungeva la capra. O più probabilmente ancora, ha
discusso con un Centauro’.
"Oh, sì. Questo è naturale, no? Lei ha una famiglia che le vuole bene, signorina Chang, ma
Harry, lo sa, ha perso i genitori da piccolo. Così i suoi amici sono diventati un po' la sua
famiglia. Anch'io..."
"Certo. Non ci avevo pensato. Che Hermione Granger fosse una specie di sorella per Harry."
osservò Cho in tono meditabondo.
"Qualcosa del genere." improvvisò Hagrid. Non era per niente sicuro che Harry vedesse Hermione
come una specie di sorella, a dir la verità. Non era nemmeno assolutamente certo che Harry non
vedesse Dudley - quello sciocco grassone con cui era cresciuto - come un fratello. Gli sembrava
molto improbabile, ma non del tutto impossibile.
"E la famiglia è importante." proseguì la ragazza, attorcigliandosi distrattamente una ciocca
di lisci capelli neri attorno a un dito mentre parlava.
"La famiglia è la cosa più importante di tutte, signorina Chang." replicò il Guardiacaccia con
convinzione.
"Certo, capisco, lo terrò presente." sorrise Cho sollevata "Professore?"
"Sì?"
"Mi scusi, ma che cosa è successo al suo occhio?"
"Occhio, quale occhio?" replicò Hagrid imbarazzato.
"L'occhio destro." indicò Cho.
"Niente. Ho sbattuto contro un ramo basso. Sono cose che capitano quando si è grossi come me."
spiegò Hagrid velocemente.
Sospirò e ripeté:
"La famiglia è la cosa più importante di tutte, signorina Chang. Uno farebbe qualsiasi cosa per
la sua famiglia."
Persino quando è formata solo da un gigante manesco e scontroso.
Cho pensò a sua madre, che la teneva abbracciata e le sussurrava che le lacrime sono salate
perché sono il sale della Terra.
"Sì, lei ha proprio ragione." convenne seria "Credo che adesso sarebbe meglio se andassi a
studiare."
"Certo" replicò prontamente Hagrid, che nonostante l'imprevedibile successo ottenuto non si
sentiva molto a suo agio nell'inconsueto ruolo del consolatore di fanciulle in lacrime "E io
devo assolutamente andare da Pomona - dalla professoressa Sprite, volevo dire. Anzi, ehm, ci ho
proprio paura che mi sono perso" aggiunse cercando invano di non calpestare la gonna di Cho
mentre si alzava.
"Il suo studio dovrebbe essere da quella parte - replicò Cho indicando prima alla sua destra e
subito dopo, con un sorriso di scusa, alla sua sinistra - Non lo so: temo di essermi persa
anch'io. Potrei fare un incantesimo di localizzazione..."
"Potrei salire quassù e dare un'occhiata" propose Hagrid guardando in alto verso la sommità
della scala.
"Forse sarebbe meglio se... - disse la ragazza, preoccupata che la scala non potesse sostenere
il peso dell'enorme guardiacaccia. Ma questi si stava già inerpicando per i gradini con
insospettata agilità, facendo ondeggiare e scricchiolare la struttura come un veliero sul punto
di cedere alla furia delle onde e presto scomparve nell'oscurità non del tutto naturale dell’
alto sottotetto.
"Che carini!" giunse la voce di Hagrid dopo un po' "Questi devono essere i nuovi nati. Scusate
il disturbo, neh."
"Lumos" comandò Cho cercando di penetrare l'oscurità ma un contro incantesimo di protezione le
rimbalzò contro e la fece finire per terra lunga e distesa. Si rialzò spolverandosi di nuovo i
vestiti, rassicurata che il tono del guardiacaccia fosse sembrato tutto tranne che preoccupato,
sebbene non fosse affatto da escludersi l'ipotesi che Hagrid si stesse rallegrando a quel modo
proprio per essersi infilato nella tana di creature potenzialmente e rapidamente letali. Non
sarebbe stata la prima volta.
"C'aveva ragione, sa?" giunse il vocione del guardiacaccia insieme al rumore di un furioso
sbattere d'ali "È proprio dove diceva lei..."
Il resto della frase fu coperto da un coro di stridii e dal battere dei tacchi di Hagrid sui
gradini mentre scendeva a precipizio tenendosi una mano sugli occhi.
Cho si spostò per fargli spazio mentre lui balzava direttamente sul pavimento saltando in un
colpo solo tutta la parte inferiore della scala, inseguito da tre o quattro grosse creature
nere che gli svolazzavano attorno artigliando dita, barba, capelli e ogni lembo scoperto di
pelle. Cho usò un incantesimo di difesa per liberare Hagrid dall'assedio di quelli che
sembravano dei pipistrelli particolarmente feroci e combattivi e poi cominciò a correre senza
curarsi della direzione, temendo che l'effetto della sua magia su quelle creature semi-magiche
non sarebbe durato a lungo. Mentre correva, sentiva i passi pesanti del gigantesco
Guardiacaccia rimbombare alle sue spalle.
"Li ho fatti un pochino arrabbiare" osservò Hagrid filosoficamente, quando finalmente si
fermarono ormai a corto di fiato. Allungò una mano per dare una pacca sulla spalla di Cho ma
per fortuna si fermò appena in tempo per risparmiare alla giovane strega una lussazione dell’
articolazione. Sorrise tra sé e sé ricordando quanto era invece magnificamente solida e
resistente la sua Olimpia, alla quale poteva dare amichevoli pacche sulla schiena, complici
gomitate nelle costole e affettuose strizzatine sul braccio senza provocare nessun danno.
Anzi, quando Olimpia lo strattonava per la manica egli barcollava esattamente come avrebbe
fatto un malcapitato qualsiasi a cui una donna normale avesse deciso di riservare il medesimo
trattamento.
Un rivolo di sangue colava dal labbro superiore di Hagrid direttamente sulla barba e la sua
folta capigliatura era acconciata in quello che sembrava un inizio di nido. Cho notò che ora
aveva un profondo graffio anche sulla guancia sinistra che faceva piacevolmente pendant
con l'ombra violacea attorno all'occhio destro.
Sbirciò a lato del corpo del guardiacaccia, che ostruiva quasi completamente il corridoio:
sembrava proprio che i loro inseguitori avessero rinunciato. Del resto, era probabile che un
incantesimo li tenesse confinati nella loro torre, poiché non sarebbe stato piacevole per gli
studenti di Hogwarts ritrovarseli sopra la testa all'improvviso mentre facevano colazione in
Sala Grande.
"Se non sbaglio" osservò Hagrid giulivo annusando l'aria nello stesso identico modo di Thor
"Questo è l'inconfondibile odore della pozione che la professoressa Sprite usa per i Pidocchi
Viola, così le sue Mandragore non si grattano."
Cho si stava chiedendo perché la professoressa Sprite non distillasse le sue pozioni nella
serra, invece di ammorbare i corridoi della scuola con quell'odore disgustoso, quando il
guardiacaccia le fornì la spiegazione:
"È una pozione molto molto delicata, come lei certamente saprà. Basterebbe il minimo raggio di
sole a rovinarla. È proprio brava la professoressa Sprite" sospirò ammirato. "Il suo ufficio è
in fondo a quel corridoio mentre le sale comuni sono dalla parte opposta. Grazie per avermi
accompagnato, signorina Chang.”
"Prego, professore. È stato un piacere. Mi ha fatto bene parlare con lei." sorrise Cho. Restò a
guardarlo, mentre si incamminava nel corridoio fiocamente illuminato, proiettando sulle pareti
un'ombra ancora più gigantesca di lui.
‘Sembra proprio un grosso orco’ pensò Cho.’Un grosso orco dal cuore gentile che cammina in
questo mondo con passo pesante.’
Come se fosse una grossa nuvola benevola e carica di pioggia, che non mancava di innaffiarlo
regolarmente di acqua e di sale.