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Autore: _Pulse_    28/09/2011    2 recensioni
Il ragazzo seduto sul ramo si voltò e lei ebbe la sua conferma: era lui.
Franky si alzò in piedi e saltò di ramo in ramo senza alcuna paura, fino ad arrivare a quello più vicino alla finestra. Si acquattò ad un palmo dal suo viso e in quel modo riuscirono a guardarsi negli occhi senza alcuna difficoltà.
[...] «Io l’avevo detto che avresti avuto i suoi occhi», sussurrò soddisfatto.
{Sequel di Nothing to lose e Everything to gain}
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lose and Gain'
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21. Archangel of the Sun

 

They said we shouldn’t, they said we wouldn’t
Look where we are, we’ve done what they thought we couldn’t

 

Con la testa appoggiata all’indietro sullo schienale del divano, guardava Bill dormire rannicchiato come un bambino, nonostante i suoi anni. La tv accesa di fronte a lui gli illuminava il viso, sul quale regnava una pace apparente. Puntando lo sguardo oltre, vide Evelyn seduta contro il bracciolo. Erano proprio agli antipodi, divisi dal corpo del cantante.

Lei si accorse presto del suo sguardo insistente, voltò il viso verso di lui e sorrise in maniera impacciata, lasciando sospesa la mano con cui si stava portando alla bocca una caramella gommosa.
«Ti do’ fastidio se mangio?», gli domandò in un sussurro, per paura di svegliare suo padre.

«No, figurati… Ti guardavo», rispose altrettanto piano l’angelo.

«Guardavi me o i miei pensieri?».

Franky ridacchiò. «In quel momento ero soltanto focalizzato sul tuo viso, stavo pensando ad altro».

«Cioè?».

L’angelo temporeggiò, guardò il soffitto con gli occhi lucidi ed accennò un sorriso amaro. Allora Evelyn si alzò dal divano, gli andò di fronte e si mise a cavalcioni sulle sue gambe. Franky non seppe cosa fare né dove mettere le mani e il panico si diffuse nei suoi occhi. 

«E se Bill si sveglia e ci vede in questa posizione? Non è prudente!».

«Smettila di agitarti, o si sveglierà davvero!», lo rimproverò prendendogli il viso fra le mani e costringendolo a guardarla negli occhi, con l’unica conseguenza che entrambi si persero nelle iridi dell’altro.

 

Girl in you I find a friend, you make me feel alive again
And I feel like the brightest star, ‘cos you make me shine again

 

Franky si leccò le labbra improvvisamente asciutte, Evelyn le guardò e tutti e due, istintivamente, si avvicinarono al viso dell’altro. Quando i loro nasi si sfiorarono e i loro fiati si fusero in uno, però, si accorsero di quello che stavano facendo e si irrigidirono, mormorando: «Niente più guai», il loro giuramento.
I loro sguardi si incrociarono di nuovo e sorrisero contemporaneamente, sospirando. Perché il loro amore era un amore impossibile? Era una vera e propria ingiustizia.

La ragazza si appoggiò alla sua spalla con la fronte e chiuse gli occhi sentendosi stringere forte dalle sue braccia. Non si era mai sentita sicura così come si sentiva ogniqualvolta stesse fra le braccia dell’angelo.

«Pensavo a lui», sussurrò ad un certo punto Franky, iniziando ad accarezzarle i capelli sulla nuca. «Pensavo a come sarebbe stato se fosse nato… Il piccolo me, solo con i tuoi occhi… Saremmo stati una bella famiglia». Evelyn sollevò il capo e guardò le lacrime scorrere sulle guance di Franky, mentre lui tirava su col naso e se lo massaggiava per smetterla.
«Mi dispiace così tanto», proseguì con la voce roca e spezzata dai singhiozzi. «Avrei dovuto dirtelo, ma… non volevo farti altro male e non ce la facevo proprio. Credevo che mi avresti odiato, faceva troppo male…».

«Shhh», sussurrò, posando la fronte contro la sua ed asciugandogli le lacrime con le dita. «È tutto a posto, va bene così». Lo abbracciò e gli premette il viso contro la sua spalla, riversando su di sé tutte le sue lacrime. «Io non potrei mai odiarti. Ci ho pensato tanto e… era la cosa migliore da fare, dopotutto». Franky la guardò con le labbra socchiuse, stupito. «Non dico che non l’avrei tenuto, ma… adesso vedo tutto da un’altra prospettiva e sento che sarebbe stato sbagliato: per me, per te, ma soprattutto per lui». Accennò un sorriso. «Adesso basta piangere, dai».

«Ti amo», mormorò lui, con gli occhi ancora colmi di lacrime.

Gli posò un bacio fra gli occhi, uno sulla punta del naso ed uno sul mento, poi sussurrò: «Anche io, non sai quanto».

«Però…», la incalzò, passandosi sul viso le maniche della felpa per spazzare via ogni traccia evidente delle lacrime appena versate.

«Non c’è nessun però, è un dato di fatto».

«Intendevo dire… però io sono un angelo, però c’è anche Martin».

«Martin», Evelyn ripeté il suo nome a testa bassa, come se si stesse sforzando per ricordarselo. Ma sapeva bene chi era, sapeva bene – o forse no – quello che provava per lui, ed era un macello.

Franky sospirò stancamente e le prese le mani nelle sue. «Senti, Evelyn…».

La ragazza però non gli diede ascolto, la preoccupazione prese il sopravvento sul suo viso e si spostò dalle sue gambe. Anche l’angelo si voltò a vedere che cosa l’avesse allarmata tanto e vide Lilith oltre le porte finestre, che li salutava con la mano e con un sogghigno piuttosto inquietante.

«Stai indietro», le ordinò Franky, alzandosi ed allontanando Evelyn col braccio.
Si diresse verso il demone, che lo attese senza muovere un muscolo. Una volta faccia a faccia, separati soltanto dalla lastra di vetro, Franky disse: «Non pensavo ti facessi ancora viva oggi, dopo la lezione che ti ha dato Kim».

«Taci, angelo. È ora di finirla», sentenziò con rabbia. «Che ne dici se ci battiamo stasera e chi vince ottiene il controllo dell’essere umano?».

«No, te lo puoi anche scordare».

«La mia era una domanda retorica», sibilò e con un movimento tanto rapido quanto brusco trapassò il vetro con una mano, prese la nuca dell’angelo e con una forza che non si sarebbe mai aspettato lo schiantò a terra, sotto la veranda.

Sentì Evelyn all’interno gridare spaventata, ma Bill non si svegliò.

«Che cosa gli stai facendo, stronza», le ringhiò contro, alzandosi a fatica, con le orecchie che gli fischiavano per la botta ricevuta.

«Oh, niente… l’ho solo messo in standby, giusto per il tempo necessario a farti fuori e rimpossessarmi di lui».

L’angelo gridò pieno di rabbia ed andò alla carica, correndo verso di lei e travolgendola. Caddero stesi sulle assi di legno della veranda, uno sopra l’altra, e se le diedero come meglio poterono: graffi, pugni, calci… fino a quando Lilith non fece cadere Franky giù dalle scalette che portavano al giardino, facendogli sbattere la schiena.

Franky gemette, dolorante. L’effetto della medicina era decisamente finito. Per fortuna tra lui ed Evelyn si erano risolte un paio di questioni che altrimenti gli avrebbero fatto altro male e gli avrebbero sottratto ulteriori energie. Si sentiva sostanzialmente bene, ma non tanto da affrontare un demone. Aveva bisogno di rinforzi. Se solo si fosse ricordato come fare a lanciare un segnale d’aiuto ad altri angeli nei paraggi…

«Beh, tutta qui la tua forza angelica?», lo beffeggiò, guardandolo dall’alto. «Io sono ancora in forma umana, mi sto ancora riscaldando!».

«Sei proprio…», biascicò, ma venne interrotto da un calcio al fianco, che lo fece accartocciare su se stesso.

«Risparmia le parole per le tue ultime preghiere». Lilith si accucciò e sulla schiena iniziarono a spuntarle due ali nere, formate solo da grosse ossa scure: si stava trasformando in demone. Le cose si mettevano sempre più male per lui.

Mentre cercava di alzarsi, stringendo tra i pugni fasci d’erba umida, desiderò con tutte le sue forze che altri angeli lo sentissero ed accorressero in suo aiuto, poiché era consapevole che da solo sarebbe stato fatto fuori in men che non si dica.
Quando alzò lo sguardo però, si accorse che Lilith aveva completato la sua trasformazione ed era proprio un demone agghiacciante, tutto ossa e tenebre, e di altre figure angeliche nemmeno l’ombra. L’avevano lasciato solo?

«Fatto o vuoi che ti conceda altri due secondi?», domandò il demone con la sua voce reale, che non aveva nulla a che fare con una voce di donna, mentre estraeva da una specie di fodero una spada nera, avvolta da un’aura più che negativa. Con la punta gli toccò il mento per sollevargli il viso contratto di una smorfia di puro disgusto, oltre che di dolore.

«Tempo scaduto», gli sussurrò e sollevò la spada per conficcargliela nel petto, quando le porte vetrate del salotto si aprirono alle loro spalle ed Evelyn corse fuori, gridando il nome dell’angelo.

Franky sfruttò il momento di distrazione di Lilith e le balzò addosso, combatté con quell’ammasso di ossa nere e fece di tutto per levarle la spada che teneva in mano, ma non ci riuscì: per il demone fu facile liberarsi di lui e lo stordì colpendolo alla testa con il manico della spada, facendolo ruzzolare di nuovo a terra, quella volta privo di sensi.

«No, Franky, no!», gridò ancora Evelyn, sentendosi impotente, capace soltanto di guardare e piangere.

«È tutto inutile, ragazzina», le disse Lilith, sorridendo maligna. «È la fine per lui».

«No! No, invece!». Corse da lui – Lilith non glielo impedì, anzi sembrò che l’avesse lasciata passare di proposito – si inginocchiò al suo fianco e gli posò la testa sulle sue gambe, accarezzandogli il viso graffiato. «Franky. Franky, mi senti?», gli sussurrò singhiozzando e lui reagì alla sua voce, ma era troppo stanco e debole per aprire gli occhi e risponderle. O meglio, lo fu fino a quando lei non gli posò entrambe le mani sul petto, rannicchiata su di lui: lì le cose cambiarono radicalmente.

 

And every time I nearly hit the ground, you were my cushion
There’s evidence that proves, that you were Heaven sent
‘Cos when I needed rescuin’, you were there at my defence

 

Iniziò a sentire un piacevole calore dentro di sé, che gli fece recuperare le forze. Ricordò di averne provato uno simile, solo per un istante, quando era riuscito ad infrangere gli arresti domiciliari. Quando aprì gli occhi, di nuovo lucido, si rese conto della forte luce che emanava la sua pelle: era incredibile, non gli era mai successa una cosa del genere e non se la sapeva spiegare. Anche Evelyn era scioccata e confusa. Si guardarono negli occhi e l’angelo capì immediatamente, senza nemmeno sapere come, che lei c’entrava, che era lei l’artefice di tutto quello.

Si alzò, pieno di energia positiva, ed affrontò a testa alta il demone che si copriva gli occhi con un braccio, infastidito dalla sua luce. Sentì qualcosa premergli contro la nuca, se la tastò e trovò l’impugnatura di un’arma: lentamente la estrasse dal fodero che solo successivamente avrebbe scoperto in mezzo alle sue grandi ali e se la portò di fronte al viso, sotto lo sguardo incredulo di Evelyn. Era una spada molto simile a quella del demone, ma sprigionava un’energia purificatrice dalla forza spaventosa, tanto da vibrare fra le sue mani, e la sua lama lucente era avvolta da fiamme di un arancione intenso.

Franky alzò lo sguardo verso Lilith e sorrise con una punta di arroganza. «Okay, io sono pronto. Anche tu hai finito di pregare?».

Il demone ringhiò, ferito nell’orgoglio, e si scagliò contro di lui senza alcuna esitazione. L’angelo non aveva mai nemmeno impugnato una spada, solo in quel momento si rese conto che non sapeva minimamente cosa fare, ma fu più facile del previsto: la maggior parte del tempo fu la spada a guidare lui, a dirgli che mosse fare e come colpire – c’era come un legame mentale fra loro, andavano in simbiosi.

Il duello, però, non fu affatto una passeggiata. I loro colpi non andavano mai vuoto: o si colpivano fra loro, procurandosi sfregi o comunque ferite di non grande rilevanza, oppure le lame delle loro spade cozzavano fra loro dando vita ogni volta a scintille che sembravano fuochi d’artificio e facendo un rumore infernale, udibile alle orecchie degli angeli addirittura a chilometri di distanza. Infatti, qualche minuto dopo l’inizio della battaglia, si radunò intorno a loro una schiera di angeli custodi e di angeli speciali, tra cui anche la sorella di Margot e la nonna della piccola Reja. 
Anche una schiera di demoni fu attirata dallo scontro, ma nessuno si intromise: c’era un silenzio quasi surreale, del quale Evelyn aveva un po’ paura, perché si trovava fra due schieramenti che si battevano esattamente per le cose opposte – uno per l’amore, uno per l’odio; uno per la felicità, uno per la sofferenza… – e che non si sopportavano a vicenda; sarebbe potuta scoppiare una seconda battaglia, proprio nel suo giardino, in qualsiasi momento, e lei ne sarebbe stata sicuramente coinvolta. Da quello che poteva osservare, però, tutta l’attenzione dei due partiti sembrava rivolta al combattimento tra Franky e Lilith, come se loro due fossero i due capi degli eserciti rivali e spettasse solo ed esclusivamente a loro decidere l’esito di quella guerra.

Franky avanzò, mettendo alle strette il demone, e quando si accorse di averla in pugno si fermò con la lama infuocata a pochi millimetri dalla sua gola, col proprio corpo premuto contro il suo per non farla muovere.

«Fallo, eliminami», disse Lilith con rabbia.

Franky tentennò. Era la cosa giusta, eliminarla, eppure… non ce la faceva proprio ad uccidere qualcuno, anche se quel qualcuno aveva attentato alla vita di Bill e di Evelyn.

Il demone lo fissò e dopo qualche secondo iniziò a sganasciarsi dal ridere. «Sei ridicolo!».

«Non costringermi a fare ciò che non voglio», disse a denti stretti, combattuto. Quanto avrebbe voluto fargliela pagare per quello che aveva fatto a Bill e quello che aveva tentato di fare Evelyn, ma c’era qualcosa dentro di lui che lo bloccava. Quella volta la furia cieca che l’aveva colto quando aveva pestato Samuel non c’era, nemmeno un briciolo, e tutta la sua bontà ricadeva proprio su un essere che non meritava nulla.

«Cosa vorresti che facessi, che passassi dalla tua parte, che diventassi un angelo?!». L’aveva detto ridendo, come se fosse un’idea talmente ridicola che non andava nemmeno considerata, per questo rimase allibita quando udì quel semplice «Sì» uscire dalle labbra di Franky, che la guardava quasi in pena per lei.
«Credi davvero che potrei fare una cosa del genere? Ti sei completamente fumato il cervello», lo fulminò con lo sguardo. «E ora, se permetti, falla finita. Preferisco morire, piuttosto che diventare una pappamolle come voi».

Franky sbuffò dal naso, incassando il colpo, e con velocità impressionante conficcò la spada di fuoco nel ventre del demone, che si frantumò, si polverizzò e alla fine diventò fumo di fronte a lui. Aspettò che non rimanesse alcuna traccia di lei, poi si voltò e vide la schiera di demoni volare via strillando e dimenandosi come se stessero piangendo quella perdita, mentre gli angeli continuavano a rimanere composti, come un calciatore che ha appena segnato un goal ma che non esulta per rispetto dell’avversario; solo che nel loro caso non c’era rispetto per quel demone, ma solo dispiacere: anche loro, esattamente come lui, erano combattuti fra il senso di giustizia e ciò che imponeva la loro morale, ossia che ogni vita, anche quella del demone più malvagio, era pur sempre una vita che avrebbe potuto salvarsi, se avesse accettato di passare al bene.

Lentamente il bagliore emanato dalla sua pelle scivolò via, come tutte le sue forze. La spada di fuoco si spense e Franky la ripose nel fodero fra le sue ali, che svanì subito dopo, incorporato dal piumaggio candido.
Quando era stato quella specie di angelo cavaliere si era sentito invincibile; adesso, invece, tornato semplice angelo custode, si sentiva svuotato, come se quel bagliore e quella spada, spegnendosi, avessero risucchiato dentro di loro tutta la sua forza.
Per questo barcollò, con la testa che gli girava vorticosamente. Le braccia esili di Evelyn però furono pronte a sorreggerlo. L’angelo si abbandonò totalmente a lei, ma posò le mani sulla sua nuca, mentre le strusciava il naso contro la guancia e il collo per sentire il suo profumo.

«Stai bene?», gli domandò lei, preoccupata.

«Sì, ora sì», sospirò, ma perse i sensi poco dopo.

 

No matter where we are,
no matter just how far are paths may lead
We don’t need no shields, love is the armour that we need
We’re invincible (we are), invincible (you are)
Invincible, love’s our protector
Invincible (we are), invincible (you are)
Invincible, we’re invincible

 

Bill si svegliò all’improvviso, col fiatone. Provò la sgradevolissima sensazione di aver dormito come un sasso, ma solo per un attimo, così fugace da stordirlo. 
Si tirò a sedere grattandosi la testa e grazie alle porte vetrate notò sua figlia nel bel mezzo del giardino, che… Si stropicciò gli occhi, incredulo, ma ciò che aveva visto poco prima non cambiò: stava abbracciando Franky, anzi sembrava che lo stesse sorreggendo. Quello che l’aveva sorpreso, se non scioccato, era la tenerezza, l’intimità di quell’abbraccio, fuori dal comune, troppo intensa per appartenere a due persone che a malapena si conoscevano. Sua figlia gli aveva nascosto qualcosa e ora riusciva a capire il motivo di molti suoi comportamenti strani… tutto parve infinitamente chiaro, anche se non così tanto da allarmarsi: infondo… non era possibile che fosse successo qualcosa di più fra di loro, vero? Ma allora perché Evelyn avrebbe dovuto tenergli nascosta la loro amicizia?

Si mordicchiò le labbra, nervoso, quando vide sua figlia allarmarsi chiamando il nome dell’angelo, che non rispondeva e non reagiva ai suoi strattoni. Bill si mise inginocchiato sul divano per vedere meglio e guardò sua figlia posare delicatamente il corpo di Franky a terra, forse aiutata da qualcuno che lui non riusciva a vedere – forse un altro angelo – e cercare di rianimarlo. Ad un certo punto Evelyn si fermò ad ascoltare la presenza invisibile accanto a lei ed annuì, passandosi una mano sul viso, poi si alzò e guardò Franky venir sollevato di peso e portato via. La osservò guardare il cielo pensierosa ed ansiosa per qualche altro minuto, poi quando la vide girarsi per rientrare in casa si gettò di nuovo sdraiato sul divano, con le coperte addosso, e fece finta di dormire. Intanto ascoltò i rumori intorno a lui: la porta finestra che scorreva aprendosi e chiudendosi, i passi leggeri di Evelyn, il modo in cui tirava su col naso, l’interruttore della luce e lo spostarsi di qualcosa nella credenza, forse delle tazze.

Provò ad aprire un occhio e verificò che sua figlia si trovasse in cucina. La vide mettere sul fuoco un pentolino con un po’ d’acqua per farsi una tazza di thè, poi recuperò il cellulare che aveva lasciato nella parte del salotto più vicina alla cucina ed inoltrò una chiamata, tornando in cucina e portandoselo all’orecchio.
Bill non era certo di poter origliare da quella distanza, così si alzò dal divano, nonostante corresse il rischio di essere scoperto, e si nascose dietro il muro accanto alla porta.

«Zio… ti ho svegliato, vero?». Iniziò così la telefonata di Evelyn, fatta proprio a suo fratello Tom. Allora anche lui sapeva cose delle quali invece lui non era a conoscenza?

«No, non mi è successo niente, sto bene, ma credo che Franky non stia così tanto bene… No, è inutile che vieni, non è più qui. In pratica… Lilith è venuta qui, lei e Franky hanno iniziato a litigare e sono arrivati a picchiarsi… Io non so bene cosa sia successo, però Franky ad un certo punto ha iniziato a brillare tutto, ad essere caldo, e ha tirato fuori una spada che al posto della lama aveva del fuoco. Ha fatto fuori Lilith e dopo è svenuto, esausto… Sono venuti ad assistere al combattimento molti angeli e molti demoni, ma nessun li ha aiutati, diciamo… sono stati soltanto a guardare… Ora l’hanno portato in Paradiso, alcuni degli angeli che erano qui ad osservare. Ho avuto tanta paura zio… No, ma sto bene, sto bene». Minuto di silenzio, nel quale Bill riuscì anche a sentire la voce gracchiante di suo fratello, ma non riuscì a comprendere con precisione le sue parole. Poi Evelyn riprese: «Sì, anche papà sta bene. Non si è nemmeno svegliato, non so perché… Comunque adesso non so, provo ad andare a dormire, ma dubito che ci riuscirò. No, ti ho già detto che sto bene, è solo che ho paura per Franky… Non è giusto che soffra così solo per le nostre debolezze. Se papà non avesse mai dato retta a quella ragazza…».

Un nodo allo stomaco lo fece voltare e in quel modo si fece vedere da sua figlia. Forse si fregò da solo, ma non voleva sentire altro: si sentiva abbastanza in colpa di suo.

«Chi è?», le domandò con la voce ancora roca dal sonno, stringendo gli occhi a causa della luce.

«È… è zio Tom», rispose un po’ spaventata. «Ci vuoi parlare? Tieni», gli mollò il cellulare fra le mani ed uscì in fretta dalla cucina, massaggiandosi il collo.

Bill si appoggiò al bancone di marmo della cucina e si portò l’apparecchio all’orecchio, sbadigliando assonnato. «Tom…».

«Ehi Bill, stai bene?».

«Diciamo di sì. Ho origliato, ho sentito ciò che ha detto Evelyn».

«Qualsiasi cosa tu abbia capito, hai frainteso», si difese subito, come se sapesse da molto tempo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato.

«Non penso di aver frainteso: li ho visti abbracciati».

Tom ridacchiò nervosamente. «Pff, un abbraccio! Cosa sarà mai!».

Ma Bill conosceva bene il suo gemello. «Tom, per favore…».

«Non c’è niente tra di loro». Non più, ormai. Solo amore platonico. «Te lo assicuro».

«Ma…».

«Ora è tardi, ho sonno. Ci vediamo domani, okay? E se vedi Franky prima di me, ringrazialo per averti salvato il culo, invece di fargli l’interrogatorio». Chiuse la chiamata bruscamente e Bill rimase in silenzio ad ascoltare i bip che si susseguivano l’uno dietro l’altro: sembravano quasi i battiti di un cuore automatico, privo di emozioni e sentimenti.

 

***

 

Si girò sul fianco, sospirando, e cercò di aprire gli occhi per quanto il sole che gli batteva sul viso gli permetteva.
Un’ombra lo coprì e riuscì a focalizzare il volto teso, quasi arrabbiato, di Zoe di fronte al suo.

«Quanto sei idiota, da uno a dieci?», gli domandò severamente.

«Undici, solitamente», rispose schiarendosi la gola con qualche colpetto di tosse. «Che ho fatto stavolta?».

«Perché non mi hai detto che mio marito – mio marito! – era stato abbindolato da un demone che quasi ti faceva fuori?!».

Franky si girò sull’altro fianco e disse: «Puoi arrivarci benissimo da sola».

«Okay, forse ti avrei assillato giorno e notte e avrei voluto vederlo molte più volte del previsto, ma…».

«Se tu fossi scesa di sotto, il demone avrebbe cercato di attaccare anche te e sai che cosa succede, se la tua anima viene ferita ulteriormente?».

«Rischierei di non svegliarmi più… Quindi l’hai fatto per il mio bene?».

«Tutto quello che faccio, è per il bene, tuo o di chiunque altro. Ma l’ho fatto soprattutto perché mi avresti assillato giorno e notte», ridacchiò.

«Sei un cretino, Franky», gli diede un pugnetto sulla spalla, con quel suo adorabile broncio sul viso, ma poi si chinò su di lui e lo abbracciò. «Grazie, grazie davvero».

«Dovere, piccola», sorrise e le massaggiò la schiena con una mano.
Quando si sollevò e poté guardarla negli occhi, le chiese: «Per quanto ho dormito?».

«Sei arrivato qui questa notte, era quasi l’una… adesso sono le nove. Il dottore ha detto che avevi bisogno di molto riposo. Come ti senti adesso?».

«Io… bene, sì». Dopo quella dormita, le energie gli erano tornate, si sentiva in forma.

Si tirò seduto sul letto e si guardò intorno: una normalissima stanza di ospedale, come ne aveva viste tante in quel periodo. La sua attenzione fu attirata da un mazzo di fiori che ormai, per specie e colore, sapeva esattamente a chi imputare. 
«Me li ha portati Kim?», domandò alla sua protetta.

«Sì, esatto. Dormivi ancora, ha preferito non svegliarti. Ti ha lasciato lì un biglietto». Allungò il collo per vedere di cosa si trattasse, curiosa; Franky se ne accorse e sorrise birichino:

«Strano che tu non l’abbia già letto».

Zoe divenne tutta rossa ed incrociò le braccia al petto. «Per chi mi hai preso?».

L’angelo ridacchiò, divertito. Man mano che leggeva il sorriso dolce che aveva sulle labbra si allargava sempre di più.

«Che dice?», chiese la donna.

«Nulla, che come al solito mi caccio sempre nei guai e che devo riprendermi presto…».

«C’è scritto qualcosa anche dietro», gli fece notare.

Franky girò il fogliettino e lesse mentalmente quelle ultime parole scarabocchiate malamente:

 

P.S. Sei più di quanto tu possa immaginare.

 

Che vuol dire? si domandò l’angelo, confuso.
La risposta gli venne data qualche minuto dopo, quando San Pietro entrò nella sua stanza per fargli visita e dopo i soliti convenevoli chiese a Zoe di lasciarli soli un attimo.

«È qualcosa che non posso sapere?», domandò con tono sarcastico la donna, offesa.

«No. Semplicemente è una questione delicata di cui preferirei parlare prima con Franky», le rispose il santo.

«Okay, ho capito», sospirò ed uscì dalla stanza, lasciandoli soli.

L’angelo custode guardò il suo mentore, frastornato. Capiva poco o niente di tutto ciò che stava succedendo e in effetti una motivazione c’era.

«Come posso iniziare?», gli chiese San Pietro, sospirando e sedendosi sulla sedia accanto al suo letto. Per Franky guardarlo negli occhi era difficile, in quella posizione la luce del sole lo abbagliava.
«Sicuramente ti sarai accorto che quello che ti è successo ieri sera è anomalo. Non ti era mai successa una cosa del genere, giusto?».

«Esatto. È di questo che dobbiamo parlare, di quello che ho fatto? Se ho fatto qualcosa che non dovevo mi dispiace, non avevo mai affrontato nulla di simile, non sapevo come comportarmi…».

«Non devo rimproverarti, se è questo quello che credi», lo rassicurò con un sorriso. «Devo solo informarti che la tua vera natura si è finalmente mostrata». Franky sgranò gli occhi. Continuava a non capire. «Il bagliore del tuo corpo, il tuo calore, la spada infuocata che ti è nata in mezzo alle ali e con la quale hai sconfitto uno dei demoni più potenti in circolazione – perché era davvero uno dei più potenti, se non te ne eri ancora accorto… Sono tutti segni della tua vera natura, di ciò a cui sei stato sempre destinato e che finalmente, nella tua crescita spirituale, sei diventato».

«Per favore, me lo dica lei, io…», balbettò, portandosi una mano alla fronte, sempre più confuso.

Il santo sorrise compassionevole e allo stesso tempo pieno di orgoglio, gli prese il capo fra le mani e gli disse con tono pacato: «Tu sei un arcangelo, figlio mio».

L’angelo si ritrasse, spaventato, e lo guardò con gli occhi spalancati, quasi lucidi. «Che… che cosa? È impossibile».

«Eppure quello che hai fatto ieri lo dimostra, ti sei comportato esattamente come un arcangelo: grazie ad Evelyn l'arcangelo che dormiva dentro di te si è svegliato ed assieme alla spada di fuoco sei diventato un’arma di Dio contro le forze del male, sconfiggendole. Lo so che adesso ti senti disorientato e anche spaventato, ma presto capirai quanto sia importante questo incarico e quanto tu sia importante per il mondo degli umani».

«Non voglio essere un arcangelo», scosse il capo con decisione.

«Non puoi non volerlo, tu lo sei. Aspettavamo da secoli la venuta di un nuovo arcangelo, cercavamo di capire chi fosse il prescelto fra i nostri migliori angeli, e sei arrivato tu… ora ne manca solo uno, il settimo». San Pietro parlava con aria sognante, quasi fanatica, quando Franky era soltanto terrorizzato.

«Che cosa intende dire?».

«Vedi… gli arcangeli sono i “capi” di tutti gli angeli, sono a livello gerarchico i più importanti insieme ai serafini; hanno una grande importanza nella vita degli umani, in quanto amministratori delle cose laggiù, mandati da Dio. Gli arcangeli sono in grado di aiutare qualunque essere umano in difficoltà, sono come… degli angeli custodi universali».

«Questo io potevo farlo già prima, quando ero un semplice angelo custode», gli disse con durezza, come se volesse dimostrare che tutto ciò che stava dicendo era infondato e lui ne era la prova. Ma si sbagliava di grosso, perché inconsciamente non faceva altro che sostenere le sue parole. 

«Tu riuscivi a farlo perché dentro di te riposava l’anima di uno dei due arcangeli ancora non rivelati, che ora si è risvegliata».

«Che cosa vuol dire, di quale tra i due arcangeli?». Franky sollevò il sopracciglio, ora scettico, quasi arrabbiato. Lui non voleva essere un arcangelo, non voleva avere così tante responsabilità sulle spalle, sembrava fin troppo faticoso e nelle sue condizioni, anche volendo, non sarebbe riuscito a fare nulla di ciò che gli sarebbe stato chiesto.

«Vedi, gli arcangeli sono solo sette», gli spiegò e venne interrotto quasi subito.

«Solo sette?! Com’è possibile che ce ne siano così pochi?! Come fanno sette arcangeli a vegliare su tutto il pianeta?!».

«Calmati, Franky. Gli arcangeli non sono soli, hanno l’aiuto dei serafini, di tutti gli angeli speciali, degli angeli custodi… Diciamo che gli arcangeli intervengono nelle situazioni più critiche».

«Ad esempio?».

«Ad esempio, quando sono previste grandi tragedie che coinvolgono l’umanità: gli arcangeli intervengono per far sì che non accadano. A volte ci riescono, a volte no…».

Franky scosse ancora il capo con la testa posata sul cuscino, chiudendo gli occhi alle lacrime. «E il mio incarico da angelo custode? Che ne sarà di Zoe?».

«Stai tranquillo, avrai tempo per riorganizzare tutta la tua vita. Non dovrai iniziare a lavorare subito come arcangelo, hai la possibilità di ottenere una specie di deroga per poter concludere le ultime tue missioni come angelo custode, poi…».

«Poi sarò costretto a diventare arcangelo».

«No, figlio mio, no. Tu lo sei già», sussurrò, prendendogli le mani fra le sue. «E ancora non ti rendi conto del dono che hai ricevuto. Presto però lo comprenderai e ti sentirai onorato di ricalcare questo ruolo».

L’angelo evitò il suo sguardo, rivolgendo il viso dall’altra parte, mordicchiandosi le labbra. San Pietro si alzò sospirando, un po’ dispiaciuto, ma sapeva che sarebbe stato difficile con lui, così attaccato al suo lavoro attuale e così timoroso di ricominciare tutto da capo.
Si diresse verso la porta e giusto un momento prima di uscire e di lasciarlo solo a riflettere, venne fermato dalla sua voce, che spinta dalla curiosità e dalla sua tipica voglia di sapere, gli chiese: «Come mai sono solo sette, gli arcangeli?».

San Pietro sorrise. «Questo è stato il disegno di Dio. Ogni arcangelo rappresenta un lume tradizionale: Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno».

«E io… quale rappresenterei, fra questi?».

Il santo si voltò e lo guardò negli occhi. «Tutti quelli che ti hanno incontrato e che ti hanno più o meno conosciuto si sono accorti che tu avevi qualcosa di speciale. Tu sei unico nel tuo genere, Franky, e lo spirito immortale dell’Arcangelo del Sole ha scelto te per tornare a compiere il volere divino».

«L’Arcangelo del Sole», ripeté a bassa voce, per crederci davvero.

San Pietro gli rivolse l’ennesimo sorriso e lo salutò, ma nemmeno quella volta riuscì ad andarsene, perchè Franky gli pose l'ultima domanda, forse quella che meritava una spiegazione più di tutte le altre: «Perché proprio grazie ad Evelyn? Perchè l'arcangelo che era in me si è risvegliato grazie a lei?». 

Lo sguardo di San Pietro si illuminò, ma la sua risposta fu una breve scrollata di spalle; poi uscì dalla stanza lasciandolo ai suoi ragionamenti. Si chiuse la porta alle spalle e vide Zoe che passeggiava concitata su e giù per il corridoio e che appena lo vide gli chiese: «È successo qualcosa?».

«No, nulla», la rassicurò. «Però ora Franky è stanco, è meglio lasciarlo riposare un po’». La donna annuì, anche se incerta. «Ah, appena lo vedi di nuovo digli soltanto di non preoccuparsi se inizierà a crescere, è una cosa normale», aggiunse lui. Dopodiché guardò il santo allontanarsi fischiettando lungo il corridoio semideserto dell’ospedale.

Zoe si avvicinò alla porta della camera del suo migliore amico e vi sbirciò all’interno attraverso la finestrella incassata nel legno: lo vide stanco, con una smorfia sul viso e gli occhi lucidi.

 

***

 

Evelyn sentì i passi di suo padre e si irrigidì sullo sgabello del bancone della cucina su cui era seduta. Bill, dal canto suo, la salutò con poca convinzione ed evitò il suo sguardo quando si mise seduto proprio di fronte a lei per fare colazione.

Il silenzio fra loro era imbarazzante e ogni secondo che passava rendeva più intense le loro convinzioni: lei pensava che ormai suo padre avesse scoperto tutto; lui invece, credeva che sua figlia fosse arrabbiata perché aveva origliato la sua telefonata.

Alla fine fu Bill a parlare per primo, giusto per spezzare il ghiaccio. «Ti sei svegliata presto stamattina».

«Già. Non avevo molto sonno».

«Ma ieri… Perché Franky se n’è andato?».

Evelyn deglutì rumorosamente, abbassando lo sguardo. Era ancora molto preoccupata per lui. «Ha combattuto contro Lilith, l’ha sconfitta, però alcuni angeli lo hanno portato in Paradiso: pensavano fosse meglio sottoporlo a delle cure».

«Oh… non ho sentito nulla».

«Dormivi come un sasso», disse con un sorriso sulle labbra, a cui Bill ricambiò sollevando le spalle.

«Che programmi hai per oggi?», le chiese.

«Pensavo di andare a trovare mamma… e di fare un salto anche da Martin».

Quella volta fu Bill ad irrigidirsi. «Da Martin?».

«Sì, ecco… abbiamo avuto una discussione che non abbiamo ancora risolto e volevo parlarne con lui, tutto qua».

«Oh, capisco…».

Evelyn annuì, senza sapere più che dire. Si alzò, portò la sua tazza vuota nel lavandino ed unì le mani sul petto. «Vado a vestirmi».

«Okay», rispose Bill. Entrambi erano contenti di allontanarsi l’uno dall’altro, si mettevano a disagio a vicenda.

 

***

 

Una volta uscito dall’ospedale, si era lasciato accompagnare a casa da Zoe, che stranamente non gli aveva chiesto nulla a proposito di ciò che gli aveva detto San Pietro. Per Franky era stato meglio così, aveva deciso che fino a quando non sarebbe diventato ufficialmente un arcangelo non l’avrebbe detto a nessuno. E forse non l’avrebbe detto nemmeno dopo. Non sapeva per quale motivo, ma preferiva che il cambiamento riguardasse solo se stesso e non anche i suoi amici e le persone che amava: per Zoe sarebbe stato sempre il suo angelo custode, per Tom sarebbe stato il suo migliore amico e saggio consigliere, per Arthur avrebbe svolto la sua solita opera di guida e protezione, per Evelyn… Ecco, per Evelyn. Forse a lei l’avrebbe detto, ma non ne era ancora sicuro, anche perché per lei non era mai stato nulla di particolare, se non un po’ di tutto.

La risposta che non aveva ricevuto da San Pietro, il motivo per cui l'arcangelo che era in lui si era risvegliato proprio grazie a lei, non aveva ancora smesso di ossessionarlo.

Aveva lasciato i vestiti sporchi e laceri del combattimento sul letto e se ne era infilati dei puliti, poi aveva detto a Zoe che aveva bisogno di stare un po’ da solo per pensare. La protetta lo aveva accontentato senza fare domande, sperando che quando se la sarebbe sentita gliene avrebbe parlato spontaneamente.
Poco dopo aveva ricevuto la visita di Kim e di Raphael, venuti per congratularsi.

«Le congratulazioni erano l’ultima cosa che volevo», gli aveva risposto burbero, lasciandoli entrare.

Kim aveva riso, dicendogli che stava avendo la stessa reazione dell’ex Arcangelo del Sole. La tradizione diceva che quando aveva scoperto di essere la reincarnazione di uno degli esseri celesti più potenti non l’aveva accettato subito, anzi, ci aveva messo un bel po’ per comprenderne il mistero divino.

«San Pietro puntava molto su di te e a quanto pare faceva bene…», gli aveva detto ancora, sorridendo. «Sai, prima che arrivassi tu credeva che fossi io l’Arcangelo del Sole, che il suo spirito fosse dentro di me. Ho iniziato a fare errori su errori nella mia carriera di angelo custode e questo l’aveva un po’ demoralizzato, ma poi sei arrivato tu e… nonostante tutti i tuoi sbagli e le delusioni che gli hai dato non ha mai smesso di credere in te, nemmeno un attimo. Tu sei il vero destinato ad essere l’Arcangelo del Sole».

In quel momento non capiva davvero il perché fosse stato scelto proprio lui ed era arrabbiato per questo, perché lui aveva già troppi problemi, non voleva quella “promozione”.

Oltre che per congratularsi, Kim e Raphael erano passati per conto di San Pietro, per dirgli che era stata indetta una riunione straordinaria quella sera, a cui doveva partecipare obbligatoriamente. Gli avevano consegnato l’invito, su cui c’erano scritte l’ora della riunione, il luogo – la scuola – e un simbolo – una stella ad otto punte e delle scritte in una lingua a lui sconosciuta racchiuse all’interno di un doppio cerchio.

«Che cosa significa questo simbolo?», aveva chiesto a Kim, ma né lei né Raphael avevano saputo rispondere.

Quando se n’erano andati non aveva perso tempo a cincischiare, era sceso sulla Terra e la sua prima tappa era stata la casa di Bill e Evelyn, principalmente per due motivi: voleva rivedere il campo di battaglia alla luce del sole e voleva rassicurare Evelyn, dicendogli che stava bene; almeno fisicamente.  
Appena era entrato nel raggio di azione dei suoi pensieri, però, aveva avuto la tentazione di scappare: quella volta nulla le avrebbe impedito di parlargli di Martin, anche perché aveva tutte le intenzioni di andarci a parlare quel pomeriggio.

Atterrato nel giardino aveva visto il luogo in cui lui e Lilith avevano combattuto e per un attimo aveva rivissuto tutto quanto, sentendo di nuovo sulla pelle quella forza così buona e pura che l’aveva avvolto. Quella sensazione svanì presto, perché entrarono in gioco anche i pensieri di Bill, che l’aveva notato e lo stava guardando dalle porte finestre della cucina.
Venne così a sapere che aveva visto lui ed Evelyn abbracciati quella notte, che aveva origliato la telefonata che lei aveva fatto a Tom per informarlo di ciò che era accaduto e che si era fatto i suoi bei conticini che non lo tranquillizzarono per niente. Ci mancava solo che Bill scoprisse quello che c’era stato fra lui e sua figlia!

Si fece coraggio ed entrò in casa, percepì che Evelyn si trovava nella sua camera e con tutta calma andò da Bill, sorridendogli.

«Stai bene?», gli domandò subito.

«Sì… Tu?».

«Mi sono ripreso. È stata dura, ma ce l’ho fatta alla fine, hai visto?».

«Già… Grazie, Franky».

«Non ringraziarmi, davvero». Gli diede una pacca sulla spalla, ma il frontman lo attirò in un abbraccio stretto e allo stesso tempo preoccupato. Franky riuscì a sentire ogni singola emozione che attraversava le cellule dell’amico e si sentì piccolo piccolo fra le sue braccia, impreparato di fronte a tutte le sue silenziose domande, a cui non rispose.

«Ora… ora devo andare», balbettò l’angelo, liberandosi dal suo abbraccio. Lo guardò negli occhi, incerto se dire qualcosa o meno; preferì il silenzio ed uscì dalle porte vetrate, per poi spiccare il volo dal centro del giardino.

Atterrò sulla terrazza che dava sulla camera di Evelyn e la vide mentre si toglieva la maglietta del pigiama e rimaneva a schiena nuda. Incapace di schiodare lo sguardo da lei, venne colto in flagrante, ma Evelyn non si fece tanti problemi, anzi accennò un sorriso e continuò a svestirsi sotto i suoi occhi. Si tolse i pantaloni del pigiama, rimanendo in slip, ed afferrò il reggiseno che aveva lasciato sul letto. Se lo infilò e al momento di allacciarlo sentì due mani posarsi sulle sue e guidarle per riuscirci subito. La ragazza sollevò lo sguardo sullo specchio e vide l’angelo dietro di sé, che a sua volta alzò gli occhi ed incrociò i suoi, posando il mento sulla sua spalla nuda. Posò le mani sulle sue spalle, le fece scivolare sulle sue braccia, le portò sui suoi fianchi ed accarezzò pure quelli, fino ad arrivare al suo ventre, dove le fece riposare.

Evelyn si girò verso di lui, fece aderire ogni minima parte del proprio corpo al suo, con le braccia strette intorno al suo collo, e piantò gli occhi nei suoi. «Tu mi vuoi far soffrire».

L’angelo abbassò lo sguardo verso il suo piccolo seno e sorrise furbescamente. «Pensavo il contrario».

«Come stai?».

«Sto bene. E tu?».

Dondolò la testa a destra e sinistra, indicando un “così e così”, sospirando. «Devo chiederti una cosa che probabilmente già sai…». Si strinse di più a lui, posando la guancia contro il suo cuore, e venne avvolta anche dalle sue ali candide.

«Sì, la so già», rispose lui con un sospiro. «Vuoi sapere perché l’hai baciato, non è così? Beh… l’hai fatto semplicemente perché in quel momento il tuo cuore ti diceva di farlo. Non l’hai fatto per farmi soffrire, né perché ti faceva pena».

«Mi dispiace così tanto», mormorò. «Sei sicuro che a te vada bene che frequenti Martin? A me farebbe parecchio male…».

L’angelo socchiuse gli occhi e la strinse un po’ più forte a sé. Non puoi nemmeno immaginare quanto mi faccia male. «Tutto quello che mi importa è la tua felicità, questo affievolisce ogni tipo di sofferenza».

«Ma… ma non è giusto», ribatté, fissando i suoi occhi verdi tanto belli da far tremare il cuore.

«È giusto così, invece», accennò un sorriso e posò le mani sulle sua guance, che accarezzò delicatamente con movimenti circolari del pollice. Fece scorrere le dita dalla sua guancia alle sue labbra e le percorse lentamente, rapito dalla loro bellezza semplice. «Un giorno capirai che ho ragione».

Evelyn non era convinta, come l’angelo d’altronde, ma non rispose: era inutile parlare di cosa fosse giusto o sbagliato con lui, perché lui aveva regole di cui lei non vedeva alcuna utilità e che lui invece doveva rispettare. Avevano pensieri e vite diverse, ma non per questo dovevano restare lontani. Ciò che sperava sempre era che la loro amicizia fosse eterna e sempre lì in bilico fra l’amicizia e l’amore.

«Sappi che potrò provare all’infinito, ma non troverò mai nessuno che amerò più di quanto amo te».

L’angelo posò il mento sul suo capo e con un sorriso amaro sulle labbra guardò il cielo fuori dalle portefinestre. «Anche io dicevo così a tua madre…», sussurrò con un fil di voce.

«Hai detto qualcosa?».

«No, nulla».

Si lasciò cullare ancora un po’ dalle sue braccia e dalle sue ali, in silenzio, ascoltando soltanto il suo respiro e i battiti del suo cuore. Poi mormorò: «E se avrò voglia di volare, tu ci sarai?».

Franky la guardò negli occhi e le posò un bacio sulla tempia, per poi affondare il viso fra i suoi capelli.

 

***

 

«Prova ancora, Arthur!».

Il bambino mise la palla di fronte a sé, la tenne ferma con la manina e una volta immobile prese la ricorsa e la calciò con tutta la forza che aveva verso il suo papà.

«Quasi!», gli disse quest’ultimo e fece un passo avanti per poterla rilanciare al figlioletto.

Linda, che seduta su una panchina del parco poco affollato guardava suo marito e suo figlio giocare a pallone, notò poco distante un uomo con in mano una grande macchina fotografica: un paparazzo. Fece per alzarsi, ma scorse la figura di Franky che diede un colpetto alla macchina fotografica del paparazzo, rovinandogli i piani. L’uomo se andò, incattivito dal malfunzionamento del suo aggeggio, e Franky la raggiunse.

«Ciao tesoro», lo salutò la donna, sorridente, coprendosi gli occhi con la mano a causa del sole. «Tom mi ha detto quello che è successo stanotte, come stai?».

«Bene, bene», mugugnò ed infilò la mano nelle tasche del giubbotto di Tom, indaffarato.

«Che cosa cerchi?», gli domandò Linda, con la fronte aggrottata.

«Trovato», esultò con l’accenno di un sorriso, mostrandole il pacchetto di sigarette. Dopodiché si allontanò e salì sui rami della grande quercia, isolata rispetto al resto degli alberi, dove si mise a fumare. Una sigaretta per smaltire la tensione dovuta dal suo nuovo incarico di arcangelo; una per la paura di non riuscire a portare a termine la sua missione più importante, quella di far uscire Zoe dal coma, prima della fine della deroga; una perché bastava tanto così affinché Bill scoprisse tutto quello che c’era stato fra lui ed Evelyn; una perché entro breve avrebbe iniziato di nuovo a sentirsi male a causa della ragazza che amava…

Dalla sua postazione vide Tom correre da Linda per bere un po’ d’acqua insieme a suo figlio e per riposarsi, poi iniziò a cercare il suo pacchetto di sigarette e, non trovandolo, le chiese dove fosse; Linda indicò col capo nella sua direzione e Franky sollevò una mano in segno di saluto, senza nemmeno l’ombra di un sorriso sul volto. Il chitarrista andò sotto la quercia, si guardò intorno e poi alzò lo sguardo su di lui, con le mani sui fianchi.

«Grazie», disse l’angelo, facendogli cadere il pacchetto di sigarette fra le mani.

Tom lo aprì, sentendolo troppo leggero, ed infatti era proprio vuoto. «Mi devi un pacchetto di sigarette», brontolò sbuffando.

 

***

 

«Vado, ma torno prima di cena», disse a suo padre, che annuì sorridente e con una mano alzata.

Evelyn uscì di casa ed andò in garage per prendere il suo motorino. Si allacciò meglio il giubbotto, si infilò il casco e diede gas. Sentì l’aria fredda entrarle nelle fessure della visiera e le piacque, era come l’aria che le aveva frustato il volto quanto aveva volato fra le braccia di Franky.

Arrivò a casa di Martin in poco tempo, ma temporeggiò di fronte al citofono. Non sapeva ancora se stava facendo la cosa giusta, nonostante Franky le avesse fatto capire che sì, lo era. Eppure, anche le sue parole le erano sembrate false: era davvero possibile che l’angelo le desse un parere così oggettivo, senza essere minimamente influenzato dal suo amore? Non ci credeva. Dentro di sé, in un angolo remoto della sua anima, sapeva che Franky l’aveva spinta verso Martin solo perché era la cosa “giusta” per lui – che lei stesse con un essere umano vivo – benché a lui facesse più che male vederla fra le braccia di un altro. E lo stesso sarebbe successo a lei, anche se non era così certa che avrebbe avuto la forza necessaria a spingerlo nelle braccia di una ragazza della sua stessa “specie”.

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, poi trovò il coraggio per premere il pulsante accanto al cognome della mamma del ragazzo, la cui voce gracchiante rispose: «Sì, chi è?».

«Ehm… sono Evelyn, un’amica di Martin».

Con uno scatto secco il cancelletto si aprì ed Evelyn entrò. Percorse il vialetto tenendo lo sguardo basso e salutò la donna che l’aspettava sull’uscio. Era così tenera e dolce, non poteva nemmeno pensare che un tempo avesse subito delle violenze da suo marito.

«Sicura di non volere niente?», le domandò ancora una volta, premurosa.

«Sicurissima, grazie», rispose sorridendo.

«Allora vado a chiamare Martin, è in camera sua a studiare. Arrivo subito».

Si incamminò su per le scale e la bionda la seguì con lo sguardo, infilandosi le mani nelle tasche e stringendosi il collo fra le spalle. Sentì la voce della donna parlare al figlio, ma non vide la sua figura seguirla per tornare nel piccolo salotto. Evelyn abbassò lo sguardo, sentendosi piccola e stupida.

«Non fa niente, è comprensibile che non mi voglia più vedere», disse più a se stessa che alla madre di Martin.

«Tesoro…», le posò una mano sulla spalla e con l’altra le tirò su il mento per guardarla negli occhi coi suoi scuri. Un sorriso affettuoso le incurvava le labbra. «Ti aspetta di sopra».

La guardò stupita, ma non se lo fece ripetere due volte ed iniziò a salire le scale. Al piano di sopra, tutto il coraggio che aveva avuto fino a quel momento scemò e si strinse le braccia al petto, come a volersi proteggere. Si avvicinò all’unica porta aperta, vi sbirciò all’interno e vide Martin seduto su una sedia girevole, con gli occhi chiusi rivolti al soffitto e le mani dietro la nuca.

Evelyn si schiarì la voce, imbarazzata. «È permesso?».

Il ragazzo abbassò lo sguardo su di lei ed annuì greve. C’era qualcosa di diverso in lui, di più duro, come se avesse costruito un muro di diffidenza di fronte a lei. Doveva avergli fatto parecchio male.
Entrò nella camera e non osò chiudere la porta; lo fece Martin e gli capitò di sfiorarla, ma non reagì come lei si sarebbe aspettata di vedere, con il rossore sul viso e l’imbarazzo sempre crescente: era un pezzo di ghiaccio.

«A cosa devo la tua visita?», le domandò sedendosi sul suo letto, con le spalle contro la parete.

«Volevo chiederti scusa per quello che è successo l’ultima volta che ci siamo visti. Tu hai frainteso le mie parole, sei arrivato a delle conclusioni che non sono…».

Martin la interruppe, adirato: «Ho frainteso? Non raccontarmi cazzate, per favore».

Evelyn si mise seduta timorosa al suo fianco, sospirando stancamente. Le faceva male vederlo così, le faceva male pensare che era stata lei a renderlo così cattivo. «Quella sera c’era un’atmosfera particolare, lo riconosco, ma non è stato questo ad indurmi a lasciarmi baciare e a baciarti. L’ho fatto perché il mio cuore mi diceva di farlo». Accennò un sorriso, ripetendo le parole di Franky. «Come tu mi hai raccontato che sentivi dentro di te quella voce che ti spingeva a fare cose che non avresti mai fatto, che ti spingeva verso di me… è successa la stessa cosa a me».

«Perché quella sera sì e il giorno dopo no, allora?». La sua voce aveva perso aggressività, c’era solo dispiacere, tanto dispiacere.

«Non lo so perché, non me la sentivo come me l'ero sentita la sera precedente e… mi dispiace così tanto, Martin. Mi dispiace che tu ci sia stato così male, io non volevo farti soffrire. Mi puoi perdonare?».

Il ragazzo la guardò negli occhi e lentamente un sorriso si disegnò sulle sue labbra. «Non aspettavo altro…».

Evelyn, sollevata, sorrise di gioia e lo strinse forte a sé, posando il viso nell’incavo della sua spalla. Era diverso rispetto a quello della spalla di Franky, ma ci si trovava ugualmente bene.

Si scostarono un poco l’uno dall’altro, si guardarono negli occhi e quella volta fu più che naturale far incontrare le loro labbra in un bacio.

 

***

 

«Ah, merda», biascicò Franky, con la fronte imperlata di sudore. Si appoggiò al bordo del letto, si chinò a terra e tirò fuori la valigetta nera, l’aprì e ne estrasse una siringa dal contenuto turchese.

Si lasciò cadere culo a terra, si sollevò la manica della felpa e si iniettò il liquido nel braccio. Ci volle qualche minuto prima che avesse effetto su di lui, ma pian piano il suo respiro si regolarizzò, i battiti del suo cuore diminuirono e la sua mente smise di ricevere qualsiasi informazione proveniente dal corpo e dalla testa di Evelyn. Alla fine era andata da Martin e, da quanto aveva capito e sentito come dolore all’anima, avevano fatto pace.

«Franky, sei andato via all’improvviso, va tutto bene?».

L’angelo cacciò sotto al letto sia la siringa vuota che la valigetta, ma Tom lo vide comunque e rimase paralizzato sulla soglia, sconvolto.

«Che cos’era quella?», domandò con un fil di voce.

«Cosa?», fece finta di niente Franky.

«Quella cosa che avevi in mano, quella… siringa».

«Nulla. Hai le traveggole».

Un’espressione adirata prese possesso del volto di Tom, che marciò verso di lui, lo spostò con poca delicatezza e sollevò bruscamente le coperte del letto per vedere sotto di esso. Tirò fuori la siringa vuota e la valigetta, che posò sul letto ed aprì: vide tante siringhe come quella che ancora teneva in mano, solo piene di un liquido turchese. Ne mancavano due all’appello.

Franky si portò le mani sulla testa china, chiudendo gli occhi e svuotando i polmoni di tutta l’aria che aveva trattenuto dentro di loro fino a quel momento.

«Che cosa cazzo sono queste?!».

«Non sono cose che ti riguardano», rispose debolmente.

«Non sono cose che… Ma stai scherzando?!», gli levò le mani dal viso e si chinò per guardarlo negli occhi da vicino: si accorse dei suoi occhi azzurri, quasi finti, e la delusione si attardò anche sulle sue labbra, oltre che nel suo sguardo. «Sono queste che ti fanno venire gli occhi azzurri, ora è tutto chiaro. Perché le usi? A che ti servono?».

«Ti ho detto che non sono cose che ti riguardano», ripeté con fermezza, evitando di guardarlo negli occhi, ma il chitarrista lo afferrò per i capelli e gli tirò indietro la testa per costringerlo a farlo.

«Dimmelo», gli sussurrò all’orecchio. Franky non si mosse di un centimetro, chiuse gli occhi per celare le lacrime e serrò ancora di più le labbra. Tom allora lo lasciò andare e fece per andarsene, quando lo sentì dire: «A causa di Evelyn».
Si voltò, stupefatto, e dopo qualche secondo di silenzio tornò dal suo migliore amico, si mise seduto al suo fianco e raccolse la sua testa sulla spalla.

«Quando siamo stati insieme, ci siamo scambiati un pezzo d’anima, come già sai. Con la mia lei riesce più o meno a vedere angeli e spiriti che normalmente non potrebbe vedere; io, con la sua dentro di me, sono sempre costantemente collegato al suo corpo e alla sua mente, anche quando, per esempio, bacia Martin. Questo farmaco mi anestetizza l’anima, non mi fa sentire nulla, e non provo più dolore».

«E non… non puoi riprenderti il tuo pezzo di anima e ridare a lei il suo, se ti fa così male?», gli chiese, gesticolando nervosamente.

Franky scosse il capo. «Non ne sa nulla lei. E non avresti dovuto saperne nulla neppure tu».

«Tu non devi nascondermi nulla Franky, nulla. Ci siamo capiti bene?», lo guardò negli occhi e l’angelo rimase in silenzio, colpito dall’intensità del suo sguardo e allo stesso tempo turbato perché c’era un’altra cosa, il suo futuro di arcangelo, che gli teneva nascosto. «Se c’è qualcos’altro che devi dirmi e di cui mi tieni all’oscuro, è l’ora di rendermi parte della tua vita».

Mi dispiace, Tom. «No, non c’è nient’altro che non sai», disse abbassando lo sguardo sulle sue ginocchia.

Il chitarrista lo abbracciò e gli accarezzò i capelli, in un modo così affettuoso e comprensivo che fece capire all’angelo che aveva fiutato la sua ennesima bugia. Poi gli prese il volto fra le mani e con quell’inusuale dolcezza gli posò un bacio sulla fronte, tenendolo ancora stretto a sé.

«Non è ancora arrivato il momento degli addii, riserbati queste smancerie», disse a fatica Franky, a causa del groppo che aveva in gola per la commozione.

«Tu non fai mai sembrare gli addii tali, tanto vale salutarti per bene prima che tu possa andartene», mormorò.

Si lasciò convincere dal suo migliore amico ed abbandonò la testa alla sua spalla, come un bambino colto dal sonno fra le braccia del suo papà.

 

***

 

Sull’uscio di casa salutò Martin con un ultimo bacio a fior di labbra, poi percorse il vialetto ed uscì dalla proprietà privata. Salì in sella al suo motorino color perla, si infilò il casco e diede gas in direzione dell’ospedale.

Aveva passato davvero un bel pomeriggio con lui, si era sentita sicura fra le sue braccia, coi suoi baci e le sue carezze, e per un po’ aveva dimenticato tutto quanto. Ma ora che si trovava di fronte alla struttura in cui sua madre dormiva quel sonno profondo da parecchi mesi, il masso che le pesava sulle spalle era tornato a farsi sentire.

Entrò e come d’abitudine camminò a passo lento ed incerto verso il reparto in cui era ricoverata sua madre. Arrivò di fronte alla porta e all’interno vide Franky, che si apprestava a sdraiarsi affianco al suo corpo immobile. Lo guardò stringersi a lei, con una mano sul suo petto e la fronte che toccava la sua tempia, e ad occhi chiusi avvolgerla in una specie di bolla nella quale soffiava una specie di vento benefico di un verde brillante. Quindi era grazie a lui e alla sua terapia se la sua mamma aveva fatto parecchi miglioramenti in quell’ultimo periodo…

Entrò nella stanza senza fare rumore e con la stessa attenzione chiuse la porta alle sue spalle. Si avvicinò al letto della madre e Franky aprì gli occhi, quegli occhi strani, azzurri, che la osservarono quasi con sospetto.

«Devo andarmene?», gli chiese in un sussurro.

«No… resta». Accennò un sorriso, pensando che erano così poche le volte in cui era lui a fare quella richiesta.

Evelyn rimase, si mise seduta sulla sedia accanto al suo letto e guardò quel flusso di energia scivolare sopra il corpo di sua madre in un moto continuo, sempre in ripetizione. Avvicinò la mano, incuriosita, ed appena sfiorò la superficie della bolla delle scintille le colpirono le dita, come una specie di attrito. La ritrasse immediatamente, spaventata, e rivolse uno sguardo a Franky, che aveva guardato tutta la scena con un certo interesse.

«Rifallo», la incitò. «Non aver paura, non ti succede niente. Lasciati andare».

La ragazza non scostò lo sguardo da quello dell’angelo e riavvicinò la mano al flusso, quella volta la immerse completamente, nonostante sentisse un certo sfrigolio sulla pelle, ma dopo un po’ le risultò piacevole e chiuse gli occhi. Franky le prese la mano e la strinse forte nella sua sul petto di Zoe. Quello che provocò l’unione delle loro mani al flusso di energia fu strabiliante: la bolla cambiò colore, da verde brillante divenne quasi dorata, ed emanò un’energia potentissima che da solo Franky non sarebbe riuscito ad esternare nemmeno con tutta la sua buona volontà.

Meravigliato dalla loro potenza guaritrice sollevò gli occhi su Evelyn ed anche lei li aprì, chiamata dai suoi; si guardarono intensamente e si sorrisero.

Nel cuore Franky iniziò a coltivare una speranza per quell’idea folle – che eppure sembrava maledettamente giusta – che forse avrebbe potuto svegliare dal coma la sua protetta.
Quando la bionda, qualche tempo dopo, gli avrebbe chiesto che cosa era successo, non sarebbe riuscito a rispondere, però era assolutamente certo che la soluzione al problema che stava cercando di risolvere da mesi senza successo era proprio sotto i suoi occhi.

 

***

 

Guardò di fronte a sé l’edificio imponente che conosceva così bene e un sorriso gli incurvò le labbra all’insù, mentre una marea di ricordi gli affollavano la mente: alcuni belli, altri un po’ meno, ma tutti con un significato profondo che serbava gelosamente nel cuore. Lì aveva mosso i primi passi dopo la morte, lì aveva incontrato San Pietro, il suo mentore; lì aveva conosciuto Kenzie e Norbert, i suoi compagni di avventura prima che diventasse un angelo custode; lì era diventato professore, aveva fatto da guida ai futuri angeli custodi… E il destino lo portava ancora lì, nel buio della notte, con quell’invito in mano e la certezza che da quel momento in avanti la sua vita sarebbe cambiata ancora una volta.

Si decise ad entrare, traendo un respiro profondo, e si accorse di quanto sembrasse spettrale la scuola a quell’ora di notte: era tutto buio, quel poco che si vedeva era grazie alla luce della luna che entrava dalle ampie porte vetrate alle sue spalle. Raggiunse il centro esatto della scuola, il punto in cui tutti i corridoi si incontravano e dal quale si vedevano tutte e quattro le uscite, una per punto cardinale. Quello era il punto più illuminato in assoluto, anche grazie alla luce al neon della porta di sicurezza non molto lontana da lì.

Sfruttando la luce lì presente, tornò a guardare l’invito che gli era stato consegnato. Non c’era scritto nulla che gli potesse essere d’aiuto, a parte quello strano simbolo con la stella ad otto punte, a cui però non sapeva dare un significato. Lo guardò più attentamente e si rese conto che non gli era nuovo, solo che… dove l’aveva visto?

Rimase a rifletterci per qualche minuto, poi spazientito appallottolò il foglio e alzò lo sguardo per gridare contro quel Dio che a volte sembrava davvero volersi prendere gioco di lui, quando, proprio sul soffitto, vide sette simboli simili al suo, disposti a cerchio; sopra ognuno di loro c’erano altri simboli, più stilizzati e comprensibili: c’erano il fulmine di Giove, la falce di Saturno; c’erano il simbolo maschile e quello femminile, che se non ricordava male corrispondevano a Marte e a Venere; c’era il simbolo di Mercurio, l’elmetto e il caduceo; e per finire c’erano una luna e un sole.

«I simboli dei sette arcangeli», mormorò rapito, con la testa ancora rivolta verso l’alto, là dove nessuno osava guardare più di tanto. A lui una volta era capitato, si era trovato lì sotto ed era rimasto per un bel po’ di tempo ad osservare quegli strani simboli, senza mai capirne il significato. Adesso lo sapeva ed era tutto chiaro.

Con un colpetto di ali si sollevò da terra e toccò quello che doveva essere il suo simbolo, il sole. Percorse il cerchio contenterete la stella ad otto punte con i polpastrelli e dopo aver fatto un giro completo questo si illuminò, accecandolo, e la parte di soffitto ricoperta da quelle incisioni si aprì, scorrendo di lato. Cercò di guardare oltre quella luce abbagliante e la prima cosa che vide fu un viso amichevole, sul quale erano incastonati due occhi grandi color cioccolato, e una mano fine che gli diceva di farsi aiutare. Franky l’afferrò senza farsi troppe domande ed entrò nella stanza nascosta, il passaggio sotto di sé si richiuse e solo in quel momento ebbe l’opportunità di vedere dove si trovava: non era tutto soffuso di luce bianca come aveva immaginato, era una grande stanza sovrastata da una grande cupola affrescata e che al posto delle pareti aveva grandissime vetrate che davano sul… sul mondo. Di là c’erano l’Europa e la Russia, di là l’Africa, da una parte l’Asia, da un’altra l’Oceania, e poi l’America e l’Antartide. Era del tutto irrazionale, ma da quella stanza si potevano vedere tutti i continenti, tutti gli oceani… si vedeva il mondo intero.

Con l’oscurità della notte era tutto ancora più bello, perché tutte le luci del mondo risplendevano e si potevano notare quegli strani fasci di luce che si spostavano da una parte all’altra… Angeli?

«Bella vista, non trovi?».

Franky, ancora sbigottito, si voltò e vide lo stesso volto tenero e dalle guance un po’ paffute che l’aveva aiutato ad entrare. Apparteneva ad una ragazza dai capelli castani e la pelle pallida come la luna, gli occhi color cioccolato simili a specchi lucenti. Era però un po’ più piccola di quanto si aspettava, visto che al massimo raggiungeva gli ottanta centimetri, e, cosa ancora più sconvolgente, aveva le ali di una farfalla bianca sulla schiena, con le quali si librava a mezz’aria per poterlo guardare negli occhi.

«Io sono Inge, piacere», gli porse la mano sorridente e Franky la strinse incerto e confuso. «Sono sicura che ti starai domandando che cosa sono, quindi ti accontento: sono una chimera parlante. Di solito le chimere non parlano, Zeus mi ha donato l’uso della parola perché sono la segretaria ufficiale degli arcangeli e mi occupo anche dell’accoglienza dei nuovi arrivati. Non che ce ne siano molti, insomma… hai capito, no? Comunque sono contenta che tu sia arrivato, ti aspettavamo. Vuoi presentarti?».

«Io… io mi chiamo Franky».

La ragazza scoppiò a ridere ed insieme a lei anche una ragazza dalla bellezza sorprendente, seduta sul bracciolo di una delle sette poltrone di pelle disposte nel bel mezzo della stanza, a cerchio intorno ad un tavolo di legno bianco rotondo. Quest’ultima aveva lunghissimi capelli biondi che teneva sciolti sulla schiena, un viso dolcissimo e due occhi penetranti ed incantevoli, trasparenti come l’acqua più limpida. La maggior parte dell’attenzione in quella stanza era posata su di lei, anche se il ragazzo seduto sulla stessa poltrona le teneva saldamente la vita con un braccio, ad indicarne il possesso, e si guardava intorno burbero ed infastidito.

«Noi solitamente tendiamo a chiamarci coi nomi dei nostri lumi», gli spiegò la ragazza bionda.

Inge gli prese una mano e lo invitò ad avvicinarsi al centro dell’ampia stanza.
«Lei è Afrodite, come avrai immaginato», gli presentò la ragazza bionda e lei, che rappresentava la dea dell’amore e della bellezza, gli rivolse uno sguardo gentile e gli strinse la mano con un piccolo inchino della testa. Era davvero affascinante.

«Scusa, Inge», disse Franky imbarazzato, toccandole un braccio.

La chimera si voltò verso di lui, sorpresa: non era ancora arrivata il momento delle domande! «Sì, che c’è?».

«Ecco… San Pietro mi aveva anticipato i nomi dei sette lumi, solo… romani. Voi invece vi chiamate con i nomi degli dèi greci?».

«Oh!». Si lasciò andare ad una risatina, coprendosi la bocca con una mano. «Sì, ognuno si è scelto il nome che preferiva tra quello romano e quello greco. Io comunque trovo che quelli greci siano più interessanti. Ora continuiamo le presentazioni.
«Questo simpaticone qui è Ares», indicò il ragazzo dai capelli e gli occhi neri e la carnagione scura che stringeva a sé Afrodite. Era l’esatto opposto della ragazza, persino nella mitologia (lui rappresentava il dio della guerra, conosciuto come Marte fra gli antichi romani), eppure… Con sguardo eloquente, Inge aggiunse: «Lei è la sua amante, quindi cerca di non guardarla troppo, o potrebbe staccarti una gamba a morsi».

«Mi chiedo ancora perché non abbia già sbranato la tua», le rispose stizzito Ares, con un sorriso tiratissimo sulle labbra.

«Perché lo sanno tutti che ti fai vedere tanto cattivo e duro ma alla fine sei un piccolo e delicato fiorellino…».

«Smettila, Inge!», abbaiò, evidentemente in imbarazzo.

Afrodite intervenì per rabbonire il compagno e gli accarezzò il viso: «Su amorino, non prendertela, lo sai com’è fatta».

La segretaria ridacchiò e continuò con le sue presentazioni. Lo trascinò di fronte ad un ragazzetto magro e alto, forse un po’ troppo, che gli sorrise ingenuamente porgendogli una mano. «Lui è Ermes».

Nell’udire quel nome, Franky abbassò subito gli occhi per vedere se ai piedi indossava i famosi sandali d’oro con le ali, tanto noti a tutti. Fu una vera delusione vedergli portare un paio di Nike, anche se verdi fosforescenti.

La chimera, che non si era accorta di nulla, sottovoce aggiunse: «Non farti ingannare dall’apparenza, potresti rimanerne sconvolto quando lo sentirai parlare».

Accanto a lui si trovava un ragazzo dalla corporatura un po’ robusta, dai capelli castani e il volto bonario. Gli ricordava in parte San Pietro e sorrise, stringendogli la mano mentre si presentava come Saturno. Lui era l’unico che avesse preferito il nome del dio romano, gli spiegò, perché il dio greco che gli corrispondeva era profondamente diverso da lui: Crono, il dio del tempo e, pensa un po’, il padre di Zeus, dio degli dèi.

«E per concludere… ecco Zeus», disse Inge, aprendo le braccia ed avvolgendo l’ultimo ragazzo rimasto, una specie di armadio con i riccioli biondi e gli occhi verdi.

«Come preferisci che ti chiamiamo?», gli domandò con voce possente, sorridendogli con pienezza.

«Io… dovrei scegliere fra…?».

«Uhm», la chimera, svolazzando da una parte all’altra intorno a lui, sfogliò un blocchetto di appunti fino a trovare la storia dei suoi predecessori. «Puoi scegliere fra Apollo, dio del Sole; Helios, nome vero e proprio del sole nell’antica Grecia; oppure semplicemente Sole».

«Ahm… tenere il mio nome normale non è proprio possibile?». Nessuno di quei nomi se lo sentiva proprio, anche se non si vedeva male a bordo del cocchio solare di Apollo.

«E Franky sia», decretò Zeus, dandogli una pacca sulla spalla che gli fece schizzare gli occhi fuori dalle orbite, ma nessuno a parte Inge se ne accorse. Tutti si stavano sistemando intorno al tavolo di legno bianco per iniziare quella famosa riunione, poiché, da quello che aveva detto Zeus subito dopo i convenevoli, avevano poco tempo: anche i serafini avevano prenotato l’aula e si sapeva, loro non amavano aspettare, soprattutto non amavano aspettare gli arcangeli.

«Se solo potessi li sistemerei io quei serafini lì! Ma chi si credono di essere?!», strepitò Ares, infervorato.

Inge si sporse verso l’orecchio di Franky e gli sussurrò: «Sai, c’è sempre stata una grande rivalità fra arcangeli e serafini, per il posto che ricoprono: c’è chi dice che gli arcangeli siano quelli più vicini a Dio e i più potenti, chi dice che invece siano i serafini… E poi Ares, scontroso com’è, salta sempre per un nonnulla», ridacchiò. «Dai, andiamo a sederci anche noi». Lo trascinò al tavolo e lo fece sedere sulla poltrona riservata a lui; lei invece si posò con grazia sull’apice del suo schienale.

Guardò Inge e Zeus scambiarsi uno sguardo di intesa prima che lui desse il via libera a Ermes, che si alzò in piedi.
«Ma anche tu e Zeus siete fidanzati?», chiese sottovoce alla sua vicina, nonostante gli sembrasse parecchio improbabile: la chimera era un moscerino in confronto a quella montagna di muscoli e riccioli d’oro!

Lei lo fissò con gli occhi leggermente sgranati: «Ma sei fuori?! Lui è il capo, una specie di fratellone per tutti, anche per me, è per questo che prima l’ho abbracciato! E poi, detto sinceramente, è meglio ricoprirlo di coccole: tu non hai idea di come sia, quando gli girano i cinque minuti».

L’Arcangelo del Sole se lo immaginò con le famose saette in mano, pronto a scagliarle contro di loro, fino a quando Ermes non si schiarì la voce per attirare anche la loro attenzione, poi iniziò ad esporre le problematiche che avevano dovuto affrontare quella settimana, come le avevano risolte e dove potevano ancora migliorarsi.

Franky capì quello che gli aveva detto Inge poco prima appena lo sentì parlare. All’inizio gli era sembrato subito un tipo un po’ allampanato, ma gli era bastato sentire la sua voce calda e rassicurante, che ispirava intelligenza ed arguzia, per cambiare del tutto opinione. E poi, doveva dirlo, come parlava lui non aveva mai sentito parlare nessuno: aveva la capacità di attirare tutta l’attenzione su di sé, aveva il dono della sintesi e della chiarezza, ma non trascurava mai la completezza delle informazioni. Non a caso Ermes, nella mitologia, era il messaggero degli dèi, nonché il dio dell’eloquenza e del commercio. Con un discorso ben ragionato sarebbe riuscito persino a fargli vendere le ali.

Quando Ermes finì di parlare, si risedette al suo posto e lasciò la parola a Zeus, che tornò a condurre la riunione. Fece passare delle fotocopie e anche Franky ne prese una, la esaminò incuriosito e si rese conto che era il programma per la settimana successiva: c’erano scritte, giorno per giorno, tutte le situazioni sulle quali, prudenzialmente, dovevano gettare un occhio. Terremoti, maree, valanghe, scioglimento di ghiacciai, incendi, ma anche potenziali guerre che potevano scoppiare da un momento all’altro, fame, siccità… non mancavano alla lista.

Franky sentì il peso di tutte quelle responsabilità cadergli sulle spalle e bloccargli la gola con un grosso nodo. Inge se ne accorse e gli levò il foglio da sotto gli occhi, dandogli un coppino.

«Ahia», si lamentò lui, guardandola stupefatto.

«Tu sei ancora in deroga, perché l’hai preso?», disse severa, ma un secondo dopo gli sorrise e gli accarezzò il punto in cui l’aveva colpito: «Non ti preoccupare, non è così difficile come sembra».

Peccato che a lui sembrasse tutto il contrario: lottare contro i fenomeni naturali e i mali compiuti dall’uomo stesso era un enorme responsabilità, oltre che un rischio. E se avesse fallito? Quante vite sarebbero andate perse, quante persone avrebbero sofferto a causa del suo insuccesso?

«Davvero, non preoccuparti», insistette lei, tornando ad osservare il programma.

«Franky». L’Arcangelo del Sole alzò il capo ed incontrò lo sguardo paziente e comprensivo di Zeus. «Tu ha la deroga per rimanere ancora per un po’ un semplice angelo custode, ma sarebbe meglio che tu iniziassi a passare un po’ di tempo con noi, giusto per vedere come lavorano gli arcangeli».

«Certo, nessun problema», rispose, anche se un po’ titubante.

«Sei affidato a Inge, in questo periodo. Quando sarai a tutti gli effetti un arcangelo e quando avrai imparato abbastanza, sarai come tutti noi e poi, quando comparirà l’ultimo arcangelo, quello della Luna, sarai tu a dovertene occupare».

Franky guardò la ragazza al suo fianco, che gli sorrideva. «Perché?», chiese ingenuamente.

«Perché il sole e la luna sono complici dalla notte dei tempi, è la tua compagna naturale», rispose allargando le braccia, divertito. «Tutti noi lavoriamo in coppia: Ares e Afrodite, Saturno e Ermes, tu e Selene…».

Franky immaginò che Selene fosse il nome greco della dea della luna e non chiese spiegazioni, anche perché aveva qualcos’altro di più importante da far notare.
«Manchi tu».

«Come?».

Franky lo indicò. «Tu sei da solo».

«Io faccio le veci di tutti voi». Zeus sorrise, ma bastava veramente poco per capire che quel sorriso era segnato dall’amarezza di non poter condividere il proprio lavoro con un compagno o una compagna.

Qualcuno bussò violentemente sulla botola e tutti quanti sentirono le stesse urla rimbombare nelle loro teste: i serafini, che protestavano contro la durata prolungata della loro riunione; era il loro turno ormai, dovevano andarsene.

«Ma perché devono venire anche loro proprio in questa stanza? Non ho visto nessun simbolo che riguardasse il loro ordine…», disse Franky, alzandosi insieme a tutti gli altri.

«La loro sala riunioni ha subìto un guasto, lo scorso mese. Le riparazioni non sono ancora iniziate, c’è crisi», gli spiegò Saturno, con il riso sulla bocca. «Noi siamo buoni e gli lasciamo usare la nostra».

«Troppo buoni», ringhiò Ares. «In più che gliela facciamo usare, si alterano così!?».

Afrodite gli accarezzò il braccio. «Shhh, amore, a cuccia».

«Piantala anche te!».

Franky iniziò a ridere, prima timidamente, poi sempre più forte, contagiando tutti quanti; persino il restio Ares si lasciò contagiare dalla sua… solarità.

Aprirono la botola dall’alto e videro sotto di loro uno stuolo di angeli dalle tuniche bianche, che aspettavano spazientiti.

«Ce ne avete messo di tempo!», esclamò il capo dei serafini, guardando Zeus sprezzante. Quest’ultimo non lo calcolò, però lanciò la frecciatina dicendo ai suoi arcangeli di tenere fermo Ares, prima che balzasse addosso a qualcuno di loro e gli rovinasse la tunica.

L’arcangelo rappresentante il dio della guerra sghignazzò e lo stesso fece Franky, divertito da tutta quella strana situazione, fino a quando non andò a sbattere contro la spalla di un serafino: alzò lo sguardo per vederlo in faccia ed entrambi rimasero senza fiato guardandosi negli occhi. Non si erano mai visti, o almeno Franky non aveva mai visto lui, ma era certo, era sicuro al cento e uno per cento, che quello fosse proprio…

«Sole, andiamo! Non ti dispiace se ti chiamo così, vero?», gridò Inge, ferma in mezzo al corridoio che portava all’uscita sud, rivolta verso di lui. «Ehi, Franky!».

Il serafino, all’udire il nome del ragazzo, spalancò ancora di più gli occhi e mormorò: «Franky… sei proprio tu?».

La piccola chimera si avvicinò, non capendo che cosa stesse succedendo, e li guardò entrambi con le mani sui fianchi: «C’è qualcosa che non va?».

«N-No, nulla», balbettò Franky, prendendo la mano di Inge e trascinandosela dietro, allontanandosi in fretta da quell’uomo, da quel passato e da quel dolore che non credeva di dover riprovare ancora dentro di sé come quando era stato ragazzino.

Sentì la sua voce chiamarlo col suo nome completo ma, già lontano, non si girò. 

 

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Ehiiii, ciao gente :D 

Allora, che dire di questo capitolo? C'è una grande novità, la più importante: Franky ha scoperto di essere l'Arcangelo del Sole! *o* Che bello, sono così orgogliosa di lui!! Ha eliminato dalla faccia della Terra Lilith, uno dei demoni più potenti in circolazione, ha liberato Bill... ha anche già incontrato i suoi nuovi colleghi e anche i serafini, tra cui anche uno strano personaggio di cui non si sa ancora l'identità... secondo voi chi potrebbe essere? u.u
Per quanto riguarda Evelyn, ha chiarito sia con Franky che con Martin. L'unica cosa che mi dispiace è che sia sempre Franky a rimetterci ç_ç 
Ah, prima che mi dimentichi: Evelyn ha fatto due cose un po' "anomale" in questo capitolo o.o La prima: ha fatto svegliare l'arcangelo che era in Franky. La seconda: ha aumentato la potenza della bolla guaritrice di Franky. Certo che quei due insieme sono proprio formidabili... Chissà come mai xD
Mmh, poi c'è da discutere sulla questione: Bill sa o non sa di Franky ed Evelyn? Forse sì, forse no, forse fa finta di non sapere u.u bah xD
E Tom ha scoperto la "medicina" di Franky... quella scena mi piace proprio tanto, come tutte quelle in cui ci sono i miei due prediletti *w* Sono tenerissimi.

Bene, spero che vi sia piaciuto e che lascerete qualche recensione per dirmi che ne pensate degli ultimi fatti e del capitolo in generale! ;D 
La canzone che ho usato è Invincible, di Tinie Tempah ft. Kelly Rowland.
Invece, le fonti da cui ho preso tutte le informazioni riguardanti i sette arcangeli e gli dèi greci e romani (tutte le mie passioni *o*), sono la fantastica Wikipedia e poi un libro davvero bello intitolato "Omicidio in Paradiso" di Bernard Werber (consiglio di leggerlo xD)! 

Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha letto soltanto e tutti quanti :)
(PS: Ci stiamo avvicinando alla fine. Un'altra voltaaa T_____T)

Alla prossima! Con affetto, vostra

_Pulse_ 

   
 
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