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Autore: _Fedra_    28/09/2011    2 recensioni
PER TUTTI COLORO CHE DESIDERANO UN FINALE DIVERSO PER LA SAGA. Sono passati cinque anni da quando Cate ha lasciato Narnia, rassegnandosi a una vita normale e abbastanza scontata. Ma la ragazza non sa che le porte di quel mondo parallelo stanno per riaprirsi di nuovo e che lei potrebbe essere l'unica in grado di salvare coloro che ama da un terribile destino. Una fiction che stravolge l'intera saga, ai confini della fantasia, fino all'ultimo, cruciale passaggio che porterà oltre ogni confine.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edmund Pevensie
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The passage'
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Il ritorno del Magnifico
 



Riuscire a far vedere un cieco o far camminare un paralitico può davvero risultare una cosa fattibile se confrontata con il nostro tentativo di far collaborare Peter nel seguirci fino a Cair Paravel.
Durante la nostra assenza, infatti, il Magnifico era visibilmente peggiorato e il suo sorriso ebete si era allargato a tal punto da fare la concorrenza a una delle peggiori boccacce di Jack Skeletron. Al nostro arrivo all’improvvisato accampamento nella radura, trovammo Lucy sull’orlo delle lacrime.
“Non so più che fare!” singhiozzò venendomi incontro con le mani nei capelli. “E’ insopportabile, non riesco nemmeno a parlarci! Dio mio, dov’è finito il mio adorato fratello?”.
Nel vedere la sorellina in quelle condizioni, Edmund la strinse istintivamente fra le braccia, lasciandole sfogare tutte le sue angosce. Io le lanciai un’occhiata carica di tenerezza, sfiorandole i capelli con le dita. Non sopportavo l’idea di vedere la mia sorellina piangere in quel modo.
“Edmund!” esclamò Lucy senza smettere di tremare. “Ho…avuto…tanta…paura!”.
“Ssst! E’ tutto finito, Lu. Ci siamo noi ora qui con te”.
Lucy sollevò debolmente lo sguardo, sfregandosi nervosamente il viso arrossato con il dorso della mano, poi i suoi grandi occhi azzurri si riempirono d’orrore. “Sei ferito!” disse indicandogli la tempia lorda di sangue.
“Non è niente” si schermì il ragazzo alzando le spalle. “Anche se in questo momento non mi dispiacerebbe qualche goccia del tuo cordiale…”.
“Il cordiale! Oh, Ed, non ce l’ho con me! Che disdetta!”.
“CATE!”. Le braccia di Leo mi si serrarono energicamente attorno al collo, rischiando di farmi perdere l’equilibrio. Non riusciva a smettere di tremare, proprio come un cucciolo spaventato. “Di tutte le cazzate che hai fatto in vita tua, questa è certamente la più grossa!” esclamò. “Non provare mai più ad abbandonarci da soli in mezzo alla foresta con un pazzo del genere!”.
“Che diavolo vi ha fatto Peter?” chiesi allarmata.
“Guarda tu stessa” rispose il ragazzo indicando il nostro compagno di viaggio con un gesto esasperato.
Peter stava seduto a gambe incrociate sulle radici di un albero, lo sguardo perso nel vuoto e il sorriso ebete disegnato sulle guance innaturalmente rosee, come la grottesca imitazione di un bambino troppo cresciuto, canticchiando sommessamente un motivetto infantile e lanciando distrattamente in aria dei sassolini, scoppiando di tanto in tanto in una risata deliziata quando i sassi da lui lanciati gli ricadevano in testa. Era un quadretto devastante.
“E’ semplicemente desolante” disse Edmund sgranando gli occhi sconvolto.
Lucy annuì. “Non sappiamo come tenerlo” rispose. “Prima voleva andarsene in giro da solo per la foresta e abbiamo dovuto minacciarlo di ricorrere alle maniere forti. Poi ha cominciato a cantare a squarciagola una canzone che non ho mai sentito, rischiando di rivelare la nostra posizione e, di tanto in tanto, scoppia a piangere senza un’apparente ragione. Non so come gestire la cosa, non riesco a rivolgergli la parola perché tanto non mi ascolta, è fuori di testa e non fa altro che delirare”.
“Io avevo proposto di legarlo” soggiunse Leo con un sorriso mefistofelico.
“Se non fosse stato per tuo fratello, Cate, sarei impazzita” concluse Lucy.
Io spostai lo sguardo dai due ragazzi a Peter. Desolante, davvero desolante. E tutto per colpa mia. Per fortuna, ora avevo pronta una soluzione. Il problema era riuscire a far sollevare il sedere del Magnifico da quell’albero. E avevo già intuito la soluzione.
“Dobbiamo ripartire subito” sentenziai decisa. “Si va a Cair Paravel, in un modo o nell’altro. Solo così potremo riavere il vecchio Pete”.
Detto questo, mi diressi a grandi passi verso Peter. Il ragazzo levò lo sguardo verso di me e i suoi grandi occhi azzurri si illuminarono di un’euforia incontenibile. “Cate!” esclamò indicandomi.
“Ti va di fare un giro con noi?” gli domandai cercando di sembrare il più dolce possibile.
“Dove andiamo?” chiese lui in tono sognante.
Io sospirai. Era come se il suo cervello fosse ritornato all’infanzia, nonostante il suo aspetto fisico fosse quello di un uomo di ventiquattro anni. Una cosa tristissima.
“Andiamo alla ricerca di un castello” disse piano. “Grande, maestoso, dove ci sono dei re”.
“Dei re? Ci andiamo insieme?”.
“Sì. Dobbiamo spezzare un incantesimo che li tiene prigionieri. Ma non possiamo farcela senza il tuo aiuto”.
“Senza il mio aiuto!” ripeté meccanicamente Peter battendo le mani. “Bello! Bello! Voglio venire!”.
Io levai gli occhi al cielo, lanciando una debole occhiata in tralice ai miei compagni, poi gli porsi una mano e lo aiutai a rialzarsi. Almeno, la parte più difficile era fatta.
 
Utilizzammo i cavalli per trasportare i più giovani della compagnia e per legarvi i nostri pochi averi, tenendoci ben strette le spade. Edmund portava Philip per le redini, mentre io avanzavo avanti a lui tenendo Peter per mano, rossa fino alle orecchie per l’imbarazzo, mentre lui mi seguiva sorridendo come un bambino accompagnato al parco dalla mamma. Non gli interessava nient’altro che stare al mio fianco, esultando estasiato ogni qual volta notava qualcosa che catturava in maniera irresistibile la sua attenzione. Non aveva altro punto di riferimento al di fuori di me. Io che l’avevo ridotto in quello stato. In quel momento, giurai che avrei fatto qualsiasi cosa pur di aiutarlo a guarire. Per un attimo mi ritornò alla mente il vecchio Peter, quello che avevo conosciuto la notte in cui avevo salvato Lucy dalle rapide del fiume, sola e smarrita nel bosco innevato. Allora lui non era ancora re, era un ragazzo come tanti altri e in quei giorni si era comportato come un vero fratello nei miei confronti. Ricordai di tutti i momenti passati assieme, della speranza che mi aveva alimentato nelle interminabili ore in attesa che Edmund ritornasse sano e salvo, dei saggi consigli che aveva saputo darmi, della calorosa amicizia che mi aveva regalato degli attimi di pura felicità quando tutto attorno a me sembrava sprofondare nell’oblio della disperazione. Non ci sarebbe mai stato amore tra di noi, questo era certo, ma l’amicizia, quella che era nata sin dal nostro primo saluto, sarebbe rimasta per sempre. Era stato lui a violentarla, cambiando improvvisamente atteggiamento nei miei confronti, pretendendo di più. Era stato allora che avevo iniziato a prendere le distanze da lui, a non fidarmi più di tanto del suo fare così alla mano. Ero rimasta profondamente delusa dal suo comportamento, si era rivelato una persona diversa da quella che credevo di conoscere. E poi era tornato Edmund. La cosa non aveva avuto seguito e ciò non aveva fatto altro che alimentare la mia vendetta, seppur inconsapevole, esplosa nel momento in cui Riccardo mi aveva tradita. In lui vedevo esattamente tutto ciò che in quei giorni nell’accampamento di Aslan avevo visto in Peter. Bello, gentile, affettuoso. Tutta una maschera. Ma in quel momento capivo che Peter era tutt’altra cosa rispetto a Riccardo. Il suo era semplicemente un amore giovanile, nient’altro. Fu allora che mi ricordai di un particolare che il tempo aveva seppellito. Era stato il giorno della battaglia, nel momento in cui mi ero gettata contro la Strega Bianca per proteggere Edmund. Il momento in cui lui mi salvò. Aveva avuto giusto il tempo di dirmi di prendermi cura di suo fratello, di restare al suo fianco. Alla fine, Peter aveva accettato la realtà e con quelle parole era tornato immediatamente il buon amico che avevo conosciuto pochi giorni prima. Era un vero eroe, alla fine. Io, invece, non avevo capito niente. In quel momento, avrei dato la vita pur di riavere il vecchio Peter.
 
Camminammo per tutta la giornata, fermandoci di tanto in tanto a riposare in qualche radura tranquilla, i nervi tesi e le armi pronte a scattare nel terrore di cadere in qualche imboscata. Tutto sembrava apparentemente normale, come se nulla fosse cambiato dall’ultima volta, eppure io percepivo chiaramente nell’aria quella vaga sensazione che le cose non stessero andando esattamente per il verso giusto. C’era come qualcosa di sbagliato fra quei cespugli, qualcosa di profondamente inquietante e minaccioso nelle lame di luce che penetravano fra le alte chiome degli alberi sopra le nostre teste. Una sgradevole sensazione di pericolo. Dovevamo andare più forte.
Verso il tramonto, raggiungemmo la spiaggia. Il cielo era velato di un rosa pastello, mentre un pallido sole di una stagione indefinibile scendeva lentamente a toccare il mare con i suoi raggi sempre più deboli. Tutto attorno a noi brillava di una luce strana, allo stesso tempo troppo intensa e troppo sfocata per essere reale, suscitando un fastidioso senso di abbagliamento ai nostri occhi.
“Che cosa significa?” chiese Lucy spaesata.
“Non mi piace” rispose Edmund. “Mai a Narnia il sole ha avuto questo colore”.
“Guardate, siamo arrivati!” annunciai io indicando l’alto promontorio a un centinaio di metri da noi che sembrava fuoriuscire direttamente dalle profondità marine. Dall’alto della sua cima boscosa, sorgeva un immenso palazzo di marmo bianco, abbracciando la rupe come un’immensa città d’avorio, le sue infinite costruzioni mai viste sulla nostra Terra simili a tanti occhi ciechi che ci scrutavano nella penombra. Persino lo splendore di Cair Paravel sembrava essere stato sconfitto da quella luce spettrale.
“Castello!” esclamò Peter aggrappandosi con forza alla manica della mia camicia, facendomi gemere per il dolore.
“Non abbiamo un minuto da perdere!” ci esortò Edmund.
Senza stare a indugiare oltre su quel tramonto senza colori, ci arrampicammo in tutta fretta lungo le pendici del promontorio, le gambe piegate dal dolore man mano che la salita si faceva più irta, raggiungendo le porte della città dopo un tempo che ci parve infinito.
“Aspettate” disse Edmund alzando un braccio. “Non mi piace”.
Alle sue parole seguì un silenzio irreale. A un suo cenno, io e Lucy impugnammo le armi, facendo scudo agli altri e procedendo con cautela all’interno delle mura. Sembrava non esserci anima viva in giro, come se Cair Paravel fosse stato completamente abbandonato. O come se tutti i suoi abitanti fossero morti. A quel pensiero, presi a sudare freddo, stringendomi ancora di più a Edmund.
Avanzammo per un buon tratto nella via principale, nella quale non era rimasto altro che il fango e qualche relitto di indecifrabile fattura. Le porte delle botteghe sotto i portici di marmo erano scardinate, degli immensi buchi neri oltre ai quali si spalancavano spazzatura e ragnatele. Nessuna traccia di esseri viventi.
“Fate attenzione, potrebbe trattarsi di un agguato” sussurrò Edmund inarcando le sopracciglia, la spada tesa davanti a sé.
Attraversammo la città bassa e ci inerpicammo verso il castello, senza incontrare nessuno. Ciò che trovammo lì fu però ben diverso dal devastante abbandono che ci aveva accolti poco prima. Tutto appariva come sotto un incantesimo. Il meraviglioso giardino, con i suoi infiniti labirinti di siepi e le sue fontane, era rimasto perfettamente intatto, nonostante non ci fosse più nessuno a curarlo e a passeggiare fra i suoi viali ghiaiosi. Il silenzio fu presto soppiantato dallo zampillare sommesso dei giochi d’acqua.
“Dov’è la fonte?” chiesi istintivamente.
“Ricordo quell’acqua. Venite, il pozzo è vicino” rispose Edmund.
Ci infilammo in un labirinto di siepi e lo percorremmo nelle sue intricatissime curve, fino a quando non giungemmo al centro del suo cuore, dove sorgeva una piccola vasca di marmo sormontata da un elaboratissimo arco di ferro battuto. Ci avvicinammo a grandi passi al nostro obiettivo, scoperchiando la grata che proteggeva l’Acqua Vera con l’aiuto delle spade.
“Dobbiamo immergerlo” dissi io facendo un cenno a Peter.
“Non sarà facile” rispose Edmund alludendo al buco nero senza fondo che si spalancava davanti ai nostri occhi.
“Dobbiamo tentare! Non si va da nessuna parte senza Peter e per di più abbiamo i secondi contati!” esclamai io. “Forza, dobbiamo trovare una corda per calarlo giù!”.
Il ragazzo mi lanciò una lunga occhiata perplessa mentre io armeggiavo febbrilmente fra il nostro bagaglio.
“Che cosa fai, Cate? Non mi piace” borbottò Peter senza smettere di starmi fra i piedi.
Alla fine, riuscii a ottenere una fune unendo la mia cintura con le redini dei cavalli e un sottopancia. Meglio di niente.
“Aiutami” intimai a Edmund mentre avanzavo verso Peter. “Pete, ascoltami. Per sconfiggere la maledizione ti dobbiamo calare in quel buco, capisci? Tu sei l’unico che può farcela. So che è brutto, ma devi fidarti di noi, ok?”.
Peter scosse il capo come un bambino spaventato. “Non mi piace. Non voglio” mi implorò.
Il poveretto ignorava che quando mi mettevo in testa una cosa era quasi impossibile farmi cambiare idea. Con una mossa degna del migliore dei cowboy, avvolsi il torace del ragazzo attorno al sottopancia di Phil, assicurandomi di stringere le cinghie ben bene, poi, con un bello spintone, gli feci perdere l’equilibrio, spedendolo dritto dritto in fondo al pozzo.
“CATE!” urlarono Edmund e Lucy increduli, mentre io mi puntellavo con i piedi sul terreno, cercando disperatamente di controbilanciare il peso di Peter senza mollare la presa sulla fune.
Dall’altro capo, il ragazzo continuava a urlare e contorcersi come un pesce preso all’amo.
“Piantala, o cadremo tutti di sotto!” esclamai contrariata.
La cosa sembrò aumentare ancora di più il panico di Peter, perché alle mie parole prese a divincolarsi con ancor più foga, facendomi perdere l’equilibrio.
“Aaaaaaahhhhh!”.
Sentivo che la fune mi stava sfuggendo dalle mani. Feci un ultimo sforzo per trattenerla, ma la forza di gravità vinse quella delle braccia, trascinandomi con violenza verso il buco nero. Aspettavo già di sentire il mio corpo precipitare nel vuoto, quando due braccia sottili mi strinsero alla vita e mi tirarono indietro, facendomi ruzzolare rovinosamente contro qualcosa di morbido.
“Ed!” biascicai stringendo la fune al petto.
“Cavolo, quella di cascarmi addosso non deve mica diventare un’abitudine!” esclamò il ragazzo sotto di me. “Cerca piuttosto di non far affogare mio fratello!”.
“Tienimi! Non ce la faccio da sola!”.
Edmund mi aiutò a rialzarmi in piedi, calibrando insieme le nostre forze e calando lentamente il povero Peter all’interno del pozzo.
Dopo un po’, si udì uno sciabordio sordo provenire da una decina di metri sotto di noi, poi più nulla. La fune era tesa, perfettamente immobile. Mi venne da sudare freddo.
“Pete?” chiesi con voce rotta. “Peter, ci sei?”.
Si sentì uno sputacchiare convulso, poi la corda tornò ad agitarsi.
“Ragazzi? Che diavolo ci faccio io qua sotto? TIRATEMI SUBITO FUORI DI QUI!”.
In tutta risposta, gli giunse un coro di risate da sopra la sua testa.
“Bentornato, Peter!”.


                                                                                                                                               
Finalmente sono tornata! Scusate la mia assenza su questa fic, ma non potete capire le cose che sono successe in questo ultimo mese!
Spero di aver rimediato con questo bel capitolone!
Ultimamente, sono proprio in vena di andare avanti con questa storia, siamo ormai prossimi alla fine e sono tanti i progetti per il futuro!
Al prossimo aggiornamento!
Un bacio grande a tutti voi! Vi voglio bene <3
F.

  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

   
 
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