DAY 7
Come varia il pianto secondo de le emozioni, similmente complicato et prezioso et ogni volta diverso è il ridere.
Reid
alzò un sopracciglio in direzione di Alaska mentre
continuava ad
abbottonare con attenzione la camicia a scacchi del proprio pigiama.
Era
esausto. Non se ne era accorto finché non aveva messo piede
di nuovo
nel proprio appartamento ma, dopo il viaggio a Las Vegas, il
matrimonio last minute e i brevi festeggiamenti che ne erano seguiti
prima del volo di ritorno, non desiderava altro che mettersi a
dormire.
Alaska,
invece, sembrava di tutt'altro avviso.
“Davvero
non sei stanca?” domandò scettico, mentre la
osservava saltellare
da una parte all'altra della stanza, ancora su di giri per gli
avvenimenti delle ultime ore.
Lei
gli rivolse un sorriso radioso “Neanche un pochino.”
Spencer
sospirò stancamente, mentre scostava le lenzuola e si
infilava sotto
le coperte “Beh, io sono distrutto.”
“Siamo
sposati!” esclamò Ross, ignorando evidentemente il
suo commento e
il suo chiaro desiderio di concedersi una buona dormita per le poche
ore che lo separavano dal suono della sveglia.
Tuttavia
non poté impedirsi di rivolgerle un sorriso dolce
“Lo so. È
incredibile, vero?”
“Siamo
sposati!” canticchiò di nuovo la mora, mentre
alzava la mano
sinistra per ammirare l'effetto della fede e dell'anello di
fidanzamento sul suo anulare sinistro.
“L'hai
già detto ai tuoi?” domandò quindi
Reid, non riuscendo a
trattenere uno sbadiglio rumoroso.
Alaska
si lasciò cadere sul letto, incrociando le gambe all'indiana
“Gli
ho mandato un sms.”
Gli
occhi scuri del profiler si spalancarono all'istante “Stai
scherzando, vero?”
“No.-
rispose la giovane, aggrottando la fronte, confusa dal tono incredulo
del neo sposo- Perché?”
Spencer
scosse la testa “Lascia perdere. Che cosa ti hanno
detto?”
“Mia
mamma ha detto che sapeva che sarebbe successo.”
continuò Alaska,
con tono chiacchiericcio.
“Ah,
sì?” ribatté Spencer alzando un
sopracciglio.
L'antropologa
annuì “Già, ha detto che una sua amica
sensitiva gli aveva
predetto che avrei preso una decisione importante che avrebbe
contribuito molto all'incremento della mia
felicità.”
“E
tuo papà?” si azzardò a domandare di
nuovo il ragazzo,
terrorizzato da qualsiasi risposta potesse ottenere.
“Dice
che non vede l'ora di avere un tête
à tête
con il suo nuovo genero.- trillò contenta Alaska- Dice che
vuole che
vai con lui a caccia la prossima stagione.”
“Oh.- fu quello
che riuscì a dire il giovane genio, prima di deglutire
rumorosamente
mentre assimilava la minaccia che aveva letto fra le righe di quella
frase apparentemente innocente- Sai, statisticamente gli incidenti
che capitano a chi va a caccia in coppia sono più frequenti
e spesso
mortali rispetto a chi va da solo o in gruppo?”
“No,
non lo sapevo.”
“Lo
immaginavo.- riuscì a mormorare, la gola improvvisamente
secca- Tuo
padre è esperto in minacce subliminali?”
“Mio
papà ti adora, lo sai.- lo tranquillizzò Ross,
dandogli un buffetto
sul braccio- Gli piace scherzare mettendoti sotto pressione, tutto
qui.”
Reid
borbottò qualcosa fra i denti, per niente convinto da quelle
parole.
Si tolse gli occhiali e li appoggiò sul comodino di fianco
al
proprio lato del letto, pronto a concedersi qualche ora di sonno.
Lanciò
un'occhiata alla propria moglie, che tuttavia non sembrava ancora
intenzionata a infilarsi sotto le coperte.
“Dovremmo
prendere un cane.” disse infatti, picchiettandosi un indice
sotto
il mento.
Spencer
incassò la testa nel cuscino, socchiudendo gli occhi
“Abbiamo già
Pappa.”
“Oh,
e prima o poi andremo a vivere in una casa col giardino sul retro e
la staccionata e un box auto in cui terremo mountain bike che non
useremo mai.” snocciolò con tono gioviale Alaska,
la mente già
vivacemente proiettata sulla loro vita futura.
“Guardi
troppe pubblicità di merendine, lo sai?”
commentò il profiler con
una risata stanca.
Ross
lo ignorò “E poi dovremo mettere la foto che Elvis
ci ha fatto al
matrimonio sul caminetto...”
“Che
non abbiamo.”
“E
ogni volta che qualcuno entrerà nel nostro salotto e il suo
sguardo
verrà attratto da quel riflesso ci siederemo sulla nostra
sedia a
dondolo...”
“Che
non abbiamo.” ribadì Spencer con voce assonnata.
“...e
gli racconteremo di quando ci siamo sposati.” concluse Alaska
con
un sorriso trionfante.
“Dovrai
raccontarlo a Crowford e Stein prima.- gli ricordò il
giovane genio,
aggrottando la fronte- Come credi la prenderanno?”
“Benissimo,
ovviamente.- rispose immediatamente e con convinzione lei- Nate
è il
mio migliore amico e Davon il mio tutore auto-eletto: vogliono solo
il mio bene e che io sia felice. E sai una cosa?Tu mi fai stare
benissimo e mi rendi felice come non mai.”
Reid
le rivolse un sorriso dolce “Già, anche
tu.”
“Amaca.”
“Cosa?”
domandò Spencer confuso, spalancando gli occhi che si erano
socchiusi dalla stanchezza.
“Voglio
anche un'amaca in giardino.” specificò Ross con un
sorriso.
“D'accordo,
ma ora vieni a letto? O preferisci stare alzata a immaginare tutte le
future gioie della vita matrimoniale?”
Alaska
rise, accogliendo quell'invito e accoccolandosi vicino a lui, la
testa placidamente appoggiata alla sua spalla “Direi che
posso
aspettare fino a domani, per quello.”
“Aspettare
fino a più tardi, vorrai dire.- la corresse il ragazzo,
sciogliendo
quell'abbraccio solo per il tempo necessario per spegnere la lampada
accesa sul comodino- È già domani, Al.”
“Questo
vuol dire che siamo sposati già da un giorno. Non
è fantastico?”
Reid
sospirò, stringendola ancora un po' di più a
sé “Sì, ma adesso
dormi, kultani.”
[tesoro
mio, nda]
Dalle
sue labbra sfuggì un sospiro soddisfatto quando si rese
conto che
Alaska aveva davvero deciso di assecondarlo nel suo desiderio di
concedersi qualche ora di sonno ed era pronto a farsi cullare dalle
braccia di Morfeo quando notò un movimento nello specchio
della
porta ancora aperta, sebbene si ricordasse chiaramente di essersela
chiusa alle spalle poco prima. Un'ombra si era mossa furtiva nella
penombra lasciata dalle luci che filtravano placidamente dalla
finestra facendo risvegliare immediatamente i suoi sensi già
assopiti. Si alzò a sedere di scatto per accendere di nuovo
la
lampada sul comodino, spaventato dalla figura che era comparsa di
fianco al letto.
Alaska
si puntellò sul materasso col gomito, fissando con occhi
spalancati
il ragazzino biondo dall'aria colpevole che li guardava entrambi
mordicchiandosi il labbro inferiore.
“Al?”
chiamò il bambino con voce flebile.
“JD?Che
c'è tesoro?”
JD
spostò il peso da un piede all'altro, e solo in quel momento
agli
occhi di Spencer sembrò davvero dimostrare la sua
giovanissima età
“Posso dormire con te?E' l'ultima sera che passiamo insieme
e...”
Alaska
gli rivolse un sorriso dolce prima di voltarsi verso Reid
“Spencer?”
Il
ragazzo sbatté le palpebre confuso “Io...uhm, io
credo che...uhm,
certo...Non c'è problema.”
Simultaneamente
un sorriso luminoso si allargò sul volto dell'antropologa e
del suo
fratellino che schizzò sotto le coperte non appena la
ragazza gli
fece spazio.
“Spencer?”
chiamò di nuovo Ross, mentre JD le si accoccolava accanto.
“Che
c'è?” domandò il giovane, che sperava
davvero che quella fosse
l'ultima interruzione prima di concedersi quelle poche ore di sonno
che, in fondo, pensava di essersi guadagnato.
“Non metterti
troppo comodo.” mormorò Alaska, accarezzando piano
i fili dorati
che erano i capelli del fratello più giovane.
Al
buio Spencer aggrottò le sopracciglia
“Perché?”
“Vedrai.”
fu la sibillina risposta di sua moglie, che subito dopo si mise a
contare a ritmo lento.
“Uno...”
“Due...”
“Tre.”
Dalla
porta arrivò un'altra vocetta flebile
“Al?”
“Salta
a bordo TJ.”
Spencer
Reid inalò profondamente mentre veniva letteralmente
stritolato da
due paia di piccole e magre braccia. I gemelli sapevano ancora di
cioccolato, merito della colazione preparata da Alaska solo un paio
di ore prima, ed erano ormai pronti a salire sull'aereo che li
avrebbe riportati in Kansas dai genitori.
Solo
una settimana prima il giovane profiler non avrebbe mai creduto che
in soli sette giorni la sua vita sarebbe cambiata tanto
drasticamente, eppure così era stato. Abbracciava i due
bambini e si
ritrovò a pensare che gli sarebbero mancati, dopotutto...
Poche
ore prima, Spencer si era svegliato con il suono di tre risate
argentine che gli rimbalzava nelle orecchie e l'amato aroma di
caffè
nelle narici. Non aveva nemmeno avuto bisogno di aprire gli occhi per
rendersi conto di essere l'unico ad essere ancora a letto, nonostante
i numeri che brillavano sulla sveglia digitale sul suo comodino lo
avessero informato immediatamente che non era affatto tardi. Anzi.
Si
era alzato, di malavoglia, ancora spossato dagli eventi della
giornata precedente a Las Vegas, dai quali non si era ancora
completamente ripreso nonostante le ore di sonno profondo e senza
sogni che si era concesso. Il problema della stanchezza, tuttavia,
sembrava assillare solo lui.
Non
appena aveva varcato la soglia della cucina, infatti, si era
ritrovato davanti Alaska e i gemelli impegnati in un gioco di qualche
tipo, la loro vivacità che sprizzava da ogni gesto e sguardo
mentre
saltellavano di qua e di là nella piccola stanza.
“Arrr!”
aveva sentito berciare Alaska, che stava brandendo un cucchiaio di
legno che si era infilata nella manica della felpa per ricreare
l'effetto di un uncino, non appena aveva varcato lo specchio della
porta che dava sulla cucina dal salotto.
Un
sorriso gli si era allargato piano sul volto mentre osservava le
teste bionde dei gemelli muoversi convulsamente, scosse dalle
risatine incontrollate che uscivano dalle bocche spalancate dei due
bambini. Era stato in quel preciso momento che Reid si era reso conto
che quella poteva essere l'esatta rappresentazione di come sarebbe
potuta diventare la sua vita nel giro di pochi anni. Aveva una
famiglia, ormai. Il pensiero non l'aveva nemmeno sfiorato il giorno
precedente, durante la cerimonia: era troppo impegnato a coronare il
proprio sogno d'amore con Alaska per rendersi effettivamente conto di
tutte le possibili conseguenze che quel legame gli avrebbero
ufficialmente portato.
Aveva
una famiglia, ormai. Lui, Spencer Reid, che aveva vissuto da solo
dall'età di diciotto anni, che non aveva mai avuto troppi
amici con
cui condividere le gioie di tutti i giorni, né tanto meno
ragazze,
nel giro di ventiquattro ore si era ritrovato indissolubilmente
legato a un nucleo familiare ampio e caleidoscopico, affiatato e
affettuoso, caotico e imprevedibile. Si era ritrovato immediatamente
a sorridere fra sé e sé, mentre guardava la
scenetta che gli si
presentava davanti senza vederla veramente.
“Tu,
mozzo!- l'aveva immediatamente richiamato la voce di Alaska, strana
alle sue orecchie a causa del tentativo della moglie di imitare la
voce arrochita di un filibustiere col vizio del fumo- Sai che il
codice dei pirati proibisce pensieri troppo impegnativi prima di
colazione!Ora sono costretto a sfidarti a duello per l'ardire che hai
avuto nell'ignorare le regole di questa nave!”
Spencer
era quindi entrato nella stanza, scuotendo la testa divertito
“No,
grazie, passo.”
“Non
si passa mai un combattimento, giovanotto.” era stato quindi
informato da uno dei gemelli (JD?), che gli aveva poi porto uno
spolverino per la polvere che nemmeno ricordava esistesse in casa.
“Ok,
uhm...- aveva balbettato, ancora un po' riluttante considerando il
fatto che nemmeno da bambino aveva partecipato a giochi del genere-
Chi dovresti essere?” aveva poi domandato voltandosi verso la
sua
sorridente moglie.
Gli
occhi di Alaska brillavano di vivacità mentre aveva
strizzato
brevemente un occhio in sua direzione prima di ricalarsi nella parte
che tanto divertiva i suoi fratellini “Chi sono io?Io sono un
temibile pirata, il grandissimo capitano Spoon.”
“Indendi
Hook.” le aveva fatto immediatamente notare Spencer, memore
dell'opera di Barrie.
JD, e quella volta era piuttosto certo che
fosse lui, aveva scosso la testa con veemenza “No, proprio
Spoon.
Il suo acerrimo nemico gli ha tagliato la mano e l'ha gettata da
mangiare a un coccodrillo...”
“...lui
aveva messo un uncino a sostituirla, ma ha sviluppato un'allergia al
metallo che provoca rash pruriginoso e perciò l'ha dovuto
sostituire
con un cucchiaio di legno.” aveva quindi concluso TJ
incrociando le
braccia.
Presa
dal suo ruolo di filibustiere Alaska aveva sospirato mestamente
“E
da allora sono il terribile capitano Spoon. Me misero e
tapino!”
Fu
proprio mentre guardava la giovane antropologa mettersi con fare
drammatico una mano sulla fronte che decise di assecondare i tre
fratelli in quel gioco “Guarda il lato positivo.”
“Cioè?”
gli aveva domandato Alaska, la voce scossa da singhiozzi che potevano
essere di risa come di pianto.
“Quando
c'è la minestra per cena sei avvantaggiato.” aveva
sorriso
serafico, mentre i gemelli scoppiavano di nuovo a ridere.
“Arr,
giovanotto, arr!- era stata la risposta semi-seria del temibile
pirata Spoon- Se non fosse per le tarme ti darei ragione.”
Il
breve siparietto non era finito lì. Alaska aveva servito la
colazione usando lo stesso cucchiaio di legno che le era rimasto
infilato nella manica della felpa e loro quattro avevano
chiacchierato del più e del meno per almeno mezz'ora prima
che i
gemelli si alzassero per annunciare che dovevano iniziare a preparare
i loro bagagli per il volo che avrebbero dovuto prendere di
lì a
poche ore.
Spencer
si era voltato verso sua moglie, quando aveva sentito un singhiozzo
strozzato bloccarglisi sulle labbra.
“Che
cosa?”
I
gemelli si erano mordicchiati le labbra all'unisono, secondo quel tic
familiare che vedeva spesso in azione su Alaska, e avevano rivolto
alla sorella maggiore i loro sguardi limpidi ma tristi.
“Noi
dobbiamo tornare a casa.”
“No!Perché?”
“Papà
è tornato a casa dall'ospedale ieri.- aveva spiegato
pazientemente
TJ- Abbiamo già perso una settimana a scuola, non possiamo
restare
di più.”
“Mamma
ha prenotato un volo per questa mattina, ricordi?- gli aveva dato man
forte il fratello, sebbene non entusiasta di dover lasciare DC-
Dobbiamo ancora preparare le valige e...”
Alaska
aveva sporto il labbro inferiore in un piccolo broncio
“Perché
dovrei perdere del tempo che potrei passare con voi mandandovi a fare
i bagagli?Potrei semplicemente mettere tutta la vostra roba in uno
scatolone e chiamare la FedEx per spedirvi tutto...”
“Tutto
questo è irrazionale.” aveva ribattuto
immediatamente JD scuotendo
la testa bionda.
“E
decisamente poco pratico.”
“E
assolutamente privo di logica.”
“Chi
ha bisogno della logica?- aveva poi continuato a dire l'antropologa-
Ci sono un sacco di cose che vivono serenamente senza bisogno di
logica. La funzione shuffle dell'ipod, ad esempio. O i marshmellow. O
gli elefanti rosa in Dumbo. O i racconti di Carrol...A che serviva la
lista che sto facendo?”
Dopo
quel dialogo non c'erano state ulteriori proteste da parte di Alaska,
che si era limitata a seguire i propri fratellini nella stanza degli
ospiti e ad osservarli mentre, litigando come sempre, cercavano di
riempire i propri bagagli seguendo una logica tutta loro. In quel
momento sua moglie sembrava un cucciolo perfettamente conscio del
fatto di stare per essere abbandonato e nei suoi grandi occhi color
cielo era chiaro il senso di colpa per il fatto di non poter essere
in grado di accompagnare TJ e JD all'aeroporto.
Ed
erano quelli i fatti che l'avevano portato fino a lì.
Aveva
chiamato Hotch e chiesto un'ora di permesso non appena Alaska gli
aveva annunciato che non poteva saltare la sua mattinata di lezioni a
Quantico, caricato le valige dei gemelli nella sua vecchia macchina e
guardato dallo specchietto retrovisore mentre sua moglie salutava con
la mano dal marciapiede davanti al loro palazzo. Cosa che aveva
continuato a fare, sospettava, finché non avevano
effettivamente
svoltato a destra una volta arrivati alla fine della via.
Spencer
si riscosse dai propri pensieri prestando di nuovo attenzione ai due
ragazzini che si trovava di fronte. Poco più in
là, la hostess a
cui sarebbero stati affidati durante il volo stava già
aspettando
pazientemente, un lieve sorriso che le increspava le labbra carnose e
perfettamente truccate.
“Proust
diceva che un vero viaggio di scoperta non deve essere fatto verso
nuovi orizzonti ma verso nuovi occhi.” lo informò
JD, mentre si
spingeva sul naso gli occhiali dalla montatura sottile.
TJ
fece roteare gli occhi platealmente “Questo diceva, quello
pensava:
lo sai che sei noioso a trecentosessanta gradi?”
“Andiamo,
ragazzi, non litigate.” cercò di rabbonirli, con
un sorriso
conciliante sulle labbra.
“Non
stiamo litigando, stiamo discutendo.” specificò
TJ, mettendo un
accento particolare sull'ultima parola.
“Il
che sta alla base di qualsiasi rapporto democratico.”
continuò
l'altro gemello con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Spencer
non poté fare a meno di sorridere a quel commento
“Sapete, mi
mancherete.”
“Anche
tu, Spence.” gli assicurarono in coro i due ragazzini,
strizzandolo
in un altro abbraccio soffocante come per dare maggior rilievo alle
proprie parole.
Una
volta sciolto l'abbraccio JD si infilò una mano in tasca e
ne
estrasse un foglio ben piegato per poi porgerlo a Reid.
Il
giovane profiler alzò un sopracciglio, incuriosito, mentre
TJ
iniziava a spiegare “Un calendario.- rivelò
quindi- L'abbiamo
preparato per te ed Al, ci sono tutte le date in cui voi potreste
venirci a trovare o in cui noi potremmo venire a trovare voi. Sai,
per vederci al di là degli stretti confini imposti da
festività
commerciali prestabilite.”
Spencer
si ritrovò ad annuire “Lo useremo di
certo.”
Stava
per aggiungere qualcos'altro, magari qualcosa che potesse far capire
ai due bambini che gli aveva davvero fatto piacere averli avuti come
ospiti per quella settimana, ma fu interrotto da una voce metallica
che li avvisava che i passeggeri del volo per Wichita dovevano
prepararsi all'imbarco.
Spencer
osservò i due ragazzini trotterellare via affiancando
l'avvenente
hostess e si ritrovò a pensare che, sì, avere a
che fare con i due
ragazzini non era stato affatto terribile come si sarebbe aspettato.
“Che
ci fai tu qui?”
Nathaniel
Crowford non poté fare a meno di far roteare gli occhi a
quel
commento sibilato con tono acido.
“Mi
guadagno la pensione.- ribatté con voce altrettanto ostile
lo
scontroso agente FBI- Sai, non vorrei trovarmi alla tua età
ad
essere costretto a dover tenere seminari con dei pivellini che odio
per arrivare a fine mese.”
“Sai,
Crowford,- continuò immediatamente a parlare l'anziano
antropologo
scimmiottandolo nel tono di voce- ci sono persone a cui piace essere
sempre stimolate intellettualmente. È per colpa tua che la
mia
assistente non è ancora qui?”
Nate
fece roteare platealmente i grandi occhi grigi “No, in
effetti
pensavo che fosse colpa tua se la mia partner non
ha ancora
risposto alle mie chiamate stamattina.” disse, mettendo un
forte
accento sul possessivo.
Davon
si fermò in mezzo all'aula dove l'agente speciale l'aveva
raggiunto
e puntò contro all'uomo più giovane un dito
rugoso e ammonitore
“Bada bene, federale, Ross ha già abbastanza da
fare con me.”
“Dovrai
trovare qualcun altro che ti ricordi di toglierti la dentiera prima
di mangiare cibi appiccicosi.- commentò sprezzante Crowford,
piegando le labbra in un sorriso di sfida- Ross ha un caso a cui
lavorare.”
Come
se richiamata dalla discussione che la vedeva suo malgrado
protagonista, Alaska Ross fece il suo ingresso in quel momento nella
stanza, scivolando con agilità sulle piccole rotelline delle
sue
scarpe da ginnastica.
“Hey,
Ross!” la chiamarono all'unisono i due uomini, ansiosi di
essere i
primi ad attirare l'attenzione della giovane antropologa, come se la
sua fedeltà assoluta per quella giornata sarebbe andata al
primo ad
ottenere un suo sguardo.
Alaska
rivolse a entrambi un sorriso radioso, prima di correggerli trillando
“Reid.”
“Come?”
ribatté Stein, alzando un sopracciglio.
“Adesso
sono Alaska Reid.- annunciò la ragazza, facendo vedere loro
la mano
sinistra sul cui anulare troneggiavano la fede e l'anello di
fidanzamento- Io e Spencer ci siamo sposati a Las Vegas ieri
pomeriggio!”
“Vi...-
Nate si prese volutamente una pausa, imponendo alla propria voce di
essere meno stridula- Vi siete sposati?”
L'
antropologa non rispose alla sua domanda, continuando il proprio
discorso con tono allegro “Non so ancora cosa fare con il
cognome,
voglio dire: adoro essere la signora Reid, ma sarà un
macello
cambiare il cognome da Ross a Reid in tutti i miei lavori e nelle mie
ricerche...”
“Sposati
sposati?- ribadì il muscoloso agente FBI- Ieri?”
“...ma
ne parlerò con Spencer, ovviamente.- concluse la ragazza con
una
scrollata di spalle noncurante- Non credo che per lui sia un problema
se mantengo il mio cognome nel lavoro, ma farò tutto quello
che gli
fa piacere e...”
La
voce di Davon la interruppe, tagliente e fredda come la lama di un
coltello “Questa è la cosa più stupida
che tu abbia mai fatto,
Quarantanove.”
“Per
una volta mi trovo a concordare con Stein.” annuì
immediatamente
concorde Crowford.
Alaska
aggrottò la fronte, i grandi occhi cerulei velati di
perplessità
“Non capisco. Non siete contenti per me?”
Il
vecchio antropologo scosse la testa, prima di iniziare a cercare di
far ragionare la propria protege “Innanzitutto, una cerimonia
a Las
Vegas è pacchiana e poco promettente come inizio di una
lunga vita
insieme. In secondo luogo è stato tutto troppo improvviso e
non
avete avuto tempo di pianificare e...”
“Ma l'amore si vive,
non si pianifica.” disse candidamente la ragazza, con un
sorriso
lieve sulle labbra.
Crowford
si ritrovò a scuotere la testa rassegnato “Odio
avere a che fare
persone così ottimiste.”
“Stranamente
ci troviamo di nuovo d'accordo.” borbottò Davon
con un lungo
sospiro.
Alaska
ignorò i loro commenti e scivolò leggermente sui
suoi pattini in
modo da essere di fronte all'agente FBI.
“Che
ci fai qui, Nate?” domandò, col tono di un bambino
che aveva
ricevuto un regalo inaspettato e ne voleva sapere il motivo.
“Stavo
spiegando al tuo antipatico mentore che non puoi fargli da badante,
oggi.- spiegò l'uomo, scrollando le spalle muscolose-
Abbiamo un
caso: corpo smembrato e decomposto venuto a galla dal fiume Potomac.
Il patologo ha detto che spetta a te.”
“D'accordo,
ma prima devo andare agli uffici del personale. Mi hanno detto che
c'è qualcosa che non va con la mia documentazione.”
“Se
aspettiamo ancora un po' quel corpo diventerà cenere prima
del
nostro arrivo.”
“Oh,
questo è impossibile, Nate. Ci vogliono anni prima che una
cosa del
genere accada.”
“Già.
Lo stesso tempo che impieghi tu per capire quando uno usa del
sarcasmo.”
“Benvenuto
nel mio mondo. Quarantanove puoi andare, ma ti voglio qui oggi
pomeriggio. Ho la netta sensazione che le tesine di questo branco di
debosciati che mi hanno affidato saranno piene di inesattezze
scientifiche e mi faranno venire di nuovo voglia di ritirarmi a vita
privata.”
“Ok.
Andiamo, Nate? Potresti darmi una piccola spintarella in direzione
dell'ascensore?”
Il
giovane fece roteare gli occhi con aria scocciata, ma
appoggiò lo
stesso la sua grossa mano sulla spalla dell'antropologa per spingerla
verso la direzione indicata.
Mentre
si stavano allontanando sentirono uno degli studenti che si stavano
accomodando sui banchi dell'aula in cui il dottor Stein stava per
iniziare la sua lezione, fare una domanda al luminare.
“La
dottoressa Ross non rimane?”
“No.
Deve finire di mandare al lavoro i sette nani.” fu la
risposta
sibilata dal professore, prima di iniziare a mostrare delle
diapositive di corpi decomposti, smembrati e carbonizzati come
dimostrazione delle diverse applicazioni dell'antropologia forense
nel riconoscimento delle vittime.
Arrivati
alle porte dell'ascensore, Crowford spinse dentro con delicatezza
l'amica, prima di voltarsi verso l'immensa tastiera di bottoni
indicanti i piani di quell'edificio.
“Dove
sei diretta, Ross?” domandò con tono noncurante.
“Reid.-
lo corresse brevemente la ragazza, prima di trillare- Quinto
piano.”
“Reid.-
ripeté meditabondo Nate- Quindi siete davvero
sposati?”
Alaska
annuì con veemenza “Sì. Elvis ci ha
fatto firmare tutte le carte:
è ufficiale.”
L'agente
federale fece roteare gli occhi “Elvis. Dovevo
immaginarlo.”
“Un
matrimonio a Las Vegas senza Elvis è come...”
“...un
muffin senza gocce di cioccolato.” concluse per lei Crowford.
“Come
facevi a sapere che avrei detto quello?” domandò
stupita
l'antropologa, sgranando i grandi occhi chiari.
Nate
scrollò le spalle “Con te basta dire la prima cosa
che viene in
mente e si è apposto.”
Alaska
proruppe in una breve risata, prima di rimpiazzarla con un sorriso
dolce e posare una mano sul bicipite ben definito dell'amico
“Mi
sarebbe piaciuto se ci fossi stato presente.”
Crowford
sbuffò proprio mentre uno scampanellio li avvisava che erano
arrivati al piano desiderato “Sai che odio i
matrimoni.”
La
osservò uscire dal vano dell'ascensore e decise di cambiare
drasticamente argomento “Ti aspetto al parcheggio esterno.-
la
avvisò- E non metterci troppo: il traffico a quest'ora
è
allucinante.”
La
giovane mimò un saluto militare in sua direzione e
esclamò un “Agli
ordini!” prima di girare i tacchi e avviarsi lungo il
corridoio che
si apriva alla sua sinistra.
“Hey,
Reid!” la chiamò di nuovo Crowford, prima che le
porte
dell'ascensore si chiudessero di nuovo per portarlo al pian terreno.
Alaska
si voltò sorpresa da quel richiamo inaspettato
“Che c'è Nate?”
“Sono
contento che sei felice. Davvero.” disse, inclinando
leggermente la
testa per evitare il contatto visivo.
E
mentre le porte metalliche si stavano chiudendo, questa volta per
portarlo davvero via, sul volto di Alaska si aprì un sorriso
brillante che trasmetteva quanto quella semplice frase l'avesse resa
felice.
Spencer
alzò la testa di scatto quando sentì un sobbalzo
davanti alla
propria scrivania. Stava per rimbeccare Morgan sul fatto di come
fosse incapace di sedersi senza che l'intero reparto si accorgesse
dei suoi movimenti, sperando così di riuscire a mascherare
come quel
rumore improvviso l'avesse leggermente spaventato, immerso com'era
nell'analisi comparata delle statistiche dei crimini violenti nelle
diverse zone della nazione, quando si accorse che il nuovo arrivato
non era affatto il suo amico e collega che si trovava qualche passo
più in là, impegnato in una fitta conversazione
con JJ.
Un
paio di vivaci occhi cerulei brillavano nella sua direzione mentre un
sorriso aperto decorava delle labbra rosate che gli erano decisamente
familiari.
“Hey
Cici!” fu l'allegro saluto di Alaska, mentre si appoggiava
con
entrambe le mani al piano di legno davanti a sé.
Spencer
arrossì all'istante nel sentir pronunciare quel soprannome
sul suo
posto di lavoro. Forse, se era abbastanza fortunato, poteva sperare
che Morgan e JJ non l'avessero affatto sentito. Dopotutto, Alaska non
aveva parlato così forte...
“Cicci?” ripeté la bionda con
tono confuso, ma con un sorriso divertito sulle labbra.
Come
al solito la fortuna non sembrò girare dalla sua parte,
rifletté
mestamente Reid, osservando gli altri due avvicinarsi, probabilmente
incuriositi dalla presenza fuori programma di sua moglie.
“No
no no. Cici, con una sola C.- la corresse immediatamente la giovane
antropologa, prima di spiegare l'origine di quel nomignolo- Trovare
un soprannome per Spencer è stato difficile, volevo qualcosa
di
diverso dal solito, di personale, ma che ricordasse il suo nome, ho
pensato a Spency ma non mi convince. Alla fine ho tolto Spen e
raddoppiato il finale: et-voilà!Ecco il soprannome
perfetto.”
“Che
avevi giurato di non usare mai davanti a loro.- specificò
Reid lanciandole un'occhiata ammonitrice- Soprattutto a
Morgan.”
Derek
gli rivolse un ghigno divertito “Ow, che c'è
Cici?Ti senti in
imbarazzo?”
Il
giovane genio lo ignorò completamente, tornando a rivolgersi
alla
propria moglie “Che cosa ci fai qui Alaska?Credevo che avessi
lezione con Stein stamattina...”
Alaska
annuì in modo solenne “Teoricamente sì,
ma poi è arrivato Nate:
c'è un caso che richiede l'intervento di un antropologo
forense e
hanno chiamato me, quindi stavo per andare sulla scena del crimine
con lui.”
“Ti
sei di nuovo dimenticata di dirmi perché sei qui.”
le ricordò
Spencer con tono indulgente.
“Giusto!Devo
parlarti.”
“Ok.”
“In
privato.” aggiunse quindi la ragazza, bisbigliando come se
fosse un
segreto.
“In
privato?Tu che parli a qualcuno in privato?- aveva ribattuto
immediatamente Morgan, le sopracciglia inarcate per lo stupore- Mi
hai raccontato senza alcun imbarazzo ogni dettaglio della tua ultima
visita ginecologica!Mi sto ancora riprendendo dal trauma...”
“In
privato?” ripeté Reid, altrettanto confuso da
quella richiesta.
La
giovane si strinse nelle spalle “Sì, in
privato.”
“Potete
usare il mio ufficio.” li invitò JJ additando la
porta che aveva
lasciato aperta poco prima, mentre dentro di sé cominciava a
formulare diverse ipotesi plausibili per l'insolito desiderio di
privacy della ragazza.
“Ok,
grazie mille, JJ!- Alaska le rivolse un sorriso radioso mentre
prendeva per mano il marito e lo tirava gentilmente verso la stanza
indicata dalla bionda- Andiamo Spencer?”
Reid
si ritrovò a scuotere la testa per riprendersi dallo stato
annebbiato in cui l'aveva trascinato quella semplice richiesta
“Ooh-okay.”
“Di
che cosa gli dovrà parlare?” domandò
quindi JJ, non appena i due
furono abbastanza lontani da non poterli sentire.
“Conosci
Alaska, non sarà niente di grave.- la rassicurò
Derek con una
scrollata di spalle- Forse vuole semplicemente chiedergli che cosa
vuole per cena.”
“Allora,
come mai tutta questa segretezza?- domandò Spencer,
chiudendosi la
porta alle spalle e fissando Alaska con aria grave- C'è
qualche
problema?”
L'antropologa
scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi capelli corvini
“Nah.
Voglio solo parlarti di una cosa.”
Reid
non si fece abbindolare dal suo solito tono noncurante “Come
mai
qui?- incalzò aggrottando le sopracciglia- Avresti potuto
dirmela
stasera.”
“Non
credo che saresti stato contento se avessi aspettato così
tanto e,
conoscendomi, te lo avrei detto mentre apparecchiavamo tavola-
spiegò
quindi Alaska, parlando velocemente e assumendo un'espressione
concentrata mentre valutava la possibilità proposta dal
marito- e
sono certa che questa è una di quelle cose che tu ritieni
importanti
e private, sul piano della comunicazione, intendo.”
C'era
qualcosa nel tono della giovane che fece suonare un campanello
d'allarme dentro il petto di Spencer, ma il profiler si
intimò di
non lasciarsi distrarre dai propri istinti e il proprio pessimismo.
Così, prese un bel respiro e annuì in direzione
della moglie “Ok.
Dimmi tutto, Al.”
Alaska
obbedì immediatamente, iniziando a parlare a raffica,
gesticolando
in modo sconclusionato mentre cercava di spiegarsi al meglio e
sbrigare quella matassa aggrovigliata che erano i suoi pensieri in
costante evoluzione “Beh, sai che faccio da assistente a
Davon,
giusto?A quanto pare, per lavorare anche solo come collaboratore in
questi edifici dell'FBI bisogna presentare un certificato medico che
attesti il proprio stato di salute a scopi assicurativi e io credevo
di essere a posto, dato che lavoro con Nate da un po' ormai, ma
è
saltato fuori che dato che la mia assicurazione copre solo eventuali
incidenti all' Hoover Building e non qui a Quantico ho dovuto
assolutamente mettere in regola di nuovo la mia documentazione
d'assunzione. Che bisogno ci sarà di essere così
menagrami, poi?
Non sono mai successi incidenti gravi né in obitorio
né in aula...E
poi Quantico non dovrebbe essere uno dei posti più sicuri in
America? In ogni caso, l'altro giorno, mi hanno mandato a fare un
certificato di buona salute all'infermeria, quella del quinto piano
dove lavora quella dottoressa simpaticissima con i capelli rossi, la
conosci?Si chiama Dalila ed è un vero spasso, parla sempre
di suo
marito e...”
“Alaska,
stai divagando.” la avvertì Spencer, la voce
acuita dalla
preoccupazione.
“Oh,
giusto.- si riscosse la ragazza, scuotendo la testa come se fare
ciò
la potesse aiutare a riprendere le fila del discorso- Comunque, mi ha
visitato e ha anche prelevato del sangue per le analisi di routine e
a quanto pare oggi sono arrivati i risultati ed è uscita una
cosa
che di certo non mi aspettavo e...”
“Sei
malata?” la interruppe di nuovo Reid, e questa volta il
panico era
palpabile sia nella sua espressione che nel tono che aveva usato.
Alaska
scoppiò quasi a ridere “No!Come ti viene in
mente?”
“Beh,
vieni qui all'improvviso, mi vuoi parlare da solo e in privato, cosa
che non fai mai perché non ti importa niente della privacy e
inizi a
parlarmi di analisi, il che vuol dire che è emerso
qualcosa.-
borbottò il giovane genio spiegando il proprio punto di
vista-
Qualcosa che non ti aspettavi e che è talmente importante
che devi
comunicarmelo immediatamente. Sei malata?Cos'hai?Un virus?Un
batterio?Un parassita?”
“Parassita.-
Alaska si prese qualche secondo per riflettere su quella parola- In
effetti, credo che come definizione possa andare bene.”
“Oddio!-
esalò Spencer con occhi sgranati. Nella mente immaginava
già gli
scenari peggiori: possibile che la sua vita che sembrava essere
diventata perfetta così all'improvviso fosse già
destinata a
peggiorare?- Al...è-è grave?”
“Oh,
no, per niente.- lo rassicurò di nuovo la ragazza, una
strana luce
più vivace del solito negli occhi chiari- La dottoressa ha
detto che
è positivo il fatto che non sia stata male fino ad ora, e
comunque è
una cosa che è già successa a un sacco di
persone, niente di grave,
passerà col tempo...”
“Mi
vuoi dire cos'hai?” sbottò Reid, esasperato dal
fatto di non
sapere ancora nulla di quello che sua moglie voleva dirgli.
“Sono
incinta.”
Le
labbra dipinte di viola di Penelope Garcia si aprirono in un sorriso
brillante non appena il suo sguardo si posò sul suo
obiettivo. Non
era stato difficile per lei, la regina del gossip d'ufficio della
BAU, scoprire che Alaska si era presentata inaspettatamente da loro
quella mattina e lei non si sarebbe fatta sfuggire per niente al
mondo l'occasione di fare quattro chiacchiere con la sua antropologa
forense preferita.
“Alaska!-
la chiamò con un trillo nella voce- Dove hai lasciato la tua
metà?”
La
mora aggrottò la fronte, confusa “La
mia...metà?Credo di essere
tutta intera.” rispose toccandosi pancia e fianchi come per
appurarsene.
“E'
un modo di dire, tesoro.- rise Penelope, prima di riformulare la
domanda- Dov'è Reid?”
“Oh, lui è ancora nell'ufficio di JJ.-
spiegò quindi la giovane con una scrollata di spalle-
È svenuto,
per questo sono andata a prendere dell'acqua.”
“E'
svenuto?” ripeté Garcia, ormai preoccupatissima,
mentre seguiva
Alaska lungo l'open space e poi di nuovo sulle piccole scale, verso
l'ufficio della loro coordinatrice dei media.
“Già,
non sembra niente di grave.- la rassicurò la neo signora
Reid,
assumendo inaspettatamente il tono del medico che, in fondo, era- I
suoi parametri vitali sono nella norma e stabili, ma perdere
coscienza così è strano, vero?”
“Che
cosa è successo?” chiese di nuovo Penelope,
lanciando un'occhiata
a Spencer che giaceva ancora incosciente sulla poltrona di JJ, ma che
sembrava stare tutto sommato piuttosto bene.
Alaska
fece dondolare la testa da sinistra a destra, pensierosa “Non
lo
so!Stavamo parlando ed è caduto come una pera cotta. Non
credo si
tratti di un calo di zuccheri, stamattina ha mangiato e i miei
pancakes sono fatti apposta per essere ipernutrienti. Forse un calo
di pressione?Credi che possa esserci qualcos'altro che non va in
lui?Le spiegazioni per una perdita di coscienza così
improvvisa non
sono mai buone e...”
Garcia
le posò le mani sulle spalle, cercando di tranquillizzarla
“Alaska,
stai calma. Non sembra che stia male, vedi?Si sta
riprendendo.”
“Magari
è stato quello che gli hai detto che l'ha fatto andare fuori
di
testa. - continuò a parlare la rossa, mentre osservava Reid
che
lentamente sembrava risvegliarsi- Qualche idea folle delle
tue?”
La
giovane antropologa scosse piano la testa “No. Gli ho solo
detto
che sono incinta.”
Al
sentire quelle parole Penelope non poté fare a meno di
spalancare la
bocca, portandosi al viso una mano dalla manicure multicolor
“Cosa?”
“Sono
incinta.” ripeté piano Alaska, sinceramente
confusa di come una
semplice affermazione potesse portare tanto stupore in chiunque la
ascoltasse.
“Aaaah!-
gridò la tecnica informatica iniziando a saltellare sul
posto,
incapace di contenere la propria gioia- Ommiodio sei incinta!”
Garcia
aveva afferrato con forza le mani dell'amica, costringendola a unirsi
a quella sua primordiale danza della felicità, ed entrambe
erano
talmente prese dai propri gesti che non si avvidero del resto della
squadra che era accorsa all'ufficio di JJ non appena avevano sentito
l'urlo della collega.
Nel
sentire le ultime parole che si stavano scambiando le due ragazze
erano rimasti tutti pietrificati sul posto. Fu Rossi il primo a
riprendersi e a essere in grado di pronunciare qualche parola.
“Sei
incinta?” domandò, incredulo, mentre osservava
quella che vedeva
ancora come la bambina indifesa che aveva salvato anni prima annuire
con slancio.
“Sei
incinta!- esclamò Emily con un sorriso radioso sul bel
volto- E'
straordinario.”
Alaska
corrugò la fronte, perplessa “Non poi
così tanto. Un sacco di
donne lo sono e lo sono state, non è una cosa
particolarmente
strana, ma un semplice processo naturale di riproduzione della
specie.”
“E'
una cosa meravigliosa, Al!” la corresse immediatamente JJ,
sorridendole dolcemente mentre la stringeva in un abbraccio per
congratularsi.
“Lo
so, ma non strana.” ribadì l'antropologa con un
sorriso.
Nel
frattempo Reid si stava riprendendo, alzandosi lentamente dalla
poltrona di JJ per affiancarsi ad Alaska, mettendole un braccio
intorno alle spalle sia perché sentiva ancora il bisogno di
avere un
po' di sostegno, sia perché voleva avere qualcosa che gli
facesse
davvero capire di essere sveglio davvero.
Morgan
si avvicinò al giovane collega e gli sferrò un
cameratesco buffetto
sulla spalla esile “Incredibile, Reid. Fino all'altro giorno
eri il
nostro piccolo e goffo genietto, ed ora non solo sei sposato, ma stai
anche per diventare padre!”
Spencer
gli rivolse un sorriso debole “Ti prego, non dirmelo troppo
spesso.
Sento che mi sta per arrivare una crisi di panico.”
I
presenti si lasciarono andare a una risatina divertita e Hotch gli
rivolse un sorriso paterno “Non preoccuparti, Reid.- lo
rassicurò
mettendogli una mano sulla spalla e dandogli una strizzatina di
incoraggiamento- Sono certo che andrà tutto per il
meglio.”
Alaska
annuì con convinzione “Certo che sarà
così.- confermò,
abbracciando con lo sguardo prima tutti gli amici lì riuniti
e poi
tornando a fissare Spencer con amore- Questo bambino avrà
una
famiglia fantastica.”
Reid
si ritrovò ad annuire e a sorridere di rimando alla moglie.
Aveva
ragione. Quel bambino non solo poteva contare su loro due, ma anche
sulle loro famiglie che contavano non solo i membri accomunati da
legami di sangue, ma anche Hotch, Rossi, JJ, Emily, Derek e Penelope,
oltre che Davon e Crowford. Spencer Reid ne era sicuro: il bambino
che sarebbe arrivato nel giro di qualche mese sarebbe stato amato e
vezzeggiato dalle persone migliori che avesse mai conosciuto.
“Diventeremo
genitori?” domandò Spencer, per l'ennesima volta.
Aveva
la testa appoggiata pesantemente al cuscino e lo sguardo fisso sui
colpi di spugna che decoravano di blu il soffitto della loro stanza,
come se in quei disegni astratti potesse trovare una risposta a
qualsiasi interrogativo gli passasse per la testa.
“Diventeremo
genitori!” confermò Alaska, la voce uno
scampanellio pieno di
gioia.
“Diventeremo
genitori.” ripeté di nuovo Reid, senza staccare
gli occhi dal
soffitto.
Da
quando, quella mattina, Alaska gli aveva annunciato di aspettare un
bambino continuava a sentire una fitta all'altezza dello stomaco che
gli faceva provare un innaturale senso costante di panico.
Sapeva
che prima o poi sarebbe successo, certo: desiderava diventare
genitore, quindi non era questo il vero problema. Ma così
presto?
Senza nemmeno avere avuto il tempo di accarezzare quell'idea con sua
moglie, programmare un piano d'azione, decidere se quello era
effettivamente il momento giusto per allargare il loro neonato nucleo
familiare?
“Dobbiamo fare un sacco di cose e tu
sei già al secondo mese!- sbottò alla fine delle
proprie
riflessioni, puntellandosi con un gomito sul materasso e voltandosi
verso Alaska che stava tranquillamente sdraiata a pancia in su al suo
fianco- Come hai fatto a non accorgerti di nulla finora?”
La ragazza tentò di scrollare le
spalle, pur nella sua posizione inadatta a quel gesto “Non ci
ho
fatto troppo caso...”
Spencer, tuttavia, non diede realmente
ascolto alla sua risposta “Dobbiamo cercare una casa
più grande.-
annunciò con tono ansioso- Insomma, quest'appartamento va
bene per
noi due ma non voglio che nostro figlio abiti in uno spazio
così
piccolo, c'è a malapena posto per una nursery, ti immagini
quando ci
sarà il bambino con tutte le sue cose?”
Alaska proruppe in una risatina,
dandogli un buffetto sul braccio “Un neonato non occupa poi
tanto
spazio, non c'è tutta questa fretta.”
“E forse sarebbe meglio trovare un
posto fuori Washington, magari in una cittadina non troppo grande,
tranquilla, e soprattutto con sistemi di comunicazione interrata. Non
vorrei che al primo temporale rimanessimo senza corrente elettrica.
Potremmo prendere un generatore, oppure...”
continuò a parlare
velocemente Reid, la mente che viaggiava a velocità
supersoniche.
“Pannelli ad energia solare?”
propose la ragazza, anche se sapeva che ormai suo marito non era
più
in grado di ascoltarla.
“E poi dovresti davvero prendere la
patente, ne avrai bisogno quando nascerà il piccolo
e...” continuò a parlare velocemente il giovane
genio.
“E' un po' che non ci provavo.-
acconsentì Alaska divertita- Magari la quinta volta
è quella
buona!”
“E assolutamente basta caffè per te
d'ora in poi.”
“Sai che non ne bevo molto...”
Spencer non rispose a quel commento,
rimanendo in silenzio per qualche minuto e assumendo, se possibile,
un'espressione ancora più pensierosa di quella che
già aveva.
“Tesoro?- lo chiamò la moglie,
riscuotendolo dai suoi pensieri- Posso sentire le tue cellule grige
lavorare a mille all'interno della tua scatola cranica. Che cosa
c'è?”
Reid si mordicchiò un po' il labbro
inferiore prima di parlare, con tono cupo “Alaska, tu sai che
mia
mamma è schizofrenica.”
“Sì.”
“Quella malattia si trasmette
geneticamente.- continuò quindi a parlare in un mormorio
mesto- E
se...”
Alaska gli diede un'amorevole carezza
sul braccio “I se non contano, lo sai.”
Quel gesto che di solito aveva un così
buon ascendente su di lui, però, quella volta non parve
funzionare
“Al, questa è una cosa seria, reale.”
“Il bimbo starà bene.- gli assicurò
di nuovo la ragazza, cercando un'argomentazione valida per consolare
il marito- Sai, il mio bisnonno ha avuto problemi di cuore e mia
nonna un infarto. Anche quelli sono trasmissibili
geneticamente...”
“Oddio!” esclamò Spencer
mettendosi a sedere di scatto, gli occhi scuri spalancati e ancor di
più pieni di panico.
“Che c'è?- domandò spiazzata da
quella reazione inaspettata- Io l'ho detto per tranquillizzarti sulla
casualità di certe combinazioni genetiche, non per farti
preoccupare.”
Reid le rivolse uno sguardo allucinato
“I tuoi fratelli sono gemelli omozigoti.”
“Esatto.- confermò Alaska annuendo-
È per questo che facciamo così fatica a
distinguerli.”
Il profiler scosse la testa più volte,
come per scacciare quello che stava dicendo la moglie in favore
invece del proprio pensiero “No, quello che volevo dire
è che la
tendenza ad avere una prole gemellare è trasmissibile
geneticamente,
soprattutto verso gli eredi femminili. E se fossero gemelli?”
“Doppio amore?” ribatté Alaska con
voce soave e un sorriso felice sulle labbra.
Spencer fece qualche respiro profondo,
riconoscendo che le proprie preoccupazioni erano forse fuori luogo in
quel momento “Come fai a prendere sempre tutto con questa
calma?Non
è giusto che sia io il solo ad agitarsi.”
“Ma amore, io sono calma perché so
che andrà tutto per il meglio.- spiegò la giovane
antropologa con
voce determinata- Non c'è niente di cui preoccuparsi, ne
sono
sicura.”
“Non c'è niente di cui
preoccuparsi.- ripeté Reid, come per autoconvincersi di quel
concetto- Giusto. In fondo, nel giro di qualche mese saremo solo
responsabili di un piccolo essere umano completamente incapace di
badare a se stesso. Niente di cui preoccuparsi.”
Alaska scoppiò in una risata argentina
“Sei buffo.”
Inaspettatamente Spencer si ritrovò a
ridere a sua volta, lasciandosi cadere di nuovo sul letto e
ritrovandosi fianco a fianco alla moglie, l'uno leggermente orientato
verso l'altra.
“Allora, non hai niente da dire?”
domandò quindi la ragazza.
Il profiler si ritrovò ad aggrottare
la fronte, confuso “Come?”
“Al nostro baby-genio che sta per
arrivare.- spiegò quindi Alaska- Da quando ho avuto questa
notizia
non riesco a smettere di parlare con la mia pancia, forse dovresti
iniziare a farlo anche tu, sai per non rimanere indietro...”
“Non credo che a questo punto della
gravidanza lui...” si ritrovò a razionalizzare con
il tono da
saputello che mandava sempre in bestia Morgan il ragazzo.
“...o lei...” fu l'immediata
correzione.
“...o lei abbia un apparato uditivo
sufficientemente sviluppato per percepire i suoni esterni.”
Alaska non si fece scoraggiare da
quella spiegazione scientifica “Oh, andiamo!Baby-G
aspetta.”
Spencer sorrise dolcemente, vinto dal
suo entusiasmo, e posò una mano affusolata sul ventre della
moglie
avvicinandovi poi il viso “Hey, lì dentro?E' il
tuo papà che ti
parla. Volevo solo dirti che sei la sorpresa più bella che
mi sia
mai stata fatta.”
“Gli ho già raccontato che sei
svenuto quando te l'ho detto.” gli rivelò quindi
Alaska gioviale.
Reid rise e si posò l'altra mano di
fianco alle labbra come per non farsi sentire dalla ragazza
“Non
credere a quello che dice la mamma su questo fatto. Tende ad
esagerare.”
“Questo non è vero!”
“Sì che lo è.- ribadì,
sporgendosi
verso di lei e posandole un dolce bacio sulle labbra- Ed è
uno dei
motivi per cui ti amo tanto.”
Ross rise e si diede un colpetto sulla
pancia “Te l'avevo detto che avrai il papà
più dolce del mondo.”
Spencer non ribatté. Si limitò a
rivolgere a sua moglie un sorriso amorevole e ad avvolgerle un
braccio intorno alle spalle mentre lei si accoccolava meglio contro
il suo petto. Alaska
sfregò dolcemente la propria guancia sulla sua spalla
iniziando a
chiacchierare su come meravigliosa sarebbe diventata la loro vita da
lì a qualche mese.
E
in fondo ai loro cuori sapevano che, qualsiasi cosa fosse loro
successa, non c'era modo che la loro vita potesse prendere brutte
pieghe finché potevano contare l'uno sull'altra.
Avrei
dovuto pubblicare un sacco di tempo fa, lo so. Ma come al solito la
Sfiga ha dimostrato di avermi preso di mira ed è successa
quella che
mi è sembrata una mezza tragedia. Il pc ha crashato mentre
avevo
aperto il file di word su cui ho salvato tutte
le
storie su cui stavo lavorando (lasciamo stare la mia pigrizia
nell'avere un solo file per una decina di storie su serie diverse...)
e ho perso tutto. Tutto. Non so come ci sono riuscita, ma smanettando
a caso sono riuscita a ripristinare una versione precedente,
ahimé
risalente a diversi mesi fa e quindi ho perso un sacco di materiale
su cui avevo lavorato nelle ultime settimane. E ci sono rimasta male,
ma male davvero. Perché mi sembravano tutte scene
così carine e le
ho perse per sempre e anche se le riscrivessi con la stessa trama non
sarebbero comunque le stesse. E così mi sono depressa e ho
accantonato tutto per un po', perché io sono testarda e
perfezionista e cintura nera terzo dan nelle battaglie
passivo/aggressive. Ma poi ho pensato: erano solo un mucchio di
parole messe insieme per divertimento. Non ho perso un occhio o una
gamba o affrontato chissà quale tragedia. E così
ho riscritto
tutto, e questo è il nuovo risultato. Ma è
passato un secolo, lo
so, e vi devo delle scuse.
Quindi,
scusatemi.
Se
può esservi di consolazione vi posso dire che la Musa sta di
nuovo
dormendo sul mio divano e che quindi d'ora in poi dovrei essere
più
celere nei miei aggiornamenti, anche se quelli di questa storia
saranno al massimo un paio.
Ma
tornando all'argomento che probabilmente vi interessa di
più, ovvero
questa storia: che ne pensate?Devo pagarvi le parcelle di
dentisti&co
a furia di tutte le carie che vi ho fatto venire con questi ultimi
due capitoli super-zuccherosi? In effetti, mi sono resa conto anche
io mentre li scrivevo che erano abbastanza banali sul piano della
trama ma...io sono un'amante degli happy ending. Fuori sono tutta
rock'n'rolla con i miei commenti cinici e l'amore per le serie crime
più tragiche, ma se mi date una storia strappalacrime
sarò vostra
per sempre e mi affezionerò così tanto ai
personaggi da piangere,
probabilmente. Sono un caso senza speranza, lo so.
Ah,
momento copyright: il soprannome Cici che ho affibbiato a Spencer
è
frutto della mente di _Antu.
È un soprannome così delizioso che non potevo non
utilizzarlo e lei
è stata così gentile da prestarmelo per questa
storia. (Per la
cronaca, la spiegazione idiota sulla sua nascita è invece
frutto dei
miei neuroni avvizziti).
Che
altro dirvi, poi?Sono passati mesi, ormai che non so nemmeno che
raccontarvi, eheheh. Vabbé vi dico che mi fa immensamente
piacere
vedere che non avete abbandonato la storia nonostante io sia una
pessima autrice, ad esempio. Sono banale?Ecco, aggiungetelo alla
chilometrica lista dei miei difetti.
Ora
vi saluto, che mi sa che vi sto tediando oltre ogni dire con le mie
inutili chiacchiere.
Besos
a todos
JoJo