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Autore: Vanderbilt    29/09/2011    14 recensioni
Pensa alla carriera e mai all'amore, lei è Isabella Swan, venticinquenne con una carriera promettente nel mondo di Hollywood. Il suo sogno è sempre stato quello di seguire le orme del padre, il suo mentore, e ora che ne ha la possibilità non vuole che nulla intralci il suo cammino.
Ma i progetti possono sempre cambiare o fallire, oppure offrire sorprese inaspettate. Quale tra queste opzioni sarà la strada di Bella? Tutte e tre? Forse...
Edward è un uomo dalle mille risorse, farà di tutto per ottenere ciò che vuole. Lotterà per l'impossibile che si trasformerà in possibile.
Nella vita per cosa vale la pena vivere? Isabella scoprirà la risposta.
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Paradise

When She was just a girl
She expected the world
 Coldplay, Paradise  

Per cinque lunghi anni la mia vita aveva sempre preso il ritmo di quella di mio padre. Perchè? Perchè lui era il mentore, il mio capo. Colui che mi ha insegnato tutto ciò che so del mio lavoro.

Charlie Swan, noto regista di fama internazionale, è mio padre.

A diciotto anni, finite le scuole superiori, iniziai a prendere in considerazioni di seguire le orme di mio padre.

Da sempre avevo trascorso infanzia e adolescenza seguendolo nei vari set dei suoi film, incuriosita da quel mondo strano ad una bambina, ed iniziai ad apprendere tutto ciò che potevo. Crescendo iniziai ad aiutare mio padre nel suo lavoro, sempre come assistente o aiuto regista e da lì presi in considerazione la mia idea di diventare io stessa regista.

Poco prima di iniziare il liceo ne parlai a mio padre, ma lui non mi prese sul serio spiegandomi che era l'unica realtà che conoscevo, per questo pensavo di poter trascorrere la mia vita sui set dei film. Si dovette ricredere quando, finiti gli studi, non presi in considerazione l'idea di andare al college e specializzarmi in qualcosa che mi appassionava. Capì che la mia passione era la sua e iniziò a insegnarmi tutto ciò che poteva, anche se non abbandonò mai l'idea di convincermi a fare altre esperienze lavorative, e se proprio insistevo nello stesso campo.

Purtroppo la recitazione non mi piacque per nulla, non mi trovai a mio agio con il mio partner, e non per problemi di timidezza, non sapevo nemmeno cosa significasse quell'emozione. Provai anche a scrivere sceneggiature, ma anche quel campo fu una delusione: io desideravo stare dietro la cinepresa, dirigere un film e dargli la mia impronta personale.

A quel punto mio padre smise di farmi provare nuove esperienze e accettò con entusiasmo la mia decisione. Mi portò in tutti i set dove dirigeva un film, mi fece persino provare a dirigere alcune scene sotto le sue direttive e, in cinque anni, imparai tutto ciò che mi insegnò. A volte, scherzando, mi chiamava "spugna", per la mia capacità di assorbire anche il più piccolo consiglio.

Per i primi due anni non mi fece sentire tutte le pressioni e le responsabilità che una professione come la sua esigeva. Mi tenne sotto una campana di vetro, facendo filtrare anche la più piccola dose di emozioni. Voleva farmi sentire prima le emozioni positive e ciò che si provava sapendo di stare per realizzare un fantastico film.

Per questo, allo scadere dei due anni legati alla positività, rimasi parecchio interdetta quando mio padre mi spiegò come stava cercando di addestrarmi. Sì, fu proprio quella la parola che usò. Sembrava di stare di fronte ad un generale dell'esercito che spiegava ai cadetti come procedeva la loro formazione militare. Comunque, arrivò a spiegarmi che da quel momento in poi sarei entrata nel vivo della professione da regista.

Iniziò gradualmente a farmi sentire sulla mia pelle l'ansia e il nervosismo di riuscire a fare un buon lavoro, mantenendo comunque una facciata di finta tranquillità e serenità. L'intera troupe non poteva permettersi di sentire che il loro capo, colui che mandava avanti tutto sentiva il peso del suo lavoro.

Ovviamente per me fu diverso, non ero io la regista, ma sentii lo stesso una certa affinità con i sentimenti di Charlie. Lui non voleva deludere i suoi fans e le persone che tenevano molto alla sceneggiatura del film. I più difficile e carichi di aspettative, però, erano quelli tratti dai vari best-seller. Le persone appassionate del libro si aspettavano grandi cose e zero sconvolgimenti al livello di trama. Lì il regista teme di deludere tutti e fare fiasco con il suo film. Purtroppo non tutti si rendono conto che la trama, la base su cui si posa il film e i vari sconvolgimenti di scene, non devono essere attribuiti al regista, ma solo allo sceneggiatore, colui che scrive il copione. Il regista, quindi, decide solo come girare le scene scritte e che impronta dargli.

Infine, dopo aver provato sulla mia pelle sia gli aspetti negativi della posizione del regista, che quelli positivi, mio padre volle parlare con me per capire che cosa avevo deciso dopo quei lunghi cinque anni. La mia decisione non cambiò nemmeno di una virgola: volevo diventare come lui, una grande regista, la prima a dirigere un film in giovane età, l'unica a differenziarsi dalla massa.

Nella mia vita non avevo sempre voluto fare la regista. Da piccola, quando frequantavo molto meno l'ambiente lavorativo di mio padre, quindi intorno a quattro o cinque anni, sognavo di diventare una principessa. Non mi era mai mancato nulla, ma forse l'assenza di papà a causa del suo lavoro, mi fece desiderare di avere una figura maschile tutta per me, un principe azzurro come quello delle favole, che non mi avrebbe mai lasciata sola. Il mio papà era sempre stato il mio idolo, la persona da prendere come esempio e mi mancava troppo quando passava lunghi mesi lontano da casa, per questo mia madre a volte lo convinse a portarmi con sè.

Mia madre... Renèe era morta quando io ero molto piccola; ricordo molto poco di lei, se non nulla. Morì quando avevo sei anni, il suo aereo precipitò nel pacifico, mentre stava andando a trovare papà. La fortuna volle che io il giorno della partenza presi l'influenza e non potei partire con lei. Papà aveva bisogno del suo sostegno per la premiere del film dall'altra parte del mondo, in Giappone e così la pregò di lasciarmi con la nonna Marie, sua madre, e di raggiungerlo.

I mesi a seguire furono devastanti, o almeno secondo ciò che mi raccontò mia nonna Marie. Papà non smise mai di incolparsi per la morte della sua amata moglie, l'unica che aveva mai amato. Ancora oggi al suono del nome di mia madre, i suoi occhi si velavano, diventavano cupi, tristi e pieni di sensi di colpa. Non volle mai parlare dell'incidente aereo che portò via Renèe. Non posso dire che negli anni non mi abbia mai parlato di lei, anzi, fin da piccola mi raccontò sempre di lei, non voleva che la dimenticassi, anche se il ricordo della sua persona era sfocato, sapevo tutto di lei e mio padre diceva sempre, con un impeto di orgoglio, che le assomigliavo.

Negli anni non si era mai risposato, ma una relazione che potesse considerarsi all'altezza di questo nome. Quando gli chiedevo perchè non si fosse mai ricostruito una famiglia, lui mi rispondeva sempre che nessuna era Renèe. Mi faceva sempre commuovere notare quanto intenso fosse stato il loro amore, quanto fosse ancora presente, ma anche quanto male aveva fatto a mio padre la sua scomparsa.

Dal canto mio mi mancò sempre una figura femminile, che però era stata in parte presa da mia nonna Marie, la quale si comportò come una vera madre nei miei riguardi. Renèe mi mancò per i primi anni dopo la sua scomparsa, mi disperavo per la sua assenza; a quell'età non comprendevo perchè non poteva tornare più a casa da me e papà, in parte la incolpai per non essere stata presente e me ne pentii quando iniziai a capire il valore e il vero significato della parola morire.

Mio padre dalla morte di mia madre si dedicò completamente a me, non mi fece mancare nulla dal punto di vista affettivo, ma sopratutto non mi affidò a babysitter. Mi crebbe lui stesso, anche se con molti sforzi dovuti agli spostamenti e alle trasferte per girare i suoi amati film, riuscì a non dimenticarsi di avere una figlia. Sicuramente fu questa sua totale devozione nei miei confronti a determinare la mia nei suoi. Per me, mio padre, rappresentava tutto ciò che volevo diventare io stessa, con la sua morale, la sua sensibilità e il suo amore.

Fu tutto ciò a determinare ancora di più la mia passione per il cinema? Sì, molto probabilmente sì.

Ed ora eccomi qui, a realizzare il mio sogno: dirigere un film.

Tre mesi prima avevo finito il mio tirocinio, sotto la direzione di mio padre. Quando lui stesso mi confermò di essere pronta, iniziai a mettere in moto le mie ricerche per produrre il mio film.

In poco tempo avevo trovato il produttore e tutta la troupe di cui necessitavo. La trama del film era una bozza, successivamente perfezionata dallo sceneggiatore.

La parte più dura iniziava ora: mi aspettavano i casting. Si erano presentati in molti ai provini e quindi avevo un'ampia scelta, che sicuramente si sarebbe assottigliata sempre di più dopo le performance.

Avremo iniziato a girare il film tra esattamente due mesi. Non c'era molto tempo, le cose andavano di fretta in questo campo e tutto doveva essere perfetto, mio padre doveva essere orgoglioso di me. Questa era la cosa più importante.

 

Abitavo in una villetta a Beverly Hills, Los Angeles. La casa era un regalo di mio padre. Non trovava giusto che a ventidue anni non avessi ancora la mia indipendenza, così pensò bene di darmi un piccolo rifugio tutto mio. Il problema era che Charlie non aveva un gran senso delle misure e quindi il suo regalo era una mega villa da divi di Hollywood, con tanto di piscina, cinque camere da letto, comprese di bagni, salone, cucina, stanza fitness e tante altre stanze abbastanza inutili, tranne il mio amato studio, che conteneva la mia amata collezione di libri. In tre anni mi abituai a stare sola e a badare completamente a me stessa, non c'era più nessuno che pensava ai pasti, a sistemare la casa, la mia stanza o tenere sotto controllo l'amministrazione.

Di certo a papi non mancavano i soldi e di conseguenza neanche a me, ero cresciuta nel lusso, ma ero una persona molto umile, come mi aveva insegnato ad essere Charlie.

Erano esattamente le otto del mattino e tra meno di due ore sarei dovuta andare sul set per iniziare le audizioni. Speravo solo di trovare presto l'intero cast e non impiegarci più di un mese, come era già successo per i film di mio padre.

Mi preparai velocemente, ma con cura. Indossai dei pantaloni neri eleganti, delle scarpe dal tacco vertiginoso, che adoravo letteralmente, e infine una maglietta abbastanza casual. Infilai nella borsa la lista degli attori che si sarebbero presentati quella mattina ed uscii di casa, diretta verso il garage.

Nel pomeriggio sarei dovuta passare a casa di mio padre per prendere Muffin, il mio piccolo cane fantasia che per questioni di orari avevo preferito lasciare a casa del nonno, almeno non si sarebbe sentito solo.

Le strade di Los Angeles stavno iniziando a popolarsi, con vari ingorghi nelle zone più trafficate. Per fortuna non ci misi molto ad arrivare sul set, dove mi aspettavano già i miei due assistenti: Jasper ed Alice, due personaggi nel vero senso del termine. Li trovavo a litigare di continuo, ma sapevo che in fondo si amavano, anche se non volevano dimostrarlo a tutti e il loro continuo essere cane e gatto faceva parte del loro modo di essere. Erano adorabili vederli stuzzicarsi con frecciatine sarcastiche per tutta la giornata, poi, all'ora di tornare a casa, prendersi mano nella mano sorridenti e tornare a casa.

Jasper era il mio aiuto regista, mentre Alice si occupava di tutto ciò che riguardava gli attori e gli arredamenti di scena. Era una vera stylist-design.

«Alice, Jasper, buongiorno» li salutai raggiante. «Come state?».

«Oh, bene, perfetto!», mi rispose Alice in modo sarcastico. Vidi Jasper alzare gli occhi al cielo e capii che l'umore nero di Alice riguardava il suo compagno. Soffocai un risolino nel constatare che avevano già litigato di primo mattino. I loro soliti battibecchi che si risolvevano con un semplice bacio.

«Sono contenta di sapere che va tutte bene», risposi sorridendo. «Avanti Alice, cosa c'è che non va questa mattina?».

«Nulla, solo che... Jasper non vuole che io assista ai casting! Dice che è meglio se mi porto avanti con la progettazione dei costumi, ma tu sai che finchè non vedrò gli attori che interpreteranno i vari personaggi non posso iniziare nulla! Devo prendere ispirazione da loro!», urlò Alice irritata. Non potevo darle torto, sapevo come funzionava il suo lavoro.

«Andiamo, Alice! Perchè devi sempre fare un dramma di tutto?», gli rispose altrettanto irritato Jasper. Io mi gustai in silenzio la scena. Forse ero un tantino sadica, ma loro due erano una continua fonte di divertimento.

«E tu perchè non vuoi che io assista ai casting?», domandò a sua volte Alice. Jasper abbassò gli occhi e diventò rosso dall'imbarazzo. Ahi, qui gatta ci cova!

«Be', per nulla in particolare». Jasper cercò di rimanere sul vago.

Alice, conoscendolo bene, cercò di fargli sputare a tutti costi la verità, finchè Jasper esasperato non sbottò: «Sono geloso, okay? Non mi va che tu assista a tutti i provini maschili!». Ad Alice si illuminarono gli occhi. Corse verso Jazz e lo baciò dolcemente, sussurrandogli qualcosa mentre staccava le sue labbra da quelle del suo compagno.

Mi sosprese molto la gelosia di Jasper. Lui era un bellissimo ragazzo, alto, abbastanza muscolo, con capelli biondo miele e occhi castani. Non aveva nulla da inviadiare agli attori che si sarebbero presentati al provino, visto che lui stesso poteva essere scambiato per un modello. Tutto il contrario, invece, era Alice. Lei era piuttosto bassa, toccava appena il metro e cinquantotto, aveva un fisico snello e minuto, capelli nero corvino e occhi altrettanto scuri. Aveva dei lineamenti talmente fini da far sembrare il suo viso come quello di una bambola di porcellana. Insomma, tutto il contrario di Jasper. Ma insieme era talmente perfetti, una coppia ben assortita.

Distolsi lo sguardo dalle loro effusioni abbastanza intime e mi incamminai verso la stanza dove si sarebbero tenuti i provini, con il mio bicchiere di tè in mano. Il modo migliore per iniziare la giornata era una bella tazza di tè al limone, o in sostituzione un bel bicchierone.

«Ehi Isabella!», mi salutò il tecnico delle luci. Ormai avevo preso confidenza con tutte le persone che nei prossimi mesi avrebbero lavorato con me. Mi piaceva conoscere a fondo la mia troupe ed entrare in confidenza con loro, la stessa cosa speravo si instaurasse con gli attori che avrei scelto per le parti.

«John», ricambia continuando ad attraversare il set in fermento. Stavano costruendo tutte le scene di cui avremo avuto bisogno.

Arrivai nella stanza delle audizioni e la prima cosa che vidi fu la videocamera posizionata su un piedistallo e le sedie messe dietro. Avremo ripreso tutte le performance, scegliendo alla fine i più adatti ai ruoli, ma scartando dal principio chi a priori non mi convinceva.

Mi sedetti su una sedia vuota, vicino alla telecamera. Tirai fuori dalla borsa i fogli che contenevano tutti i dati degli attori che si sarebbero presentati in mattinata. Oggi avremo iniziato con le audizioni per i due personaggi principali.

Ero sola nella stanza, dovevano ancora arrivare il cameraman, che avrebbe ripreso i provini, Alice e Jasper, più la persona che si sarebbe premurata di accompagnare gli attori in sala e fuori dagli studi.

Dopo qualche minuto vidi arrivare sorridenti i miei assistenti, segno che ormai la burrasca era passata, subito seguiti da altre due persone: Emmett, il cameraman, e una ragazza di cui non ricordavo il nome e che avrebbe assistito gli attori.

«Bella!», esclamò Emmett dirigendosi subito verso di me per salutarmi con un caloroso abbraccio.

Conobbi Emmett sul set di uno dei film di mio padre, esattamente quattro anni fa. All'epoca anche lui stava affinando le sue doti sul set e subito facemmo amicizia. Quando iniziai a progettare questo mio film lo chiamai, volevo che facesse parte della mia troupe, era molto professionale e bravissimo nel fare il suo lavoro, uno dei migliori in circolazione e si stava già facendo una discreta fama, grazie ai film di successo a cui aveva contribuito a realizzare.

«Ehi! Da quanto tempo non ci vediamo?», dissi ricambiando l'abbraccio. Mi allontanai per osservarlo meglio, era quasi un anno che non lo vedevo, ma non era cambiato per nulla.

Emmett aveva trent'anni, cinque anni più di me. La sua prestanza fisica parlava già da sé: aveva un fisico possente, dovuto a ore e ore passate in palestra a faticare, ed era alto un metro e novanta. I suoi capelli castani potevano sembrare neri da quanto erano scuri, e creavano un magnifico contrasto con i suoi occhi azzurro cielo, limpidi come le giornate estive.

«Troppo, Bella, troppo», mi rispose ridendo. Lui era sempre stato allegro e solare, mai una volta di malumore o triste per qualcosa o qualcuno. Avevamo parlato più volte di come riuscisse sempre ad essere ottimista e vedere in una prospettiva positiva anche le disgrazie. Secondo Emmett non c'era spazio per il pessimismo e la malinconia, la vita era una sola e andava vissuta a pieno, senza farsi prendere dallo sconforto per ogni minima cosa. Mi ripeteva continuamente che c'erano cose ben più gravi nella vita, la salute e la morte erano le uniche per cui valeva la pena lasciarsi andare allo sconforto, il resto non poteva essere messo a confronto con simili eventi.

In parte sapevo che aveva ragione, eppure nella vita ognuno è sempre preso dai propri drammi, che a volte se confrontati con qualcosa di ben più grave appaiono semplici stupidaggini. Ad esempio perdere un cellulare, la rottura di un computer, per me può rappresentare una vera disgrazia, che mi causa tristezza e depressione. Ma se questo fatto fosse messo a confronto con persone che non possono permettersi nemmeno da mangiare, quindi figuriamoci un pezzo ultimo modello della tecnologia avanzata, mi vergogno perfino di provare malinconia per simili cose.

«Allora, quando arrivano questi fortunati attori che lavoreranno con la piccola Swan?», mi chiese Emmett scherzando. Da quando le persone della troupe di mio padre vennero a sapere che anche io volevo diventare regista, nel nostro mondo io presi il soprannome di "piccola Swan", per distinguermi meglio da mio padre e far notare le mie radici. Non mi disturbava questo soprannome che mi avevano affibbiato, visto che coloro che lo avevano inventato erano persone a cui ero molto affezionata, peccato che poi iniziarono a usarlo tutti in poco tempo, ma ormai mi ci ero abituata.

«Arriveranno a momenti, quindi tieniti pronto, si inizia!». Appena finii di parlare la ragazza di cui non ricordavo il nome, Clary, mi disse che alcuni attori erano già iniziati e quando poteva farli entrare. Diedi il mio consenso ed ecco che arrivò il primo attore: Nicolas Hawkins, un ragazzo timido e un po' impacciato, che non mi convinse del tutto già a primo impatto.

Il ragazzo recitò abbastanza bene, certamente poteva migliorare molto, ma non mi convinse per nulla sotto il ruolo per cui aveva fatto il provino e quindi tirai una riga sul suo nome.

«Grazie per essersi presentato signor Hawkins, la contatteremo al più presto per farle sapere l'esito del provino. Arrivederci», disse Clary accompagnandolo fuori dalla stanza. Dopo poco ritornò con un'altra candidata.

La ragazza, Rosalie Hale, già dalla presentazione dimostrava carattere. La sua voce era chiara e decisa, senza il minimo segno di imbarazzo. La parte che recitò, da protagonista principale, era perfetta per lei, le calzava a pennello.

Notai Emmett rimanere incantato da lei. Be', la signorina Hale non passava di certo inosservata. Aveva il fisico di una indossatrice, alta e con le forme al punto giusto. I suoi capelli erano di un biondo chiarissmo, quasi platino e aveva dei bellissimi occhi azzurro ghiaccio. Insomma, una ragazza che tutti si giravano a guardare per strada.

«Signorina Hale», la chiamai, interrompendo la sua performance. «É stata bravissima, un provino eccelletente». Mi congratulai con lei.

«Grazie mille».Rosalie mi sorrise riconoscente prima di uscire dalla stanza.

Appena uscii Emmett mi rivolse uno sguardo allucinante, sembrava spiritato e la sua voce non fu da meno: «Bella, devi assolutamente prenderla per il ruolo! Lei è... è perfetta!».

«Sì, Emmett, ha fatto un provino a dir poco magnifico, ma ci sono ancora altre ragazze che si presenteranno per questo ruolo e voglio prima vedere ancora qualcuna di loro, poi deciderò, comunque non perdere le speranze», gli risposi ammiccando. Lui allargò ancora di più il suo sorriso – non pensavo fosse possibile.

Si presentarono altri dieci attori quella mattina, ma nessuno di loro mi convinse pienamente. Nel pomeriggio altri quindici fecero il provino e alcuni li presi seriamente in considerazione. Per quel giorno le audizioni erano finite, ma ci aspettavano ancora due giorni molto più pieni di quelli precedenti. Speravo solo di trovare il protagonista maschile.

Nel pomeriggio passai a casa di mio padre per prendere Muffin. Quest'ultimo appena mi vide iniziò a scondinzolare e a girare intorno alle mie gambe. Mi accucciai e lo presi in braccio, era minuscolo.

«Allora, come è andata oggi?», mi chiese Charlie sorseggiando una tazza di caffè nero. Mi sedetti vicino a lui con Muffin e presi un biscotto dal tavolino in cristallo posto di fronte al divano.

«Non male, ho trovato qualcuno di interessante, ma voglio aspettare di vedere tutti quelli che si presenteranno, poi deciderò». Spezzai il biscotto al cioccolato bianco e ne diedi un pezzetto al mio cucciolo, che mi guardava con gli occhi illuminati alla vista del dolce: era un golosone!

«Bene, un giorno di questi verrò ad assistere al tuo lavoro da regista», blaterò. Oddio, con lui sul set mi sarei innervosita parecchio, volevo sempre dare il massimo e far vedere di essere brava nel mio lavoro, ma con mio padre presente e che non mi faceva più da insegnante, dovevo cercare di tenere l'agitazione sotto controllo. Non avrei mai voluto deluderlo.

«Okay», risposi sorridendo. Parlammo del più e del meno fino all'ora di cena, poi decisi di rimanere almeno per fargli compagnia. Era da tanto che non cenavamo insieme, lui era appena tornato da un viaggio di lavoro e io ero sempre occupata per nella progettazione del film.

«Sai, Emmett ti manda i suoi saluti, dice che non vede l'ora di lavorare con il grande Charlie Swan», gli dissi ridendo. Mio padre rimase contagiato dalla mia risata e presto si mise a ricordare quando conobbe Emmett sul set.

L'aveva preso sotto la sua ala e lo aveva ingaggiato per vari suoi film; molto del suo successo, Emmett, lo doveva a mio padre, che negli anni gli aveva dato una mano a inserirsi in quel mondo dove una raccomandazione era un biglietto di sola andata verso la vetta del successo. Era brutto dirlo, era brutto che quel mondo girasse esattamente così, ma questa era la realtà dei fatti, lo sapevo io e lo sapevano gli altri.

A volte mi capitava di pensare al mio futuro e a quanto fossi stata fortunata durante tutta la mia vita, tranne che per la perdita di mia madre. Forse se non fossi stata la figlia di un noto regista, non avrei mai pensato di fare io stessa questo lavoro, o se fosse successo, molto probabilmente alla mia giovane età non sarei riuscita ad inserirmi così bene ad Hollywood. Ma si sa, in quel posto contava solo da dove venivi, non chi eri. Per questo io avevo un motivo in più per riuscire a diventare una nota regista e distinguermi dalla massa, non perchè ero la figlia di Charlie Swan, ma perchè ero davvero spettacolare nel mio lavoro.

«Tra due settimane ci sarà la serata di beneficienza dell'associazione di tua nonna», mi ricordò. «Se vuoi puoi portare anche qualcuno del set, più siamo meglio è». In effetti l'idea non era male, sarebbe stata l'occasione adatta per conoscerci tutti un po' meglio, visto che dovevamo lavorare insieme per parecchi mesi. Meglio ancora se ci sarebbero stati gli attori, se nel frattempo li avremo trovati, ovvio.

«É un'ottima idea, papà. Tra due giorni finiremo le prime audizioni, sperando di trovare già il cast al completo. Dopo darò gli inviti a tutti quelli che saranno liberi». Sapevo che in questo modo lo avrei reso contento, amava condividere tutto con me e sapere che io ero sempre lì, pronta ad appoggiarlo. «Dove si terrà? Al solito posto?», chiesi bevendo un sorso d'acqua.

«Sì, sai che tua nonna adora le abitudini, non cambia mai nulla di ciò che fa continuamente». Nonna era sempre stata ferma e decisa in ciò che faceva, le piaceva la routine e non cambiò mai, nemmeno ora che ha novant'anni. Ricordo che da piccola, quando passavo le settimana a casa sua perchè papà lavorava e mamma non c'era più, ogni giorno si alzava allo stesso orario, eseguiva i soliti riti: bagno, camera, cucina e poi passava a curare il giardino. Mi piaceva quella quotidianità, mi dava un senso di pace e serenità, non sconvolgeva il mio equilibrio già instabile.

La serata passò in fretta, parlammo molto e fu la serata migliore da molti mesi. Era da tempo che non passavamo una serata insieme, un rito per noi, visto che non stavamo separati a lungo, avevamo bisogno del sostegno l'uno dell'altra e poi raccontavo tutto a mio padre, nulla gli sfiggiva e nulla volevo tenergli nascosto. Era un po' il mio migliore amico, solo più maturo, adulto e con esperienze che mi servivano come consigli.

Arrivò l'ora di rientrare a casa, la mattina dopo avrei avuto gli altri provini e non potevo presentarmi distrutta a causa delle ore di sonno perse.

Purtroppo non potei portare Muffin a casa, non avevo messo in conto di avere in programma un'altra giornata piena e, sopratutto, sul set. Per ora non potevo portarlo con me, era troppo piccolo e avrebbe fatto dei danni irreparabili, rosicchiando tutto, come già faceva a casa qualche volta.

Una volta a casa mi feci una doccia rapida, bella calda, e volai a letto. Sentivo le gambe pesanti a causa della giornata trascorsa con i tacchi ai piedi e l'acqua bollente non mi aveva dato alcun sollievo; forse dovevo usare l'acqua ghiacciata, lì si che mi sarei ripresa.

Mi svegliai di buon ora e quindi feci tutto con la necessaria calma per iniziare bene la giornata. Odiavo andare di fretta già alla mattina, mi metteva di malumore.

Essendo in anticipo mi vestii con tutta la cura possibile, indossai una gonna attillata che mi strizzava letteralmente il didietro, ci abbinai un top e ovviamente i soliti tacchi vertiginosi, anche se diversi da quelli del giorno prima. Ero una fanatica dello stile? Sì.

Mentre ero in macchina iniziai a pensare seriamente al film che stavo per realizzare. La storia era ancora da definire, ma a grandi linee si trattava in una storia romantica e drammatica. Mi chiedevo spesso se il cast che avrei scelto sarebbe stato all'altezza di questi due generi opposti che componevano il film.

Appena arrivai mi intrattenni a parlare con alcune persone della troupe, ma dopo un quarto d'ora dovetti scusarmi e andare nella sala dove si tenevano le audizioni.

Emmett era già alla sua postazione e parlava con Alice e Jasper. Mi videro e subito partirono con le domande su chi avessi scelto nei provini di ieri, in realtà Emmett voleva solo sapere se avessi deciso di prendere Rosalie Hale nel cast. Non risposi e loro mi diedero della snob che se la tira, ovviamente sempre su un tono sarcastico e scherzoso.

«Signorina Swan», mi chiamò la ragazza addetta all'orientamento degli attori per i provini. «Il primo attore è arrivato in anticipo, lo faccio già entrare?».

«Sì, Clary, fallo pure accomodare», confermai.

Mi diressi in fondo alla stanza per prendermi una bibita fresca. Sì, erano le nove e io avevo voglia di bermi una Coca Cola! Per prendere la bottiglietta di vetro mi girai, dando le spalle alla porta. Sentii l'attore entrare e mi girai per salutarlo educatamente solo che, una volta visto, mi mancarono le parole.

Il ragazzo che ebbi di fronte era indescrivibile. Non riuscivo a trovare parole adatte che rendessero a pieno la sua persona. Aveva capelli castano ramati, disordinati e sparati da tutte le parti. Chissà se al tatto risultavano morbidi e setosi o crespi. Propendevo più per la prima opzione.

I suoi occhi erano di un colore intenso, verde prato che illuminavano il suo viso pallido. Aveva la pelle molto chiara da risultare quasi trasparente. I suoi tratti forti gli donavano un'aria matura, ma si poteva constatare benissimo che il ragazzo doveva avere più o meno la mia età. Alto, snello... Insomma, un bel ragazzo! Forse il tipico attore hollywoodiano arrogante e presuntuoso, che pensa gli sia tutto dovuto? Probabile visto il suo aspetto. Certo, era sbagliato giudicare le persone a prima vista e puntare il dito, ma in fondo siamo ad Hollywood, qui nessuno si distingue dalla massa, perlomeno non gli attori. Loro si presentano in modo sfrontato, recitano una parte e poi pensano che la parte sia loro per il loro aspetto da latin lover.

Be', era proprio questo che cercavo di evitare nella scelta del cast. Volevo qualcuno che emergesse dalla massa, con personalità e passione nel suo lavoro. Purtroppo questo ragazzo non mi sembrava nulla di ciò che avevo appena elencato.

Lo vidi fissarmi intensamente per poi aggrottare la fronte. Forse si era accorto della mia radiografia? Non potevo averlo osservato per più di un minuto esatto!

Mi avvicinai con la bibita in mano e mi sedetti di fianco al cameraman. Aspettai che si presentasse, ma lui non aprì bocca, così per stemperare la tensione intervenni. Guardai prima la sua scheda, per memorizzare il nome e poi presi a parlare: «Signor Cullen, per che ruolo si presenta?» No, fermi tutti! Avevo letto bene? Cullen?! Rincontrollai il foglio e spalancai gli occhi. Conoscevo bene questo cognome e per ovvi motivi! L'avevo visto recitare in un film indipendente, non ricordavo il titolo, fatto sta che la sua interpretazione di un ragazzo infermo mi colpì molto. Era stato emozionante, tragico, ma sempre con quella linea sottile di carisma e ironia. Aveva reso il personaggio qualcosa di unico e irripetibile.

Be', a quanto pare mi ero sbagliata a giudicarlo a primo acchitto. Bene, mi aspettavo da lui una performance eccellente.

«Joe Blake», mi rispose. La sua voce era bassa e suadente, quasi ammaliante e per un attore possedere una voce del genere era una vera e propria manna dal cielo.

«Bene, inizi pure», confermai sedendomi comodamente per godermi l'audizione, che sapevo sarebbe stata emozionante visto il ruolo per cui si presentava.

Inizialmente c'era una parte di narrazione esterna affidata proprio al protagonista principale, appunto Joe Blake. Questo personaggio maschile che avevo creato era complesso oltre ogni limite. Joe era un giovane uomo con un passato felice e semplice fino alla morte della fidanzata, Jasmina, per mano di uno stalker. Joe si incolperà sempre per la morte di Jasmina e non si darà pace finchè giustizia non verrà fatta. Il film sarà proprio basato sul viaggio di Joe alla ricerca di vendetta sia contro lo stalker che contro la polizia, coloro che avevano archiviato il caso come un semplice incidente.

Si avvicinò di qualche passo, posizionandosi di fronte alla telecamera accesa e iniziò a leggere il monologo. La voce di Cullen mi incantò subito, era qualcosa di emozionante, si sentiva il dolore nel raccontare la morte di Jasmina ed era commuovente. Mi sentii trasportata in un'altra dimensione, come se tutto il resto scomparisse e mi trovassi immersa nelle sue parole, riuscivo a immaginarmi la scena come se la stessi girando io stessa e capii che lui era l'attore perfetto per interpretare Joe.

«... morta. Nessuno poteva restituirmi Jasmina, ma io potevo fare ancora qualcosa per lei. Il suo fantasma mi perseguitava ovunque, i suoi occhi mi imploravano e i suoi sussurri chiedevano vendetta. Era la mia immaginazione o lei c'era davvero? Era lì con me a patire il mio eterno dolore? Non lo sapevo, forse era frutto della mia immaginazione, il mio subconscio mi stava dando ciò che un maledetto mi aveva tolto... eppure sentivo che lei era ancora con me, non mi aveva abbandonata, non stava in quella tomba fredda, ma qui nella nostra casa con me. Era la sua essenza...». Edward finì il monologo sospirando, alzò lo sguardo e quando notò il mio colmo d'ammirazione; mi sorrise imbarazzato alzando solo un angolo della bocca. Nei suoi occhi notavo un certo grado di malizia, mentre non accennava a lasciare il mio sguardo, ormai legato al suo.

Emmett si schiarì la voce interrompendo il nostro dialogo muto. Si scusò e mi avvisò che sarebbe tornato tra cinque minuti. Avevo capito il suo intento solo quando uscendo mi aveva fatto l'occhiolino. Conoscendolo aveva pensato subito a qualcosa che non comprendesse il lavoro, ma sapevo che mi lasciò sola con Cullen per confermagli l'entrata nel cast. Quando rimanevo entusiasta di una persona, sapendo di non poter trovare un attore migliore, confermavo subito il suo ruolo nel film. E così feci per Edward.

«Signor Cullen...», iniziai.

«Edward», mi interruppe lui.

«Come?», chiesi confusa.

«Mi chiami Edward», mi rispose scandendo lentamente il suo nome, come per far si che lo memorizzarsi scrivendolo nella mia memoria. «Anzi, propongo di darci del tu, in fondo siamo coetanei». Nella sua frase, accompagnata dalle sue occhiate penetranti, c'era qualcosa di non detto. Un mistero che comprendeva solo lui. Be', le sue occhiate non lasciavano spazio all'immaginazione, sembrava apprezzare la mia persona.

«Giusto, concordo con lei... cioè con te!», mi corressi subito. Le abitudini erano dure a morire. «Comunque, se hai qualche minuto vorrei parlarti a proposito della tua performance».

«Certo, dove e quando vuoi». Okay, la nota maliziosa nella sua voce me l'ero immaginata? Lo studia e notando il suo sorriso beffardo capii che non mi ero sognata nulla, ci stava provando questo mascalzone!

Voleva sedurmi per facilitarsi l'entrata nel cast? Ma se non sapeva nemmeno chi fossi realmente!

Cercai di rimanere professionale e non farmi coinvolgere dallo strano giochino che cercava di fare: «Bene, sediamoci pure».

«Edward, la tua audizione è stata a dir poco straordinaria, sei un ottimo attore e con delle credenziali niente male. Ho deciso di scegliere te per il ruolo di Joe Blake. Tuttavia ci sono alcune dinamiche della registrazione di cui dovrei parlarti prima che tu possa firmare il contratto», aspettai un suo cenno per continuare. «Il film verrà girato in varie parti del mondo, a partire dal nostro paese, fino ad arrivare in Australia. Potremo stare via molti mesi, ancora non abbiamo date precise».

«Per me allontanarmi da qui per mesi non rappresenta un problema. Dimmi solo quando devo passare per firmare il contratto». Edward era un uomo deciso, non tentennava mai, sapeva sempre cosa rispondere.

«Ti farò contattare dal mio assistente al più presto. La prossima settimana il contratto dovrebbe essere pronto», confermai. Vidi Edward confuso con la fronte aggrottata e lo sguardo perso.

«Tutto bene?», chiesi preoccupata dal suo silenzio.

«Sei tu la regista?», mi domandò guardandomi negli occhi.

«Sì, qualche problema?». Forse ero stata un tantino aggressiva, ma ero stufa degli uomini maschilisti che appena sentivano che una donna svolgeva un determinato lavoro avevano sempre da ridire! Una donna poteva fare tutto! Dov'erano le proibizioni di lavori femminili? Nel ventunesimo secolo simili pregiudizi non dovevano esistere. Punto.

«No, no, era solo per avere una conferma. Sei molto giovane per fare la regista, quindi pensavo fossi un assistente e...». Si bloccò sotto il mio sguardo rabbioso.

Per la mia età ero da catalogare ad un ruolo non importante all'interno di una troupe? Okay, anch'io avevo giudicato Edward dall'aspetto e forse non dovevo prendermela nemmeno così tanto, ma visto che la situazione non mi era nuova non potevo ignorare i suoi commenti.

«Sorvoliamo su quello che hai appena detto!», dissi fumante di rabbia repressa non indirizzata solo al ragazzo che avevo di fronte.

«Sei ancora più bella quando ti arrabbi», affermò maliziosamente scoppiando a ridere sotto il mio sguardo attonito.

«Tu sei... Potresti cercare di rimanere professionale?». La sua affermazioni mi aveva anche lusingata, non potevo negarlo, ero pur sempre una donna a cui veniva fatto un complimento da un uomo attraente. Ma io pretendevo di restare in ambito professionale. I mesi a venire sarebbero stato lunghi e la nostra collaborazione era essenziale per la buona riuscita del film. Non volevo rovinare tutto con delle battutine che potevano creare situazioni di tensione!

Edward notò la mia determinazione e tornò serio, per quanto il sorrisetto malizioso che gli era comparso sulle labbra lo consentisse. Alzò le mano in segno di resa e si alzò.

Lo imitai avvicinandomi per stringergli la mano professionalmente.

«Ci rivedremo presto Edward. Ti farò sapere tutto al più presto», dissi afferrando la sua mano tesa.

Non appenai le notre pelli entrarono in contatto sentii un formicolio piacevole espandersi oltre le nostre mani. La sua presa era salda e forte e la mia piccola mano scompariva dentro la sua.

Mi staccai immediatamente, come scottata, e turbata mi allontanai di qualche passo fissando degli attrezzi scenici dietro di lui.

«Non vedo l'ora di rivederti...»

«Isabella», sussurrai senza guardarlo.

«... Isabella».

Edward se ne andò sotto il mio sguardo accigliato.

Mi aspettavano ancora quattro ore di provini, sperai solo di non capitare in un'altra situazione simile, altrimenti non sarei arrivata viva a casa e Muffin aspettava la sua mamma tutta intera, possibilmente con tanto di facoltà mentali. 



Questo capitolo ha svelato qualcosa in più rispetto al prologo, dove si capiva poco o tutto, come molti di voi mi hanno fatto notare. Non ho molto da dire, penso che il capitolo parli da sé. Ho notato che è un po' pesante, mi è stato fatto notare a dire il vero, comunque non avevo il tempo necessario per riscriverlo, posso solo promettervi che il prossimo nonn sarà così, ovviamente se continuerete a seguirmi e lo spero davvero! 
Bella, ci tengo a specificare, può sembrare una ragazza snob che ha sempre vissuto nel mondo di Hollywood, ma pian piano scopriremo anche altri lati del suo carattere, meno cinici. Edward, invece, è un personaggio tutto da scoprire; sono curiosa di sapere che impressione vi ha dato in questo capitolo, vi sembra un presuntuoso? Un ragazzo che cerca di sedurre Bella per arrivare in cima? Aspetto i vostri pareri, per me sono molto importanti (be', penso che sia così per tutte le autrici XD). Fatevi sentire, ditemi se la storia vi piace o se la detestate, insomma qualsiasi cosa!
Questa storia sarà leggera, niente di drammatico, è la mia prima long fic e spero di fare un buon lavoro.
Il capitolo è betato da SerenaEsse, che come al solito ha fatto un ottimo lavoro e sopportato i miei scleri continui grazie tesoro! Ne approfitto per ribadire che io e Serena abbiamo creato un contest su Twilight, Il nastro rosso, se volete darci un'occhiata ;)
La canzone che ho messo a inizio capitolo l'adoro, a voi piacciono i Coldplay?
Non so quando arriverà il prossimo capitolo, purtroppo lo studio mi impegna un bel po', ma cercherò di non farvi aspettare molto!
Alla prossima!
Kiss

 
   
 
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