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Autore: Sweetie616    30/09/2011    4 recensioni
Una Moleskine scomparsa, una canzone con delle parole fin troppo conosciute... Il soggiorno in Finlandia non si preannuncia facile per Lizzie Michaels, scrittrice in cerca di ispirazione, ma...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beyond this beautiful horizon
lies a dream for you and I…

 
“L’ho persa, va bene?” sbottai. “Non posso farci nulla, sono tornata su quella stramaledetta panchina almeno 80 volte. Non c’è da nessuna parte!”
Dall’altra parte del ricevitore mi rispose il silenzio. Per l’esattezza, il silenzio che precede la tempesta. “Lizzie, era la prima cosa che sei riuscita a scrivere in … quanto? Sei mesi? Chi glielo dice ora al capo? Ti mandiamo in Finlandia sperando che ti torni l’ispirazione, ed ecco qua … ovvio, non puoi farci nulla!”
Già… un totale disastro. A dirla proprio tutta, la mia vita era un totale disastro da quando avevo pubblicato il mio primo ( e unico) libro.
Appena un anno prima, Lizzie Michaels era la nuova promessa dell’editoria fantasy inglese. Un solo libro era balzato in testa alle classifiche di vendita ed era stato tradotto in più di dieci lingue.  Un successo mondiale che mi aveva portato in giro per il mondo e mi aveva fatto perdere il mio fidanzato storico, stufo di non sapermi mai a casa.
Da quel momento… il nulla. Le pagine della mia amata Moleskine erano più vuote di una città fantasma, e io non ero più riuscita a scrivere una parola, una riga, nulla… tanto che il mio editore e il mio agente versavano nella più totale disperazione.
Avevo provato a chiudermi in casa, a trascorrere una settimana in una beauty farm con Amy, la mia migliore amica, uscendone più stressata di prima, ma niente da fare. Nulla sembrava funzionare.
Così al mio agente, di origini finlandesi, era venuta la brillante idea di spedirmi nella sua casa alla periferia di Helsinki. Probabilmente i colori dell’autunno finlandese e la totale immersione nella natura mi avrebbero aiutato a ritrovare l’ispirazione perduta.
E stava iniziando a funzionare: in meno di un mese avevo scritto il prologo del secondo volume della serie, e una bozza di una canzone con cui volevo partecipare a un concorso indetto dal mio gruppo preferito, gli Anathema. Ma tutto era andato perso insieme alla mia Moleskine, motivo delle urla che ora stavano arrivando dall’altra parte del ricevitore.
Allontanai leggermente il cellulare dall’orecchio. “Melanie, non ti agitare, che poi stai male” ridacchiai, ricevendo in cambio un ulteriore innalzamento del volume della conversazione. La mia assistente, nel giro di due minuti, mi accusò dei seguenti “crimini”:
-          Riluttanza nell’uso del computer: per quale strano motivo, nel ventunesimo secolo, non potevo scrivere su un portatile come tutti gli scrittori che si rispettano, ostinandomi ad usare ancora dei dannati fogli di carta?
-          Totale incapacità di rispettare le scadenze
-          Sociopatia e totale insensibilità nei confronti dei problemi altrui
Beh… di certo alla casa editrice non avevano fatto molto per migliorare la mia sociopatia. Che poi non era vera e propria sociopatia, semplicemente mi trovavo bene per i fatti miei, tutto qui.
Melanie chiuse la chiamata, facendomi piombare di nuovo nel silenzio che mi aveva accompagnato sin dal mio arrivo in Finlandia.
Avevo adorato la “mia” nuova casa sin dal momento in cui un taxi proveniente dall’aereoporto mi aveva depositato di fronte a un piccolo cancello di legno bianco.
Una volta aperto, mi trovai davanti a una casa di legno rosa dall’aria un po’ antica, costruita su una collinetta.  La adorai immediatamente, sembrava la casa delle bambole che mi aveva costruito mio nonno da piccola, ma trasferita nel mondo reale.
La porta si aprì con un leggero cigolio. L’interno era caldo e accogliente. Appoggiai le valigie nell’ingresso  e mi regalai qualche minuto per esplorarla. A destra dell’ingresso c’era una sala adibita a biblioteca, con un camino e una quantità di libri tale da far sgretolare per la vergogna  la biblioteca del mio quartiere a Londra. A sinistra, invece, un salotto con dei divani bianchi dall’aria comoda, un’immensa cucina e una sala da pranzo.
Una scala di legno portava al piano superiore, dove c’erano le due camere da letto. Scelsi la più piccola, con la  grande finestra che affacciava sul bosco, e tornai giù per prendere le valigie e sistemare la mia roba.
Mi ambientai decisamente in fretta. Dormivo  benissimo, come non mi succedeva da anni, anche se la prima sera avevo fatto un po’ fatica ad addormentarmi  per colpa di Amy, che guardando la mia casa dalla webcam di Skype (ebbene sì, avevo un computer e lo sapevo usare!) l’aveva subito bollata come “la casa perfetta per un film dell’orrore”.  Grazie Amy, ti voglio bene anch’io.
In realtà per me quella era la casa dei sogni. Passavo molto tempo in biblioteca, e quando il tempo lo permetteva andavo a fare lunghe passeggiate in riva al Baltico, fermandomi di tanto in tanto su una panchina a prendere degli appunti, o a guardare incantata le oche artiche o gli scoiattoli che sembravano popolare tutti gli alberi del quartiere.
Fu proprio durante una di queste mie peregrinazioni solitarie che lo vidi per la prima volta. Ero seduta su una panchina riparata della spiaggia, la mia preferita,  e lui camminava sulla riva a testa bassa, con le mani in tasca, totalmente ignaro del mondo attorno a lui. Vestito completamente di nero, emanava un fascino che raramente avevo visto in un uomo, ma nello stesso tempo c’era in lui qualcosa che tendeva a respingere chiunque fosse stato tentato di avvicinarlo.
Lo incontrai spesso durante le mie passeggiate per il quartiere, sempre da solo e immerso nei suoi pensieri.  Era diventata una figura quasi familiare e spesso mi sorprendevo a immaginare chi fosse, e cosa lo spingesse a starsene sempre così solo e pensieroso.
Mai e poi mai avrei immaginato che un simile essere sarebbe entrato a far parte della mia vita, e soprattutto in questo modo….
Come piccola, doverosa premessa, devo precisare la mia assoluta venerazione per una band, gli Anathema, appunto. Quando avevo letto del concorso che mi avrebbe permesso di scrivere quella che poi sarebbe diventata una loro canzone, non stavo più nella pelle.
Le mie parole cantate da Vincent Cavanagh… un sogno.
Scrissi una bozza in meno di mezz’ora, seduta sulla mia panchina. Per uno scherzo del destino, proprio quello stesso giorno persi la mia Moleskine, buona parte del mio prossimo romanzo e LA canzone.
Come avevo detto a Melanie (no, non era affatto una scusa) passai i giorni successivi a percorrere la spiaggia in lungo e  in largo. Sembrava scomparsa.
Avevo ormai perso le speranze quando, con un nuovo quaderno, mi incamminai per raggiungere la mia panchina, sperando di riuscire a ricordare le parole della canzone.
Ma quella mattina, la mia panchina era occupata. Dall’uomo misterioso, per la precisione. Non sembrò minimamente accorgersi della mia presenza, tutto preso com’era a leggere …. Accidenti!
“Ehi! Quella è la mia Moleskine!” lo apostrofai, non troppo educatamente.
Per tutta risposta, il tipo si voltò verso di me e alzò un sopracciglio. Bellissimo viso, obiettivamente, per non parlare dei due enormi occhi verdi che ora erano puntati su di me con aria interrogativa e un tantino arrogante.
“Scusa?” disse, continuando a fissarmi.
Non potevo sbagliare, era la mia, senz’ombra di dubbio.  Nera, con un cuore fucsia che Sunny, la figlia di Amy, si era divertita a dipingere sulla copertina. Non poteva essere che la mia.
“Quella che hai in mano, è la mia Moleskine” precisai. Stavo per perdere la pazienza, me lo sentivo.
Il tipo chiuse la moleskine, se la rigirò tra le mani. “Come fai ad esserne così sicura?” chiese beffardo . “Potrebbe tranquillamente essere la mia”
“Certo, ti ci vedo ad andare in giro con i cuori fucsia…” alzai gli occhi al cielo “Per tua informazione, quel cuore l’ha disegnato  Sunny, la figlia della mia migliore amica. Potresti cortesemente  restituirmela, ora?” dissi, veramente scocciata.
“Uff…quanto parli” Sbuffò, lanciandomi  la Moleskine tra le mani. “Tra l’altro le storie fantasy nemmeno mi piacciono. I cuori sì, invece.”
Si alzò dalla panchina, allontanandosi a grandi passi e lasciandomi lì come una deficiente, senza nemmeno la possibilità di mandarlo a quel paese.
Avevo appena incontrato l’unico finlandese maleducato. Bene, che culo.
 
Non lo vidi più per parecchio tempo.
 I colori caldi dell’autunno avevano lasciato il posto alla neve, e ormai passavo la maggior parte del tempo in casa, andando alla spiaggia solo per brevi passeggiate. La mia panchina non c’era più, sicuramente non l’avrei rivista fino al disgelo primaverile. 
Il mio secondo romanzo era ormai oltre la metà, e avevo anche sistemato e inviato la canzone per gli Anathema. Il risultato sarebbe arrivato a breve, almeno così credevo.
Ma arrivò qualcos’altro.
E arrivò un giorno di dicembre, mentre facevo la spesa al supermercato vicino casa.
C’era la radio accesa, con il nuovo singolo di una band locale, a cui non feci più di tanto caso, fino a quando sentii il testo.
Era la MIA canzone, quella che avevo scritto per gli Anathema, quella che avrebbe dovuto cantare Vincent.
Diventai verde dalla rabbia. Il tempo di chiedere alla commessa se sapeva il nome della band, ed ero corsa a casa ad accendere il computer, per vedere chi fosse il plagiatore.
Non rimasi più di tanto sorpresa quando vidi due occhi verde acqua fissarmi dallo schermo.
“Ma brutto….” Esclamai, in una versione poco censurata.
Già, lui. Il misterioso uomo in nero, che un tempo avevo perfino trovato affascinante.  No, ok, lo era ancora. Peccato che il suo fascino fosse del tutto oscurato dalla sua supponenza, arroganza e, non ultimo, dal fatto che  si fosse indebitamente appropriato di qualcosa di mio.
Riascoltai il singolo su Youtube. “Bleeding hearts”.. beh, il titolo suonava bene, dovevo dargliene atto, io non ero stata in grado di trovarne uno. Aveva cambiato qualcosa, ma le parole erano indubbiamente le mie. Bella voce, bravi, ma…. Non era Vincent. E quella canzone doveva essere per lui.
Chiusi il computer, meditando vendetta. Chiaramente Mr. Ville Hermanni Valo abitava a Munkkiniemi, quindi non sarebbe stato difficile incontrarlo e dirgliene quattro.
L’occasione mi venne servita su un piatto d’argento pochi giorni dopo.  Lo vidi spuntare a piedi dalla strada di fronte al supermercato, mentre uscivo con la busta della spesa in mano. Mi avvicinai a grandi falcate, di sicuro dovevo avere un’aria poco amichevole.
“Tu!” lo apostrofai . “Come ti sei permesso di usare una MIA canzone spacciandola per tua?”
Mi guardò come se avesse davanti un buffo, molesto  animaletto.
“Di cosa stai parlando?” chiese, di nuovo con quel dannato sopracciglio alzato.
“Sto parlando del nuovo singolo della tua band, idiota! Bleeding hearts e bla bla bla! L’ho scritta io quella canzone! Pensi che sia cretina? Pensavi che non me ne sarei accorta? Eh?”  
“E’ completamente diversa dalla tua” puntualizzò.
Ok, non valeva nemmeno la pena di discutere, con uno così.
“Senti, quella canzone l’ho scritta per un’altra band, che al momento probabilmente sta lavorando sugli arrangiamenti. Quindi, visto che il casino l’hai combinato TU, ti consiglio di trovare una soluzione, e anche in fretta. Abito nella casa rosa in fondo alla via, quando penserai di essere in grado di parlare in modo civile, fatti vivo”.
“Per quale band?” chiese. Oh, forse ero riuscita a farlo scendere dal suo piedistallo dorato.
“Per gli Anathema” risposi.
Sulle sue labbra comparve un sorrisino beffardo.
“Credo che il tuo enorme problema sia risolvibile” ridacchiò “Vincent è un mio carissimo amico, sistemeremo tutto. Hai detto la casa rosa, no? Quella che sembra uscita da un film dell’orrore?”
Alzai gli occhi al cielo. Anche lui? 
“Sì, quella. Visto che la fai così semplice, cerca di farti vivo in fretta” e mi allontanai verso casa, arrabbiata come non mai.
Effettivamente si fece vivo qualche giorno dopo. Ero sprofondata nella mia poltrona preferita in biblioteca, a rileggere la bozza del mio romanzo, quando sentii bussare alla porta.
“Ah, sei tu”  mi scostai  dalla porta per far entrare Ville.
“Chi pensavi che fosse, Vincent Cavanagh?” ridacchiò.
“Molto spiritoso, continua pure a mettere il dito nella piaga, tranquillo” sbuffai, precedendolo in biblioteca.
“E per la cronaca, se hai altre mire, ti comunico che Vincent è fidanzato, Dawn è una donna fantastica”.
Lo guardai  con aria di sfida. “Non me ne meraviglio affatto. Scommetto che è anche molto intelligente.”
Mi guardò, perplesso. “Sì… perché?”
“Perché le donne intelligenti sanno scegliere uomini speciali. Non mi sorprende che tu sia single, infatti…”  dissi, con un sorriso angelico.
“Sei sempre così velenosa?” chiese, punto sul vivo.
“Solo con chi ruba qualcosa a cui tengo” precisai “Sto andando a fare un the, posso lasciarti qui o rischio che nel frattempo copi tutto quello che ho scritto e lo spacci per tuo?”
Alzò gli occhi al cielo.  “Non sono stronzo come credi tu, ma se vuoi ti seguo in cucina”
“No, resta buono qui, è meglio. Preparo una tazza di the anche per te” sospirai.
“Al cianuro?” ridacchiò.
Risi “Sfortunatamente l’ho finito, per oggi sei salvo!”
Quando tornai di là, lo trovai seduto sulla poltrona, a fissare l’ombra della mia giostrina con i cuori sul soffitto. Scossi la testa. Davvero gli piacevano le cose a forma di cuore?
“Vuoi rubarmi anche quella?” chiesi, sorridendo.
Per la prima volta mi fece un vero sorriso, non forzato, non da presa in giro. Un sorriso dolce, di quelli che ti aprono il cuore. Un sorriso che, da lui, non mi sarei mai aspettata.
“E’ carina” disse, aiutandomi a sistemare il vassoio sul tavolino. “Non mi stupisce che riesci a scrivere così tanto, qui”
“Riesco a scrivere solo qui, è diverso” precisai.
Gli raccontai brevemente il motivo che mi aveva portato lì, e sgranò gli occhi. “Sei quella Lizzie Michaels?” chiese.
“In carne e ossa” risposi “ come mai così stupito?”
“Ho letto il tuo libro” sorrise “è stata l’unica cosa piacevole che mi sia capitata nell’ultimo tour in America”.
Evviva la coerenza. Meno male che aveva detto che le storie fantasy non gli piacevano…
“Quello che stavo leggendo quel giorno, sulla panchina, era…”
Annuii. “Un pezzo del mio nuovo romanzo, sì. Dopo quasi un anno dal primo, ce l’ho fatta. Questo posto è magico, a quanto pare.”
Seduti sul grande tappeto peloso davanti al camino, passammo il pomeriggio a chiacchierare come due vecchi amici. Era una persona piacevole, in fondo, se mi sforzavo di dimenticare il “piccolo” particolare della canzone rubata.
Mi raccontò di aver avuto anche lui il mio stesso problema, nell’ultimo anno. Dopo l’ultimo album, dalle vendite non propriamente brillanti, aveva seriamente pensato di mollare tutto e smettere di far musica. Si era chiuso in un totale isolamento, da cui in effetti non era ancora uscito completamente.
“Poi mi è capitata tra le mani la tua Moleskine … sei stata un po’ la mia musa” disse, sorridendo.
“Diciamo che la tua musa ti avrebbe volentieri dato un pugno sul muso, quando ti ha visto mentre la leggevi!” risi.
Ville scoppiò a ridere. “Sai che mi piaci, Lizzie Michaels?”
Rimasi un po’ interdetta.
“Sì, mi piace il fatto che dici sempre quello che pensi, senza curarti minimamente di compiacere gli altri”
Beh, detto da una persona che mi conosceva da così poco, era effettivamente abbastanza spiazzante.
“Non ci sono abituato” riprese “di solito le persone fanno di tutto per compiacermi, dicono che ho un carattere piuttosto… impossibile”
“Non stento a crederlo…” sorrisi.
“Ecco vedi? Le altre persone direbbero ‘ma noooo, Ville, tu non hai un carattere impossibile’, tu invece…” sorrise.
Alzai le spalle. Forse anch’io avevo un carattere impossibile, ma ero fatta così. Non ero proprio capace di dire cose che non pensavo.
“Ho sentito Vincent” disse, a bruciapelo.
Mi si illuminarono gli occhi. “E..?”
Sorrise dolcemente. “E… a breve lo saprai”.
 
E lo seppi circa una settimana dopo, quando rientrando in casa trovai ad attendermi una busta gialla proveniente da Parigi.  All’interno, una lettera e un cd.
Cara Lizzie,
ho parlato con Ville, mi dispiace per quello che è successo. Non essere troppo arrabbiata con lui, è una persona splendida anche se… a prima vista può  sembrare un po’ burbero!
Questo sarà il B side del singolo degli HIM. Esatto, in collaborazione con gli Anathema… e con te, ovviamente.
Spero ti piaccia.
Grazie,
Vincent.
 
Avevo le lacrime agli occhi mentre aprivo la custodia del  cd, su sui era scritto “Bleeding Hearts (Lizzie’s song)”.
Ma niente al confronto  dell’effetto che mi fece ascoltare la canzone.  La voce dolce, bassa e calda di Ville si armonizzava perfettamente  con quella  sensuale e avvolgente di Vincent. Erano coccole per le orecchie, era perdersi in un mondo dal  quale non avrei mai voluto uscire.
Dovevo rintracciare Ville, dovevo ringraziarlo… no, calma! Ma io solo fino a pochi giorni prima volevo ucciderlo!
Non feci in tempo a pensarlo che suonarono alla porta. Non poteva essere altri che lui, lo sapevo. Andai ad aprire e istintivamente gli saltai al collo, ringraziandolo.
Ville quasi cadde all’indietro, ma ricambiò il mio abbraccio.
“Questa improvvisa dimostrazione d’affetto mi preoccupa” ridacchiò “Ho un coltello puntato dietro la schiena o cosa?”
Risi, sciogliendo l’abbraccio anche se un po’ a malincuore. Dovevo ammettere che non si stava poi così male, tra le sue braccia…
Gli dissi della lettera di Vincent, mentre lui mi ascoltava con un sorrisetto sornione sul viso.  
“Quindi? Che ne pensi?” chiese.
“Che… che non ho mai ascoltato qualcosa di più bello, Ville. Grazie, davvero.”
Mi guardò perplesso.  “Dici sul serio? Non vuoi più uccidermi?” rise.
Scossi la testa. “Direi che ti sei ampiamente fatto perdonare”
“Quindi se ti chiedo di uscire con me, non mi butti fuori dalla porta a calci?” ridacchiò.
“Uscire con te?” chiesi, perplessa.
“No, in realtà non è un vero e proprio appuntamento. Hai detto di voler ascoltare il mio ultimo album, no?”
Annuii. Ero curiosa, sì. Volevo sapere il motivo dell’insuccesso nelle vendite, Ville non mi sembrava affatto uno che sul lavoro prendeva le cose alla leggera… beh, a parte quando “si ispirava” a lavori altrui, ecco!
“Quindi andiamo a casa mia, e ti faccio sentire le canzoni dell’album. Che ne dici?”
 
Casa di Ville era poco lontana dalla mia, sulla strada che facevo di tanto di tanto quando tornavo dalla spiaggia. Casa…beh, definirla casa era difficile, in effetti.
“Questa…è casa tua?” chiesi, mentre cercavo di star dietro ai suoi passi lunghissimi. “ E poi è la mia che sembra uscita da un film dell’orrore?”
Ville rise. Casa sua era una torre antica, che mi aveva anche ispirato la descrizione di un’ambientazione per il mio romanzo. Ma non avrei mai creduto fosse abitata… soprattutto non da lui.
“E’ anche infestata, credo” ridacchiò “Non scendere mai  in cantina da sola, mi raccomando”.
Lo guardai con gli occhi spalancati. “Smettila di fare il cretino, Ville, grazie!”
L’interno era piuttosto accogliente, nonostante la miriade di cose strane sparse ovunque. La statua di una santa, tantissimi animali impagliati, strumenti musicali ovunque, un… eh? Un manichino sul divano?
“Sconvolta?”
“Un pochino” risi.
Mi accomodai sul divano accanto all’inquietante manichino, di cui mi dimenticai completamente appena Ville prese la sua chitarra acustica. Non mi stava facendo ascoltare un cd, era un vero e proprio concerto privato.
E io, (oh Sommi fratelli Cavanagh, perdonatemi), che fino a quel momento avevo venerato gli Anathema come unici e soli dei, ne uscii devastata.  
Completamente devastata, tanto che probabilmente se qualcuno mi avesse chiesto il mio nome nel momento in cui Ville, con un sorriso, appoggiò la chitarra per terra, non me lo sarei ricordato.
Non era solo la sua voce, era il suo modo di cantare, era… era lui, accidenti. Quasi quasi preferivo quando mi faceva venire gli istinti omicidi, piuttosto.  
Più tardi, aveva insistito per accompagnarmi a casa. Era la serata più fredda da quando ero a Helsinki, non nevicava nemmeno. Un cielo limpidissimo sovrastava Munkkiniemi, un cielo ghiacciato.
“Se vuoi entra, faccio una cioccolata calda, almeno ti prepari ad affrontare il ritorno a casa a -30” ridacchiai. In quel momento, arrivò un sms. Era Amy. “Tesoro, accendi il computer un secondo? Ti ho mandato una mail, è importante…”
“Mi aspetti un attimo?” dissi a Ville “Devo leggere una mail, arrivo subito”.  
Ma non tornai in cucina. Ville, con le due tazze di cioccolata in mano,  mi ritrovò a fissare lo schermo del computer come ipnotizzata, con le lacrime che non volevano proprio saperne di restare dov’erano, ovvero all’interno dei miei dotti lacrimali.
“Lizzie, cosa….. ehi, che diavolo succede?”
Gli indicai il computer.  Amy mi comunicava di aver appena ricevuto la partecipazione di nozze di Craig, il mio ex fidanzato. Si sposava. Lui che considerava il matrimonio come una gabbia, che non voleva figli (da me), si sposava perché la sua attuale ragazza era incinta. E chiedeva ad Amy come mai la partecipazione destinata a me era tornata indietro. Brutto bastardo.
Non lo amavo più, non dopo che mi aveva lasciata durante uno dei periodi più brutti della mia vita, ma capitemi: il mio orgoglio era profondamente ferito.  Le mie erano lacrime di rabbia.
“Che grandissimo stronzo” commentò Ville, con il risultato di farmi piangere ancora di più.  
On feci in tempo a dire nulla, che arrivò un altro sms, sempre di Amy “Mi fai sapere quando l’hai letta? Ti chiamo”
 “Amy, sono con Ville, ho letto la mail, sono viva. Domani ti chiamo”
La risposta non tardò ad arrivare “E adesso chi è Ville? Cosa mi nascondi?”
Sbuffai, lanciando il cellulare sul divano.   Già, bella domanda. Chi è per me Ville? Tirai su col naso, dovevo avere un aspetto a dir poco terrificante, ma non me ne importava più di tanto.
“Scusa, non volevo che mi vedessi così” mormorai, asciugandomi gli occhi.
Ville mi prese la mano, attirandomi a sé in un abbraccio dolcissimo.
“Vuoi che me ne vada?” chiese.
Scossi la testa, appoggiandomi al suo petto. No, non volevo proprio che se ne andasse. Anzi, a dirla proprio tutta, avrei voluto che mi tenesse così tra le braccia per sempre.  
“No… resteresti qui? Per favore…” sussurrai.
In fondo era l’unico amico che avessi a Helsinki, anche se fino a poco tempo prima non l’avrei mai e poi mai considerato tale.
“Ok” disse, dandomi un bacio leggero sulla fronte. “Ora  vai di sopra, ti lavi il viso,  ti metti il pigiama e io ti porto su la cioccolata, ok?”
Sorrisi. Che carino… e chi l’avrebbe mai pensato?
 “Devo anche cantarti la ninna nanna? Potrei riciclare quella che mi cantava mio padre da piccolo” ridacchiò, sedendosi sul letto.
Beh, diciamo che non mi avrebbe fatto schifo…
 “No grazie, basta la cioccolata” sorrisi. “Come si chiama la ninna nanna che ti cantava tuo padre?”
“Sininen Uni… significa sogno blu. E’ ancora una delle mie canzoni preferite, devo fartela sentire, un giorno” disse, accarezzandomi i capelli. “A parte gli scherzi…come stai?” chiese, serio.  
“Bene… ho solo l’autostima a pezzi e l’orgoglio ferito, ma nessuno è mai morto per una cosa del genere no?”
Ville sorrise, per poi sdraiarsi accanto a me. “Così dicono…”
 
Aprii lentamente gli occhi, colpiti dalla luce del mattino. Doveva essere piuttosto tardi, d’inverno non albeggiava mai prima delle nove.  Mi voltai verso Ville e sorrisi. Era ancora profondamente addormentato accanto a me, rilassato e sereno come un bambino. Ci eravamo addormentati abbracciati, la sera prima, mentre mi raccontava di quello che gli aveva combinato la sua ex, che già detestavo senza nemmeno conoscerla.  Ripensai alle parole della lettera di Vincent: può sembrare burbero, a prima vista, ma è una persona speciale.  E aveva ragione. Ville era davvero speciale, e soprattutto… lo stava diventando per me.
Scivolai fuori dalle coperte senza far rumore. Volevo scendere a preparare un caffè e dovevo assolutamente chiamare Amy, prima che chiamasse la polizia inglese, quella finlandese e i corpi speciali per sapere che fine avessi fatto.
Guardai il cellulare… cinque chiamate perse, tutte di Amy.  Accesi il computer, a quest’ora doveva essere sicuramente in ufficio, su Skype. Infatti.
Non feci nemmeno in tempo a prendere le cuffie, che arrivò la chiamata.
“Si può sapere che fine hai fatto? E si può sapere anche chi è Ville?”
Scossi la testa. Altro che preoccupata per me, si stava arrovellando il cervello  per chi capire con chi avessi passato la serata! Decisi di stare al suo gioco.
“Ok, ma non urlare, che sta ancora dormendo”
Appunto. L’urlo di Amy mi perforò  i timpani.  “E’ lì da teeee?”
“Sì, Amy, e dormiva, fino a due secondi fa…” tentai di abbassare la voce.
“Ok, com’è?”
Mi spuntò in faccia un sorrisino assolutamente idiota. “E’ uno stronzo” ridacchiai “o meglio, sembra la persona più stronza e insopportabile del mondo, ma in realtà non lo è… è perfino…tenero, a volte”
“Ok, l’abbiamo persa!” rise “ ora voglio i dettagli piccanti, però! E voglio anche sapere com’è fisicamente!”
“Non è successo nulla, ha solo dormito con me, visto che ieri dopo aver letto la mail ero abbastanza sconvolta” spiegai “Quanto a com’è fisicamente….” Le linkai una foto “ora però ha i capelli più lunghi, e il pizzetto”
Silenzio. Altro urlo.
“Lizzie!  Se te lo lasci scappare giuro che vengo lì e….”
Ma non seppi mai cosa voleva dirmi, perché un rumore alle mie spalle m fece chiudere il laptop alla velocità della luce.
Ville era appoggiato allo stipite della porta, maglia rosso scuro con le maniche arrotolate, capelli legati. Un’apparizione…  se non fosse per il sorrisino da presa per il culo che non mi era assolutamente mancato.
“Cosa diceva la tua amica?” ridacchiò.
Oddio, da quanto era lì? Sentii le mie guance avvampare.  “Ehm…” borbottai. La complicità della sera prima era già un lontano ricordo, sembrava.
Ville mi guardò, il sorrisino da presa per il culo si tramutò nel sorriso dolce che mi piaceva decisamente di più “Hey…non volevo metterti in imbarazzo, scusa” disse, avvicinandosi a me e sfiorandomi una guancia con la punta delle dita.  
Lo guardai di sottecchi. Ero in imbarazzo? Accidenti, se lo ero.  Trent’anni suonati e quando c’era nei paraggi un uomo che mi piaceva diventavo una perfetta idiota.
“Se te lo stai chiedendo, sì…ero lì da un po’, e sì, ho sentito buona parte del discorso” ridacchiò.
Feci per dirgli qualcosa (insulti, per la cronaca) ma mi appoggiò un dito sulle labbra per non farmi parlare.
“La tua amica… Amy, non ha considerato una cosa però” disse, facendosi ancora più vicino. “ E se fossi io a non voler lasciarti scappare?”
Beh… considerato che non avevo voglia di fare altro sin dalla sera prima, che altro potevo fare se non baciarlo?
Ville approfondì il bacio, per poi sorridere. “E… com’ era la storia che le donne intelligenti scelgono uomini speciali?”
Alzai gli occhi al cielo. “Ville, ti ho semplicemente baciato, non ti ho giurato amore eterno!” risi.
“Per ora…” disse con un sorrisino che non prometteva nulla di buono.
 
And there's so many many
thoughts
when I try to go to sleep
but with you I start to feel
a sort of temporary peace…

 
The End ?
Note dell'autrice:

E finalmente torno a scrivere qualcosa!
Piccola precisazione: la casa di Lizzie esiste davvero *____* è questa meraviglia qua, che sarà mia, ho deciso! http://i51.tinypic.com/xp0pzr.jpg Mi manca giusto un milioncino di euro, ma sono dettagli insignificanti xD

   
 
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