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Autore: Esse Pi    30/09/2011    3 recensioni
C’erano sempre quelle persone che gli sbucavano davanti puntandogli un dito contro e gridandogli: “Misfit!” Era quasi divertente vederli aggrottare la fronte con un’espressione tra il sorpreso e il determinato a volersi far notare da lui – chi per un autografo, chi per un servizio fotografico di qualche centinaio di foto nel bel mezzo del niente. Certe volte pareva addirittura che lo accusassero con quell’indice indirizzato con grinta verso di lui. Disadattato! E lui rideva.
[Robert Sheehan - Misfits, Killing Bono, ...]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uhm

Uhm, non sapevo esattamente dove postare questa FanFic, visto che Robert Sheehan ha fatto sia film che telefilm. Ho optato infine per questa sezione perché qui da noi è conosciuto soprattutto per il suo ruolo nella serie di Misfits. Prima però che iniziate a leggere, voglio fornirvi qualche informazione: ovviamente non conosco come ragioni Robert, cosa prova, etc..., però mi è piaciuto immedesimarmi in questa sua "copia" - almeno nell'aspetto! Ah, e se mai non sappiate chi sia né che faccia abbia, ecco a voi un paio di foto: QUI e QUI!
Questa è una One-Shot (forse non tanto breve), su alcune considerazioni con cui l'ho voluto far confrontare - non vere e proprie riflessioni filosofiche, sia chiaro, delle semplici constatazioni su quello che si trova davanti, ora che ha raggiunto la notorietà - anche se qui da noi non molta. Per sapere cosa, leggete: non voglio rovinarvi niente.
Per una spiegazione maggiormente dettagliata dei personaggi che entrano in gioco, invece, vi rimando alle note dopo la storia, almeno ve la godete tutta senza anticipazioni
.

Buona lettura!
 



Walking through the Fame


Stava camminando senza pensare troppo alle persone intorno a sé. Non era un atteggiamento egoista e menefreghista, come avrebbe potuto pensare qualcuno vedendo le cuffie sulle orecchie, chiaro segno di non voler essere disturbato. Ovviamente c’erano sempre quelle persone che gli sbucavano davanti puntandogli un dito contro e gridandogli: “Misfit!” Era quasi divertente vederli aggrottare la fronte con un’espressione tra il sorpreso e il determinato a volersi far notare da lui – chi per un autografo, chi per un servizio fotografico di qualche centinaio di foto nel bel mezzo del niente. Certe volte pareva addirittura che lo accusassero con quell’indice indirizzato con grinta verso di lui. Disadattato! E lui rideva. Non avrebbe mai immaginato che quella serie gli avesse potuto portare tanta popolarità. Aveva sempre pensato che il copione fosse qualcosa di geniale, ma non era altrettanto certo che il pubblico l’avrebbe apprezzato. Non tutti infatti avevano quel suo stesso umorismo nero.
“È quello di Skins!” Sì, c’erano anche quelli che riconoscevano il suo viso senza riuscire ad associarlo ad alcun programma in particolare. Magari avevano solo visto la pubblicità in TV, però era altrettanto divertente vedere come si catapultassero da una parte all’altra della strada, senza badare minimamente alle macchine – gli stranieri, soprattutto, che rischiavano la vita sbagliando a guardare il senso delle macchine (sempre che vi guardassero, presi com’erano dalla foga di raggiungere il loro obiettivo). Talvolta pensava che certa gente andasse a Londra non tanto per visitare quella immensità di città che era, quando per poter adocchiare qualche personaggio famoso a zonzo proprio come lui, presso Soho square, o magari vicino a qualche teatro… Chissà.
Si portò le cuffie sul collo e si mise ad ascoltare cosa stesse cinguettando una delle due ragazze che l’avevano braccato. “Una foto! Una foto!” lo incitava con un sorriso esaltato. Forse era giusto maggiorenne, macchina fotografica in mano e un pesante accento francese. Capelli biondi sciolti sulle spalle e un trucco nero sugli occhi celesti. Non gli era mai dispiaciuto fare apprezzamenti sulle ragazze, e questa volta non faceva eccezione.
Un’altra ragazza, affianco a lei, borbottò con aria stizzita qualcosa. Lui comprese solo “Misfits”, per poi iniziare ad essere chiamato “Nathan” con un bizzarro accento sull’ultima sillaba. Molto probabilmente nemmeno sapevano come si chiamasse in realtà. Per questo, da una parte, non aveva acconsentito a girare anche la terza stagione della serie. Sarebbe stato incredibilmente esilarante passare altro tempo con quella banda di ragazzi, ma voleva fare anche altre esperienze, ora che la fama l’aveva raggiunto quasi inavvertitamente.
Scattò quel paio di foto a testa e si ritrovò a firmare autografi a Joséphine e Marianne, dubbioso se firmare come Nathan o Robert. Optò per il Robert – era più personale.
Salutò le ammiratrici e si rimise le cuffie, le mani rigorosamente in tasca del suo giacchetto di pelle nero, sebbene fossero già coperte da dei fotonici guanti rossi che gli lasciavano scoperte solo metà dita. Si era dimenticato il cappello in agenzia. Pazienza, avrebbe chiamato e sarebbe passato a prenderlo uno di quei giorni, di certo non era essenziale.
Ticchettava le mani dentro le tasche al ritmo della musica, mentre camminava tranquillamente verso la stazione della metropolitana, quando il telefono iniziò a vibrargli dai pantaloni. Si tolse nuovamente le cuffie e rispose allegro a quella chiamata.
“Dimmi tutto, bel maschione!”
Sempre il solito, eh?” sentì la sua risata e ne soffiò una pure lui. “Dimmi, come è andata oggi? Mamma mi ha detto che avevi un colloquio in agenzia per un nuovo lavoro.
“Pettegola come sempre, eh.”
Che ci vuoi fare? Le manchi.” Quella vena nostalgica fu un po’ troppo sentita per poterla far passare inosservata. Sorrise al telefono, ripensando ai volti della sua famiglia. A pensarci era qualche settimana che non tornava per almeno un paio di giorni a casa sua. Era ovvio che gli mancassero tutti quanti. Si sentivano spesso naturalmente, ma niente poteva compensare il contatto, i sorrisi e le parole con la sua famiglia.
Ma quell’atteggiamento nostalgico non gli si addiceva, non faceva per lui. O almeno, non doveva trasparire nella sua vita pubblica. Sospirò e si decise che – audizione o non audizione – il prossimo Sabato sarebbe partito alla volta dell’Irlanda, si sarebbe preso una pausa. E anche qualche bella sbronza: aveva voglia di risvegliarsi il giorno dopo e non ricordarsi niente, se non il volto degli amici che l’avevano accompagnato nell’avventura.
“Ti avrà anche detto che mi vogliono alla radio, tra un paio di giorni, no?” riprese il discorso nel modo più spensierato che avesse potuto trovare.
No, questo no.”
“Dille che non può lasciarsi fuggire certe notizie!”
Magari se l’è dimenticato.
“No, me l’hanno detto solo stamattina,” rise. “Volevo appurare che non sapesse prevedere il futuro. Sai, da lei c’è da aspettarsi di tutto.”
Mai quanto da te! Pensi che questo nuovo lavoro lei potrà vederlo?
“Perché mai non potrebbe?” Scherzò, sapendo bene quali ostacoli avrebbe incontrato sua madre – il primo tra tutti la supplica di non vedere l’immagine di suo figlio rovinata da una scena di sesso con una donna più vecchia di lei. Senza offesa per quella donna, era anche simpatica, ma sua madre non avrebbe mai visto quell’episodio e nemmeno la scena del lavoretto al tizio nella trilogia a cui aveva partecipato. Certe cose dovevano rimanere all’oscuro dalle mamme, a costo di bendar loro gli occhi personalmente.
Mah… Dimmi tu: ci sono scene di sesso?
Sì guardò intorno con fare curioso, allungando gli occhi nelle traverse che poteva adocchiare dal suo lato della strada. “Uhm, no, non vedo nessuno a fare sesso, qui. Però scommetto che se tornassi in questa zona verso sera potrei trovarci un bel po’ di persone che le tentano tutte per riprodurre il Kamasutra in ogni singola posizione.” Nemmeno riprese fiato che attaccò un nuovo discorso. “Sai che proprio l’altra sera, mentre tornavo a casa, mi sono imbattuto in una coppia di cani – credo fossero dei barboncini, no, forse erano un incrocio, però sicuramente erano randagi – insomma, avresti dovuto vedere come ci davano dentro! Sappi che i barboncini sembrano tanto innocenti, soprattutto quelli bianchi, ma in realtà dovresti vedere di cosa sono capaci.” Ripensò un attimo sul suo discorso. “Sì, ragionandoci, è meglio chiudere qui.” Rise.
Il male di essere logorroico, mio caro.” Rise lui. “Ma, insomma, mi dici che ti hanno detto?
“Ah, sì – ah! Allora la domanda sul sesso era rivolto al nuovo lavoro!” Si finse sorpreso.
Speravo che tu nemmeno me lo chiedessi!
“Comunque, no, il mio personaggio dovrebbe essere abbastanza tranquillo, sotto questo punto di vista.”
E dimmi di più: com’è?
“Be’, se non sbaglio, dovrebbe avere due occhi,” elencò sulla mano che tirò fuori dalla tasca. “Un naso e una bocca. E – ma non ci metterei la mano sul fuoco – anche un paio di orecchie.” Lo sentì ridere e fece altrettanto.
Bene, è appurato che non sia un alieno. È una serie TV, un film…?
“Un film, credo.”
Quindi potrà vederlo.
“Sì, infatti.” Annuì con convinzione, lasciando trapelare il sorriso ironico sulle labbra.
Mamma chiede come si intitoli.
“È lì con te?”
Sì, ma dice di negare.” Sentì la voce di sua madre fingersi offesa con Brendan, ma lui ci avrebbe scommesso: sarebbe rimasta lì finché la chiamata non fosse finita. E magari poi avrebbe richiamato per parlare con lui personalmente. “Dille che tanto se lo dimenticherebbe all’istante.”
Proprio come hai fatto tu?
“Be’, che pretendi?” protestò divertito. “Me l’hanno detto solo un paio di ore fa. E devo ancora fare il provino per la parte.”
Il provino quando sarà?
“Ha detto Jonathan che mi contatterà prossimamente. Ma credo la prossima settimana.”
D’accordo.” Concluse lei. “Dammi notizie più concrete la prossima volta, ok?
“Certamente. E di’ a mamma che può chiamare quando vuole. Non mi disturba affatto.”
Brendan rise gentilmente, per poi acconsentire a riferire il messaggio. “Ciao, Robbie, alla prossima.
“Ciao, Brendan.”
Ripose il cellulare nella tasca dei pantaloni e si rimise le cuffie, captando del movimento inaspettato dietro di sé. Con fare furtivo si incurvò nelle spalle, lanciando una fugace occhiata alla strada appena percorsa. Fortunatamente erano solo delle ragazze che urlavano tra loro – probabilmente degli ultimi scoop tra amici. Solitamente funzionava così con loro.
A casa sua questo non succedeva. Londra era fin troppo grande in confronto a Portlaoise – non era proprio paragonabile! I suoi vecchi amici non badavano troppo al fatto che fosse famoso. Certo, volevano sempre che offrisse loro quando una cena, quando un’intera serata di bevute, ma i rapporti non si erano guastati e fondamentalmente continuava a fare la vita di sempre, nei giorni che si confinava laggiù.
Una volta dentro la stazione della metro, prese il suo abbonamento e passò gli sportelli automatici, per poi sentirsi chiamare indistintamente. La voce filtrava dalle note che risuonavano nelle sue orecchie, e ci mise un po’ per capire che fosse il caso di abbassarsi le cuffie. Si guardò intorno smarrito, squadrando le persone che a quell’ora, come lui, sarebbero tornate a casa.
E poi lo vide: il suo completo color cerume era tanto inconfondibile, quando imbarazzante. Gli andò incontro, separato dall’amico solo dallo sportello automatico.
“Ti ho detto che ti pagherò, ma non puoi pedinarmi così!”
“Uhm, questa mancava al repertorio dei tuoi saluti.” Commentò l’uomo, sorridendo. “Complimenti per l’originalità che mostri ogni santo giorno!”
“Tutta roba naturale, mio caro amico incerumato.”
“È soltanto un normalissimo marrone chiaro – te l’avrò detto non so quante volte!” sospirò divertito il suo interlocutore, stirandosi i bordi del completo che indossava. “Non è color cerume.”
“Però non puoi negare che gli somigli spaventosamente!” lo indicò. “E poi, senza offesa, Jonathan, ma non lo cambi mai quel completo? Non sarebbe l’ora di lavarlo?”
“Io non riesco a capire…” si passò una mano sugli occhi con finta rassegnazione. “Nemmeno ti obbligassi ad indossarlo!” Robert rise, per poi spostarsi e far passare una coppia di persone che correva a prendere la metropolitana. “E poi, scusa, ti sei visto? Quei pantaloni a quadri neri e rossi sembrano da circo.”
“Già, e sarebbero risaltati ancora di più se non avessi dimenticato il cappello in studio.” Si accarezzò la testa riccia, sentendo la mancanza della coppola che l’aveva accompagnato per tutto il giorno.
“Sì, l’ho visto.” Si grattò il mento. “Ci avrei messo la mano sul fuoco che fosse tuo.”
“Sì, ma tanto lo torno a riprendere in questi giorni. Lisa e Richard hanno detto di tornare da loro per parlare del film.” Spiegò, scansandosi nuovamente per permettere il passaggio ad una ragazza in crisi finanziaria – a giudicare dal poco tessuto che le copriva il corpo.
“A proposito di questo,” si schiarì la voce, per poi spostarsi pure lui per far passare una numerosa famiglia di stranieri che ovviamente si bloccò allo sportello senza più riuscire ad attivare il controllo automatico del biglietto. Robert avrebbe voluto dir loro che il biglietto era scaduto, ma non sapendo poco o niente di quella strana lingua, optò per fingere di non interessarsi alla questione, per poi decidere che fosse l’ora di tornare al di là della barriera di sportelli per parlare più liberamente con Jonathan. Passò l’abbonamento e oltrepassò le ante, notando con la coda dell’occhio un addetto alla sicurezza indirizzarsi verso la famiglia in crisi.
“Non trovi che sia più comodo parlare senza alcun ostacolo tra noi?” gli mise una mano sulla spalla e lo accompagnò fuori dalla stazione.
“Ma non dovevi andare a casa, Robbie?”
“Sì, ma tu mi hai fermato, quindi dimmi tutto.”
“E se ti dicessi che volevo solo avvisarti che Lisa ha detto di passare domani in ufficio?”
“Be’, potrei dirti che lei poteva informarmi per telefono stasera, senza mandarti a rincorrermi.” Commentò con fare talmente pensieroso che pareva esattamente il contrario. “Ah!” si illuminò, abbracciando l’amico ancora più stretto e quasi saltandogli addosso con entusiasmo. “L’hai fatto per poter stare da solo con me!” esclamò nel suo tipico tono fin troppo teatrale. “Ti capisco, il fatto che si lavori insieme è un ostacolo bello grosso – mai come quello che ti porti sempre dietro, eh!” non riuscì a trattenersi, ridacchiando per l’allusione. “Però lo sai che non si può fare, Johnny.” Aggiunse dispiaciuto.
“Oh, Robbie,” attaccò l’amico, seguendo la scia drammatica della sua ultima nota. “Ma io per te faccio questo e altro!”
“Ti posso portare la biancheria sporca da lavare?”
“No.”
“Solo i vestiti!”
“No.”
“Scarpe?”
“No.”
“Hai detto che avresti fatto qualunque cosa!”
“Con qualche dovuta restrizione.”
“Tipo?”
“Biancheria, vestiti e scarpe.”
“D’accordo.” Si fece pensieroso. “Vorrà dire che puoi scordarti le mie riviste porno.”
“Me ne farò una ragione, Rob.”
“Ehm… Qual era la faccenda iniziale? Cosa volevi dirmi? – Non lo ricordo più.” Trattenne a stento una risata, per poi lasciarla sfociare.
“Ci avrei scommesso.” Jonathan si unì alla sua ilarità spensierata. Era questo il bello di lavorare in quell’agenzia, pensava Robert: tutti erano cordiali, amichevoli ed estremamente simpatici. Da quando aveva iniziato a lavorare con loro, non c’era mai stato motivo di scoraggiamento o di delusione. Erano tutti attivi e tutti pronti a collaborare, a sorreggere lui e tutte le altre persone che venivano rappresentati da loro. L’atmosfera era decisamente accogliente e Robert per un attimo si domandò cosa avrebbe fatto se non fosse stato per loro, il loro assiduo lavoro… Doveva molto a tutti quelli che aveva conosciuto laggiù. Ormai non erano più solo colleghi di lavoro. Erano diventati amici, uscivano, scherzavano. Sì, stava proprio bene lì dove era arrivato.
“Lisa dice che ti avrebbe chiamato -”
“Ah, sì, per la cosa del film.” Lo interruppe, annuendo. “Efficientissimo, grazie.” Gli diede una pacca sulla spalla.
“Di niente, Robert.” Gli sorrise. “Ma ora che fai, torni in agenzia con me?”
“Perché?” inarcò le folte sopracciglia.
“Perché mi stai accompagnando all’agenzia.”
“Ah, non me n’ero accorto.” Si grattò la testa, guardandosi intorno. “Ma sì, dai, almeno riprendo il cappello.”
“Perfetto, allora prima fermiamoci un attimo da Subway, che ho fame.” Propose Jonathan.
Robert accettò, le mani in tasca e la bocca straripante di parole come al solito. Quella vita gli piaceva, si sentiva realizzato ed estremamente sicuro di sé. E anche se aveva cambiato drasticamente la sua vita, sentiva di aver fatto la scelta giusta.
Ora doveva concentrarsi per l’audizione per quel film. Sarebbe stato quello il suo obiettivo nei prossimi giorni. Solo dopo si sarebbe occupato di qualcosa di ancora più importante ed impegnativo: convincere Jonathan a cambiare quel completo. Ne aveva seriamente bisogno.

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Ed eccoci nuovamente a noi: allora, passo a precisare che questo è solo frutto della mia immaginazione e che - sfortunatamente - Robert non mi appartiene e non ho sudato ottantasette camicie per dare coerenza a questa storia per guadagnarci qualcosa. Anzi, non ci guadagno proprio niente, se non un filmino mentale nell'accompagnarlo in questa sua "camminata". Inoltre con questo mio scritto non voglio assolutamente pretendere di descrivere il suo vero comportamento.

Insomma, passando a parlare dei personaggi che avete visto apparire nella storia: al telefono era
Brendan - il fratello di Robert. Non mi sono dilungata in descrizioni, sia fisiche che caratteriali, per il semplice fatto che non volevo tirare qualche bomba al riguardo. Stessa cosa vale per Jonathan, uno degli agenti che segue Robert. E qui devo fare un'ulteriore precisazione: documentandomi un po' attraverso il sito dell'agenzia Lisa Richards, ho visto che sono proprio Lisa, Richard, Jonathan e un altro (o altra) a seguire gli attori che rappresentano. Purtroppo le informazioni non vanno nello specifico, quindi non so esattamente chi stia dietro al nostro irlandese, per questo ho deciso che il lavoro se lo dividono. E ovviamente non ho la più pallida idea di come sia fisicamente questo Jonathan - né tanto meno se indossa seriamente quel completo color cerume che mi è piaciuto descrivere per prenderlo in giro!

Ho voluto rendere la storia abbastanza allegra, spero di esserci riuscita! Per parlare di Robert mi sono basata molto sulle interviste, sui video che conosco. Spero di averlo reso abbastanza verosimile!
E spero che vi siate divertiti a leggere questa storia!

Ad un'eventuale prossima storia!

S.P.

  
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