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Autore: Hika86    01/10/2011    2 recensioni
Finalmente alzò le palpebre e stancamente guardò davanti a sè: era accesa solo la luce dell'angolo cucina, il resto del salotto era nel buio più completo, e in quella cornice di luce gialla Jun si muoveva sistemando dei piatti sul tavolo. Sembrava la scena di un vecchio film anni settanta, con la pellicola un po' graffiata dall'usura e le immagini non ben definite, come invece ci si era ormai abituati a vedere grazie alle nuove tecnologie. Quel tipo di film davano l'impressione della qualità, quella vera, non data dalla quantità di soldi spesa, ma dall'idea che componeva le loro storie e dallo studio che c'era dietro ogni inquadratura. Così anche Jun era un certezza. Tutti gli Arashi erano una certezza nella vita di Satoshi, ma Jun era una certezza per lui e per il gruppo: valeva doppio.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jun Matsumoto, Satoshi Ohno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

Keiji
Si strinse la giacca a vento addosso mentre camminava a passo spedito, a lato di una stradina. Si era alzata una brezza per niente rassicurante e tirò su la zip fino al naso per paura di prendersi un colpo di freddo. Non gli era mai successo di perdere la voce in realtà, un raffreddore sì, ma il mal di gola molto raramente. C'è sempre una prima volta comunque. Con un ultima corsetta raggiunse le porte di vetro opaco che scivolarono automaticamente sul meccanismo di apertura con un lieve fruscio, come se avessero girato una pagina. «Ah! Ohno san!» esclamò subito l'uomo nella guardiola sulla sinistra
«Gorō san» rispose il ragazzo chinando appena il capo
«Che tempaccio sta venendo su, ha visto?» annuì a quella domanda, ma non disse nulla «Fortuna che qui sto sempre al sicuro e al caldo e poi tutto sommato è tranquillo. Sa che l'altra settimana si sono appostati qui fuori dei giornalisti?!» prese a raccontare.
Ohno abbassò appena la zip della giacca e si pose in ascolto. Il portiere del condominio in cui abitava Jun (che poi era anche una guardia armata di un servizio di sicurezza privato) era uno dei pochi con cui Ohno si fermava a chiacchierare quando andava a trovare qualcuno degli altri membri a casa loro. Più che altro Aiba era difficile da tenere nel suo appartamento, preferiva uscire a mangiare e offrire lui piuttosto che cucinare qualcosa per gli ospiti, Sho viveva in casa dei suoi e in realtà era ben poco presente quindi gli inviti ad andare da lui erano rari, mentre riguardo a Nino... Nino era Nino. Non aveva portineria nel suo condominio e Ohno aveva potuto a malapena salutare i suoi vicini dato che quando l'amico voleva passare del tempo con lui invitandolo a casa sua significava che voleva passarlo solo con lui. Poi si attaccava ai videogiochi -a cui giocava da solo, Ohno non era appassionato nè molto portato per quel tipo di passatempo- e cominciava a fare un semi-soliloquio... ma intanto erano solo loro due. E la PlayStation, ma non essendo un essere vivente -o essendo una seconda estensione di Nino stesso- non contava come terzo incomodo. Quando andava a trovare Jun invece accadeva spesso che arrivasse quando l'amico non era ancora tornato dal lavoro, quindi si fermava a chiacchierare con il portiere molto volentieri, per perdere un po' di tempo. Dopo alcuni minuti questi gli lasciava la copia della chiave, scusandosi per averlo trattenuto, ma intanto lui si era svagato un po'.
«Alla fine siamo riusciti a farli andare via, ma... non so proprio come facciate voi gente famosa. Al posto vostro sarei costantemente frus...» bloccò la sua parlantina sentendo suonare il telefono della guardiola «Ah, mi scusi» fece con un inchino prima di correre a rispondere. Negli anni Gorō san aveva imparato a conoscerlo: sapeva che Ohno parlava poco, ma ascoltava senza problemi, rimanendo quieto. Forse non molti ascoltavano il povero portiere dato che tutti quelli che abitavano nel palazzo erano personaggi famosi e indaffarati, e con questa idea Satoshi si era convinto ad ascoltarlo le prime volte che era successo, anni prima. Alla fine si era accorto che era rilassante stare ad ascoltare storie banali, incidenti di quartiere, problemi di condominio... così con il tempo aveva preso a fermarsi volentieri ad ascoltare le sue parole.
Gorō gli fece un cenno allungandogli la copia della chiave dell'appartamento di Jun, probabilmente ne avrebbe avuto per molto al telefono. Ohno la prese, si inchinò per salutarlo e si avviò all'ascensore.
Andava da Jun quasi sempre senza preavviso. Era capitato più di una volta che poi questi non tornasse a casa a dormire, non sapendo di avere qualcuno ad aspettarlo, ma andava bene così. Ohno andava da lui per poche e semplici ragioni: prima di tutto perchè aveva dei momenti in cui desiderava allontanarsi da tutto e da tutti e magari non gli era possibile andare a pescare. Quel giorno infatti aveva avuto l'improvviso impulso di starsene in pace, ma in casa sua i suoi giravano trafficando chissà con cosa e quando gli era successo erano le quattro di pomeriggio, troppo tardi per raccogliere l'attrezzatura e andare in qualche centro per la pesca, senza contare che il tempo stava volgendo al peggio già da dopo pranzo. In quei casi l'appartamento di Jun era perfetto. In secondo luogo, gli piaceva quello spazio. Posto all'undicesimo piano era un open space ampio, silenzioso, luminoso di giorno e abbastanza scuro la notte nonostante fosse sempre nel distretto di Tokyo, dove le città sono tanto illuminate da far vedere a malapena le stelle. E gli piacevano i suoi divani: erano entrambi ad angolo, posti a ferro di cavallo rivolto verso le grandi porte finestre che davano sul balcone. Erano comodi, color blu notte, e ci aveva sempre dormito benissimo. Ultima ragione per cui andava da lui, invece che da altri, era che se pure Jun era presente non faceva una grande differenza. Non che l'amico fosse invisibile, semplicemente aveva una sensibilità e un modo di fare tanto delicati da rendere la sua presenza accettabile e quasi confortante in quei momenti. E poi era l'unico del gruppo con cui potesse stare bene anche senza dire nulla. Con lui era facile trascorrere il tempo.
Girò la chiave nella porta che si aprì automaticamente ed entrò nel piccolo ingresso scuro. L'entrata dell'appartamento dava su un corridoio lungo e stretto al termine del quale si trovava l'open space: aveva sempre avuto la vaga curiosità di andare a vedere l'appartamento del vicino per capire come l'architetto avesse suddiviso gli appartamenti in modo tale da creare quel corridoio assurdo. Si tolse le scarpe e salì sul gradino del parquet. Appese la giacca a vento all'appendiabiti contro la parete e si voltò per sistemare ordinatamente le calzature prima di avviarsi. Casa di Jun era sempre tranquilla, con o senza di lui. L'amico non era uno rumoroso quando stava da solo... poi lo mettevi su un palco ed era quello che urlava di più verso il pubblico, certo, ma quando era solo Jun, e non Matsujun, era diverso. Lasciò la borsa a terra, nel mezzo dello spazio tra i divani, coperto da un tappeto color panna, e tastò il divano di sinistra prima di sedercisi. Satoshi lasciò vagare lo sguardo sul resto della casa: l'angolo cucina, il soppalco sopra di esso, dove si trovava la "zona notte" e poi le grandi finestre che mostravano il cielo di uno strano colore indaco sporco. Si rialzò per andare all'unico altro mobile del salotto: una piccola libreria in noce con uno stereo e la collezione più preziosa dell'amico: la musica. Aveva cd di tutti i tipi, divisi per genere, uno ogni ripiano, e a loro volta in ordine alfabetico di autore. Se ve n'erano più di uno dello stesso autore sapeva che Jun li metteva in ordine di gradimento da destra a sinistra. Aveva anche dei vinili e delle audio cassette. Ohno andò sicuro a cercare sul ripiano della musica jazz e prese il quinto cd da destra. Lo mise nello stereo e lo ascoltò cominciare mentre andava a sistemarsi nuovamente sul divano. Quello di sinistra era il suo preferito e si stendeva sempre con i piedi rivolti verso la finestra così se guardava in basso vedeva il cielo e se guardava davanti a sè, oltre l'altro divano, poteva vedere l'angolo cucina. Di solito, se Jun tornava a casa, quando lui si risvegliava lo trovava sempre lì a preparare qualcosa per cena. Qualsiasi fosse l'ora.


Aveva dei ricordi piuttosto frammentari, ma molto vividi, dei momenti che aveva trascorso con Jun, prima del debutto.
Ricordava un po' con vergogna come la prima volta che lo aveva visto, serio e determinato già all'epoca, si era sentito imbarazzato al sentire l'attività da Junior come un doposcuola un po' diverso dagli altri. Quel bambino più piccolo di lui era convinto e ci metteva così tanto impegno che faceva pensare fosse convinto di essere già nel mondo del lavoro. Eppure molti intorno a loro trattavano le lezioni dei Juniors come una seconda scuola, appunto, solo un po' più movimentata e quindi, probabilmente, la prendevano molto meno seriamente di quella vera, con i banchi e tutto il resto.
Più volte aveva notato che il piccolo Matsumoto era il primo ad arrivare agli allenamenti e l'ultimo ad andarsene.
Ohno non era tipo da farsi dei pregiudizi per qualcuno, ma nei primi tempi qualcuno sparlava di Jun per il semplice fatto che era molto silenzioso, poco socievole e girava voce fosse stato chiamato nella JE da Kitagawa san in persona. Lui non era tipo da pettegolezzi e maldicenze, quindi se ne stava zitto, come suo solito, senza dire nulla. Cambiò atteggiamento, però, dopo due o tre mesi che quel nuovo bambino era entrato a far parte dell'agenzia.
Satoshi stava aspettando il treno alla stazione. Era la più lontana tra quelle nella zona della sede, ma vi passava la linea più comoda per lui, per questo era sempre stato il solo ad uscire dagli allenamenti e avviarsi in quella direzione, non c'erano altri Juniors che dovessero prendere quella linea. Quel giorno però vide il piccolo Matsumoto scendere le scale che portavano al binario e rimase a fissarlo con un po' di stupore. Non era una stazione molto frequentata e finivano sempre prima delle ore di punta, in cui tutti gli adulti uscivano dal lavoro, quindi anche l'altro bambino lo vide praticamente subito. Gli sorrise subito e lo raggiunse a passo svelto. «Ciao!» esclamò «Lei è Ohno san, vero? Uno dei senpai». A quel tempo per essere "senpai" bastava essere entrati anche solo tre mesi prima nell'agenzia, ma per quanto riguardava Satoshi si poteva dire che lui lo era sul serio: era un Juniors già da due anni. «Uhn» annuì in risposta
«Non abbiamo mai parlato vero? Però io so chi è lei» spiegò con una vocina squillante che non gli aveva mai sentito «E' il più bravo di tutti. E' tanto che si allena?»
«Io sono nell'agenzia da due anni» rispose facendo un mezzo sorriso. Inaspettatamente quel bambino, che aveva appena 3 anni meno di lui, lo trattava come un adulto: lo chiamava con il "san" e gli parlava con rispetto, sapeva parlare bene. Un po' si sentiva in imbarazzo ad essere chiamato così perchè anche lui era poco più che un ragazzino, ma apprezzava quel modo di fare garbato. Totalmente inusuale per un dodicenne. «Allora avrà tante cose da insegnarmi. Posso contare su di lei?» domandò con gli occhi che gli brillavano. Era proprio convinto. Ma cosa mai avrebbe potuto insegnargli? Lui dormiva quasi sempre in piedi e si svegliava solo quando era il momento di ballare: in confronto, il piccolo Matsumoto era molto più bravo di lui. «No, io non sono così bravo» scosse il capo «Ma se hai bisogno di una mano, va bene» aggiunse poco dopo. Seppe di aver dato la risposta giusta quando lesse la gioia nello sguardo che vide davanti a sè il momento successivo. Seppe anche che le voci su di lui erano sbagliate: non era la richiesta di un bambino pieno di sè, non era la gioia di un tipo borioso e certo di essere perfetto o superiore a tutti.
«Era di nuovo il primo» «Per quanto abbiamo provato ad arrivare in anticipo quel tipo è già qui. Non è che vive qua dentro?» «Ah, guarda! Ha sbagliato». Continuavano a parlottare tra di loro e a ridacchiare. Erano Juniors entrati un anno dopo di lui, quindi avrebbe potuto dirgli qualcosa di brusco per farli smettere, ma più ci pensava più non gli veniva in mente nulla. Eppure sapeva di voler fare qualcosa, Matsumoto kun non meritava quelle malelingue. Si accorse che il bambino stava tornando verso di loro, ma il gruppetto non smetteva di confabulare e non abbassava la voce. «Nemmeno ci riprova» «Probabilmente non pensa di averne bisogno» «E invece ha fatto schifo, come pretende di essere perfetto al primo tentativo?» «Noi al tempo ci impegnammo per due mesi prima di saperlo fare». Ohno prese fiato per dire qualcosa, ma fu preceduto dallo stesso piccolo bambino con i capelli scarmigliati che loro continuavano a prendere in giro. «Sakai san» il piccolo richiamò uno del gruppetto, avvicinandosi a loro mentre si passava l'asciugamano sul collo per togliersi il sudore «Questo proprio non mi viene, ma non posso ostacolare gli allentamenti di tutti. Le darebbe fastidio aiutarmi?» domandò con un inchino
«Tu? Eh? Vuoi che ti dia una mano?» fece quello confuso. Satoshi si sorprese al sentire come il bambino riservasse a quella persona la stessa gentile cortesia che aveva usato con lui: sarebbe stato più naturale essere meno remissivi verso qualcuno che lo sbeffeggiava con cattiveria. «Oooh, forza "Sakai senpai", aiuta il kohai che non riesce ad impegnarsi» risero sotto i baffi quegli altri, non soddisfatti nel constatare come Matsumoto non si credesse affatto superiore. «Perchè mai dovrebbe darmi fastidio aiutare un piccolo kohai?» chiese quindi Sakai, atteggiandosi spinto dalle parole degli amici «Certo che lo faccio»
«Sicuro? Grazie mille» fece il bambino inchinandosi «E' che Sakai san è sempre in ritardo il pomeriggio ed è il primo a svignarsela la sera, dopo gli allenamenti, quindi mi sentirei in colpa a trattenerla qui più di quanto non vorrebbe. Non vorrei rubare del tempo prezioso ai suoi passatempi serali» concluse con la massima cortesia, ma era una chiara frecciatina di disprezzo al senpai che dimostrava poco impegno nelle attività della JE.
Quella sera in treno il compagno di viaggio gli chiese gentilmente di aiutarlo. «Ohno san, posso chiederle una cosa?» domandò con la sua vocina squillante. Satoshi annuì. «Credo che Sakai senpai non vorrà aiutarmi, lei vorrebbe darmi una mano? Non so proprio dove sbaglio» scosse il capo, tutto serio
«Va bene. Quando?»
«Può fare un po' tardi la sera? Facciamo la stessa strada quindi non dovremmo avere problemi a prendere il treno insieme anche se è buio» lo rassicurò. Il ragazzo non riuscì a trattenersi, quindi tra una risata e l'altra annuì «Va bene, facciamo domani?»
«Sì, ma perchè sta ridendo?» domandò l'altro sorpreso
«Perchè mi hai rassicurato come se stessi parlando con una fidanzatina o un fratello più piccolo. Ho già quindici anni sai?» spiegò divertito «Non ho problemi se faccio un po' tardi»
«Ah, mi spiace!» esclamò chinando il capo «E' che viene il mio papà a prendermi alla stazione, ma magari Ohno san fa la strada a piedi quando arriva alla sua fermata e potrebbe non essere sicuro». Ancora una volta rivelava una sensibilità e un'attenzione tutta particolare per gli altri. O semplicemente sembrava ragionare poco da bambino e più da ragazzo grande. «Va tutto bene, possiamo fare domani sera» concluse Satoshi annuendo. Il più giovane gli sorrise e rimasero in silenzio. Chiaramente ormai non ricordava a cosa stesse pensando quel giorno, ma ricordava che dopo un po' di tempo si era accorto di essere rimasto zitto a lungo e tra loro era caduto un silenzio che solitamente non ci si concede con chi si è appena conosciuto. Aveva tossichiato leggermente. «Mi dispiace per prima. Gli altri ti prendevano in giro già da qualche giorno»
«Lo so» annuì il bambino stringendosi nelle spalle «Ma è colpa loro, non sua. Non deve dispiacersi al posto loro»
«E' che...» farfugliò pensieroso «Io li sentivo, ma non ho fatto nulla. Erano giorni che li sentivo parlare, però non li ho mai fermati»
«Oh...» commentò solamente l'altro, scurendosi in viso. «Capisco, si può dire che allora lei è colpevole quasi quanto loro per non aver fermato le loro maldicenze» aggiunse dopo un po'. Era vero, si stava incolpando da solo da qualche giorno, ma sentirsi accusato così candidamente dal diretto interessato faceva più male. «Mi spiace» ammise piano
«Ma Ohno san non mi conosce bene, quello che dicevano poteva essere vero per lei» prese a ragionare Matsumoto «E poi Ohno san è una persona di poche parole vero? Non è nella sua indole intromettersi nei discorsi altrui. Allora va bene lo stesso» sorrise appena, forse ancora un po' ferito dal comportamento di Satoshi, ma consapevole che non era stata sua intenzione essere cattivo con lui.
Da quel giorno nessuno aveva più parlato male di Jun, nè il bambino gli aveva rimproverato nulla. Aveva ascoltato le sue indicazioni durante l'allenamento speciale e si era impegnato. Parlava di continuo quando erano sul treno e sorrideva come se nulla fosse successo. Però Satoshi passò un po' di tempo con un sentimento misto di rimorso e stupore: era stato perdonato con molta semplicità e candore da quella stessa persona che però non si era fatta scrupolo a fargli notare l'errore. Aveva l'impressione che quel giorno il piccolo Jun gli avesse mostrato per la prima volta uno scorcio di ciò che sarebbe diventato in futuro per lui e per gli altri.

Quando si riprese dal suo pisolino fu perchè sentiva un coperchio tremolare su una pentola. Prima di aprire gli occhi si rese conto che quel costante rumore era debole, infondo, ma ben udibile perchè non ve n'erano altri nella stanza. Finalmente alzò le palpebre e stancamente guardò davanti a sè: era accesa solo la luce dell'angolo cucina, il resto del salotto era nel buio più completo, e in quella cornice di luce gialla Jun si muoveva sistemando dei piatti sul tavolo. Sembrava la scena di un vecchio film anni settanta, con la pellicola un po' graffiata dall'usura e le immagini non ben definite, come invece ci si era ormai abituati a vedere grazie alle nuove tecnologie. Quel tipo di film davano l'impressione della qualità, quella vera, non data dalla quantità di soldi spesa, ma dall'idea che componeva le loro storie e dallo studio che c'era dietro ogni inquadratura. Così anche Jun era un certezza. Tutti gli Arashi erano una certezza nella vita di Satoshi, ma Jun era una certezza per lui e per il gruppo: valeva doppio, come la luce di un faro che segnala la costa alle navi e la fine della terra ai pellegrini smarriti nel buio della notte.
Il ragazzo si mise a sedere sul comodo divano blu e si stropicciò gli occhi guardando prima fuori dalla finestra, poi le sue stesse gambe: aveva addosso una coperta di stoffa azzurra. Da dove spuntava? Aveva avuto freddo? Aggrottò le sopracciglia accarezzandola un po', ancora rintontito dal sonno. «Ha cominciato a piovere un'oretta fa, quando sono tornato, e ho pensato avresti avuto freddo» pronunciò dal nulla Jun trafficando con un paio di ciotole e un mestolo in legno
«Mhmmmh» annuì «Grazie eh». Appoggiò i piedi sul tappeto abbandonando il calduccio della coperta e rendendosi così conto di quanto si era effettivamente sentito bene grazie a quella. Seppur svogliatamente abbandonò il divano per raggiungere l'angolo cucina e accomodarsi su una sedia: sapeva che Jun non lasciava che si mangiasse in altri posti della casa che non fossero il tavolo. «A che ora sei arrivato?» domandò l'amico
«Mmmh... sei. Sette forse» rispose in un borbottio assonnato appoggiando le braccia incrociate al tavolo e sostenendosi su di esse per appoggiarsi alla superficie e allungare il collo in avanti, verso i fornelli, sbirciando il lavoro di Jun. «Che ore sono?»
«Dieci e mezza credo» fece mettendogli davanti una ciotola «Dormi da quattro ore?»
«Probabile» annuì guardando il niyakko* che gli era stato messo davanti «Solo?»
«E dai Riida» sbuffò lui «Un attimo ed è pronto anche il kuri**»
«Sei stato essenziale stasera» fece notare prendendo un sorso dalla ciotola
«Ti lamenti e nemmeno mi aspetti?» domandò Jun arricciando il labbro quando lo vide cominciare senza di lui. Satoshi ridacchiò tra sè e rimise la ciotola sul tavolo mentre l'amico gli porgeva anche la sua porzione di kuri gohan. «E' proprio autunno eh?»
«Già» annuì l'altro «Ittadakimasu»
«'kimasu» tagliò corto tenendo le bacchette tra le mani giunte e poi pescando un pezzo di castagna nel piatto di riso.
Ohno si mise in ascolto dei rumori della sera. Oltre il leggero rumore del legno delle bacchette contro la ceramica delle ciotole poteva finalmente sentire lo scrosciare incessante della pioggia. Osservando il vapore che si alzava dal brodo del tofu trovava incredibile che in un mondo tanto freddo, sempre più avvolto dall'aria della stagione fredda, esistesse una ciotola che, pur così piccola, fumava per il calore. Guardare quelle morbide volute bianche librarsi al di sopra del tavolo era un'immensa consolazione e gli scaldava il cuore in quel momento in cui si sentiva un po' nostalgico. «E' proprio autunno eh?» domandò masticando un cubetto di tofu
«Mh» annuì Jun «L'hai già detto. Sei malinconico»
«Prima ho sognato di quando eravamo Juniors» disse mordicchiando le bacchette e parlando tenendosele tra i denti
«Cosa?» domandò l'altro non capendo le sue parole
«Prima ho sognato di quando eravamo dei Johnny's Junior»
«Ah si?» fece riempiendogli il bicchiere di acqua fresca
«Mh» annuì in risposta «Quando parlavamo sul treno...»
«Ti ricordi quanto hai beccato me e Aiba chan che ci allenavamo la sera tardi?» chiese ridacchiando
«Avevi già... quanti? Quattor...»
«Quindici. Non erano quindici?»
«Mh, potrebbe» fece vago, pescando un cubetto di tofu dal brodo della ciotola, e non aggiunse altro. Nemmeno l'altro parlò e calò nuovamente il silenzio. Quella sera i loro discorsi andavano a vanti a singhiozzo, ma a volte era capitato che il leader non avesse aperto la bocca addirittura per tutta una sera. Quelle volte nemmeno Jun l'aveva fatto. Matsumoto lavorava sempre molto, a volte il doppio di loro, e certo si divertiva nel farlo, ma questo non toglieva che la sera tornasse a casa stanco come tutti. Ohno però era convinto che non fosse solo quella stanchezza a rendere i loro silenzi voluti e apprezzati da entrambi. Era certo che l'amico non parlasse anche perchè ormai conosceva i suoi ritmi e sapeva che pur non aprendo bocca potevano lo stesso passare del tempo insieme. Quando ripensava a quei momenti, infatti, gli veniva da pensare "ho passato la serata con Jun" anche se non avevano fatto proprio nulla. I loro erano silenzi particolari: non erano come il silenzio di una stanza vuota, dovuto all'assenza, erano piuttosto come l'accumularsi quieto della neve sul terreno. Momenti passati insieme con un loro significato, e a volte Satoshi aveva l'impressione di aver ricevuto più amicizia e affetto dal Jun di quelle serate prive di parole che dal Matsujun sotto i riflettori. In quella presenza quieta, eppure intensa, ritrovava la gentilezza e il riguardo del Jun insistente e chiacchierone che aveva imparato a conoscere sul treno del ritorno nelle sere della sua adolescenza. Quel bambino era ancora presente in Jun, si manifestava nella sua tenacia, mai diminuita negli anni, e nella sua caratteristica tendenza ad occuparsi di tutti. Satoshi si sentiva coccolato dall'amico, eppure era lui il maggiore dei due. Raccogliendo i chicchi di riso rimasti sul fondo della ciotola cominciò a scavare nella propria memoria chiedendosi se mai ci fosse stato un momento particolare in cui fosse stato lui a prendersi cura di Matsumoto.


Era finito con il debuttare. Non avrebbe voluto farlo, i suoi piani all'epoca erano ben diversi e invece era circa un anno che lui e altri quattro ragazzi avevano debuttato come nuovo gruppo della Johnny's con il nome di "Arashi". Tra quei quattro ragazzi c'era anche Matsumoto Jun. Erano passati ben sei anni da quando Satoshi era entrato in agenzia e aveva fatto la strada insieme a quel ragazzo per tre anni. Ora che erano nello stesso gruppo passavano insieme molto più tempo, erano in giro sempre negli stessi posti e facevano le stesse cose. E con loro gli altri tre.
Gli tornò in mente quel periodo particolare: i giorni precedenti il loro primo concerto. Sul momento non ricordava che stagione fosse, la cornice di quel periodo era sbiadita con il tempo, come un disegno dai colori mischiati da un getto d'acqua caduto sul foglio. Sapeva di aver lavorato duramente con tutti quanti per le coreografie, per memorizzare le canzoni e la scaletta, ricordava le notti precedenti il concerto, passate proprio nella stanza di Jun, tutti insieme, per ripassare, consultarsi, confidarsi preoccupazioni e paure in vista di quell'importante traguardo. Ma nemmeno di quelle c'erano frammenti chiari e netti.
Ricordava molto bene il concerto invece. E la sera prima: la sagoma di Jun rannicchiato a terra era perfettamente definita nella sua mente, come se l'avesse avuta davanti il giorno prima. Era stato il loro ultimo giorno di prove, direttamente sul palco dell'arena dove si sarebbero esibiti, e avevano già lasciato l'edificio. Satoshi si era incamminato verso la stazione dei treni, da solo, perchè per lui era comoda una linea mentre per Matsumoto un'altra e anche perchè il compagno aveva scoperto di divertirsi molto a preoccuparsi del concerto, così si fermava sempre più del solito a seguire i discorsi degli addetti, ascoltandoli attentamente. Era appena entrato nella stazione che si accorse di non aver più con sè la Suica***, si era frugato le tasche più e più volte ma non l'aveva trovata. Si era così risolto a tornare nei camerini e a vedere se non l'avesse per caso ritrovata a terra facendo a ritroso la strada. Aveva ormai quasi venti anni, poteva fare tardi a casa senza alcun problema. Quando era tornato indietro c'erano ancora molte persone al lavoro nell'edificio dell'arena e si era diretto senza indugio verso i camerini, ma entrando aveva sentito piangere. Ricordava che lo stupore in quel momento fu tanto da lasciarlo pietrificato sulla soglia della stanza. Bastò poco per riconoscere il timbro della voce di Jun: non parlava, ma dai piccoli singhiozzi che emetteva era chiaro che fosse lui, che sapeva essere l'unico rimasto di loro, a meno che uno degli altri non fosse tornato indietro apposta per piangere lì. Non era rimasto sorpreso solo dal fatto che qualcuno stesse male, ma anche perchè quel "qualcuno" era proprio Matsumoto Jun. Non l'aveva mai visto piangere in quegli anni. Satoshi entrò chiudendosi la porta alle spalle, con delicatezza e si fece largo tra le sfilze di costumi di scena, seggiole e sgabellini, cercando dove si fosse nascosto il compagno. Lo trovò accovacciato vicino al proprio borsone, mentre raccoglieva mestamente le sue cose. Dato che era entrato senza fare alcun rumore e l'altro non si era accorto di lui, esordire con una qualsiasi frase l'avrebbe spaventato e a quel punto Jun avrebbe nascosto quella sua tristezza, mentre Satoshi sentiva di voler ascoltare quei singhiozzi e vedere quelle lacrime. Inoltre proprio non gli veniva in mente cosa avrebbe potuto dire. Decise quindi di rimanere in silenzio continuando a guardarlo di spalle, finchè non lo sentì sussurrare che cercava il proprio portafoglio: era posato sulla sedia che Ohno aveva lì vicino, così lo prese e glielo allungò prima di accovacciarsi al suo fianco. Jun sgranò gli occhi al vedere l'oggetto comparirgli a lato del viso, quindi osservò stupito il leader abbassarsi vicino a lui. «Ohno san» farfugliò «Grazie» fece chinando il capo e prendendogli il portafoglio dalle dita. Il momento dopo si passava gli occhi sulle maniche della maglietta, per asciugarli. «Sono qui da qualche minuto» spiegò il maggiore, comunicandogli così come fosse inutile nascondere le lacrime. Jun annuì e continuò a fare la borsa tirando su con il naso. L'altro lo aiutò a raccogliere le ultime cose, poi rimasero entrambi immobili davanti al piccolo bagaglio. «Mi spiace» sospirò il più piccolo
«Spiace a me» lo interruppe Ohno «Non avevo capito che c'era qualcosa che ti tormentava. Sembravi sempre così allegro e divertito dall'organizzazione del concerto»
«Lo sono» annuì Jun con decisione
«Sono ancora un leader incapace» riflettè lui e ancora rimasero in silenzio. Dopo qualche secondo sentì un leggero peso sulla spalla che lo costrinse a piantare bene i piedi a terra prima che, così accovacciato, perdesse l'equilibrio già un po' precario. Il giovane compagno aveva piegato la testa appoggiandosi a lui, con molta discrezione e in silenzio, dando per scontato -a ragione- che lui avrebbe accettato quel momento di contatto. Era ufficialmente la prima volta che l'amico gli mostrava senza vergogna la propria debolezza e condivideva lo sconforto che ne derivava. Satoshi si trattenne dal sorridere, felice di quell'ulteriore avvicinamento e prese fiato. «Stavolta vorresti aiutarmi tu? Voglio diventare più bravo» disse infine dopo un po' di silenzio «Voglio essere un bravo leader, se mi dirai qual'è il problema farò quello che posso» spiegò con decisione. Jun chiuse mestamente la zip della borsa e tirò su con il naso: aveva smesso di piangere, ma si avvertiva ancora dello sconforto nell'aria. «Non è grave. E' solo che mi sono sentito demoralizzato» cominciò a spiegare con un filo di voce «Quando oggi, a pranzo, ci siamo raccontati come siamo stati al debutto... mi sono sentito come se fossi l'unico a aver tenuto a questo gruppo fino ad oggi. Non so... io... lo so che non è vero, non lo dico con presunzione, però per un attimo ho sentito come se fosse così: ma allora sto lottando da solo?» spiegò confuso, cercando le parole più giuste da dire: al tempo non esprimeva molto i suoi sentimenti e, ripensandoci, non doveva essere stato facile rendere intelligibili i pensieri e le sensazioni che gli avevano attraversato l'animo in quel periodo. Forse quello era stato un anno tanto strano che nessuno di loro cinque avrebbe potuto esprimersi facilmente, nemmeno Aiba che pure era uno spontaneo. «Improvvisamente mi sono sentito scoraggiato e mi è venuto da piangere» concluse liberando la spalla di Ohno dal peso della sua testa e rimettendosi in piedi, con la borsa sulla spalla. Satoshi lo seguì rialzandosi e annuendo appena. «Ma non è così, no?» gli domandò allora. Era vero, quasi tutti nel gruppo erano intenzionati ad imboccare strade diverse pochi giorni prima del debutto, persino lui, e se non fosse stato per svariate coincidenze gli Arashi non sarebbero mai nati. Tutti avevano altri piani, tutti tranne Jun: il bambino che arrivava per primo e se ne andava per ultimo, che sapeva difendersi da solo, che sapeva accusare e perdonare, che aveva dimostrato a tutti, senza alcun dubbio, cosa significava impegnarsi in qualcosa con serietà e costanza. Lui stava facendo esattamente ciò che voleva sempre fare, era la strada che si era scelto.
«Mi passerà» annuì quel ragazzino e si avviò fuori dal camerino.
Ancora una volta era tutto confuso. Di cosa avevano parlato sulla via del ritorno? Però il giorno dopo, il pomeriggio prima dell'inizio del concerto aveva parlato agli altri tre e ognuno a modo suo si dimostrò costernato: a pranzo avevano rivangato l'inizio di quella carriera con gli Arashi -comunque non così lontana- solo per divertimento, perchè ormai ognuno di loro era felice di essere arrivato a quel punto e si erano affezionati a quel sentiero che stavano tracciando tutti insieme. Con addosso il primo costume del concerto si erano presi tutti per mano, per scambiarsi le ultime parole prima di comparire sul palco. «Allora ci siamo» aveva detto Jun con la voce che gli tremava dall'emozione
«Posso dire una cosa?» domandò Sho «Fino ad oggi non potevo crederci, ma ora che siamo qui... cavolo» sospirò con una risatina nervosa «Grazie di essere qui con me». Ohno sbirciò l'espressione di Jun. «Con quel tono non sembri grato, Sho kun, sembri solo terrorizzato» lo sbeffeggiò Nino
«Lo sono!» biascicò l'altro
«Sei spassoso» rise «E' il nostro primo concerto, vero? Rimarrà nella storia e tra qualche anno diremo "ah, il nostro primissimo concerto..."»
«Già pensa al futuro questo qui»
«Eh? Perchè? E' normale voler creare un bel ricordo, no?» ribattè con sicurezza «Facciamo sì che questo concerto diventi indimenticabile. E questo deve essere solo il primo» concluse guardando Jun con un sorriso tirato, ma convinto. L'altro annuì convinto. Le urla del pubblico li incitavano ad uscire allo scoperto. «E' bello essere insieme vero?» domandò Aiba alzando lo sguardo nella direzione del palco
«Sì» risposero gli altri
«Andiamo?» e sciolsero il cerchio. Satoshi non disse niente, solo tenne la mano di Jun qualche secondo più degli altri, stringendogliela forte per attirare la sua attenzione. Questi, teso, si voltò a guardarlo e Ohno gli sorrise, semplicemente. Il giovane annuì socchiudendo gli occhi: doveva aver capito che i ragazzi avevano saputo del suo pianto, doveva aver capito che ciò che avevano espresso era costato loro fatica dato che erano nervosi, ma l'avevano fatto per lui, perchè capisse che non era l'unico a tenere agli Arashi. Ripensandoci, quell'occasione doveva essere stata una delle prime volte in cui avevano comunicato in silenzio: ciò che era stato ormai apparteneva alla categoria dei ricordi, gli Arashi erano cinque e Jun non doveva sentirsi solo.

In un certo senso, però, se pure era stato lui ad aiutare Jun, non poteva dire con assoluta sicurezza che quello fosse stato uno scambio a senso unico. Quella volta era stata una delle poche in cui aveva avuto l'impressione di essersi comportato sul serio da leader, cercando di far incontrare i sentimenti di tutti i membri: se non fosse stato per Matsumoto, non avrebbe mai avuto quell'occasione. Che avesse cercando di indicargli la strada? Ohno, pur dopo anni, continuava a non considerarsi un vero leader per i ragazzi, ma loro, scherzi a parte, erano veramente convinti che lui rivestisse alla perfezione quel ruolo. Eppure non faceva molto per atteggiarsi come tale, così aveva il sospetto che quella volta fosse stata la prima occasione in cui i membri gli avevano mostrato come essere il leader. Il loro leader. A modo suo. E tuttavia era felice che fosse stato Jun a dargli la prima occasione, a volte era come se fosse stato lui il fratello maggiore tra di loro.

Ototobun
Jun raccolse le cose sul tavolo e le spostò nel lavello. Appoggiò le mani sul bordo ed osservò il tutto: quattro ciotole, due paia di bacchette, due pentole, due mestoli e due bicchieri; non era molto, ma era esausto e non aveva alcuna voglia di stare ancora in piedi a trafficare. Con un sospiro chiuse il rubinetto dell'acqua e fece un passo per allontanarsi dalla cucina. «Non li lavi?» domandò Ohno ancora seduto al tavolo
«Non ne ho voglia ora. Sono troppo stanco» scosse il capo girandosi verso di lui e asciugandosi le mani con lo strofinaccio da cucina «Rimani qui a dormire?» domandò. Controllava sempre la propria voce quando faceva quel tipo di domande al Riida: la modulava di modo che non si capisse se chiedesse per pura curiosità o per invitarlo. Aveva piacere ad ospitarlo, ma non voleva che Ohno si sentisse obbligato a rimanere per un suo capriccio, sapeva che veniva fin da lui per stare in pace quindi non poteva fargli pressione perchè rimanesse. «Non so» rispose in quel suo classico modo di abbreviare le parole e pronunciarle in tono stanco, strascicando le vocali «Lavo io» aggiunse poi alzandosi in piedi
«Uhn... scusa» rispose Jun, chinando brevemente il capo. Si stiracchiò le braccia e si avvicinò allo stereo dal quale non usciva alcun rumore, nonostante fosse acceso. Quando aprì il vano CD non si stupì di trovarcene uno di John Coltrane: ogni volta che l'amico veniva a trovarlo metteva quello e poi si appisolava sul divano senza accorgersi che era finito. Erano anni che Jun si ripeteva di mettere la ripetizione continua sulle impostazioni dello stereo, ma alla fine non lo faceva mai. Tutto sommato adorava entrare nel suo appartamento silenzioso e accorgersi della presenza di Satoshi solo perchè c'era un paio di scarpe in più nell'ingresso. Lo cambiò con un CD dei Pink Floid e aprì la portafinestra del balcone per far cambiare l'aria. Il rumore della pioggia si fece sentire più forte ed insistente nell'appartamento e il ragazzo alzò gli occhi al cielo notturno in cui non si vedeva nemmeno una stella per via delle troppe nubi. Il rumore delle ciotole piene d'acqua sbattute tra loro nel lavello aveva un nonsoché di infinitamente dolce per lui che viveva solo. Gli piaceva l'indipendenza e sapeva di aver fatto la scelta giusta, ma quando qualcuno gironzolava per casa sua era sempre piacevole. Certo se per casa si ritrovava quel casinista di Nino non era il massimo, mentre gente tranquilla come Sho o Ohno era perfetta per lui. E Satoshi era perfetto praticamente sempre.
Quando analizzava se stesso, Jun si rendeva conto di essere una persona divisa in due: esisteva la parte di lui che davanti alle telecamere parlava, recitava e si metteva in posa quando compariva una macchina fotografica, ma c'era anche un lato di se stesso profondamente tranquillo e riflessivo. Non poteva di star fingendo quando si comportava in un modo o nell'altro: era entrambi. E con Ohno il se stesso migliore era certo quello più quieto: quello che metteva in moto quando preparava i concerti con serietà e precisione, quello che sistemava i CD ordinati nei ripiani di casa, quello che il Riida gli tirava fuori con la sua sola quieta presenza. Ricordava che quando era piccolo era molto più chiacchierone e rompiscatole, forse il senpai Ohno di allora non lo sopportava, ma chissà come, negli anni aveva sviluppato un lato di sè più quieto. Forse era grazie a quello che aveva potuto accostarsi al Riida a quel modo e magari era stato l'amico stesso ad aver favorito lo sviluppo di quel lato di lui. Fatto sta che ora stavano insieme nella maniera più naturale possibile.
Certo, non sempre si augurava il silenzio che si creava tra loro: Jun rimaneva sempre una persona più comunicativa di Satoshi e stare con qualcuno capace di non dire nulla per tanto tempo gli risultava difficile a volte. La soluzione, lo aveva imparato con gli anni, era lasciarlo alle sue riflessioni e dedicarsi ad altro avendo cura di non disturbarlo. Era buffa come cosa, ma gli sembrava di starsi prendendo cura di lui quando lo trovava a rifugiarsi in casa sua.


Era un mattina radiosa. Ricordava però di aver aspettato mezz'ora al freddo, fuori dall'edificio. Il sole era l'unica cosa che l'aveva consolato. Se ne stava con le mani ficcate nelle tasche del cappotto e il viso nascosto nella sciarpa fino a sopra il naso. Non era così bardato per via delle fan, a quell'ora del mattino c'erano poche persone a Roppongi Hills e tutte stanche e troppo assonnate per guardarsi bene in faccia. Faceva semplicemente un freddo pazzesco. Doveva essere Febbraio... o Marzo, non ricordava con esattezza. Era però una di quelle giornate terse e splendenti che rendono l'aria gelata dell'inverno chiara come il cristallo. Tanto trasparente, da dare l'idea di non esserci affatto. Poi però si respira profondamente e la si sente, ghiacciata, entrare nelle narici e nei polmoni.
Finalmente Satoshi si era presentato, tutto raggomitolato nel suo piumino celeste. Era chiaramente infreddolito, assonnato e rintronato dalla sveglia mattutina. «Buongiorno» lo aveva salutato
«'ngiorno» aveva bofonchiato quello stringendosi nelle spalle «Fa freeeeeddo...»
«La prossima volta tieni una mostra in pieno agosto» gli aveva suggerito il giovane, sbadigliando
«Poi fa caldo» si era lamentato soffocando una risatina divertita. Una volta che li aveva visti insieme il custode dell'edificio fece un cenno di saluto ad Ohno che rispose solo con un movimento del capo, troppo pigro per tirar fuori la mano dalla tasca calda del piumino. Quello aveva aperto la porta e li aveva salutati cortesemente. Entrambi erano entrati rapidamente nella hall ed erano rimasti un po' lì ad acclimatarsi. «Aaah... mi batte forte il cuore» aveva sospirato Jun sorridendo
«Perchè?» aveva chiesto Satoshi , togliendosi la giacca
«Perchè sarò il primo a vedere la tua mostra. Il primo eh... sembra un privilegio, ma la sento come una responsabilità» aveva riflettuto, lasciando il proprio montgomery alla gentile signorina del guardaroba «Perchè io?» aveva chiesto mentre si avviavano alla porta che introduceva alla prima sala
«Voglio un commento» fu la risposta di Ohno che si era poi stretto nelle spalle, togliendosi qualche piuma d'oca rimasta attaccata al maglione
«Ne avrai a bizzeffe di commenti» aveva quindi ribattuto il più giovane, storcendo le labbra
«Voglio un commento critico da parte di un amico» gli fu specificato. Il riccio avrebbe ribattuto qualcosa a quella risposta che continuava ad essere vaga, ma Satoshi aveva parlato di nuovo senza dargli possibilità di dire nulla. «Non sei un pittore, nemmeno io posso definirmi uno scultore o... boh, un artista. Però hai senso critico e non sai dire le cose in maniera carina»
«Scusa?» aveva esclamato Jun, strabuzzando gli occhi «Cosa significa?»
«Se pensi una cosa la dici, non sai fingere e non riesci a filtrare le tue parole» aveva tentato di spiegarsi «Sì, è questo che voglio» aveva concluso il maggiore, annuendo. Aprirono la porta e fecero i primi passi nella sala. «Gli altri si offenderanno» aveva notato il riccio
«Ho chiesto anche a loro di venire prima del pubblico, arriveranno tra un'oretta»
«Basta che ci facciamo trovare all'ingresso in tempo e non sapranno nulla. E' questo che intendi?» aveva quindi chiesto e lo osservò annuire, mestamente «Sarà il nostro segreto, Ohno san» aveva concluso facendo il verso a se stesso quando ancora usava parlargli con molta deferenza. Dopo una risatina si era dedicato a "FREESTYLE".****
Ricordava poi l'immagine di Satoshi, fuori dall'edificio, mentre aspettavano gli altri membri: si teneva il naso tra le mani per riscaldarlo e guardava lontano, più per vergogna che per controllare veramente l'arrivo degli amici. «Mi batteva forte il cuore sai? Come a te all'inizio, ma a me lo ha fatto tutto il tempo che sei stato dentro» e c'era una sfumatura d'orgoglio nell'esternare quella sua emozione: la gioia nel mostrare a qualcuno a cui teniamo e che stimiamo, il nostro miglior lavoro. Era un'immagine tanto tenera e sincera che si era incastonata nella sua memoria e non se n'era mai andata.

«Cosa?» sentì domandare alle sue spalle. Ohno si mise al suo fianco, alzando lo sguardo verso il cielo plumbeo alla ricerca di cosa attirasse tanto l'attenzione di Jun che si era incantato a fissare un punto lassù dove le nuvole sembravano aver creato uno strappo per mostrargli una piccola e lontanissima stella. «M-mmmh» scosse il capo, sorridendo appena «Nulla»
«Non rimango, ma posso stare ancora un po'?» chiese ancora quello
«Certo» gli rispose girandosi e andando verso i divani. Si accomodò su quello rivolto verso la finestra, lasciando quello di sinistra all'amico, si accomodava sempre lì e ormai era come se fosse di sua proprietà. Con un sospirò si stese sulla stoffa blu, prendendo tra le braccia due cuscini color carta da zucchero per stringerseli contro il viso e chiudere gli occhi, stremato. Era il suo lavoro, si impegnava il triplo di quanto fosse richiesto e lo faceva per proprio diletto e divertimento, ma questo non rendeva le giornate meno pesanti di quanto non fossero. Erano tante le sere in cui tornava e l'unica cosa che faceva era buttarsi sul divano, mangiare in fretta qualcosa comprato al konbini e leggere un po' prima di andare a dormire. Quando però trovava Ohno in casa nascondeva il cibo precotto appena comprato e combinava una cena con quello che aveva in casa, cosa non difficile dato che l'appartamento era sempre fornito anche se le occasioni per cucinare erano poche. Erano anni che faceva così e non era mai stato scoperto: l'amico dormiva sempre quando lui rientrava e non lo si riusciva mai a svegliare, si doveva aspettare che la sveglia avvenisse spontaneamente, il che accadeva quasi sempre appena prima di cena. Aveva tempo di recuperare eventuali ingredienti mancanti tramite Gorō san, riguardarsi la ricetta e mettersi al lavoro senza che Satoshi si accorgesse di nulla. Poi lo vedeva spuntare da dietro il divano, che nascondeva quello su cui era steso a dormire, trascinarsi fino alla cucina e lo osservava svegliarsi gradualmente ad ogni boccone. Gli faceva una tenerezza infinita e quelle sere rientravano nella categoria dei momenti speciali in cui si convinceva di aver trovato una seconda famiglia nei suoi quattro compagni, insieme, per esempio, alle serate con Aiba davanti ad un buon bicchiere o alle mattine in cui si svegliava con Sho, entrambi accasciati da qualche parte in una sala prove, caduti addormentati dopo una notte di piani e congetture lavorative. Se gli avesse offerto il cibo del konbini Satoshi l'avrebbe mangiato lo stesso, probabilmente, ma a Jun faceva piacere prendersi cura di lui e forse in parte temeva la possibile delusione dell'amico nel ritrovarsi davanti una confezione di plastica di cibo precotto, quando magari si aspettava un bel piatto fatto in casa, anche semplice.
Alzò lo sguardo dai cuscini e cercò il Riida nel salotto. Era fermo ad osservare i CD nello scaffale, con gli occhi ridotti a due fessure per tentare di leggere i titoli nonostante la poca luce. Era buffo in quel momenti, quando osservava le cose con tanta attenzione nonostante fossero anni che le conosceva alla perfezione. Ohno faceva alla perfezione qualsiasi dei loro balletti, ma per ogni tour li ripassava a ripetizione che se se li fosse scordati tutti, oppure ricordava tutti i loro impegni, ma ogni volta, quando ci si incontrava, guardava lui o Sho e chiedeva "che si fa oggi?". Allo stesso modo rileggeva i titoli di quei CD nonostante avrebbe saputo rimettere ciascuno di quei titoli al suo posto se Jun avesse svuotato lo scaffale. Questo perchè Satoshi aveva trent'anni e sapeva badare a se stesso, ma non gli piaceva farlo. Era chiaro che l'amico preferiva delegare, lasciare che gli altri si preoccupassero delle questioni più difficili (anche se era sufficientemente intelligente da farlo anche lui, da solo), per dedicarti a tutt'altro. Ohno era un artista: lui non organizzava un concerto, lo faceva. E così, anche se sembrava un nullafacente silenzioso, era in realtà un punto di riferimento artistico, una mente creativa unica e preziosa per tutto il gruppo.
Quante volte lo stesso Jun si era ispirato a lui?
Questo rendeva il rapporto tra loro tanto singolare: che se pure lui gli preparava il pranzo e gli diceva il lavoro di quel giorno, non voleva altri "senpai" o riferimenti artistici sul lavoro all'infuori di Satoshi stesso. Nella vita degli Arashi cosa era più importante: il tempo trascorso insieme a lavorare e divertirsi o quello speso a mangiare e cucinare prendendosi cura gli uni degli altri? E chi sembrava il più responsabile tra lui e il Riida? Chi si prendeva più cura dell'altro?


Aveva raggiunto il punto più alto del Kokuritsu: la piattaforma della torcia. Ohno stava lì in piedi con le braccia spalancate e il vento a scompigliargli i capelli corti. «Ohi» gli aveva detto ad alta voce prima di avvicinarsi, non voleva spaventarlo e rischiare che perdesse l'equilibrio dato che era molto vicino al bordo
«Ohiiii» aveva risposto quello con gli occhi stretti per la luce del sole che batteva caldo e implacabile. Indossava solo i jeans mentre teneva la maglietta infilata per un lembo nella cintura. Sventolava leggermente al vento che c'era lassù. «Ti fidi di me Rose?» aveva domandato Jun afferrandolo per le braccia. L'amico aveva trattenuto a stento una risata «Titanic?»
«Fidati Rose! Fidati!» esclamava, fingendo di spingerlo di sotto
«Ooohi! Ooohi!! Jack!» aveva strillato quello, impaurito. Avevano riso entrambi allontanandosi poi dal bordo quando qualcuno dello staff, seppur divertito dalla scena, aveva detto loro di fare attenzione. Si erano accovacciati entrambi sotto la torcia, dalla parte in cui proiettava un po' di ombra, guardando così una parte dello stadio e una parte della grande Tōkyō che si stendeva a perdita d'occhio. Alcuni grattacieli lontani sparivano alla vista nell'aria tremolante dell'estate. «Gli altri?» aveva chiesto Satoshi. Jun si era appoggiato alla torcia con la schiena e si era spostato gli occhiali da sole sulla testa, per passarsi il bordo della maglietta sul naso, togliendo il sudore sotto l montatura delle lenti. «Tra poco prova Nino. Aiba sta dormendo in camerino»
«Sul serio?» si era sorpreso l'altro
«Sul serio» annuì ridendo «Sono tutti un po' nervosi per domani». Ohno aveva annuito e poi si era sfilato la maglietta dalla cintura per passarsela sul viso sussurrando un "fa caldo", molto piano, tra le pieghe del cotone. Per qualche minuto erano rimasti in silenzio ad ascoltare le cicale estive, i rimbombi delle impalcature che venivano costruite, l'accordarsi di qualche strumento sul palco. «Tutto bene?» aveva chiesto ancora il maggiore
«Mh... credo... di essere un po' nervoso anche io» aveva risposto Jun, tentennante, senza staccare gli occhi dal paesaggio di quel pomeriggio estivo, pareva quasi surreale. «Ah si?»
«Già».
Non ricordava quando era cominciata, ma, quando si trattava di Satoshi, a volte era come se comunicassero meglio con il silenzio piuttosto che con le parole. All'amico sembrava piacere molto, mentre Jun non poteva dire di riuscire ad apprezzarlo sempre, nè aveva mai ammesso con qualcuno di non capire proprio tutto ciò che l'amico voleva comunicargli standosene così muto: a volte aveva l'impressione che il Riida pensasse di avergli trasmesso qualcosa di importante senza dire nulla, quando per lui erano solo rimasti zitti senza dirsi proprio niente. Ma ci aveva fatto l'abitudine e quelle volte in cui non capiva lo assecondava divertito, preso un'ondata di affetto per quel ragazzo tanto semplice. Fortunatamente comunque la maggior parte delle volte intuiva i messaggi di Ohno.
Quella volta, invece di sprecare tante parole o profondersi in pacche sulle spalle, aveva allungato la mano verso di lui. Jun l'aveva osservata e poi presa nella sua, tornando a guardare il paesaggio. Erano rimasti lì un po' di tempo, tenendosi per mano con le braccia tese in avanti, distese e appoggiate alle loro ginocchia, poi la vocina cantilenante di Nino era risuonata per tutto lo stadio reclamando la presenza del Riida vicino al palco. «Nooo.. non ho voglia di scendere» si era lagnato il maggiore abbassando il capo, sconsolato
«No, no scendi... sennò continua a chiamarti e non fa le prove finchè non ti vede» aveva ribattuto Jun alzandosi in piedi e tirando l'amico per la mano «Su, su forza» lo incitava intanto
«Nooo, nooo... ancora cinque minutiiiii» aveva mugugnato Ohno facendosi indietro, come a volersi nascondere ancora più sotto la torcia
«Dai, ti porto io» aveva l'amico lasciandogli la mano e accovacciandosi ancora a terra, dandogli le spalle «Forza, salta su»
«Eh?» Satoshi lo aveva fissato incredulo
«Guarda che potrei cambiare idea tra qualche secondo, approfittane ora o il JunJet parte senza di te» aveva sospirato il giovane incitandolo. Alla fine l'amico si era convinto e gli si era avvicinato mettendogli le braccia intorno al collo e facendosi prendere per le gambe, con il busto contro la schiena ampia di Jun.
Si era postato il Riida a cavalluccio fino al palco, scendendo i gradini ad una velocità impressionante. Ancora si chiedeva qualche dio li aveva protetti per risparmiare loro una morte tragica rotolando giù.

Non si era addormentato, ma mezzo appisolato, quello sì. Ohno invece era seduto sul divano, intento a sfogliare il booklet di un CD di King Crimson. Si era accorto di quei suoi attimi di stanchezza in cui si era quasi lasciato andare al sonno?
«Torno a casa» annunciò d'improvviso Satoshi richiudendo la custodia del CD e alzandosi per rimetterla al suo posto nello scaffale. Forse se n'era accorto o forse aveva solo un tempismo perfetto, fatto sta che se andava via Jun avrebbe potuto dormire come il suo corpo sembrava suggerire. «Mmmh... ti accompagno alla stazione?» domandò tirandosi via i cuscini da davanti alla bocca
«No, va bene così» rispose l'altro girando intorno ai divani per avviarsi all'uscita «Conosco la strada. Buonanotte Jun kun» concluse passandogli una mano tra i corti capelli scuri. Fu come una carezza rassicurante e il ragazzo sorrise dolcemente. «Buonanotte Riida» rispose già socchiudendo gli occhi. Quando avesse sentito uscire l'amico si sarebbe alzato per andare fino al letto, ma, come ogni volta, avrebbe aspettato il rumore gentile della porta che si chiudeva.

*Tofu caldo, fondamentalmente tofu cotto in un brodo salato (brodo dashi, sake, soya, sale)
**Kuri Gohan, riso e castagne, anche questo non è un piatto particolarmente elaborato, ma segna l'arrivo dell'autunno quando compare sulla tavola
***Una delle carte usate per andare in giro sui treni dell'area di Tokyo.
****E' il titolo della mostra d'arte di Ohno, tenuta nel Febbraio 2008

NOTA AL TITOLO: Gukeikentei 愚兄賢弟 è un unica parola giapponese che significa "un fratello maggiore sciocco e un fratello minore intelligente".
Ultime note, i significati dei due titoletti:
KEIJI in giapponese è un nome che si riferisce a qualcuno che si vuole appellare come se fosse un fratello maggiore
OTŌTOBUN in giapponese significa "amico trattato come un fratello minore"
Volutamente, sia dalle parole nella fanfiction, sia dai titoletti, ho voluto che non si capisse chi dei due è da considerare il fratellino intelligente e chi il maggiore sciocco ^_*


Ero partita con la baldanzosa idea del "yeah, sono negata a leggere yaoi, ma potrei almeno provare a scriverne una". Ah... ah... ah... quanto ottimismo eh? XD Chi mi legge sa che mi piace mettermi alla prova e sperimentare. Oh, non può andare sempre bene, ecco... anche io fallisco miseramente. Sì, questa è decisamente un misero fallimento °_° meheh...
Anyway, non risulta una yaoi, ma è comunque una ff sulla coppia juntoshi non come coppia d'amore, ma come coppia di amici che è poi la mia preferita. Scrivere di loro due è stato splendido, immaginarmi i loro pensieri sull'altro, dar forma alla relazione tra loro tramite le parole. Mi piacciono insieme, mi piace la calma di Toshi e il modo di adattarsi di Jun, mi piace come il Riida pensi sia tutto perfetto e come invece Jun non capisca sempre tutto, ma semplicemente apprezzi l'atmosfera tra loro e quando non capisce gli dà corda per il piacere di vederlo a suo agio.
Una cosa vorrei dire... ecco... non lo so cosa è successo e Ohno, se ve lo state chiedendo. E' lo stesso meccanismo di "Being... Arashi": non c'è un perchè per tutto, io non so qual'è per il semplice fatto che non è il nocciolo della questione, non è importante, non mi interessa. Per questo... se vi risulta essere una ff noiosa... mi dispiace T_T non ha un ritmo molto sostenuto, ma... non so, è il ritmo di quei due. Pacato

Ad ogni modo, finalmente l'ho scritta. Anche l'anno scorso ho fatto ritardo nel postare la oneshot per il compleanno di Jun... e anche quest'anno, sono in ritardo. Un mese esatto! XD mamma mia, sparatemi!
Lo ammetto... io ADORO "Kaze" (la ff scritta per lo scorso compleanno). So che non dovrei dirlo per una mia ff, è poco modesto, ma la adoro. Per questo penso che questa ff, anche se mi piace (chiaramente), non sia all'altezza. In realtà temo di amare "Kaze" talmente tanto che nessuna mia ff la troverò mai più bella di lei. Comunque mi piace anche questa, o non l'avrei nemmeno pubblicata. Insomma anche Jun a volte fa dei solo carini ma non all'altezza dei suoi migliori no? °_° eh? Eh?
Vabbè, basta con le chiacchiere...

Tanti auguri Jun, con un mese di ritardo ma... tanti auguri patato. Ti adoro, sinceramente, con tutta me stessa <3

  
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