Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Ixia    01/10/2011    8 recensioni
Siamo gente di Suna, fratello mio, siamo gente senza spazio.
Scorriamo veloci dentro clessidre, ansiosi di arrivare alla meta, ansiosi di cadere a terra.
Siamo fatti di sabbia, e non fioriamo.
Ma ogni piccolo granello, fratello mio, è un nostro ricordo.

[Prima classificata al contest "In memoriam" indetto da dreamwolf91 nel forum di EFP]
Ixia's back!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro, Temari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Benvenuti, cari lettori, in un universo parallelo. Un universo in cui inspiegabilmente sul bannerino della pirma classificata al contest “In memoriam” c’è scritto il mio nome... Non chiedetemi il perché, non saprei rispondervi. Primo contest della mia vita, primo (e probabilmente ultimo) primo posto. Una storia confusa, scritta in una notte insonne pochi giorni prima di partire per il mio scambio interculturale. Una pazzia ragazzi... pero’, chissa’ come, alla giudicessa e’ piaciuta. Smetto di blaterare, ultimando con un grazie speciale a due persone fenomenali che mi hanno sostenuta tantissimo negli ultimi tempi nonostante io sia dall’altra parte del mondo: klio e terrastoria. Grazie, grazie, grazie ragazze... Non so proprio come farei senza di voi. :)
Vi lascio allo sgorbietto sperando che vi possa piacere come è piaciuta a dreamwolf91. Fatemi sapere.



Image and video hosting by TinyPic



  Pacchetto: Deserto
  Personaggio principale: Temari
  Peronaggio ricordato: Kankuro
  Eventuali altri personaggi: Vaghi riferimenti al kazekage


  Eventuali NdA:
  La Hina Masturi è la famosa “festa delle bambole” giapponese. Cade il 3 Marzo e in quel giorno le bambine più piccole della casa,
  aiutate dalle sorelle o dalle madri, espongono delle speciali bambole disposte su 5 o 7 piani. In questo caso la Hina Matsuri è un        simbolo di unione familiare.Ah si. I nomignoli scritti sono frutto della mia mente malata. “Kankuro-kun” è stato trasformato in  “Kankun” e “Temari-chan” in “Tecchan”. (Altrimenti sarebbero stati tremendamente cacofonici).
  La storia è divisa in 3 parti: il presente (descrizioni iniziali e finali), il dialogo di Temari (in corsivo), e i ricordi (parte centrale).
  Spero di non essere stata troppo caotica o logorroica.
  Enjoy!










 


Hina Matsuri 

- A Suna non c'è spazio. -

 
 
 
 

Due figure avanzano in silenzio nel deserto.
Le caviglie affondano nella sabbia incandescente, i capelli si animano portati dal vento.
Una di loro stringe al petto un fazzoletto bianco.
 
 
 
Siamo gente di Suna, fratello mio, siamo gente senza spazio.
Sin da piccoli ci è stato insegnato ad abbandonare il superfluo, a trattenere l’utile. Siamo cresciuti come le piante grasse del deserto, nutrendoci di acqua e coprendoci di spine. Non abbiamo mai avuto spazio, come il nostro paese, per qualcosa di più.
Né per le chiacchiere, né per le risa, né per quelle naturali attenzioni che a noi fanno storcere il naso e cariare i denti.
Ma che ci possiamo fare? Siamo gente di Suna.
Nel nostro paese non c’è spazio per i sentimentalismi, perché rallentano il ninja. Non c’è spazio nemmeno per i morti, in questo lugubre villaggio fatto di roccia e sabbia.
Non c’è terra a Suna. E senza terra, dove potremmo mai seppellire chi se n’è andato?
Vedi fratello mio, qui non c’è spazio nemmeno per te.
Oggi Suna mi fa schifo. È solo sabbia e vento, vento e sabbia. Oggi mi sarebbe piaciuto tanto avere un posticino tranquillo, una zolla di terra dove venirti a trovare.
 Oggi mi sarebbe davvero piaciuto nutrirmi di superfluo.
Ma noi siamo gente di Suna, siamo fatti di sabbia. Noi non fioriamo come la terra e, se ci innaffiano, ci bagniamo e basta.
Scorriamo veloci dentro clessidre, ansiosi di arrivare alla meta, ansiosi di cadere a terra.
Siamo fatti di sabbia, e non fioriamo.
Ma ogni piccolo granello, fratello mio, è un nostro ricordo.
 
 

~

 
 
 
-Kankun! Vieni qui, muoviti!- urla una buffa bambina bionda. Attende qualche minuto, ma nessuno le risponde. –Kankuro! Ti ho chiamato!-
Ancora nessuna risposta.
La bambina sbuffa irritata, poi con l’aspetto di una locomotiva si dirige verso l’esterno della piccola casetta di sabbia in cui sta giocando. Esce dalla porticina minuscola, giusta giusta per un bambino di dieci anni, e sollevando spruzzi di sabbia si avvicina alla figura incurante del fratellino minore.
-Baka! Non hai sentito che ti stavo chiamando?!- chiede retorica la bambina, con le mani poste sui fianchi.
Il bambino alza le spalle, continuando a torturare con un kunai quello che aveva tutta l’aria di essere il cadavere di un orologio. –Non ti ho sentita, Tecchan.-
Falso, falsissimo. Il piccolo Kankuro è così preso dallo studio di quel meccanismo che dimentica di dare al suo tono un’impronta di realismo. Per tutta risposta la sorella lo colpisce forte sulla nuca, rubandogli inoltre il suo amato “bisturi”.
Il bambino bofonchia, tenendosi forte il capo. Lei invece lo osserva vittoriosa, giocherellando con il kunai.
-Ehi Kankun, da quando rubi i kunai di papà per giocarci? Lo sai che non vuole. Mi sa che glielo dirò.-
Il piccolo Kankuro spalanca gli occhi, terrorizzato. Spiona.
Ma non è vero, lei non lo farà. Primo, perché suo padre la punirebbe per averlo disturbato; e secondo, perché in quel momento si trovano fuori dal villaggio, lontano, nel bel mezzo del deserto. Nel loro “posto segreto”.
Sì, Kankuro e Temari hanno costruito il loro rifugio abbracciati dalle dune, in quella marea di sabbia semovente che loro accettano come amica e coinquilina. Sono “rose del deserto” quei due bambini, capaci di sbocciare anche in mezzo alla tempesta.
La piccola ghigna malefica, pronta per estrarre il suo asso nella manica.
-Ok Kankun, io non glielo dico… ma oggi si gioca alla famiglia.-
 
 
 
Il bambino dai capelli scuri cammina lento nel deserto, ancora incerto sul da farsi. Ha paura di quello che potrebbe succedere, non sa come gestire quella brutta situazione.
Gaara quel giorno è stato più cattivo del solito. Ha ingiustamente attaccato Temari, che per sbaglio ha osato sfiorare il suo orsacchiotto di pezza preferito. È stato un grosso errore, ma fatto in buona fede, visto che all’orsetto stava per staccarsi un occhio. Il kazekage [ormai né Kankuro né Temari lo chiamano papà], non le ha creduto, e ovviamente l’ha punita. E al povero Kankuro è rimasto l’ingrato compito di rimettere insieme i cocci.
Il bambino giunge davanti alla piccola casetta di sabbia, e si ferma davanti alla porticina ad arco.  Tentenna alcuni secondi, un po’ imbarazzato. Ha paura di scoprire quello che sta accadendo là dentro.
Si schiarisce la voce. –Ehm… Tecchan?- chiama, con un tono di voce che non sembra il suo. È quasi troppo timido.
Da dentro si sentono provenire alcuni movimenti, e Kankuro giura di aver sentito qualcuno tirare su con il naso.
Ahia, la situazione è peggiore di quanto si fosse immaginato.
-K-Kankun.. Entra.- la voce è incerta. Il bambino è sicuro che la sorellina stia facendo di tutto per darsi un contegno.
Kankuro sposta la tenda dell’ingresso e rimane spiazzato. Temari con gli occhi arrossati è lo spettacolo più brutto che abbia mai visto.
Cammina impacciato, guardando ovunque tranne che verso la sorella. Quando arriva al centro della stanza, si siede accanto a lei, continuando a fissare gli scarabocchi informi che loro due hanno tracciato con le tempere sul soffitto.
La bambina continua a tirare su con il naso, torturandosi gli occhi con il dorso della mano. La situazione è più che imbarazzante.
Ma Kankuro finalmente si illumina, preso da un’idea folgorante. Si gira verso la sorella, stando bene attento a non incrociare i suoi occhi.
-Ehi Tecchan… Vuoi giocare alla famiglia?-
Le labbra di Temari si inclinano in uno spontaneo sorriso.
 
 
 
Quello è un giorno speciale. È la festa preferita di Temari, la Hina Matsuri.
Sono giorni che si prepara all’evento, trascinando nel suo entusiasmo anche il povero fratellino. Non le sembra vero che dopo tutto quel tempo potrà di nuovo esporre le sue bambole.
Sono passati anni dall’ultima volta, ma ogni dettaglio le è rimasto impresso come un tatuaggio.
-… bisogna prima mettere il tappeto, che si chiama mousen. Poi l’imperatore e l’imperatrice… poi i servi…-
Kankuro invece non è così contento. Quel giorno ha di nuovo discusso con il kazekage, e Gaara l’ha minacciato di morte ancora una volta. Ha paura di tornare a casa quella sera, paura davvero. Avrebbe voglia di parlarne con Temari, ma purtroppo è troppo occupata a togliere la polvere da quelle stupide bambole vecchie per preoccuparsi di lui. Non sa perché, ma in quel momento gli ricorda un’oca starnazzante. Che sua sorella sia cambiata così a fondo?
Il “loro posto” quel giorno non gli è mai stato così stretto.
Kankuro non lo sa, ma c’è un motivo per cui Temari è così euforica. L’ultima volta che ha festeggiato la Hina Matsuri la loro mamma non era ancora morta. La ragazzina ha solo pochi flash di quel giorno, ricordi confusi… Ma ogni bambola che esce fuori dalla scatola, è un pezzo di quel giorno che ritorna.
-Vedi Kankun, qui è il posto perfetto per metterlo.- commenta, parlando più a se stessa che al fratello. Ha trovato un angolino ideale per il piedistallo laggiù in mezzo ai vecchi oggetti, le basterà solo togliere quel ciarpame e il gioco sarà fatto.
Posiziona tutto e comincia a posare con cura le bambole ai loro posti.
-Guarda Kankun, ogni bambola ha il suo posto. Anche la mamma lo diceva.-
Il ragazzo però non ce la fa più. Si è stancato di vedere sua sorella così frivola, ha bisogno di qualcuno con cui parlare, con cui sfogarsi. Ha bisogno della vera Temari, non di quella sottospecie di volatile con la fissa per le bambole.
-Fanno schifo.-
Il commento lapidario colpisce la ragazza con la forza di un fulmine, gelandola sul posto. Le sue mani tremano.
-Cosa?-
Kankuro davanti al suo sguardo non si sente più così sicuro, ma poi gli tornano in mente le urla di quella mattina e la rabbia gli sale in corpo. –Hai sentito bene, fanno schifo. Sono tutte sciocchezze.-
Temari non sa se picchiarlo o mettersi a piangere. Poi d’un tratto si ricorda della promessa che si è fatta, quindi opta per uno sguardo assassino nei confronti del fratello.
-Stai zitto, scemo. Non sai di cosa parli. Queste bambole…-
-Lo so, lo so.- la interrompe il ragazzino, sempre più arrabbiato. Ora nella sua mente ci sono gli occhi freddi di Gaara, il suo sibilo omicida. –Erano della mamma. Embè? Non mi dire che tirandole fuori da una scatola ti illuderai di riavere una famiglia.-
Colpita e affondata. Dalle mani di Temari scivola la bambola imperatrice, atterrando sul pavimento di sabbia con un tonfo leggero. Non avrebbe mai immaginato di sentire rivolgersi quelle parole.
Non da suo fratello, soprattutto.
Stringe i denti, mentre gli occhi ancora una volta la tradiscono. Perché non riesce a imparare a essere forte? Perché è ancora così maledettamente femmina?
La faccia sbalordita della sorella innesca in Kankuro un incendio feroce. Non ha pietà, non vuole averne.
-Davvero ci hai creduto, Temari? Pensavi che questa messa in scena potesse funzionare? Tu non hai famiglia. Hai un padre che ti odia, un fratello che entro un anno o due ti ucciderà. Un paese che ti vede solo come una probabile arma. Un futuro di sofferenza. Cosa credevi di fare? A Suna non c’è spazio per le bambole.-
Il bambino si accanisce contro la sorella, quando in realtà sta aggredendo se stesso. La loro storia è unita a filo doppio, impossibile attaccare uno senza ferire entrambi.
Kankuro si avvicina alla costruzione di Temari, che ormai non riesce più a riconoscerlo. Vorrebbe supplicarlo di fermarsi, di tornare a riflettere, di ritrovare quel poco di speranza in cui avevano sempre creduto. Ma anche lei è una figlia di Suna… Dentro di lei non esiste spazio per le suppliche.
Vede il fratello avventarsi contro le sue bambole, sente i loro gemiti nella testa e nel cuore. Non versa una sola lacrima, ancora troppo sbigottita per la trasformazione del suo fratellino. Il suo Kankun.
Lo vede fuggire lontano, abbandonare quella casetta che per loro era sempre stata un barlume di speranza. Il fiore nato del deserto… ora brutalmente reciso.
Temari rimane in silenzio a osservare lo scempio appena compiuto. I vestiti delle bambole sono petali sparsi sul pavimento, petali di quel fiore nato così raro.
Crolla a terra, senza versare una lacrima. Sfiora quei petali con le dita.
No, non c’è spazio per le bambole a Suna.
 
 

~

 
 
 
Le due figure avanzano nel deserto, fino a giungere davanti ad una piccola insenatura nella roccia.
Davanti, piccola e bianca, sorge una casetta di sabbia.
La donna muove un passo in avanti, stringendo forte l’involucro bianco al petto. L’uomo invece rimane indietro, senza staccarle gli occhi di dosso.
Anche lui ha lo sguardo spento di chi fatica a ricordare.
La donna si mette a carponi e, in ginocchio, entra.
Davanti a lei si apre una piccola stanzetta dalle mura di sabbia. Alcuni scarabocchi [un tempo grandi dipinti] decorano sbiaditi le pareti ed il soffitto, mentre vecchi giocattoli impolverati dal vento del deserto si ammassano agli angoli.
Una sola parete porta i segni di un passaggio recente. È un angolino a lato, dove un tempo c’era del vecchio ciarpame. La donna ci si avvicina strisciando, ormai troppo grande per muoversi liberamente.
Posa l’involucro a terra e con mani tremanti lo apre.
 
 
 
Avevi ragione fratello, siamo gente di Suna. Abbiamo poco spazio dentro, ci dobbiamo nutrire con lo stretto indispensabile.
Ma noi… noi siamo diversi. Anche se non lo hai mai voluto ammettere. Perché abbiamo avuto la forza di sperare, di fiorire anche nella sabbia, anche senza acqua. Perché abbiamo imparato a sfiorarci anche coperti di spine, sotto il sole, sotto il vento, sopra i sassi.
Noi siamo ancora più forti della roccia, non ci è mai servito il nutrimento.
Siamo rose del deserto, fiori indistruttibili.
E avevi ragione fratello, non c’è spazio per le bambole a Suna. Ma come al solito, ti devo correggere.
Non c’è spazio per le bambole a Suna… ma qui non è Suna.
Questo è il “nostro posto”.
E lo sarà per sempre.
 
 
 
Alla donna tremano le mani mentre estrae dal fazzoletto tre piccole bambole.
Sono buffe, non hanno nulla a che fare con quelle tradizionali.
Una ha i capelli rossi, una biondi e l’ultima ha il viso dipinto.
La donna le posiziona con cura, faticando a farle stare in piedi per il forte tremito alle mani. È sempre la stessa che casca. Testone fino in fondo.
Quando ha finito si gira, e senza guardarsi indietro abbandona la casa. Forse per sempre.
Rimangono solo tre bambole, ritte e fiere accanto ad un fiore.
È una rosa del deserto.
Anzi, sono due.
 
 
 
 
 

Ci sarà sempre spazio per le bambole nel nostro posto.
 
Buona Hina Matsuri, piccolo Kankun.

   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Ixia