VII
«Your face it haunts
my once pleasant dreams».
(My immortal - Evanescence)
La
risata di un bambino, lo schianto delle onde sulla riva e sugli scogli
e lo strepitio dei gabbiani.
A quei tre suoni congiunti, eppure così distinti
l’uno dall’altro, aprì gli occhi e
rimase ad osservare il magnifico panorama che si trovava davanti: il
sole stava tramontando dietro il mare, facendolo brillare di riflessi
infuocati, il cielo era terso, macchiato solo da qualche rada nuvola
bianca, e un bambino, il bambino a cui apparteneva quella risata, si
stava divertendo nell’acqua, giocando con la schiuma delle
onde.
Tutto
era pace e tranquillità, ma lei era inquieta: stringeva i
pugni nervosamente, scavando dei solchi nella sabbia, e guardava di
fronte a sé con occhi attenti, pronti a cogliere ogni minimo
segnale di pericolo. Aveva vissuto troppe volte quel sogno, sperando
inutilmente che quella pace non fosse un’illusione: quella
volta si sarebbe fatta trovare preparata, ce l’avrebbe fatta.
Si era detta così molte volte, ma quella volta aveva
qualcosa in più, una forza segreta che le rinvigoriva il
petto e le faceva credere in se stessa come mai aveva fatto prima.
Una
raffica di vento improvvisa le scompigliò i capelli, che le
frustarono il viso facendole chiudere gli occhi. Quando li
riaprì vide il cielo tetro, il mare troppo agitato e quel
bambino aveva preso le sembianze di Davide. Era in pericolo, in balia
di quelle onde troppo alte, ed infatti venne colpito da una di esse e
sparì sotto l’acqua scura.
Si alzò di scatto da terra e corse verso di lui,
entrò nell’acqua – freddissima
– e corse a perdifiato fino a quando l’acqua non le
raggiunse i fianchi, allora si gettò con tutto il corpo in
quel turbine e, dopo aver preso un’enorme boccata
d’ossigeno, si immerse sott’acqua.
Non
vedeva quasi niente, talmente era scura quell’acqua, ed
iniziava a sentire i muscoli intorpidirsi a causa del freddo. Ma non si
diede per vinta e nuotò velocemente verso il basso, dove
aveva scorto un movimento. Trovò la mano del bambino, la
prese e un po’ di bollicine le uscirono dal naso per lo
sforzo di riportarlo in superficie. Più lottava per tirarlo
verso di sé, più sentiva che c’era
qualcosa che lo trascinava sempre più a fondo.
Provò con uno strattone improvviso, ma questo
portò solo ad abissarla ancora di più.
Il
fiato le mancava nei polmoni, ma la sua mano non voleva sciogliere la
presa da quella di Davide: non l’avrebbe mai mollata, anche a
costo di morire con lui.
La
morte, la morte…
Una
mano nera ed ancora più fredda dell’acqua, le
prese il polso e la trascinò giù con
sé con una forza inaudita. Cercò di liberarsi
dalla sua stretta, dibattendosi nell’acqua, ma fu uno spreco
di energie. Aprì la bocca per gridare, realizzando che no,
lei non voleva morire, ma non uscì un suono dalla sua gola,
poiché fu l’acqua salata ad entrarle dentro,
mentre quella mano la trascinava sempre più giù.
Nemmeno
quella volta ce l’aveva fatta, era stata sconfitta per
l’ennesima volta e sarebbe stata avvolta
dall’oscurità, la morte avrebbe preso anche
lei…
Stava
per chiudere gli occhi ed abbandonarsi a lei, quando percepì
una mano prenderle la spalla. Al suo fianco vide la figura di Anto, che
le sorrideva amorevolmente. Incredula, la guardò sgranando
gli occhi e vide anche Bill, che teneva la propria ragazza abbracciata
a sé con un sorriso e aveva posato anche la sua mano sul suo
braccio.
Poco dopo, anche le mani di Gustav e di Georg si unirono a quelle degli
amici, solo dall’altro lato. Non capiva, cosa stava a
significare tutto quello?
«Piccola».
A
quella voce si voltò di scatto e vide il volto di Tom,
vicinissimo al suo: i suoi occhi caldi le sorridevano e le stavano
mostrando una forza che lei aveva lentamente perso durante quella
battaglia.
«Noi
siamo con te», le sussurrò ad un soffio dalle sue
labbra. «Puoi farcela, sappiamo che puoi».
Un
guaito di approvazione le fece abbassare lo sguardo: Geyser era accanto
a Tom e le leccava la mano libera dalla stretta della mano scura.
“Non
mi lasciate, non mi lasciate, vi prego”, pensò
frettolosamente.
«Non
ti lasceremo mai», sussurrò Anto, spostandole un
ciuffo di capelli dal viso.
«Ma
se vuoi salvarti, devi lasciare lui, o ti trascinerà con
sé», concluse Bill, con un sorriso amaro,
riferendosi a Davide.
“Che
cosa? No, non posso farlo!”, gridò disperata,
nella sua testa.
«Sì
che puoi… sorellina».
Si
voltò lentamente verso quella voce fin troppo familiare, che
le distrusse il cuore, e vide Davide, accanto a Tom e Geyser, che le
sorrideva.
«Lasciami,
lasciami andare», la invitò.
“No,
no! Non lo farò mai!” Scosse il capo, iniziando a
piangere: le sue lacrime si mescolarono al mare.
«È
l’unico modo… tu devi
lasciarmi andare, devi farlo per te e per tutte queste persone che ti
amano… e anche io ti amo, e voglio che tu ricominci a
vivere, anche senza di me», le spiegò.
«Ora… lasciami».
Strinse
gli occhi, trattenendo i singhiozzi, e gli lasciò la mano.
Le
figure dei suoi amici, del ragazzo che amava, del suo cane e di suo
fratello si dissolsero e lei, libera, nuotò più
veloce che poté verso la superficie. Quando ci
arrivò, tutto scomparve e si trovò stesa sulla
sabbia, fradicia e con i polmoni che le facevano male. Aveva bevuto
parecchio e venne travolta da una tosse convulsa, che le fece sputare
un po’ d’acqua salata.
«Era
così difficile?».
Sollevò
il viso e guardò Davide, il proprio fratellino, sorriderle e
porgerle una mano per aiutarla ad alzarsi.
L’afferrò senza indugi e una volta in piedi lo
travolse in un abbraccio. Lo strinse fortissimo a sé,
posando il viso nell’incavo della sua spalla e respirando
furiosamente il suo profumo, iniziando a piangere.
«Ce
l’hai fatta Ary, ce l’hai fatta», le
sussurrò divertito, massaggiandole la schiena.
«Davide,
Davide, Davide», singhiozzò, lacerata dal dolore.
Lui le prese il viso fra le mani e la guardò negli occhi, con quei suoi splendidi occhi in quel momento più verdi che castani, sorridendole. «Ti voglio tanto bene, sorellina. Non dimenticarlo mai». Le posò un baciò sulla fronte, tenendole sempre il viso fra le mani. «Ma devi aprire gli occhi, ora».
Aprì gli occhi di scatto, schizzando seduta sul letto. Rimase qualche secondo immobile, ascoltando il rumore del silenzio: non stava né piangendo, né gridando, anche se aveva un nodo in gola.
Ripercorse con la mente le scene di quell’incubo e sorrise impercettibilmente, pensando che ce l’aveva fatta davvero, quella volta, e al suo fratellino che le diceva che le voleva bene.
Sentì un mugolio alla
sua sinistra e vide, nel buio della stanza, il bagliore degli occhi di
Geyser. Posò i piedi sul pavimento, si alzò e
dopo avergli dato una carezza sul fianco, lo invitò a
seguirla fuori dalla camera.
Scese al piano inferiore, fece una
capatina in cucina per bersi un bicchiere d’acqua e poi, una
volta seduta sul divano con il suo muso sul grembo, pianse le lacrime
che non era mai riuscita a piangere veramente da quando il suo
fratellino era morto.
Quelle erano le prime lacrime della sua guarigione da quel dolore
troppo grande per essere curato da dottori e psicologi, da farmaci e
sonniferi; quelle erano le lacrime che, grazie a tutte le persone che
l’amavano, riusciva finalmente a piangere e che le
alleggerivano il cuore.
Stava iniziando a svegliarsi ed
istintivamente allungò un braccio alla sua ricerca.
Posò la mano su qualcosa di caldo e morbido, ma quando la
spostò si rese conto che la sua piccola non aveva la pelle
così ispida e pelosa. Corrugò impercettibilmente
la fronte, chiedendosi che cosa stesse toccando, allora, ma non fece in
tempo a darsi una risposta che sentì un alito caldo sul
viso: oh no, Ary non respirava affatto in quel modo, come se avesse
l’asma, e non aveva mai avuto l’alito
così cattivo, neanche di prima mattina!
Si decise ad aprire gli occhi, realmente curioso e anche un
po’ spaventato, e si trovò di fronte al muso di
Geyser, che gli leccò subito la faccia: il perfetto
«Buongiorno». Almeno per un cane.
«Geyser!», tuonò, infuriato. «Che ci fai qui sul letto, sai che non voglio che tu –».
«Scusa, è
colpa mia», lo interruppe Ary, alzando il capo dal cuscino e
facendosi vedere. Osservò il manto scuro di Geyser e lo
accarezzò sull’addome, posandogli vari baci sul
capo mentre lui scodinzolava contento. «Non sapevo ti desse
fastidio».
Ary alzò lo sguardo e
ridacchiò di fronte all’espressione allibita di
Tom. Aveva un che di ridicolo.
«Perché mi guardi in questo modo, ora?»,
gli chiese.
«Tu… Che ci fai tu sveglia?». A rigor di logica, se aveva preso i sonniferi, in quel momento avrebbe dovuto ancora dormire…
«Perché, non posso svegliarmi un po’ prima del solito?», gli domandò, divertita. «Ah, comunque…». Si chinò su di lui, scavalcando con il busto Geyser, e gli posò un bacio morbido sulle labbra. «Buongiorno, amore».
«’kay, non ci sto capendo un cazzo», mormorò, scuotendo il capo, ma se ne fregò altamente e sorrise, avvolgendo la schiena di Ary con le braccia e sollevandosi un po’ per continuare a baciarla senza costringerla a fare mosse da contorsionista per non far del male a Geyser che… proprio tra loro doveva mettersi?!
In un attimo di estrema lucidità, pensò che quello era il giorno più bello della sua vita. Presto però si rese conto che lo aveva pensato anche la sera precedente e tutti quei giorni in cui si era sentito al settimo cielo per qualcosa che aveva fatto o detto la sua piccola. Ogni giorno, vissuto con lei, era il migliore della sua vita.
«Quanto ti amo», le sussurrò, infilandole una mano fra i capelli.
«Non più di quanto ti amo io», gli rispose.
«Non penso proprio…».
«Okay, se ci tieni tanto posso concederti l’onore di dire a tutti che tu ami me più di quanto io amo te, a patto che mi regali Geyser», disse, annuendo in tono grave.
Tom era sempre più
sbalordito, tanto che si chiese se tutto quello che era successo fosse
stato solo un incubo, oppure se si fosse risvegliato in un mondo
parallelo. Era tutto così… normale e Ary sembrava
la sua Ary, quella che riempiva le sue giornate con la sua allegria,
quella che non era stata traumatizzata dalla morte del suo fratellino,
quella che amava nonostante si fosse innamorato ugualmente
dell’altra Ary.
Insomma, sembrava tutto tornato come prima che Davide scomparisse.
«Allora, accetti?», gli chiese ancora, con gli occhi brillanti, rubandogli un altro bacio.
«Scusa, io… credo di non aver capito», balbettò, riscuotendosi dai propri pensieri.
Ary rise, mettendosi seduta sul letto e portandosi i capelli biondi e un po’ arruffati dietro le spalle. «Facciamo che prima ti bevi una bella tazza di caffè, poi ti rifaccio la proposta e mi rispondi».
«Buona idea», annuì.
«Lo so,
d’altronde sono un genio», scrollò le
spalle, per nulla modesta, per poi abbagliarlo con un sorriso.
«Forza Geyser, andiamo», incitò il
cagnolone a scendere dal letto insieme a lei e lui la seguì
scodinzolando.
«Ci vediamo giù, Tomi. Mi raccomando, lavati la
faccia perché mi sembri davvero rintontito», gli
disse stando sulla soglia della stanza, ridacchiando.
Ary portò nuovamente la sua attenzione su Geyser, al suo
fianco.
«Ho una fame da lupo, tu no? Già, tu sei un
cane!», Tom la sentì ridere e si portò
le mani sul viso per trattenere le lacrime di gioia.
La sua piccola era tornata.
Scese al piano inferiore con un sorriso un po’ idiota stampato sul volto, ma dubitava che qualcuno riuscisse a comprendere il significato di quella espressione. Nessuno avrebbe mai capito veramente l’entità della propria felicità.
«Buongiorno, mondo!», gridò sbucando in salotto, con le braccia aperte e il viso rivolto verso il soffitto.
«Tom?», domandò Georg, passandosi una mano fra i capelli arruffati. Si era appena svegliato anche lui. «Perché gridi?».
«Georg, amico!». Corse da lui e si gettò fra le sue braccia, facendolo barcollare pericolosamente. «Come stai, hai dormito bene?».
«Tom… non hai abusato di qualche sostanza, vero? No, perché, sai, conoscendoti capirei molte cose…».
«Ma che dici! Non ho abusato di niente! Sono solo… felice», sospirò, stringendosi un po’ di più al bassista.
«ARY!», gridò Georg. «Vieni a riprenderti il tuo ragazzo, per l’amor del cielo!».
Dall’interno della cucina, Bill, Anto e Gustav avevano guardato la scena con un frullato di espressioni sul volto: erano stupiti, divertiti e anche un po’ preoccupati. L’unica che sorrideva semplicemente era Ary, che capiva quello che passava per la testa di Tom perché provava anche lei esattamente le stesse emozioni, solo che… non le manifestava in quel modo. Vederlo così felice le riempì il cuore di gioia e sospirò, prima di riabbassare il volto verso la propria tazza di caffèlatte e cereali.
«Piccola!», esclamò il chitarrista, entrando in cucina con un Georg sempre più confuso al seguito.
Sollevò il viso verso di lui, con il cucchiaino in bocca. «Uhm?».
«Buongiorno», le sussurrò e le stampò un bacio sulla fronte.
«Alla buon’ora, accidenti», ridacchiò.
«Lo so, ti sono mancato», annuì, con gli occhi chiusi.
«Oh, non puoi nemmeno capire quanto», gli rispose.
Bill e Anto si guardarono,
trattenendo a stento le risate, e lei si avvicinò ad Ary, si
mise seduta al suo fianco e le posò una mano sulla spalla.
L’amica la guardò negli occhi.
«Ary, se il sesso gli fa quest’effetto, io ci
penserei due volte, prima», le disse, scatenando le risate di
entrambe.
«No, non ci posso credere!», saltò su Bill, portandosi le mani alla bocca. «Voi due avete fatto davvero…?».
«Sì», rispose Ary, arrossendo sulle guance. «Ma nulla di speciale, davvero», aggiunse divertita, sventolando una mano.
«Ieri sera non sembravi avere la stessa opinione», le rispose Tom, stando al gioco.
«So essere molto altruista», lo rassicurò, posando teatralmente una mano al petto.
Tom si imbronciò, ma dopo essersi guardati negli occhi un secondo scoppiarono a ridere. Ary finì il proprio caffèlatte e si alzò dalla sedia per andare a sedersi direttamente sulle gambe di Tom, avvolgendogli il collo con un braccio.
«Allora, ci hai pensato alla mia proposta o nemmeno te la ricordi?», gli chiese, sfiorandogli la guancia con un dito.
«Ah, quella di Geyser!», disse, ancora a bocca piena.
«Sì, quella», rise, divertita dai suoi comportamenti ancora così infantili nonostante avesse già la bellezza di vent’anni da compiere.
«Mi dispiace, ma Geyser
è il mio cane, non sono disposto a cederlo per nessun motivo
al mondo. Vero, cucciolo?».
Geyser, chiamato all’appello, si avvicinò al
padrone e si lasciò accarezzare sulla testa.
«Sì, sì che è
così», sorrise. «Quindi, anche se credo
che il mio amore per te sia dieci volte più grande rispetto
a quello che tu provi per me, puoi dire che tu mi ami di
più».
«Io vinco sempre, in un modo o nell’altro», gli disse e lo baciò sulle labbra.
«Sì, sono proprio tornati», constatò Gustav ad alta voce, facendo scoppiare tutti a ridere.
Geyser e Raudi giocavano felici nel giardino del palazzo, rincorrendosi e spintonandosi per raggiungere per primi la pallina che Tom gli lanciava. La maggior parte delle volte vinceva Geyser: aveva le gambe più lunghe e un fisico dotato per la corsa e la caccia, ma Raudi non si arrendeva mai e ce la metteva sempre tutta per vincere e ricevere le carezze che, comunque, il padrone gli avrebbe donato.
Ary era seduta su una panchina e li
guardava con il sorriso sulle labbra; Tom faceva lo stesso, ma era in
piedi accanto a lei, pronto a dover rilanciare la pallina per
un’altra sfida fra i due cani.
Però se ne sarebbe accorto chiunque che stava pensando a
tutt’altro, per Ary fu un gioco da ragazzi capirlo: aveva lo
sguardo assorto e la fronte increspata da piccole rughe
d’espressione.
«Tomi, a che stai pensando?», gli chiese, appoggiando i gomiti sulle gambe per sorreggere il viso sereno con le mani.
«A nulla in particolare», scosse il capo, con un sorriso un po’ triste sulle labbra.
Ary si alzò, aggrottando
le sopracciglia, e lo raggiunse.
Geyser e Raudi stavano lottando giocosamente sull’erba,
cercando di strapparsi la pallina di bocca l’un
l’altro.
Gli prese la mano che teneva nell’enorme tasca dei jeans ed
intrecciò le dita alle sue, appoggiandosi alla sua spalla
con il viso.
«Stavo solo realizzando che fra pochi giorni dovrai già tornare a casa», le rivelò, infine. «Io ho fatto tutto il possibile per te, hai ricominciato a mangiare, a parlare, a sorridere, a ridere… ma chi mi assicura che una volta lontani non cadrai ancora in quello stato? Io ho paura, ho paura di aver avuto troppo poco tempo, paura di non aver fatto abbastanza comunque…».
Ary sorrise divertita e lo abbracciò, affondando il viso nel suo petto. Non ci volle molto perché, stretta fra le sue braccia, iniziasse a ridere, nonostante cercasse di trattenersi.
«Non c’è niente da ridere», le sussurrò, seriamente preoccupato, posando le labbra sul suo capo.
«Oh sì, c’è da ridere eccome». Sollevò il viso e lo guardò negli occhi, gli prese il viso fra le mani e disse: «Tu, insieme a Bill, Anto, Georg e Gustav, hai fatto più di quanto puoi immaginare, non riesci e non puoi rendertene conto e questo fa ridere».
«Piccola…».
«Stanotte non ho preso i sonniferi», gli confidò, accarezzandogli le guance con i pollici.
Inarcò le sopracciglia, confuso, ma anche sorpreso. «Come? Non hai fatto l’incubo?».
«Sì, l’ho fatto», mormorò, abbassando lo sguardo.
«Ma io non ti ho sentita…».
«Non mi hai sentita perché non ho gridato, né pianto tanto da svegliarti…».
«Che… che cosa vuoi dire, io non riesco a capire!».
Ary sospirò e lo fece sedere sulla panchina, al suo fianco. Gli prese le mani fra le sue e fece un respiro profondo, dicendosi che se era stata in grado di vincere il suo incubo, aveva anche la forza per raccontarglielo per la prima volta.
«Ho fatto l’incubo, proprio come tutte le notti senza sonniferi, solo che… la fine, ieri notte, è cambiata. Stavo per essere trascinata nell’oscurità, sul fondo del mare, con Davide, come sempre, quando ho visto la figura di Anto al mio fianco, che mi sorrideva; poi ho visto Bill, Georg, Gustav… e poi ho visto te. Mi hai detto che potevo farcela, che voi sapevate che ne ero in grado, e con te c’era anche Geyser», sorrise, ripensandoci. «Avevo paura che voi mi lasciaste da sola a combattere, ma Anto mi ha detto che non mi avreste mai lasciata e Bill ha aggiunto che se volevo salvarmi dovevo lasciare andare la mano di Davide… Io non volevo, non mi passava nemmeno per la testa, ma quando ho visto proprio lui, al tuo fianco… lui mi ha parlato, mi ha detto che dovevo farlo per me e per voi, che mi amate, e anche per lui, perché voleva che vivessi felice anche senza di lui… Così, gli ho lasciato la mano. Sono tornata su, in superficie, e c’era lui sulla spiaggia. L’ho abbracciato, ho sentito il suo profumo come se fosse stato proprio lì con me e mi ha detto che mi voleva bene…».
Tom le sollevò il viso e la guardò negli occhi: erano lucidi e una lacrima era già sfuggita alle sue ciglia. La raccolse con il dito e sorrise, accarezzandole i capelli ed invitandola a continuare.
«Mi sono svegliata ed ero sconcertata da quello che era appena successo… avevo vinto, ce l’avevo fatta e per questo non ho gridato e non ti ho svegliato. Però mi sono alzata e sono scesa in salotto, dove ho pianto un po’».
«Avresti dovuto svegliarmi, non saresti stata sola», le disse.
Ary sapeva che l’avrebbe detto e sorrise. «Non ero sola, c’era Geyser con me».
Tom si imbronciò. «Adesso Geyser è meglio di me?».
Ary ridacchiò. «Tom… dovevo piangere con me stessa, senza qualcuno che mi confortasse o mi abbracciasse. Certo, Geyser mi è stato vicino, ma è rimasto ad osservarmi e basta… sono io che l’ho abbracciato, ma non l’ho fatto perché mi sentivo sola, oppure perché mi sentivo male… per la prima volta ho pianto e mi sono sentita bene, con un peso in meno sul cuore. Ora so che, per stare bene, devo sorridere pensando a Davide e devo sorridere per le cose belle… Sto meglio, adesso. Mi sento davvero guarita ed è solo merito vostro, che avete lottato tanto per me, tanto che anche io ho imparato a lottare seguendo le vostre orme, sentendo la vostra forza».
«Anche Anto ha lottato tanto per te, durante quelle due settimane, ma non è mai successo nulla di tutto questo», le fece notare e Ary annuì, consapevole che avrebbe detto pure quello.
«Forse avevo bisogno anche di qualcun altro», gli disse e si avvicinò alle sue labbra, che baciò socchiudendo appena le proprie.
«Quindi sono meglio di Anto, ma non di Geyser?», mugugnò lui, contro le labbra di Ary che si muovevano sulle sue.
«Se non stai zitto e contraccambi il bacio, subito, inizierò a pensare che Geyser sia davvero –».
Tom non la fece finire e la
baciò, stringendola forte al petto.
Era sicuramente meglio di Geyser.
THE END
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Buonasera a tutti! Sono un po'
triste, perché dopotutto è l'ultimo capitolo e
non è mai bello finire una FF, secondo me :(
Comunque, ne varrà la pena se vi sarà piaciuta e
se troverete questo finale decente :) Spero che mi facciate sapere
presto, tramite recensioni! ;)
Non mi dilungo troppo in spiegazioni su questo capitolo,
poiché è la fine, ma una cosa devo dirla per
forza: l'amore, come distrugge, guarisce. E' questo che ho tentato di
trasmettere con questa piccola FF "What if?", che mi è
piaciuta molto, forse anche di più rispetto a come sono
andate le cose nell'"originale". Ma vabbè, questione di
punti di vista :)
Bene, credo di aver detto tutto... AH, DIMENTICAVO! Ho creato una pagina facebook, chiamata proprio _Pulse_ . Spero verrete in tanti a mettere "mi piace", a lasciarmi i vostri pensieri e tutte queste cose qua che mi fanno impazzire di gioia *.* Mi impegnerò a rispondervi meglio e più in fretta che posso! ;) Il link è questo = click
Ringrazio di cuore tutti quanti:
chi ha recensito, chi ha letto, chi ha messo questa corta FF fra le
preferite, le seguite e le ricordate... e chi più ne ha
più ne metta! :D A presto con una nuova storia e spero al
seguito di Un sogno di un sogno: Our Future!
Con affetto, vostra
_Pulse_