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Autore: Mushroom    02/10/2011    6 recensioni
Suonato abilmente, fin troppo. Ami quel pezzo e ne hai una lucida memoria.
Tormentato, dolce, soave, perfetto.
Dalle cadenze cattive e permalose, misteriose, andava via via a assumere un tono più caldo, docile, fedele. Coraggioso.
Io sono così, lo ricordi?
Gli occhi si aprono di scatto, ammirando un semaforo rosso e una fila interminabile di automobili.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Soul/Maka
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Third Chapter: Nightmare


La prima cosa che sai sulla vita è che questa è ingiusta.
La seconda cosa che sai sulla vita è che questa è decisamente ridicola.
La terza cosa che sai sulla vita è che questa si diverte a prenderti a calci in culo.
Kid poggia il capo sul bancone, disperato. Vedi gli occhi languidi, offuscati dall’alcol e dalla rabbia; commossi – anche se non ne sei sicura – dall’amarezza.
Sulla vita, però, sai anche una cosa che prescinde da tutte le altre. In realtà non sei mai riuscita ad afferrare realmente il processo per il quale qualcuno – Dio, Shinigami o santo che sia – si diverta a rendere l’esistenza una giostra; sai solo che, quando ti trovavi nella pozza più nera, lurida e profonda, sei riuscita a venirne fuori.
Perché Elizabeth Thompson ha visto l’altro lato della medaglia, pensi, e ciò ti fa sogghignare.
Ti ricorda un tempo in cui vivevi in strada, in cui vivevi da delinquente; ti ricorda quando ancora non sapevi cosa fosse la paura. La viscerale, ignobile consapevolezza di poter perdere ciò che sei; di poter perdere ciò che hai e ciò che ami.
In strada non amavi. Non avevi niente da perdere.
In strada la morte era solo un avvenimento di second’ordine, un insetto che pungeva qua e la e che, alla fine, arrivava anche a te.
Poi era arrivata la paura quasi disperata, quasi folle, di perdere coloro a cui volevi bene.
Di ritornare alla tua vecchia vita, di cui tanto ti vergognavi.
Generalmente tendevi a nascondere questo tuo lato: Elizabeth Thompson non poteva permettersi in alcun modo di mostrarsi fragile – né come sorella maggiore, né come amica.
Per questo eri lì. Perché ti ci era voluto così poco per capire che una come te non avrebbe mai avuto nessuna speranza con uno come Death The Kid.
<< Liz >> si lagnò, poggiando la testa sul bancone e osservando con troppa attenzione il contenuto alcolico del suo bicchiere << Se ne è andata, capisci? >>.
Annuisci, sorseggiando il vino con un velato disinteresse.
Alza gli occhi verso di te, supplichevoli, e ordini al barista di versare al tuo amico un altro po’ di Tequila.
Death the Kid era una di quelle persone a cui rivolgevi tutta la tua paura. Era però un sentimento un po’ diverso rispetto a quello che volgevi a Patty: lei poteva essere infantile, ma sapeva badare a sé stessa; sapeva accettare le delusioni con un sorriso, stringendo le labbra e indicando un qualsiasi oggetto che somigliasse a una giraffa con altrettanta nonchalance. Kid no.
E non potevi sopportarlo.
<< Sembrava così felice >> continua, buttando giù un altro po’ di alcol. Tieni conto dei bicchieri che beve, uno per uno, sperando che non superi il limite. Era facile cadere nella autocommiserazione, per lui, e ancor di più se aveva una dose di bevande alcoliche a portata di mano. << Sembrava tornata se stessa >>.
Cerchi di nascondere un ghigno al di la del bicchiere. Già, se stessa.
In realtà non avevi mai capito quale fosse la vera anima di Maka Albarn. La studentessa diligente e un po’ scontrosa, che sapeva donare al momento giusto un sorriso: ti sembrava così falsa, come se recitasse talmente bene da aver dimenticato – da qualche parte – i rantoli della propria personalità.
La detestavi.
Ogni sua parola ti faceva venire la nausea. Ogni suo gesto ti scuoteva nel profondo.
Così sei titubante a dirglielo. Dirgli che preferisci questa Maka, spaesata, che negli occhi racchiude la forza di affrontare qualsiasi cosa, e il coraggio immotivato di proseguire nella strada della sua follia.
La apprezzi, perché, benché si trovi in un luogo a lei sconosciuto, sembra non temere niente di diverso dalla realtà. Non è spaventata da sè, come invece lo sei tu.
E un po’ cerchi di capire la sua situazione. Cerchi di personificarti nei suoi racconti, e scopri che non ti viene per niente difficile.
<< Siete andati a vedere il concerto di… >> tergiversi, ignorando la vocina che ti spingerebbe, in quell’istante, a urlargli di dimenticare Maka Albarn. Qualcosa – che chiamava, per convenzione, sesto senso – le diceva che lei avrebbe continuato per la sua strada, cercando le sue verità, e non sarebbe più tornata indietro.
<< Weiss Evans >> rispose in un gemito << Sapevo di dover prenotare i biglietti per “Excalibur – It’s going to California: la leggenda della spada sacra >> riprese, giocherellando con una nocciolina << Ma Papà mi ha regalato quei due biglietti, a lei piaceva e… >> si massaggiò le tempie << Questo è perché l’ho fatta sedere al posto numero sette, vero? >>
Sorridi << Smettila di dire scemenze >> gli dici, dandogli un buffetto sulla testa.
Ricordi il giorno in cui arrivasti a casa di Kid, a quattordici anni. Ricordi l’interiore paura di fare o dire qualcosa di sbagliato e il terrore di non essere all’altezza di quella famiglia.
Poi però ti era venuto in contro, sorridente, felice di rivederti, e tutto quello che potevi provare si era dissipato, sostituito dalla speranza.
Il ragazzetto che avevi tentato di derubare.
All’epoca, eri più alta di lui, mentre ora ti supera di almeno otto centimetri.
Forse è quello – rifletti – il momento in cui ti eri innamorata di Kid, tuo fratello adottivo, e avevi iniziato a vederlo come una specie di salvatore.
Un salvatore che andava salvato.
<< Ricordo che un certo Evans suonò alla tua festa di compleanno >> continui, poggiando il vino sul bancone << Però suonava il pianoforte >>

 

A volte sai che non c’è un perché. Vuoi solo correre, lontano, il più lontano possibile, fino a perderti, fino a farti male. Vuoi sentire ogni muscolo corrodersi sotto la corsa, sciogliersi sotto la pioggia, annegare sotto la tua disperazione. Vuoi solo correre, vuoi solo scappare, vuoi solo mandare a ‘fanculo quel coraggio per cui ti hanno sempre lodato. Quello di cui andavi orgogliosa, che ti strappava un sorriso. Quello che faceva di te solo Maka Albarn e, in qualche modo, ti faceva sentire – almeno, ai tuoi occhi – meno banale, meno piatta.
Testa alta, Maka. Petto in fuori.
Eppure corri, china su qualcosa di invisibile. Scarpe da tennis, tuta familiare e alba all’orizzonte.
Testa alta, Maka. Petto in fuori. È solo un incubo.
Corri, come facevi un tempo. Una mente forte, risiede in un corpo forte e in un’anima forte.
Non è forse questo? Fortifica il corpo, rafforza la mente, sii fedele alla tua anima.
Solo un incubo. Un fottuto incubo.
Note spaiate, ricordi fatiscenti. Dolori, gioie, preoccupazioni; frammenti di una vita che non hai più. Ogni giorno diventano più chiari. Irrompono nella mente, come farfalle; sbattono le ali in modo irregolare, insensato, e a ogni battito corrisponde un nuovo ricordo.
Violento. Idilliaco.
Tortura.
Ti fermi, mani sulle ginocchia e respiri affannati. È presto, ma dovevi correre via da te stessa.
Riprendi il respiro, lasci che l’aria inebri i tuoi polmoni . Anche questo ricorda i tuoi incubi.
Vuoi dimenticare.
Tutto e tutti.
Diventa sempre peggio e odi ammetterlo. L’oppressione durante il giorno, l’incubo durante la notte.
Ti sei svegliata. Continuavi a fare su e giù, interrottamente. Le pareti di quella casa – che un tempo condividevi con Soul, con la tua vita, con i tuoi amici – ti stanno strette. Non è più il tuo rifugio dal mondo, un libro non basta più come semplice barriera.
Così hai messo una tuta e delle scarpe. Correre scarica, distrae, fortifica.
Mente sana in corpo sano.
Eppure non sai quale dei due sia impazzito. La mente o il corpo?
Così te lo chiedi: è tutto vero?
Riprendi fiato e il sole è un po’ più alto in cielo. Il parco è deserto, silenzioso; la tua mente è una camera scura, ornata da una porta rossa.
È familiare, Maka?
Al suo interno c’è un pianoforte. Suona melodie che si ascoltano solo soli con se stessi; non ha un pianista, i tasti si muovono da soli.
Poche note e la porta si chiude. Vieni violentemente sbattuta fuori dalla stanza, dalla tua mente, e qualcuno o qualcosa ti ributta al mondo. Ti senti respinta da una forza superiore. È come essere pugnalati, più, più e più volte nel petto. Il sangue scorre e ogni goccia è dolorosa.
E sai che risognerai tutto questo. Il senso di familiarità e l’estraniazione.
Sai che rivivrai ogni momento, finché non ti sbarazzerai di lui.
Perché Soul Eater non esiste.
Perdi l’unico punto di riferimento. L’unico attaccamento, l’unica prova della tua realtà.
E ridi. Da sola, scossa dai singhiozzi.
Ridi e ti sembra tutto così divertente. Sei pazza.
Che ironia e che gioco.
Alzi lo sguardo. Tutto ciò che vedi è un’immagine sfocata. Quando è arrivata? Da quanto è lì?
Sembra una persona, e ti è vicina.
Scompare.
Riappare.
Sbatti gli occhi, li stropicci. L’immagine è scomparsa.
Ora è solo una voce, del calore, una mano sul tuo mento. Senti il suo fiato addosso.
È dietro di te.
Rabbrividisci e sai che, in altre situazioni, saresti balzata in avanti; un salto veloce, degno della tua forza fisica. Ti saresti voltata e avresti affrontato il nemico – umano o meno che fosse – con qualsiasi mezzo.
La vecchia Maka era così, sempre pronta a tutto.
La nuova Maka invece si sta adattando al nuovo mondo.
<< Ciao >> sussurra. Riconosci la voce << Ti ricordi di me? >>
<< Incubo >> rispondi. Sobbalzi e senti – non sai come – che sta sogghiagnando.
Senti la pressione diminuire. Il calore, la sua mano, la sua voce: tutto scompare.
Ti volti. È ancora lì, a qualche metro, con quell’aria fatiscente che ti impedisce di cogliere i suoi dettagli. Devi strizzare gli occhi per vedere meglio, ma anche così rimane una macchia indefinita. È come se il suo volto fosse sfocato. Come un ricordo: è sempre nella tua mente, ma non riesci mai a riportarlo a galla quando serve.
Guardarlo è fastidioso, ma non ne puoi fare a meno.
Ha la camicia rossa. Le mani in tasca.
Sogghigna.


 

Note: Fingiamo tutti che l'avviso nella presentazione della storia si riferisse ad Ottobre xD Infine, dopo sudore, fatica, blocchi dello scrittore e qualche imprecazione contro Maka, eccomi qui.
Ci sono un paio di cose da precisare, nonostante sia passato così tanto tempo. La prima, è che il capitolo è corto. Sì, lo so, passa tanto tempo e aggiorno con una robettina così corta. è un capitolo corridoio e, sinceramente, ho deciso che d'ora in avanti i capitoli saranno molto più corti. Generalmente, quando scrivo, arrivo anche alle nove, dieci pagine; a volte sono sei, è vero, però sono sempre abbastanza lunghe da scrivere; o, almeno, io sono parecchi lenta nel farlo. Così ho deciso: capitoli più corti, aggiornamenti più veloci ^^
Cosa c'è da dire su questo capitolo? Primo, che gli incubi di Maka diventano sempre più vividi; Secondo, che inizia ad avere le visioni; terzo, che si vuole abbandonare alla sua follia, ma la vecchia Maka - che è sempre lì - glielo impedisce, sussurandole che forse è ora di svegliarsi; di prendere quel mondo per la realtà, di abbandonarsi alla sconfitta. Insomma, è quello che da me si chiama "pippa mentale" :D
Piccolo spoiler, per chi si è chiesto chi è Weiss: è il fratello di Soul, se ne parla anche nel manga. Perdonatemi, non ricordo esattamente a che punto della trama. Putroppo devo recuperare tre mesi di arretrati, quindi ho riminiscenze delle Scan e sono ferma al volume dodici ç_ç recupererò a Lucca, non preoccupatevi.
Ho inserito Liz, perchè io adoro quella ragazza. Ho inserito pure Kid, perchè adoro pure lui. Insomma, li vedremo nella storia e avranno anche un bel ruolo. Piano piano introdurrò tutti i personaggi.
Ora vado, e a presto!
 

   
 
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