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Autore: Scarlett Sakura    02/10/2011    4 recensioni
Una bugia…
E’ cominciato tutto per una stupida bugia…
La mia vita è caduta per sempre soltanto perché ho mentito una volta...
[8° classificata al contest "Storie da piangere." indetto da Blackhole95.]
[4° classificata al contest "contest "Life is Hard" indetto da nan96.]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Titolo:
Tutto per una bugia
Prompts scelti:
luce, bugia, vita e vecchio.
Ho aggiunto gli elementi abbinati ai prompts aggiunti:
alba, prigione, colore e solitudine.
Genere: 
Angst, drammatico, introspettivo.

Rating: arancione.
Avvertimenti:
non per stomaci delicati, one-shot. Tratta di tematiche delicate come la morte, il carcere – in minoranza - ed il suicidio.

 

 

 

 

Tutto per una bugia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una bugia…

E’ cominciato tutto per una stupida bugia…

La mia vita è caduta per sempre soltanto perché ho mentito una volta…

 

 

Come si può cadere in un baratro così profondo?

 

 

 

 

 

Mi chiamo Yosuke ed ho diciassette anni. Sono di origine Giapponese ed è lì che vivevo fino a due giorni fa.

Sono sempre stato un ragazzo nella media, con una vita normale. Ho due genitori che mi vogliono bene, o meglio, me né volevano, andavo a scuola, uscivo con gli amici e facevo tanto baccano. Fisicamente sono nella norma, capelli neri che arrivano alla base del collo, occhi castano chiaro, muscoli accennati e un viso carino a detta di molti. Niente di straordinario comunque.

Non mi sono mai preoccupato di nulla, tranne che di una cosa. La stessa identica cosa che mi ha rovinato la vita.

Rurika era una mia amica che da sempre aveva una cotta per me. Siamo stati prima amici d’infanzia e poi compagni di classe. Io lo sapevo, ma non l’ho mai illusa più di tanto, perché non potevo ricambiare in alcun modo.

Quel giorno, quel maledetto giorno, lei mi chiese di uscire, ma io rifiutai. I miei programmi erano ben altri. Stupidamente dissi a tutti che sarei comunque uscito con lei, perché non desideravo in alcun modo che scoprissero il mio segreto. Passai la notte fuori, in un posto preciso. Erano le cinque passate quando mi decisi a tornare a casa. La mia città si affaccia sul mare e quindi camminai lungo la strada che dà sulla spiaggia. Il mio volto fu improvvisamente illuminato dalla luce dell’alba. Non so perché, ma in quel momento mi parve stupenda. La guardai con un sentimento di profonda nostalgia, come se fosse l’ultima volta. Come se non l’avessi più potuta vedere. Mi persi a contemplare quella meraviglia restando fermo, in mezzo al marciapiede. Lasciai vagare il mio sguardo per la sconfinata distesa di sabbia, godendomi la quiete di quello sprazzo di tempo. Fu allora che la vidi.

Rurika era distesa sulla sabbia a pancia sotto. Mi avviai verso di lei pensando che fosse addormentata, probabilmente ubriaca.

<< Ehi, scema. Svegliati, è tardi. >> la girai verso di me con un braccio, usando la mia solita delicatezza… e gridai.

Rosso, fu il primo colore che vidi, mescolato al bianco del suo vestito. I capelli, castani e ricci, sparsi sulla sabbia come un ventaglio. I suoi occhi chiusi con espressione di sofferenza. << Rurika! >> la chiamai disperato mentre le toccavo il collo. Ero terrorizzato, tremavo dalla testa ai piedi, ma riuscii comunque ad avvicinarmi al suo volto. Anche se lento, il suo respiro mi sfiorò l’orecchio e capii che era ancora viva. Non mi ci volle molto per comprendere cosa dovevo fare. Chiamare subito un’ambulanza, senza perdere tempo. Purtroppo non avevo più il mio cellulare e non ricordavo dove l’avessi lasciato. Cercai nella sua borsa, ma non trovai il suo. Stavo iniziando a disperarmi quando udii una flebile voce chiamarmi.

<< Yo… >> era lei. Soltanto Ru mi chiamava così. Subito presi la sua testa con una mano, per portarla accanto al mio volto.

<< Amica mia, che ti è successo? >> stava male, era evidente. Respirava a fatica e il sangue continuava a fluire anche se lentamente. Avrei dato qualunque cosa per aver avuto una qualche nozione di medicina, sarebbe bastato poco per aiutarla.

<< So… sono usci… ta con… un… tipo… >>

<< Chi diavolo è? Dimmelo! Appena starai meglio gli darò una lezione. >> ero veramente arrabbiato e colpii la sabbia con violenza. Senza che me né fossi reso conto, le lacrime avevano iniziato a scorrere sulle mie guance. Dentro di me nutrivo un tragico presentimento, come se quel momento sarebbe stato l’ultimo della nostra vita. Mi sentivo come un’anima sul punto di gettarsi all’inferno, come un suicida di fronte ad un dirupo.

<< Non rico… >> emise un debole lamento, ma riprese subito a parlare. << ricordo il nome… la cosa scio… ca… è che ho… detto che uscivo… con te… >> mi guardò dispiaciuta con gli occhi lucidi. Sorrideva debolmente come a volermi chiedere scusa, questo fu troppo per me. L’abbracciai di slancio.

<< No, sono io che devo chiederti scusa. La verità è che io non avrei mai potuto ricambiare il tuo amore. Perché, vedi… >> stavo piangendo senza ritegno, ma non m’importava. Avrei dato qualunque cosa perché lei guarisse al più presto. << Io, io sono… >> sussurrai il mio segreto a voce così bassa che credevo non mi avesse sentito. Invece lei capì benissimo perché, anziché guardarmi con espressione strana, mi sorrise ancora di più mentre anche le sue lacrime presero a scendere senza sosta.

<< Sei… uno sciocco… >> tentò di alzare una mano e di carezzarmi una guancia. Arrivò solo al mio gomito e lì la presi nella mia. La strinsi con forza e dolcezza insieme. Doveva sentirmi e non provare dolore allo stesso tempo. Non più di quello che già stesse provando. << Avresti dov… dovuto… dirmelo. Avrei… capito, io ti voglio davvero bene. >>

<< Lo so, ora lo capisco. Perdonami. >> la strinsi più forte che potevo e singhiozzai come un disperato. L’aria odorava di scuse e di colpe, lo sentivamo tutti e due, qualcosa stava per accadere. Qualcosa che ci avrebbe diviso per tutta la vita. Ma dentro di me mi ribellavo, lei doveva vivere, lei era la mia preziosa migliore amica. L’unica persona che mi abbia veramente amato, solo che l’ho capito troppo tardi. << Quando starai meglio uscirò con te, lo prometto. Tanto per quel che vale, non ho molte speranze io. >> sorrisi con profonda malinconia. Era vero, o stavo con Rurika oppure niente. La mia condizione m’impediva di vivere una vita nei canoni della normalità.

<< Sarebbe inutile. >> le sfuggì un colpo di tosse e sputò del sangue. In quel momento ebbi veramente paura. Paura di dirle addio per sempre. Avrei voluto soffocarla nel mio abbraccio, ma la preoccupazione di dolerle me lo impedì. Io non potevo nulla contro il destino, non avrei potuto impedire in alcun modo proprio nulla.

<< Ti voglio tanto bene e te ne vorrò per sempre. >> stavo facendo la figura del ragazzetto patetico e lo sapevo. Poco m’interessava. Mi sarei reso ridicolo di fronte a tutto il mondo pur di aiutarla.

<< Io… >> un sospiro più forte. << Io ti amo. >> mi disse invece. Era una semplice dichiarazione senza alcun secondo fine e senza rancore. Solo un’esternazione del suo affetto per me. Eppure, in quel momento, mi sentii un mostro. Sorrideva senza rancore, con una tenerezza unica. Quel sorriso l’avrei portato dentro per tutta la mia esistenza. Non ci sarebbe mai stato niente di più bello al mondo.

<< Ru… >>

<< Un bacio… >> riuscì solo a dirmi, ma compresi subito. Desiderava un contatto pieno d’amore ed io le avrei consesso ogni cosa. Abbassai il capo senza indugio e con estrema delicatezza poggiai le mie labbra sulle sue. Fu una delle cose più dolci e struggenti che abbia fatto nella mia vita. Forse l’unica. Erano morbide al tatto e sapevano di sale e ruggine, forse sangue. Quando mi staccai vidi che tentava di muore la bocca per parlare ed allora mi avvicinai ancora di più.

<< L’… alba… voglio ve… vederla… >> quelle parole gettarono una spada di Damocle sulla mia testa. Stava per finire tutto, ogni cosa. Più andava avanti e più sentivo che stavo per perdere tutto, non solo la mia migliore amica. Non ci badai molto, l’unica cosa che contava era lei.

<< Certo. >> non le era possibile osservare il sole che sorgeva perché c’ero io a coprirle la visuale. Mi spostai un po’ verso destra e i suoi occhi incontrarono l’alba. Era stupenda quella mattina. La sua luce illuminava i nostri volti, le nostre lacrime, il nostro addio.

<< E’ stupenda. >> disse in un soffio.

<< Ne vedrai altre. >> le promisi con tutta la convinzione che mi era possibile racimolare in quel momento. Era una bugia, lo sentivamo entrambi. Rimanemmo lì, a goderci quel magnifico spettacolo per qualche istante, che a me sembrò eterno. Non dimenticherò mai più quella mattina.

<< Yo… >> fu un piccolissimo sussurro del vento, ma lo sentii benissimo.

<< Ru? >> mi girai per guardarla negli occhi, per vedere ancora una volta quei due specchi di cielo che io ho sempre amato. Non mi fu possibile. Li aveva chiusi e, nel mentre che la osservavo, notai il suo dolcissimo sorriso. Sembrava veramente felice, come se non avesse rimpianti e avesse raggiunto lo scopo di una vita. << Rurika? >> la chiamai ancora una volta mentre scuotevo il suo corpo bianco e inerme.

Non mi rispose mai più.

La mia amica era morta e tutto per colpa mia. Non so perché, ma guardai un’ultima volta l’alba mentre dalla gola, ma soprattutto dal mio cuore, usciva tutto il mio dolore.

<< AAAHHH! >> gridai con tutta la voce in mio possesso. Non m’interessava se mi avrebbero sentito anche in cielo o in tutta la città. Rurika non c’era più. La persona che mia aveva amato per tutta la vita e che io non ero stato capace di ricambiare mi aveva lasciato. Aveva perso il suo futuro per un mio errore, non era stata colpa sua, ma solo mia.

<< Aaahhh! >> avvolto com’ero dal mio dolore percepii appena una presenza al mio fianco. Mi voltai distrutto e incontrai il volto sconvolto di una vecchietta. << L’hai uccisa… l’hai uccisa. >> ripeteva come un mantra.

<< No… non io… >> tentai di difendermi, ma ero psicologicamente a pezzi e non avevo la forza per contrastare niente e nessuno.

Da quel momento in avanti ricordo solo a tratti. La vecchia chiamò la polizia che, stranamente, giunse immediatamente. L’ambulanza arrivò con lei e ci vollero tre persone per staccarmi dal corpo di Ru. Venni ammanettato e portato in centrale. Mi dissero che ero in arresto per omicidio e che sarei finito in prigione. Tentai di difendermi e dissi dov’ero stato davvero quella sera. L’ispettore mi guardò scettico, ma controllò comunque, pur non credendo ad una sola parola. Inspiegabilmente nessuno si ricordava di me, persino la persona con cui ero stato finse di non avermi mai visto.

I miei genitori vennero subito in centrale e raccontai loro ogni cosa. Mi sarei aspettato di tutto, che mi sgridassero, che mi dicessero perché non avevo parlato prima. Tutto, anche il loro odio, ma non la mancanza di fiducia.

Nessuno mi credette, nessuno.

Non mi sono mai sentito così solo. In quei frangenti capii il significato della parola solitudine. Significa non avere nessuno che sia disposto ad avere fiducia in te ed a scommettere sul tuo successo. Vuol dire ritrovarti in balia del destino nei momenti di difficoltà, non trovare nessuna presenza amica al tuo fianco. Mi resi definitivamente conto che la mia vita si era retta solo su un’illusione. Tutto il peso della mia solitudine mi schiacciò definitivamente.

Purtroppo le mie disgrazie potevano solo aumentare, ed è ciò che avvenne. Bastò la falsa testimonianza di una persona per mettere la parola fine al mio futuro. Katsuro si presentò alla polizia raccontando una serie di fandonie a cui tutti, inclusi i miei, hanno creduto. Parlo di fatti totalmente inesistenti e mi resi conto che solo una persona poteva conoscere certe cose: l’assassino di Rurika. Tentati in tutti i modi di far comprendere la verità, ma fu inutile. Per tutti ero solo un assassino pronto a discolparsi.

La mia unica possibilità la ebbi quando mi trasferirono con la macchina della polizia in un’altra centrale. Ci fu incidente ed essa si ribaltò provocando molti feriti. Riuscii a salvarmi, per pura fortuna, e presi una pistola prima di scappare. La mia intenzione era quella di uccidere Katsuro e vendicare Rurika, in fondo, che avevo da perdere ancora? Nulla.

Poi arrivai nei pressi di un aeroporto. Fortunatamente nessuno mi riconobbe e riuscii a nascondermi in uno scatolone per oggetti fragili.

Non chiedetemi come ho fatto a resistere per dieci ore chiuso lì dentro, perché ancora non lo so. La forza della disperazione, forse.

Una volta sceso, sempre di nascosto, ho scoperto di essere ad Austin, nel Texas. Stavo morendo di fame ed alcuni senzatetto hanno diviso il loro poco cibo con me. Li ringraziai di vero cuore, sono gli unici ad avermi dimostrato un po’ di bontà, e pensare che per loro sono solo uno sconosciuto senza casa. Chi ha poco dalla vita ha tanto nel cuore, fu una lezione dura ma, meravigliosa al tempo stesso. Sono lieto di averla imparata, anche se non mi servirà a nulla.

Ho fatto l’autostop sino a quando non sono arrivato a dove mi trovo adesso. Seduto su di una panchina, per la fermata dell’autobus, in mezzo al deserto e ad una strada sperduta. Probabilmente non passerà nessuno prima di domani mattina, e se qualcuno arriverà non farà caso a me.

Alle mie spalle vi è il sole che sta per tramontare e sulle ginocchia vi è gattino nero che ho trovato abbandonato per strada. Non so perché, ma i suoi occhi assomigliano tanto ai miei. Una povera creatura abbandonata da tutti, forse anche da Dio. Per quello che mi riguarda, non ha più alcuna importanza. C’è solo una cosa che voglio fare. Mi alzo e appoggio il piccolo batuffolo sulla panca, miagola in protesta ed io gli sorrido leggermente, accarezzando la sua testolina.

<< Fà il bravo, vedrai che domani qualcuno si fermerà e ti porterà con se. Non rimarrai solo, tranquillo. >> non so se sto cercando di consolare lui o me stesso. In ogni caso non serve, la mia decisione è presa. Stringo la pistola nella mano destra e mi giro osservando il colore del sole, un magnifico rosso che sembra voglia scaldare il cuore. La più bella stella che conosco sta morendo anche questa sera, proprio come me.

Se un anno fa mi avessero detto che la mia omosessualità avrebbe portato a questo, gli avrei riso in faccia. Proprio così, sono gay. La notte prima della tragedia ero con un mio professore. Ovviamente lui non ha mai parlato per non rovinarsi la carriera, pazienza se ha rovinato la mia vita. Per quello che a lui importa.

Sento il rumore di un’auto fermarsi. Speriamo non sia qualche imbecille o, peggio ancora, un buon samaritano. Non ho voglia di sorbire alcun sermone. Fortunatamente è solo vecchietto con un capello beige e degli occhialini piccoli. Indossa una bizzarra salopette verde, che sembrerebbe avere la sua stessa età. Lui mi guarda e io lo ignoro, almeno fino a quando non mi torna in mente una cosa. Torno sui miei passi, verso la panca, prendendo in braccio il gatto.

<< Mi scusi? Posso chiederle una cosa? >> spero che accetti, alleggerirà di molto la mia coscienza. Mi avvicino al furgoncino malandato con cui è arrivato.

<< Dimmi pure. Purché non sia del denaro, non né ho con me. >>

<< Nulla del genere. Può prendersi cura di questo cucciolo? >> mi sporgo oltre il finestrino del passeggero e lo accomodo sul sedile.

<< Va bene. >> mi risponde senza fare una piega. Normalmente una persona fa delle domande, un mucchio di domande fastidiose. << Tu che devi fare? >> appunto.

<< Mi devo uccidere. >> gli dico senza tanti giri di parole. Non ha senso inventare scuse, anche perché cosa potrebbe mai fare un ragazzo armato in mezzo al nulla?

<< Capisco. >> dice soltanto senza cambiare espressione. Meglio così.

<< Le consiglio di andarsene. Non vorrei che svenisse. >> il nonno non fa una piega ed io non ho intenzione di perdere altro tempo con lui. Mi dirigo più in la, verso il sole. Cammino con espressione tranquilla, ma con il tumulto nel cuore. Mi avvicino come un condannato a morte si avvicina al suo aguzzino.

Mi punto la pistola alla tempia e guardo la stella morire davanti a me.

Che magnifico colore, quello della vita e della morte.

Scendendo lentamente scandisce il tempo che mi rimane. Sto per salutare il mondo, la vita, ogni persona che mi conosca. Eppure nessuno lo sa. Chi può anche solo immaginare il mio travaglio interiore? Farò la fine del cane, ecco cosa ne sarà di me. Un’infinita tristezza mi assale, mista a consolazione, almeno io e Ru staremo insieme per sempre. Perdonami se sono stato un vigliacco, perdonami se ti ho lasciata morire, perdonami se non ho neppure la forza di vivere per te. Non posso non pensare al mio passato ed a cosa ha portato: a nulla. Per tutti io sono e sarò un delinquente, ma non importa, davvero. Ciò che conta è che Rurika sappia tutta la verità. Lei è morta felice e senza rimpianti. Ha visto la sua ultima luce sorgere, ed io vedrò la mia che spegnersi. Anche se me ne vado, almeno saprò che lei è spirata in pace. E’ questo ciò che davvero ha valore. Chiudo gli occhi e premo il grilletto.

Addio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno sparo…

 

Un forte odore di polvere…

 

Il mio respiro che si mozza…

 

Un miagolio…

 

Nulla, non sento nulla.

 

 

 

 

 

Perché sono ancora vivo?

 

Mi giro e vedo il nonno con il fucile puntato nella mia direzione. Esce del fumo dalla canna, vuol dire che ha sparato lui. Non io. Guardo a terra e noto un buco nel terreno. Non riesco a capire…

<< Perché l’hai fatto? >> gli domando quasi isterico. Io ero sul punto di ammazzarmi e lui m’interrompe? Bene, sembra che non riesca a trovare un attimo di pace su questa terra. L’uomo, incurante del mio umore, ripone l’arma e mi guarda senza fare una piega.

<< E tu? >> mi domanda e io non comprendo cosa voglia dire. << Perché stai piangendo? >> porto immediatamente una mano al viso e lì percepisco del bagnato sulla pelle. Sto davvero piangendo e non so il motivo. Io… io voglio davvero andarmene, non posso vivere con un simile macigno nel cuore. Cado in ginocchio senza più forze. Persino la morte si prende gioco di me. Alzo gli occhi verso l’alto e guardo l’infinito che si stende sopra di me. Dio, fin quando vuoi farmi soffrire? Devo ancora pagare il mio debito?

<< Ti va di venire con me? >> la voce del signore s’insinua calma tra i miei disperati pensieri.

<< Eh? >> non credo di aver sentito bene. No, impossibile, figuriamoci se un vecchio si porta dietro un pazzo che ha appena attentato alla propria vita. Va bene essere scemi, ma il nonno mi sembra fin troppo arzillo.

<< Ti va di venire con me? >> mi ripete senza alcuna sfumatura d’impazienza. Mi guarda appoggiato alla portiera del suo furgoncino scassato.

<< Tu… lei non sa niente di me. Io potrei essere ricercato, potrei cercare di ucciderla. >> dico tentando di dissuaderlo. Sembra quasi che io non voglia cogliere alcun tipo di salvezza che la vita mi sta offrendo. Forse perché non sento di meritarla in alcun modo.

<< Poco male. Anche se tu mi facessi fuori non sarebbe una gran perdita. >> si stacca dalla portiera e fa il giro del veicolo per ritornare al posto di guida. << Ho solo un nipote che vive nella città vicina. Viene a trovarmi quasi tutti i fine settimana. A parte lui, c’è il mio cane. >> indica un cagnone che dorme beato nonostante tutto il chiasso che abbiamo fatto. << In pratica, se anche tirassi le cuoia nessuno si dispererebbe troppo. >>

<< Si, ma… >>

<< Senza contare che ho sessantacinque anni. Ho vissuto anche troppo. >> si siede al suo posto ed accende la macchina. << Sali? Devo ripassare domani? >>

<< Io… >>

Io sono un vigliacco. Non ho neanche avuto la forza di fare ciò che era giusto. Sono seduto al posto del passeggero con il gattino che dorme in mezzo alle mie gambe, il cane che ronfa sul sedile posteriore e il nonno alla guida. Non ho mai creduto agli angeli custodi e non penso che il vecchio lo sia. Che io sia vivo o morto non cambia nulla. Per tutti sarò un criminale e non potrò mai più rivedere né la mia famiglia, né i mie amici. Non per salutarli, ma solo per gridare al vento: “Sono innocente”.

A conti fatti, io sono morto. Perché non vedo speranza nel mio domani. In questo sporco mondo siamo completamenti soli ed ora l’ho capito. Puoi trovare la forza di campare o fartela dare da qualcun altro, ma è compito tuo camminare sulle tue gambe.

Poggio la testa sulla mano osservando il cielo plumbeo e le prime stelle che fanno capolino lassù. Forse c’è anche Rurika. Chissà.

Intanto sta scendendo la sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nda: so che per il tema del concorso sarebbe stato meglio che il protagonista si suicidasse, ma non ho voluto. Sembra strano, ma qualcosa mi ha impedito di fargli fare quella fine. Attenzione, il fatto che sia ancora vivo non vuol dire che abbia avuto un “lieto fine”. Assolutamente. Yosuke non tornerà mai più a casa sua, non potrà mai più discolparsi e passerà il resto della vita con il peso della morte di Rurika sul cuore. Non supererà più quei terribili momenti, la morte di una persona cara e la totale mancanza di fiducia dei tuoi affetti di segnano la vita per sempre.

Ci tenevo a specificarlo.

“Tutto” sta a significare che ha perso letteralmente tutto ciò che aveva per una bugia, come dice il titolo.

La figura serve per far meglio comprendere lo stato d’animo del ragazzo di fronte al sole che, come una clessidra, scandiva la fine della sua vita.

   
 
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