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Autore: Jay W    02/10/2011    3 recensioni
Ciao a tutti!^^
Questa è una storia nata dalla mia improvvisa passione per Iron Man (o dovrei dire Tony Stark?) e una lunga chiacchierata con mio padre sulla condizione di vita delle donne libiche, paese in cui ha lavorato per diverso tempo da giovane.
Premetto che non sono araba, non so molto della cultura araba e non ne capisco niente di arabo, ma qualche espressione in questa splendida lingua non volevo perdere l'occasione di mettercela, a partire dal titolo stesso, il cui significato vi verrà svelato più in là nella storia... Sempre che decidiate di continuare a leggere!XD
Enjoy^^
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando riaprì gli occhi, era già buio da un pezzo.
Il bagliore traballante di un falò ed una piccola lanterna ad olio che oscillava cigolante, mossa dalla lieve brezza che soffiava, erano le uniche fonti luminose nel raggio di diverse miglia.
Era stato messo in una tenda, a coricare su un giaciglio di pelli di capra o di chissà che altro animale, dall’olezzo non proprio piacevole. Ma le sue ferite erano state pulite e ricoperte con un appiccicoso composto dolciastro. All’olfatto sembrava miele, ma dubitò che lo fosse realmente…
Gli era stata lavata la faccia, incrostata di fango e sangue e dall’esterno si sentiva provenire un fitto discutere in arabo di voci maschili.
A vegliare su di lui, seduta su un tappeto in un angolo della tenda, vi era una donna.
Alla fievole luce della lanterna, scoperto, era visibile il suo volto, segnato da profonde rughe che ne testimoniavano l’età avanzata. Indossava un abito coloratissimo, a dir poco sgargiante, composto da diverse stoffe di colori in netto contrasto fra loro.
Dalle mani ed i piedi, fittamente decorati con arabeschi all’henné, oltre che dal vistoso gioiellame di cui era ornata, da quel po’ che ne sapeva, poté supporre che si trattasse della padrona di casa… Certo, se di casa si sarebbe potuto parlare!
Non c’era niente in quella tenda. A parte lui, il giaciglio di pelli, una datata radio portatile arrugginita, che se non ricordava entrambe le guerre mondiali, poco ci mancava, qualche tappeto e… La vecchia, assopita nell’angolo con un curioso aggeggio tra le mani che ricordava un telaio.
Sembrava stesse lì più a far da colorata suppellettile aggiuntiva, che altro.
 
Si alzò dal giaciglio, seppur stentando a rimanere in piedi.
Non ricordava granché, aveva solo brevi flash confusi di come fosse arrivato lì e, forse, confuso lo era ancora.
“Nome…? Tony... Anthony… Ehm… Anthony Edward Stark...”
Oh, almeno questo lo ricordava ancora.
“Figlio di…? Howard… Howard e Maria Stark…”
E sì, lo sapeva bene, meritava di essere chiamato anche figlio di… Beh, è inutile specificare: un figlio di puttana è un figlio di puttana, indipendentemente dalla condotta morale della propria madre, e Tony sapeva di essere, senza colpa alcuna della sua irreprensibile madre, un figlio di puttana!
L’ho detto davvero…? Ops!
In quelle settimane di prigionia aveva avuto tutto il tempo di starsene aulicamente a meditare su tutte le possibili correlazioni tra le espressioni più colorite del gergo comune, quali, per l’appunto, “figlio di puttana”, “bastardo”, “testa di cazzo” e la sua medesima persona.
Era così che l’autocommiserazione era entrata a far parte, ormai stabilmente, della sua vita.
Brusco cambiamento di rotta, per uno abituato ad avere il potere a schiocco di dita!
Dal giorno in cui era stato rapito…
No.
Dal momento in cui si era risvegliato in quel sotterraneo, scoprendosi quell’orrendo affare impiantato nel petto – un risveglio da manuale dell’horror- un affare da cui avrebbe dipeso la sua vita d’ora in avanti, sì, da quel momento aveva cominciato a pensare a sé stesso come al povero figlio di puttana che era in realtà.
Era piombato all’inferno da un paradiso dorato fatto di lusso e lussuria, in cui aveva sguazzato senza pudore per tutta la vita; e aveva ben presto scoperto, a sue spese, di non essere nessuno, in fondo.
Soltanto, appunto, un povero figlio di puttana come tutti quanti gli altri!
In linea di massima, a come la pensava lui, secondo le regole del karma o come diamine le s’intende, avrebbe dovuto essere il primo a fare la fine del sorcio nella trappola.
Invece, inspiegabilmente, il destino continuava a tirarlo fuori dalla merda proprio quando credeva di essere giunto al capolinea.
Prima quel medico che gli salva la pelle…
“Com’è che si chiamava? Maledetta testa del cavolo! Ti fai fottere dalla confusione e dimentichi il nome dell’uomo a cui devi te stesso, Tony Stark???”
Scrollò nervosamente la testa, stanco di sentirsi costantemente intontito.
“Dov’ero rimasto…? Ah, già… Un uomo, milioni di volte più grande di me, ma di cui nessuno ha mai sentito parlare o che solo in pochi hanno conosciuto, mi salva il culo due volte e alla seconda ci rimette la pelle, pur di dare una possibilità di riscatto al figlio di puttana che non sono altro. Non ho idea di come, sopravvivo, praticamente incolume, ad un volo pazzesco di… Non so e preferisco non sapere di quanti piedi e a che velocità…”
Si massaggiò i lombi e le gambe, ancora terribilmente dolenti per lo schianto.
“Mai sentito parlare di esperienze extracorporee e cazzate simili? Beh, non posso essere certo di questo, ma… Credo di aver vissuto qualcosa del genere, in quei frangenti, quando sono atterrato in mezzo al deserto. Mi sono visto dall’alto, come si guarda un pupazzo inerme abbandonato su una spiaggia.
E nelle orecchie… Beh, pensatela come vi pare, ma ho sentito mia madre gridare il mio nome. Sì, lo so, sembra una di quelle stronzate uscite da una puntata di "ai confini della realtà", ma è così: giuro che quando me la sto vedendo brutta, sento la voce di mia madre invocare il mio nome, da dopo l’incidente che si portò via lei e mio padre.
Non credo di averla mai sentita gridare davvero così, nella realtà. Mia madre non alzava mai la voce, non gridava mai, non avevo mai sentito quella straziante paura nella sua voce.
Sapete cosa penso…? Lo so che dopo questo crederete che sono matto, ma non ho saputo spiegarmelo diversamente. Penso che quella che sento, sia davvero  la voce di mia madre.
Deve aver urlato davvero il mio nome in quel modo, rendendosi improvvisamente conto che mi avrebbe lasciato per sempre.
Me che non ero in grado di badare a me stesso.
Me che in fondo avevo ancora bisogno di lei.
Quell’urlo che sento è la voce di mia madre al momento dell’incidente, un attimo prima di lasciare questo schifo di mondo per raggiungere gli angeli come lei.
Nessuno potrà mai dirmi che è vero.
Nessuno potrà mai dirmi che mia madre ha davvero urlato il mio nome prima dello schianto.
Ma da figlio, mi piace pensare che quel grido che sento, sia il suo modo di farmi sapere che lei è lì, accanto a me. Fu grazie a quel grido che riaprii gli occhi, subito dopo…
Dovevo essere morto.
Davvero, la prima cosa che ho pensato quando ho riaperto gli occhi è stata: …com’è possibile che sia ancora vivo? Ho visto la sabbia estendersi sconfinata in tutte le direzioni, fin dove i miei occhi riuscivano a vedere. Giuro che quella vista mi ha inaridito la bocca e la gola e mi è sembrato di soffocare, come se avessi ingoiato una cucchiaiata di sabbia.
Ma forse mi era andata davvero della sabbia in gola, chissà…
Non c’era un bel niente intorno a me. Allora ho capito: era lì, in quel modo, lentamente, che avrei esalato il mio ultimo respiro. Ho sperato che quel momento arrivasse presto…
No, è una menzogna, invece: sono pur sempre un figlio di puttana, ho paura anch’io di morire. Non volevo che finisse così. Non avevo fatto uno straccio di cosa buona nella mia vita, o comunque non ne avevo ricordo. Non ho mai aspirato al Paradiso ma, cazzo, almeno qualche millennio di Purgatorio speravo di riuscire a racimolarlo, in qualche modo!
Avrei voluto tornare indietro e avere un’altra chance. Aprire gli occhi e non fare stronzate… Ma in quel deserto, quale chance avevo? Quale, se non quella di morire e liberare la faccia della terra da un individuo come me?
Invece, quando ho sentito forte la presenza della dama con la falce che veniva a prendermi… Si è rivelato essere un piccolo angelo che, senza dire una parola, mi ha caricato su un… Che diamine era? Un mulo…? Un cavallo…? Bah, ne ho ancora il puzzo addosso! Comunque mi ha raccolto e mi ha portato qui.
Salvato dai tuareg, gente!
Avrei dovuto morire in diverse occasioni e per i motivi più disparati, nel corso delle ultime settimane… - giuro che al prossimo che mi dice che questo è l’anno fortunato degli scorpione, gli infilo un Jericho su per il didietro!- ed eccomi qui, invece, ad ingozzarmi di latte e dolcissimi frutti secchi che credo di non aver mai assaggiato, da un vassoio poggiato a terra, su un tappeto, con le mani e senza prendere fiato, come un animale.”
Strisciando come un verme nella tana, raggiunse l’ingresso della tenda senza far rumore.
Ne scostò delicatamente un lembo, per sbirciare fuori… E la prima cosa che attirò la sua attenzione fu il cielo: non aveva mai visto tante stelle in vita sua, se non all’osservatorio astronomico, da ragazzino. Ci portava le ragazze, per fare colpo su di loro e, nel buio, sotto il romantico panorama delle stelle, rubar loro qualche bacio… O anche qualcosa di più.
E gli tornò in mente la sua prima fidanzatina, a cui aveva rubato il primo bacio proprio all’osservatorio, nella sala del planetario.
Si chiamava Sally Walters, aveva quattordici anni, due più di lui e i capelli rossi, come quelli di Pepper… O forse erano biondi, non ricordava più… Chissà dov’era e cosa faceva, la bella Sally, ora…
Proprio davanti all’ingresso, poté vedere sei sagome avvolte in tuniche scure, forse mantelli, sedute attorno al fuoco di bivacco di cui aveva visto la luce, acceso per illuminare e scaldare le membra intirizzite, nel gelo di quella notte desertica.
Una delle sagome, però, spiccava fra le altre per la sua unicità: era la più piccola e, al contrario delle altre, teneva il capo chino, mentre si stringeva con le sue piccole mani nel mantello di lana cruda color fango che indossava.
E taceva.
Nell’animata discussione che coinvolgeva gli altri componenti del gruppo, paradossalmente, il suo silenzio era la voce che si levava più alta di tutte.
Per un breve istante alzò il viso, coperto completamente tranne che per gli occhi, verso il fuoco… E Tony riconobbe in quei grandi occhi neri e tristi, quelli dell’angelo che lo aveva salvato dal deserto.
Strisciando come s’era avvicinato all’ingresso, se ne tornò al vassoio di cibarie, da cui prese due grossi pugni di frutti dolci che nascose nelle tasche della giacca sbrindellata che indossava.

Dopodiché se ne tornò al giaciglio di pelli, dove un tetro sonno morboso lo avvolse tra le sue spire, fino a quando, voci concitate, non lo risvegliarono, molte ore dopo…





 

Ciao a tutti!^^
Sì, lo so, questo capitolo è strapieno di parolacce ed espressioni colorite. Il che non è decisamente da me, ma, a parer mio, molto da Tony!XD

Il rating giallo è stato messo apposta per la scurrilità di certi passaggi.

A parte questo, spero apprezziate il resto!

Enjoy^^

  
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