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Autore: Ziggie    02/10/2011    3 recensioni
E rieccomi qui a scrivere di nuovo del capitan Barbossa. Nei frammenti precedenti ho narrato della sua storia prendendo spunto da situazioni accennate nella sua biografia, qui invecce si cambia musica. In questa storia Hector narrerà dei propri pensieri, delle proprie sensazioni di fronte a quanto ha vissuto: morte, resurrezione e tutte le altre imprese alquanto epiche che lo hanno accerchiato nel corso della saga. Quindi non mi resta che augurarvi buona lettura ;)
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  Ed eccomi qui in madornale ritardo... Dovete scusarmi, ma questo frammento è stato un parto! A parte il fatto che ho ripreso l'università e non ho tempo materiale per scrivere, questo capitolo è stato davvero difficile: troppe cose da dire e da trattare. Come al solito le battute sono prese dal film, ma alcuni riferimenti si rifanno ai libri inglesi (vedi Wild Waters) delle vecchie avventure di Jack, nelle quali ovviamente c'è anche Hector. Buona lettura dunque e alla prossima, spero di non metterci troppo :)
 

              8.The Brethren Court
 

- In tutta la mia vita non c’è mai stata un’adunanza come questa –.

- E devo ad ognuno dei soldi -.

Sparrow riusciva a smorzare qualsiasi atmosfera. Sapevo quanto fosse legato a quel posto, quanto fosse ripugnante all’idea di dover tornare, di  rivedere Lui, ma non mi importava più di tanto, l’avevo convinto ed ero ad un passo da sciogliere la cima che mi legava alla suddetta dea del mare.

Non era la prima volta che mettevo piede alla baia dei relitti, che partecipavo ad un consiglio, ma mai avevo visto un’adunanza come quella: ogni pirata nobile aveva la sua ammiraglia e al seguito una o due navi, si erano prodigati in molti nella causa contro Beckett!
Turner e Swann non ci degnarono della loro presenza e il viaggio procedette senza troppe domande e senza troppi problemi. Lui era sparito dopo il giorno del tentato ammutinamento e, sicuramente, visto la sua sfacciataggine, avrà nuotato fino alla nave di Beckett, vuoi per clemenza, vuoi per la solita storia “devo liberare papino adorato”; spero vivamente che l’oceano l’abbia reclamato, ma i tizi come lui provocano il mal di mare persino allo stesso grande blu.

Miss Swann, invece, dovrebbe raggiungerci con Feng, a meno che lui non abbia tentato di liberare la dea del mare, che credeva fosse racchiusa in lei: il troppo vapore e il troppo sakè gli avevano annebbiato la vista, devo ammetterlo.

Toccava a me dichiarare aperto quel quarto consiglio della fratellanza. Non vi erano emozioni particolari per quel gesto, ma un senso di superiorità nei confronti di Sparrow mi strappò un sorriso maligno, simile ad un ghigno; nonostante ciò, però, mi concentrai nell’esporre le mie idee alla fratellanza: convincere quel branco di conigli, non sarebbe stato facile.

- Io vi ho chiamati a raccolta. Io dichiaro aperto questo quarto consiglio della fratellanza! A conferma della vostra nobiltà e diritto di parola, presentate i vostri pezzi da otto, miei compagni capitani –

Ragetti passò a fianco ad ognuno con una fondina di legno e raccolse i più svariati ninnoli: un tagliaunghie per Gentleman Jocard; un collo di bottiglia rotto per Villanueva; un paio di occhiali per Mistress Ching; una carta da gioco per Chevalle; un piccolo calice di legno per Ammand; una tabacchiera per Sri Sumbajee…. Fantasia portami via, lo devo ammettere, ma quelle cianfrusaglie ci avevano permesso di nascondere il consiglio o, quanto meno, confondere chi ci stava alle calcagna e voleva distruggerci. Nove pezzi da otto: un enigma semplice, se sai come guardare dietro le righe.

- Mastro Ragetti, se permettete! –

- Oh! Ve l’ho tenuto al sicuro, come voi diceste quando lo affidaste a me –

- Ah! Bravo, ma adesso mi serve però –

Diedi una piccola pacca dietro la nuca al ragazzo e recuperai l’occhio di legno, il mio pezzo da otto. Quante ne aveva viste quel povero ninnolo, quante volte aveva rischiato di andare perduto!

Sparrow, come al solito, faceva il prezioso. Mancava lui a consegnare il pezzo da otto e, quando Villanueva lo rimbeccò, si portò una mano sul pendaglio che portava al centro della bandana: la moneta del Siam.

Mi guardò accennando ad un sorriso tirato, mentre lo scrutavo attentamente: quell’uccellino senz’ali aveva i piedi in troppi stivali, ecco perché era così spiumato! Man mano che però cercava di prendere tempo, più tutti si spazientivano e Jack non aveva certo buoni rapporti, specialmente con alcuni energumeni in questione.

- Faccio notare che siamo ancora a corto di un pirata nobile. E io me ne starò tranquillo e comodo finché il caro Sao Feng non ci raggiunge -.

- Sao Feng è morto! Ucciso dall’Olandese Volante –

A quella notizia, dettata da Elizabeth, la paura serpeggiò tra i pirati nobili e i mormorii andavano via, via intensificandosi. Miss Swann amava le entrate ad effetto, a quanto pareva!

- Ascoltate, Jones è sotto il comando di lord Beckett e stanno venendo qui – ci comunicò.

- Chi ha fatto la spia? – chiese Jocard, burbero.

- Non credo che il traditore sia qui tra noi – gli feci notare, molto tranquillamente.

- Dov’è Will? – chiese stupita Elizabeth; cosa c’era da stupirsi, poi!?!

- Non è qui tra noi – concluse ovvio Jack.

Con le domande miss Swann brillava di una fantasia geniale. Pensavo potesse migliorare quando la incontrai per la prima volta, ma, a quanto pareva, mi sbagliavo, dopotutto la vicinanza di Turner e l’amore che provava per lui tendevano a farla agire di impulso, come era solito fare il ragazzo. Ora era capitano e pirata nobile e, per una volta, mi ritrovai d’accordo con Jack, nel sostenere che  lo regalavano questo titolo al giorno d’oggi. E lei, spinta da una questione di rimorso “voglio vendetta perché il lord cattivo mi ha ucciso il papà”, pretendeva la parola, l’ascolto di quel branco di conigli dalla coda nera e macchiata dei più svariati crimini. Ne aveva di strada da fare, anche se di determinazione ne aveva da vendere e sfacciataggine altrettanta, dato che propose apertamente di combattere, facendo scoppiare tutti i partecipanti in una fragorosa risata.

Era meglio riprendere le redini del motivo per cui li avevo convocati, anche se immaginavo già quanto le mie parole potessero suscitare.

- Ci sarebbe una terza rotta: in un’altra epoca, in questo stesso posto, la prima fratellanza catturò la dea del mare e la confinò dentro al suo corpo… Sbaglio imperdonabile. Oh! Domammo il mare, questo è vero, ma aprimmo la porta a Beckett e ai suoi consili! Belli erano i giorni in cui il dominio dei mari non veniva da patti stretti con inquietanti creature, ma solo dal sudore della fronte e dalla forza della schiena di un uomo, sapete tutti quanto sia vero. Signori, signore… dobbiamo liberare Calypso -.

Conoscevo quei giorni perché li avevo vissuti; la mia schiena, i miei arti, il mio corpo avevano sentito, e subito, quella fatica piacevole. Mi ero fatto da solo, mi ero costruito il mio avvenire con le mie forze e non intendevo vedere quell’immensità racchiusa e controllata dal dominio inglese.

Tra i pirati regnò il silenzio, sguardi allibiti erano dipinti sul volto di ognuno, a breve avrei avuto il verdetto. Non ero preoccupato, affatto. Convincere quel branco di bagordi non era mai stato facile, ma per liberare Calypso io avevo già quanto occorreva: i pezzi da otto erano tutti in mio possesso, eccetto due, che avrei comodamente recuperato più tardi.

- Sparategli -.

- Mozzategli la lingua -.

- Sparate a lui e alla sua lingua dopo mozzata e via, quella barbetta ispida -.

L’indecisione di Jack e le sue parole gettate a caso, non favorivano la sua posizione; come ho detto avevo imparato a conoscerlo e sapevo riconoscere quando si ritrovava in situazioni più grandi di lui e, di certo, il suo incontro con Beckett gettava la sua figura in un angolo ancor più remoto della mia, già poca, fiducia nei suoi confronti. Chissà, se come le altre volete ne sarebbe uscito scottato o avrebbe risolto la situazione?

Ecco perché ho sempre detestato quei compagni capitani: erano solo capaci di parlare e non di mettere le cose in atto. Ammand voleva spararmi e non lo ha fatto; Jocard voleva la mia lingua mozzata… Perché quindi tanti scrupoli? Siamo pirati, caricate le pistole, mozzatemi la lingua, perché aspettare? Perché parlare soltanto? Roteai gli occhi quando Chevalle e Villanueva iniziarono il loro battibecco e da lì, il tavolo di ricevimento e la sala divennero teatro di rappresentanza di incontri di lotta, come se fossimo di colpo piombati in qualche bettola di porto.

Lo scontro proseguì per svariati minuti. Stavamo perdendo tempo, troppo tempo e io non me ne sarei stato, di certo, a guardare. Presi le due palle di cannone di fronte a me, sfoderai la pistola e mi arrampicai sul tavolo. Non vi era un capo alla baia, non vi era mai stato, ma se occorreva io, di certo, ero l’unico che andava dritto al nocciolo della questione là dentro; uno che non si faceva troppi scrupoli; uno con le palle appunto. Ed ecco come ancora sottolineai la mia innata virilità, non mi bastava il cannocchiale per far invidia a Jack che, giust’appunto, mi guardò contrariato.

Attirai l’attenzione sparando un colpo in aria e ognuno si fermò, distogliendo lo sguardo da quanto stava facendo, stando immobile nella propria posizione: c’era gente aggrovigliata sul tavolo, pronta a riprendere  la lotta, tanto per fare un esempio.

- E’ stato il primo consiglio ad imprigionare Calypso. Noi potremmo essere quelli che la liberano, ci sarà grata e di sicuro vorrà accordarci i suoi favori! –

- Quali favori? Fammi il favore! Blateri di vuote ciance, dico io – si intromise Jack.

- Se hai un’alternativa migliore, prego, illustra – lo invitai con un sorriso sardonico.

Era inutile, dopotutto, che continuava a girarci intorno con smorfie o parole messe a caso, ma a quanto pareva anche la sua ipotesi alternativa non era così brillante, come definiva la sua persona. Seppie, un paragone però adatto alla situazione della baia… Se il consiglio sarebbe durato ancora a lungo, di certo, ci sarebbe scappato qualche morto. Non potevo dare completamente torto a Jack, ma quando dichiarò apertamente di essere concorde con Elizabeth, non potei fare a meno di fargli notare le sue beate mancanze.

- Te la sei sempre svignata via dalle battaglie –

- No, mai -.

- Si, sempre -.

- No, mai -.

- Si, sempre -.

- No, mai -.

- Si, sempre e lo sai -. Stavamo dando spettacolo, battibeccando come al solito, ma dopotutto era vero. Avevo combattuto più volte con Jack, ma nella maggior parte di queste battaglie si presentava sempre a duelli terminati, restando nascosto nell’ombra come nell’episodio a Libertalia o presentandosi con qualche storiella, come nell’episodio del combattimento a fianco di Jocard.

- No, mai calunnia e maldicenza. Io ho solo messo in pratica la più antica e nobile delle tradizioni piratesche: dobbiamo combattere, per svignarcela via! -.

Non feci in tempo a ribattere che, Gibbs, concorde con la vena filosofica del momento del suo capitano, lo appoggiò appieno declamando un forte “AYE”, seguito dalla maggior parte dei presenti.

La più antica e nobile delle tradizioni piratesche, certo, perché gli altri non erano al corrente delle sue imprese… La metteva così? Bene, avevo ancora una carta da giocare, un asso che a Sparrow non sarebbe piaciuto.

- Secondo il nostro codice, un atto di guerra, di questo infatti si tratta, non può essere dichiarato che dal pirata re – feci comodamente notare.

- Te lo sei inventato -.

- Ah! Inventato?! Io chiamo il capitano Teague, custode del codice – ghignai, mentre il volto del mio “caro” collega sbiancava pian, piano…. Voleva il gioco duro? Eccoglielo servito.

Il capitano Teague annunciò il suo ingresso sparando un colpo e sterminando uno degli scagnozzi di Sri Sumbajee, che aveva appena sostenuto che, il codice, era una follia.

- Il codice è legge! –

Jack rimase pietrificato, immobile, incapace di proferir parola. Sapevo dei disguidi tra lui e il suo vecchio, eccome se lo sapevo, ma la figura di Teague, autoritaria, la classica persona che potrebbe abbracciarti alla mattina e spararti alla sera, era stata, per qualche anno, un punto di riferimento e non potevo, non appellarmi al codice…

Il codice fu portato al tavolo e Teague, ondeggiando appena, raggiunse la riunione, reclamando il proprio posto.

- Mi stai tra i piedi, ragazzo -.

 Jack si eclissò, lasciandogli spazio, mentre io osservavo la scena ghignante, aspettando il verdetto del custode del codice, per dimostrare le mie ragioni.

Chopper, il cane con le chiavi, arrivò lasciando stupiti Pintel e Ragetti, ed, ovviamente, il vecchio pirata tirò fuori la solita storia delle tartarughe marine: avevo perso il conto, di quante volte l’avevo sentita.

- Ah! Barbossa ha ragione -. Il ghigno che avevo sul volto si ampliò in un mezzo sorriso e feci una piccola riverenza: il codice era più che altro una sorta di traccia, che un vero regolamento, ma a volte faceva comodo seguirlo alla lettera per i propri favori.

Fu quando il vecchio Teague mi diede ragione, che Jack si attivò, iniziando a leggere alcuni articoli del codice, soffermandosi su quello del Parlay.

- Parlamentare con gli avversari, questo mi piace! – osservò. Poteva essere utile in certi casi, vero, ma per quanto mi riguardava, ero più un tipo pratico.

Chevalle fece giusto notare che non era mai stato facile eleggere il re della fratellanza ed Elizabeth, curiosa, ne chiese il motivo.

- Il re dei pirati viene eletto con voto popolare – le spiegò Gibbs, saccente, come al solito.

- Ed ogni pirata da sempre il suo voto a sé stesso – finii io, non avevamo bisogno di un re.

- Chiedo una votazione – intervenne Jack, sbuffai. Che senso aveva? Perché? Stava giusto confermando la mia teoria: Sparrow stava giocando ad un gioco troppo grande e quando, con il suo voto, elesse Elizabeth, non ne rimasi stupito, ma, piuttosto, contrariato.

Una bambina al comando di un’intera flotta! Era pura fantasia quella, ma non mi avrebbe fermato; avevo uno scopo, un fine e l’avrei concluso.

Feci quindi segno a Ragetti di nascondere i pezzi da otto, che aveva raccolto: a breve avrei sciolto la cima che mi vincolava a quella donna maledetta, a cui dovevo tutto e, al tempo stesso, niente. 
  
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