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Autore: Silene Nocturna    03/10/2011    3 recensioni
Questa storia ha partecipato al Contest Bitten by Vampire di Illunis.
Vincitrice del Premio Originalità!
La mia protagonista è Nocturna, una giovane dedita a difendere il proprio paese da un'antica minaccia che sembra essere sempre più incombente. Si ritroverà ad essere prigioniera del Principe dannato della sua terra natia -la nota Transilvania-, Dorcas Tepes, temuto discendente del famoso Conte.
In una disputa tra le arcaiche forze del Vaticano e dei Vampiri, eventi inattesi sconvolgeranno la vita della giovane Nocturna.
Buona lettura!
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Autrice: Nihila

- Prompt: Stilografica, Paesaggio

- Titolo: Per Aspera Ad Astra

- Quattro capitoli di sette pagine

- Lime

Questa storia ha partecipato al Contest Bitten by Vampire di Illunis.

Vincitrice del Premio Originalità.

Buona lettura,

Nihila.

 

 

 

۞ ஜ ~Per Aspera ad Astra~ ஜ ۞

 

 

 

 

-Transilvania, 1866-

-APPUNTI-

“Quant’onere fu concesso a chi, di inestimabili valori, è approdato nei dissapori della gaia scienza?

Gli uomini, vite inconsulte nel firmamento, hanno oltrepassato i secoli tentando le vie più impervie per scoprire i misteri che celano le azzurrità infinite; ma codesto lavoro, è mai stato ricompensato a dovere?

In tempi remoti, la stoltezza e l’ignoranza regnavano sovrane: tempi bui, rischiarati soltanto dal rogo di qualche avventata pira, irta su cataste di paura negl’occhi di sparuti contadini incapaci di esplicare parola dinnanzi alla potenza di Dio, che aveva come suoi servi gli uomini di chiesa dediti alla caccia di streghe: fanciulle dalla bellezza ingannevole, occhi del maligno.

La pazzia era il loro nettare, da cui attingere sporadiche considerazioni.

[…]

Qualcuno disse che l’orizzonte non aveva fine: se ci fossimo avventurati al di là dei confini, oltre le Colonne D’Ercole, non avremmo trovato morte certa in un precipizio senza fine, bensì nuova vita. Terre sconfinate e nuovi popoli. Fantasticherie di un tale chiamatosi Tolomeo.

Eppur si muove! Pervenne qualchedun’altro che sperimentava la possibilità di un mondo non costretto tra una miriade di corpi intenti a ruotarvi attorno, al contrario! Il tale Galileo, a sostegno di idee copernicane, aveva contribuito a dare una svolta, un’innovazione, tale che i giudici del tribunale d’inquisizione decretarono di metterlo a tacere…

[…]

Io, latino per nascita, sanguemisto, ho trascorso anni di vita nello studio di codeste entità che hanno donato la propria vita alla scienza. Ma c’è mai stato un fondo di verità nell’occulto? Un lieve spessore: non tutti i giovani innocenti erano stati condannati senza motivo. Se è vero che la scienza è in grado di spiegare razionalmente i fenomeni che ci circondano, ebbene anche il soprannaturale può. Orride bestie, redivivi al di fuori della grazia del Signore vagano confondendosi tra di noi sotto spoglie umane: dissanguatori, non morti. Il nostro compito, affidatoci dal Signore nostro Dio, è quello di studiare il modo per scacciare queste entità grazie all’ausilio razionale di alcune armi forgiate dall’uomo…

[…]

Il mio trattato comincerà così, e spero che in questa spoglia terra, attaccata ancora a vecchie e lugubri tradizioni, il mio lavoro non vada sprecato. Finché le mie membra calcheranno questo suolo, la Transilvania sarà la mia patria.”

- Padre, siete ancora sveglio?- una voce carezzevole e fanciullesca irruppe nella stanza dall’arredamento barocco; uno studio angusto e adornato da scaffali si stagliava dinnanzi ad occhi color nocciola, incastonati in morbidi lineamenti rischiarati dalla flebile luce di un candelabro.

- Và a dormire, bambina. Non è bene che ad un ora così tarda tu sia ancora desta.- disse di rimando, poggiando la penna stilografica nell’apposito astuccio, l’oggetto con il quale stava segretamente iniziando la pargoletta.

- Ma l’ho sognato ancora.-

L’uomo abbandonò la scrivania intarsiata per raggiungere la propria figlia sull’uscio, e facendo scorrere le mani sui morbidi capelli di quella piccola bambina le donò un sorriso rassicurante, prodigandosi di riaccompagnarla nella sua stanza.

- Prendi questo,- le disse sfilandosi un ciondolo d’argento dal collo robusto -bada bene, finché l’avrai con te, non c’è nulla che tu debba temere.-

E così, quella dolce creatura cedette al richiamo di Morfeo.

-Transilvania, 1880.-

I venti deleteri spiravano incessantemente nella notte buia e tempestosa. Rumore di zoccoli scalpitanti squarciava la nebbia che come un manto di sottile seta avvolgeva in una morsa asfissiante ogni gola, vallata e precipizio dei Carpazi. Una notte senza luna, il cui cielo plumbeo veniva soltanto rischiarato dal pallido bagliore di un fulmine, precedente ad ogni tuono.

I cinerei cavalli ungheresi sfrecciavano su sentieri impervi, particolarmente pericolosi, posti sul ciglio di un burrone o diramati nel bel mezzo di una foresta. Brasov era appena stata superata, lasciata alle spalle da un cocchiere ammantato di rosso scarlatto; la cittadina medievale, posta esattamente al di sotto dell’imponente maniero da cui era sovrastata, trasmetteva appena un calore umano che spirava dalle finestre di locande illuminate. Tutto ciò scorreva con disinteresse dinnanzi ad occhi chiari e freddi come ghiaccio; inutile dire che il possessore si celava oltre uno strato di morbido velluto, tende, per intenderci. La corsa era quasi del tutto cessata quando in prossimità di un ponte levatoio, il cocchiere tirò le briglie causando il nitrito degli animali. L’uomo all’interno di quella carrozza scese facendo svettare il lungo mantello bagnandolo nelle pozzanghere, calpestando il selciato; poi, acuendo l’udito già decisamente sviluppato rispetto ad un comune essere umano, elargì un sadico sorriso, facendosi pervadere dalle urla provenienti dalle prigioni sotterranee.

L’ultima cosa che desiderava era che qualcuno le facesse visita. Quella giornata era stata la peggiore che avesse mai avuto -anche se poteva vantare una giovane età- ed il motivo principale era che la sua personale rivolta aveva condotto un umano alla sorte peggiore che potesse esistere. Ma dovette ricredersi, dopotutto il suo supplizio era cessato quando le ripugnanti creature avevano affondato i canini nella carne, estirpando tutta la linfa vitale dell’umano. Non voleva ammetterlo a sé stessa, ma l’angosciante verità era che probabilmente le sarebbe toccata una sorte ben peggiore, dato che era stata letteralmente trascinata attraverso l’imponente struttura per poi essere chiusa nelle prigioni e, precisamente, in quella che doveva essere la camera delle torture. L’odore di umido e marcio era talmente penetrante che cominciava a darle un senso di nausea, ormai sempre più vivo, ma ciò che la rendeva furiosa non poteva essere che l’impotenza causata dalla situazione. Respirò più affondo tendendo i muscoli del collo, sporgendosi per scoprire a chi appartenessero i passi svelti e nervosi al di là della massiccia porta. Tutto ciò che aveva fatto in quel frangente, in quei pochi istanti in cui ben tre mostri erano stati in grado di eludere le sue difese e trascinarla in quel penoso sotterraneo, era di accucciarsi sul lato sinistro della porta, decisa ad attuare la disperata impresa; estraendo con lentezza la boccetta di acqua santa stipata nello stivale destro, era pronta a scaraventarla addosso a chiunque avesse osato toccarla.

Ed eccolo, lo scricchiolio che sovrastò il pulsante rumore del battito frenetico del suo cuore la indusse ad issarsi sulle gambe per attaccare i propri aguzzini, ma le cose non andarono come aveva immaginato: tre lunghe chiome si stagliarono dinnanzi ai suoi occhi, sbarrandole il cammino e riversandosi nella cella facendo frusciare i lunghi abiti. L’umana scagliò la boccetta d’acqua benedetta contro la creatura irta dinnanzi ai suoi occhi, ma prontamente ella la scagliò via col dorso della mano, frantumandola sulla porta. Gli schizzi raggiunsero alcune parti di pelle nuda, caratterizzata dal pallore disumano, ma bastò alla giovane per riversarsi con uno spintone oltre l’arco massiccio e correre a perdifiato in quei corridoi bui. La distanza pareva non fosse mai abbastanza, ma l’ossigeno necessario cominciava a venir meno, accompagnato dall’ansia di una domanda soltanto: perché non vi era alcun suono?

Le vampire, sorelle di arcaica generazione, erano state sicuramente colte di sorpresa, ma per quanto fossero state sorprese con qualche goccia di acqua santa, le pareva impossibile che non fossero già intente a sbarrarle la strada. Si fermò un instante poggiando la schiena contro la parete dislocata, respirando affondo, come se il corridoio stesse per chiudersi attorno al suo corpo; quasi infastidita che non provenisse alcun suono dal luogo da cui era scappata, digrignò la mascella tra tanto buio, illuminato soltanto ad intermittenza dalla tempesta che imperversava al di fuori di quelle mura dalle finestre che parevano buchi per topi. Un pipistrello le sfiorò violentemente i capelli, costringendola ad abbassarsi, ma ciò le dette la spinta per continuare il suo percorso alla cieca. Poco passò fino a che una presa più salda le artigliasse i capelli, e questa volta non si trattava di un esserino antropomorfo. Irrigidì i muscoli prima che un dolore lancinante le partisse dalla radice, propagandosi sul cranio, ma fu subito pronta a scagliare una gomitata a chiunque vi fosse dietro di lei. Colpì con violenza, ma la presa non si allentò e tra tutto quel buio che contribuiva a renderla furente udì parole cariche di odio sibilare tra i denti:

- Te ne andrai di qui soltanto da morta, Nocturna!-

Dopodiché la giovane venne scaraventata a terra, sull’umido pavimento ricoperto da un sottilissimo strato di muschio, ove giacque per riprendere fiato. La creatura si muoveva in un luogo a lei sconosciuto, senza il bisogno di scorgere qualcosa nell’oscurità, siccome i suoi occhi erano paragonabili a quelli dei chirotteri in cerca di rumori familiari per piombare sulla preda. Nocturna -animo forte quanto leggiadro, come il nome del fiore che portava- si ritrovò a percorrere il corridoio a ritroso, scalciando e braccando il polso dell’essere che la stava trascinando per la spalla. Alla luce delle torce, di nuovo nella prigione, constatò che le tre sorelle non erano più da sole, bensì, colui che era intento a cingerle i polsi con delle pesanti catene, doveva essere una sorta di storpio aiutante. Si sentì nauseata dal respiro dolciastro di quell’essere che le alitava sul volto, mentre le consigliava di non ribellarsi ancora. “Se devo morire, tanto vale farlo prendendo a calci uno di loro”

Facendo leva sui vincoli di ferro, colpì al bassoventre quella specie di uomo facendolo arretrare di qualche passo. Sorrise in direzione delle giovani che la osservavano con disprezzo e voracità, come se appeso a quei ganci ci fosse un animale pronto ad essere dissanguato; l’ultima cosa che vide fu il dorso della mano dell’uomo svettare sotto il mantello scarlatto, e credé che a colpirla fosse stata una manciata di pietre. Il labbro diventò livido, ma non vi fu alcuna goccia di sangue. Nocturna parve restia a sfidarlo ancora con la stessa tecnica, ma non abbassò un istante gli occhi da quegli esseri, decisamente provata e stanca.

- Schifose bestie.- pronunciò tra i denti.

- Dov’è finito quel topo di biblioteca?! E’ scappato come un codardo, portandosi dietro il tesoro. Ora parla, se non vuoi che ti rompa tutte le ossa, dove si è nascosto?- si sentì domandare da quell’essere, i cui capelli strisciavano lunghi come serpi, solcando il volto perennemente in collera. Nocturna non rispose, decisa a rivolgere lo sguardo da un’altra parte. – Ti piace il gioco duro?- continuò quello, continuando il discorso a modo suo. Afferrandole di nuovo la chioma castana, le tirò la testa indietro provocandole un gemito di dolore. – Hai perso l’udito per caso?!-

- Va’ all’inferno!- rispose la giovane, venendo prontamente strattonata. Al suono delle catene seguirono le risa delle vampire che contemplavano la scena sulla soglia, godendo sadicamente. A Nocturna girò la testa, ma lasciandola andare il suo aguzzino pronunciò ancora parole cariche di disprezzo ed oscenità: - Vuoi che ti strappi la lingua a morsi?- disse lisciandole il collo pericolosamente esposto.

La giovane si ritrasse al suo viscido tocco per calibrare quanto le bastasse a colpirlo. Mirò decisa al bulbo oculare, avendo la meglio e non risentendo del dolore propagatosi lievemente sulla fronte.

- Maledetta sgualdrina.- ululò Cyrus tenendosi l’occhio, dopodiché Nocturna, facendo ancora pressione sulle catene, lo colpì al volto col tacco del suo stivale di camoscio nero.

“Al diavolo, tanto vale morire qui e subito!” pensò. Attimi di terrore e sgomento accompagnarono il susseguirsi delle vicende successive. Le vampire si erano ritirate nelle proprie stanze per dissanguare l’umano tramortito precedentemente al villaggio, mentre la giovane donna fu vittima del nerboruto essere che la fustigò, punendola per la sua ribellione e per gli insulti ricevuti.

Nocturna percepì la carne aprirsi sotto i colpi di quell’arnese; ogni frustata le bruciava come se scintille ardenti schizzassero dal duro laccio e quando avvertì del calore propagarsi lungo tutta la schiena, capì che la sua pelle era stata lacerata tanto da sanguinare, tanto da annebbiarle la vista.

Cyrus inspirò l’odore della paura estasiato, mentre urla di dolore permearono la cella finché la giovane non perse del tutto i sensi.

- Il Padrone è tornato, finalmente. Andate a porgergli i vostri omaggi!- gridò d’un tratto lo storpio, voltandosi e mostrandole una possente gobba, quasi come se fosse impazzito.

Ma bastò ad indurre le tre sorelle a raggiungere la sala grande di quel castello, accompagnate da mugolii di gioia. Prima di abbandonare del tutto la cella, l’essere tirò con forza una leva posta accanto al muro, che allungò i ceppi e fece piombare malamente la giovane al suolo.

Nocturna, oramai riversa completamente sul pavimento, precipitò in uno stato di incoscienza e torpore. Una volta sola, si concesse di riempire ancora i polmoni, rilassando il petto e facendo vagare lo sguardo alle catene che la tenevano ferma. Era riversa a terra, confusa, priva di forze. Ripensò al fatto che non avesse mai immaginato una possibile fine che le sarebbe toccata combattendo contro quelle creature. Si sarebbe aspettata di morire proteggendo la sua cittadina dall’attacco dei vampiri, quando una o due volte al mese abbandonavano il castello per sfamarsi. Si chiese per quale ragione la tenessero prigioniera, rinchiusa in un stanza come quella. Contro ogni aspettativa si ritrovò a rabbrividire al cospetto di un tavolo dai legacci spessi, ove vi erano alcuni strumenti di cui ignorava l’utilizzo, mentre lei si trovava quasi al centro dell’ambiente. Era trascorsa soltanto un’ora dalla sua punizione.

Quando al calar della sera le tre sorelle avevano attaccato Brasov non si era lasciata cogliere impreparata; quei vampiri erano forti, ma la sete lo era di più. Non attendevano più della data prestabilita, difatti Nocturna aveva una sorta di conto alla rovescia personale, con cui calcolava quanto mancasse al loro arrivo e, a distanza di così tanti giorni, poteva rinforzare gli uomini, munirsi di nuove armi e completare lo studio delle pergamene lasciatele dal padre. Era stata abituata sin da piccola a convivere con gli attacchi dei demoni, ma allora, oltre a suo padre, scomparso da mesi dopo essersi inoltrato in un viaggio verso l’Italia, vi erano alcuni studiosi come lui addestrati allo scopo. Poco prima del suo viaggio, aveva finalmente svelato alla figlia il motivo per il quale le erano sempre state inculcate cose da bambina e spiegatole il perché del bisogno d’un erede maschio, ma la madre di Nocturna era scomparsa molti anni prima, quando lei era troppo piccola per comprendere. “Almeno lei se n’è andata in pace” si diceva quando veniva ferita da uno di loro. Non aveva mai riportato ferite gravi, ma un singolo graffio di quelle fanciulle, di quei corpi rischiarati dal pallore della morte, le bruciava la carne come se fosse stato inferto da un grosso felino. Armata di balestra e remington le aveva fronteggiate con dardi e pallottole benedette, ma ciò che aveva ottenuto erano soltanto scarsi risultati; le creature erano veloci a rigenerare le ferite non inferte da determinati oggetti, come la lunga lista che le aveva tramandato Gustav, suo padre, alla luce del fatto che un giorno non avrebbe più potuto partecipare alla caccia. Paletti di frassino: inutili quando i nemici si libravano in volo; croci: utili soltanto a tenerli alla larga o bruciarli come qualsiasi oggetto santificato; acqua benedetta: indispensabile per proteggersi. La decapitazione sarebbe stata eccellente, ma avrebbe dovuto prima trovare il modo di impadronirsi della propria spada, ora nelle grinfie del nemico.

- Padrone…-

- Mio Principe.-

- Bentornato.-

Docili e melliflue si erano immediatamente precipitate nella sala grande, grigia a dalle grosse tende bordeaux, per accogliere ed omaggiare il loro sovrano di ritorno dall’estenuante ricerca. La figura alta, di un uomo il cui giovane quanto maledetto aspetto avrebbe attraversato i secoli, si stagliò dinnanzi a loro con sguardo tetro, vacuo, come se l’anima gli fosse stata strappata in brandelli dinnanzi ai suoi occhi, per renderlo ancor più oscuro e spietato. Consentì loro di avvicinarsi con un cenno del capo, ma le tre donne si astennero dal toccarlo e fargli qualsiasi effusione. Cyrus, inchinatosi al centro della sala quasi del tutto spoglia se non fosse stato per gli arazzi di scene contenenti antiche battaglie, narrò ciò che le adepte avevano riportato dall’ultimo attacco alla città; quello stesso pomeriggio, la figlia di Gustav Van Brunt era stata catturata e “scortata” nelle prigioni.

Il Principe ascoltò senza proferire parola, in una posa autoritaria, mentre le tre redivive osservavano con malizia e lussuria la camicia scarlatta da cui la pelle perfetta del collo risaltava su di un simile colore. Concesse un attimo al proprio interlocutore, dopodiché proferì gelidamente:

- Quale funzione stavi assolvendo tanto gravosa da deturparti il volto?-

Cyrus fremette al tono utilizzato, mentre con eccessiva paura digrignava i denti ripensando all’episodio accaduto nei sotterranei.

- La…la prigioniera, mio Signore.-

- Conducimi.- Rispose soltanto Dorcas Tepes, Principe dei Vampiri, esternando il disgusto provato.

La giovane, ancora supina, si sentiva svuotata e priva di ogni forza, mentre il liquido caldo colava ancora dalle ferite riportate sulla schiena, dove il suo indumento era ormai ridotto a brandelli. Tastò con la dita ancora una volta il pavimento di pietra sotto di sé, con la sensazione sempre più pulsante che delle lacrime le stessero pizzicando gli occhi. Digrignò i denti ricacciandole indietro e tentando di svincolarsi da quel torpore; anche se le frustate erano ammontate a sei, aveva ugualmente perduto conoscenza, chissà per quanto tempo, si chiese. Inspirò lievemente, poiché ad ogni movimento la pelle sembrava tirarsi e lacerarsi di nuovo, anche se il sangue cominciava lentamente a coagularsi. Rabbrividì poi, sentendo dei passi provenire dal corridoio oltre la cella, dal luogo da cui era arrivato il suo carnefice.

- E’ qui, padrone.- udì il suono ovattato al di là della massiccia porta e stringendo le palpebre assunse di nuovo la posizione rilassata di quando era svenuta. Probabilmente, se l’avessero scoperta così, l’avrebbero lasciata in pace per qualche altra ora.

La porta si spalancò per rivelare due figure, e dei passi lenti infransero il silenzio creatosi.

Il vampiro inspirò l’aria satura di quell’odore così familiare: metallico, dolce nettare. Dischiuse impercettibilmente le labbra rivelando le punte dei canini affilati, osservando quell’esile corpo riverso a terra. Il suo ripugnante servo, su cui posò uno sguardo indecifrabile, era stato colpito da un’infima umana. Una donna riversa ai suoi piedi per essere stata frustata e Cyrus si era discolpato spiegandogli il perché. Spazientitosi dinnanzi a quella messa in scena, in un fluido e veloce gesto, braccò il collo della giovane issandola a qualche centimetro da terra, facendole spalancare gli occhi e la bocca alla ricerca d’ossigeno. Nocturna percepì i muscoli tendersi e la pelle stirarsi, mentre osservava due pupille grigie ed inespressive… il sogno che da bambina turbava il suo riposo. Tentò di divincolarsi, facendo tintinnare le catene e raggiungendo la morsa gelida che le attanagliava il collo, ma ciò venne bloccato dalle dita del vampiro che facendo pressione sulle vie aeree le ammonì qualsiasi ribellione. La scrutò per poi lasciarla con uno strattone, per il quale la giovane dovette appoggiarsi al muro dietro di sé. Cyrus venne congedato con una singola parola, e Nocturna constatò quanto fosse autorevole ed inquietante colui che aveva riconosciuto come l’erede del Castello di Bran, il discepolo del Principe delle tenebre: Dorcas Tepes. Ella inclinò le sopracciglia dandosi della sciocca, affannando per la fatica che le costava starsene in piedi con la schiena ferita e sanguinante; ma dovette ammettere che l’aspetto di quell’essere fosse decisamente sublime, in contrasto col ripugnante servo con cui aveva avuto a che fare. “Dodici anni orsono si è inoltrato in un viaggio di destinazione ignota, per cui credevano che qualcuno l’avesse ucciso prima che portasse a termine una missione: la stessa che ha intrapreso mio padre. Se venisse a conoscenza che la risposta l’abbiamo ottenuta soltanto otto mesi fa, grazie ad un arazzo nel monastero di Cozia, sarebbe la fine per tutti. Il viaggio di mio padre, sarebbe stato vano.”

- Chi…- provò a chiedere innocentemente, una volta riacquistata abbastanza stabilità, ma dovette arrestarsi subito. L’essere l’azzittì con una singola frase pronunciata scandendo ogni parola. Non vi fu cambiamento nel suo tono di voce, inespressivo quanto arrogante: - Ti ordino di non proferire parola, a meno che non ti venga concesso.-

Ma a dispetto di ogni paura, Nocturna si ritrovò a ghignare affaticata.

- Non caverete un ragno dal buco- disse con sprezzo.

- Non ho alcun motivo di lasciarti incolume. Mi basta sentire ciò che ti chiedo, umana.-

- Preferirei morire, piuttosto.- rispose con avventata sfrontatezza.

Il Principe si dilettò in una sadica risata che risuonò per l’ambiente angusto, satura di scherno per l’essere inferiore che gli stava dinnanzi. - Ci sono cose peggiori della morte.- disse trafiggendola con uno sguardo. La giovane ribelle accolse quella frase con nuovi brividi e il bruciore alle spalle parve riacutizzarsi, ma nell’istante in cui il vampiro le rivolse una delle domande menzionate poco prima, lei parve decisa a sfidarlo col proprio silenzio.

- Dove si trova la reliquia?- chiese pacato, quasi come se non fosse interessato ad intimorirla con la violenza. – Ho viaggiato fino a quando non mi sono imbattuto nel re degli zingari, a Roma- ghignò socchiudendo le palpebre, mentre Nocturna allarmata emetteva un gemito di stupore. – Cosa hai fatto a mio padre?!- urlò quasi, ma le dita del Principe cinsero ancora la sua gola; era stato contraddetto una volta di più. – Non ti è concesso porre domante- disse in un sussurro. – Tuo padre è riuscito a sfuggirmi grazie all’ausilio del Vaticano; si è condannato da solo. Ma la reliquia… Quella è pervenuta sino a te- spiegò non allentando la pressione esercitata sulla pelle, ma a dispetto di tutto, Nocturna non aveva idea di cosa fosse “la reliquia”. Lo fissava in quegl’occhi privi di umanità, celati da ciocche scomposte, mentre i capelli scuri e selvaggi, riversi sulle spalle gli donavano un aspetto pericolosamente ammaliante. La sua mano la lasciò all’improvviso, ed un’espressione confusa cominciava a farsi largo su quel volto dai lineamenti gentili. In un movimento di lentezza esasperante, sorprendendola per il disprezzo che permeava da ogni singolo gesto, il vampiro le afferrò saldamente la spalla destra, e con la mano libera le premette il braccio facendola voltare, comprimendole il petto contro la parete, finché con flemma non raggiunse uno dei graffi provocati dalla frusta, deciso a portare a termine quella tortura.

- Parlerai.

Se prima non avesse mostrato alcun interesse a procurarle dolore, la giovane poté temere ogni azione causata dall’ostinazione che aveva elargito durante l’interrogatorio; il Principe Dorcas non aveva mostrato alcun segno di rabbia o risentimento, a differenza di quel servo. A dispetto di ciò che si sarebbe immaginata aveva scorto un’espressione indecifrabile, come se il vampiro lo facesse per dovere e sadico piacere, abituato a dettare legge, ad intimorire ed annichilire esseri che riteneva inferiori.

Le dita premettero senza remore sulla carne viva, costringendo Nocturna ad inarcarsi contro quel corpo gelido: in preda ad uno spasmo di dolore la pressione esercitata le bruciava come fuoco, e le parve che non avesse neanche la forza di urlare quando le labbra si spalancarono in un gemito strozzato. Strattonò le catene cercando di sottrarsi a quella presa: costretta, inerme. Il vampiro la sovrastava del tutto. Data la differente statura dovette chinare il capo per raggiungere la nuda pelle ricoperta dai lunghi capelli castani.

- No! Lasciami.- disse in un ultimo tentativo la giovane, ottenendo ancora pressione esercitata sui tagli.

Dorcas la liberò della sua mortale presa prima che perdesse i sensi ancora una volta, vedendola sorreggersi a stento. La prigioniera lo guardò sofferente, ma un lampo di paura attraversò i suoi occhi, vedendolo avvicinarsi ancora; pregò che il supplizio finisse al più presto mentre il vampiro osservava le dita sporche di quel liquido scarlatto, inspirandone affondo l’odore. Poi le domandò impassibile: -Vuoi che continui?

Nocturna scosse la testa, decisa finalmente a preservare qualche brandello di pelle intatta.

- Io… Io non conosco i motivi per cui mio padre ha abbandonato Basov.- disse con le palpebre socchiuse. – E’ partito otto mesi orsono. Io difendo la contea. Non so di cosa parli quando menzioni “la reliquia”.-

I suoi occhi avevano avuto uno scatto di troppo. Ma per il momento non importava se avesse elargito mezze verità; dato il primo impatto ricevuto, sarebbe rientrato nei suoi interessi non provare a ribellarsi ancora.

- Abbiamo finito, per il momento. Ti è concesso riposare.- disse voltandole le spalle e dirigersi oltre la porta, per abbandonare definitivamente i sotterranei.

- Pe…- ma prima che Nocturna potesse ultimare la frase, la figura del vampiro era scomparsa, unendosi all’oscurità delle segrete. – Perché?- mormorò sovrastando la quiete.

Il giorno sopraggiunse con scalpitante asfissia, gravando ancor di più sull’oscurità del luogo; l’umidità era palpabile nelle celle, e l’odore stantio pareva essere peggiorato. Il maniero era silenzioso, quasi come se fosse completamente disabitato. Nonostante i due servi si fossero prodigati di non far trasparire neanche un impercettibile raggio solare, le quattro soprannaturali entità occupavano le stanze dei livelli superiori senza abbandonarle neanche per un minuto. Le tre sorelle consumavano il loro disperato piacere lussurioso in compagnia dell’ennesima vittima, un malcapitato viandante perso nel bosco… Niente di meglio per trascorrere il lungo tempo a disposizione. Ma di tutt’altro parere era il Principe, deciso a riposare le membra sdraiato sul comodo materasso di un letto a baldacchino, nella stanza appartenuta al suo temibile antenato. Per quanto si sforzasse, non riusciva a non pensare all’episodio avvenuto nei sotterranei nelle ore notturne; l’erede di colui che veniva riconosciuto come il re degli zingari grazie al suo antenato, residente del Castello di Hunedoara -appartenuto in passato alla dinastia dei Tepes- occupava i sotterranei e per il momento, lui non aveva carpito nulla di ciò che gli interessava, soltanto l’impudenza di una ragazza nei cui occhi aleggiava un desiderio di morte. Si destò dopo intensi minuti di riflessione, deciso a raggiungere gli oggetti sottratti alla prigioniera, ora disposti su di una cassapanca in legno intarsiato. Le dita scorsero sul freddo metallo della spada, l’arma che catturò il suo interesse, percorrendone prima l’elsa su cui era incastonato un rubino e poi la lama liscia ed affilata. Un lieve graffio solcò il suo pollice, una ferita talmente marginale da richiudersi subito dopo, stillando una goccia di sangue scuro. La reliquia, più comunemente conosciuta come “Libro dei Numeri”, conteneva il rito secondo il quale venivano puniti coloro i quali si erano ribellati alla legge divina ed avevano infranto l'alleanza con Dio. Ghignò ripensando al patto sancito tra Gustav Van Brunt e il Vaticano, la cui prima vittoria si era tenuta a Roma, mentre quasi del tutto annientato si era rifugiato nel loculo di un cimitero, attendendo di essere riportato in Romania. Non sapeva se quel libro fosse caduto in mano agli umani, ancora troppo stupidi per accettare il male in cui stava piombando quella terra. “Non troverai nient’altro che morte, ovunque tu vada!” “Non avresti dovuto lasciare la terra che per anni ti sei prodigato di proteggere” “Mia figlia è pronta a morire, morirà fronteggiandoti! E’ il suo destino” rivide quegl’attimi attraverso le proprie palpebre serrate; un uomo che condannava la sua progenie alla morte. “E sia, Gustav” pensò senza remore. Avrebbe tenuto la prigioniera in vita ancora per un po’, oh sì, ma l’avrebbe utilizzata e piegata secondo il proprio volere. Lei era condannata fin dalla nascita.

In un lasso di tempo che le sembrava paragonabile al mezzodì, qualcuno era entrato nella stanza lasciandole un pezzo di pane, che trovò decisamente rancido, e dell’acqua di cui preferì ignorare la fonte dalla quale era stata raccolta. Probabilmente doveva trattarsi di neve sciolta, nel migliore delle ipotesi. Le ferite sulla schiena non rilasciavano più fluidi, constatò dai coaguli sotto il tocco lieve dei polpastrelli; sperò che quella solitudine durasse più di ogni altro momento ed interrogatorio che le sarebbe toccato. Sarebbe stato difficile rimanere incolume, ora che il Principe aveva fatto ritorno e sembrava più che convito a ricevere da lei le informazioni necessarie, motivato anche dalla sconfitta subita. Un dolore le attanagliò lo stomaco e dovette reprimere un conato di vomito dopo aver addentato l’ultimo boccone di quel pane, trovandovi una traccia nerastra; lo scaraventò lontano da sé cingendosi poi le ginocchia con le braccia. Osservò le catene ai suoi polsi riscoprendoli lividi, forse a causa degli sforzi esercitati per liberarsene. Sospirò rassegnata alla sua condizione, ricordando gli insegnamenti di quel padre sempre troppo occupato a lasciarle qualche spiegazione occulta, per iscritto. Si portò le dita al petto, ove il corpetto di velluto celava il pendaglio benedetto sfuggito agli occhi di chi l’aveva perquisita in precedenza. Chiuse le palpebre ignorando la paura che sembrava attanagliarle la mente, alla luce che la sua sorte era già segnata da principio. Le riaprì d’improvviso, sorpresa dallo scattare dei vecchi cardini.

 

 

 

 

 

 

Eccoci giunti alla fine di questo primo capitolo. Mi auguro che sia stato di vostro gradimento e soprattutto ci terrei a ricevere qualche parere^^

Grazie a chi è passato di qui!

Alla prossima,

Nihila

   
 
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