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Autore: Moony3    03/10/2011    3 recensioni
Questa storia è un Antefatto della mia precedente long fiction: "La Chiave del Tempo" (quindi, essendo un Antefatto, può essere letta da tutti).
È strettamente legata al Tempo, ma non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un Viaggio nel Tempo.
Vi ritroverete infatti a passeggiare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte famosi (ma non troppo) altre no - che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata la scusa ideale per immaginarmi quello che potrebbe essere successo prima degli avvenimenti raccontati da J. K. Rowling.
Se anche voi siete afflitti da questa curiosità, liberate la fantasia e partite per questo (non così) lungo viaggio sulle tracce de "I Custodi delle Chiavi del Tempo".
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo Ottavo

Il licantropo, la strega e l'armadio




Casa Tonks, 5 luglio 1997 A.D.

Uno Schiopodo stizzito.
Quando Ninfadora si arrabbiava aveva il potenziale distruttivo di uno Schiopodo stizzito.
Remus lo sospettava da tempo, per la verità, ma ora la cosa si era palesata in tutta la sua devastante concretezza.
Forse perché anche Andromeda, quando si arrabbiava, aveva il potenziale distruttivo di uno Schiopodo stizzito...
Sospirando, l'uomo osservò mesto i due delicati tavolini travolti dalla vivace reazione di Ninfadora e, sfoderando la bacchetta magica, si accinse a sistemare il vaso di una povera aspidistra, incolpevole vittima dell'altrettanto vivace reazione di Andromeda.
Ted Tonks si alzò dal divano - dal quale aveva assistito impassibile allo scambio di battute tra le congiunte - e si guardò attorno un po' accigliato.
«Lascia» disse, impugnando la bacchetta magica e lanciando un impeccabile Incantesimo Reparo verso una panciuta lampada che, privata del suo fragile cappello di vetro colorato, oscillava silenziosa in un angolo mostrando, impudica, la nuda lampadina. «Ci penso io. Non ci crederai... ma ci sono abituato» concluse, abbozzando un sorriso rassegnato.
«No, ti do volentieri una mano» ribatté Remus, mentre il padre di Tonks fissava i cocci di quello che, fino a pochi istanti prima, era stato un non particolarmente sobrio portaombrelli di ceramica bianca. «In fondo tutto questo è colpa mia».
Ted guardò meditabondo il mago più giovane poi, scuotendo le spalle, lasciò perdere il portaombrelli e dedicò la sua attenzione a un piccolo, grazioso armadio di legno finemente intarsiato, le cui ante di cristallo erano state infrante dallo scontro con il non particolarmente sobrio portaombrelli.
Remus decise di rendersi utile aggiustando un'eterea brocca di vetro soffiato che non aveva avuto miglior sorte delle ante dell'armadio.
Lo faceva davvero volentieri.
La ricomposizione delle povere vittime del cataclisma lo distraeva dalle voci alterate che i pur notevoli muri e la massiccia porta - limitatasi ad emettere un dignitoso gemito di protesta quando la padrona di casa se la era chiusa alle spalle con indiscutibile energia - non riuscivano a contenere del tutto.
E, cosa non meno importante, gli forniva una scusa perfetta per evitare di intavolare con Ted Tonks una chiacchierata che definire spinosa sarebbe stato un eufemismo.
Oh, gli stava simpatico Ted Tonks. Davvero. Da ragazzino lo aveva incontrato diverse volte, e non aveva avuto problemi ad intavolare piacevoli chiacchierate con lui. Anzi...
Ma ora le cose erano un tantino diverse, purtroppo. E una piacevole chiacchierata con Ted Tonks era una pia illusione, al momento.
Remus, in tutta onestà, poteva anche capirlo: quale padre sarebbe stato entusiasta di intavolare una piacevole chiacchierata con il vecchio licantropo spiantato che ne insidiava l'adorata bambina?
Non gli era sembrata un'idea così brillante, infatti, la doppia rivelazione che Tonks, al momento del dessert di una cena che si poteva definire di lavoro, aveva fatto su di lui.
Fino ad allora tutto era stato perfetto: Andromeda e Ted erano dispostissimi a mettere a disposizione la loro casa per ospitare la Passaporta che avrebbe riportato Harry alla Tana. Stavano giusto pianificando i particolari e la tempistica dell'azione, quando Tonks aveva avuto la bella pensata di spiegare che la data  del recupero di Harry non era ancora stata stabilita ma che, di sicuro, non sarebbe stata la notte del plenilunio, per via della licantropia di Remus. Andromeda e Ted erano rimasti un po' scossi, ma avevano reagito meglio di molti altri, Remus doveva ammetterlo. Certo, non avevano mostrato l'inquietante entusiasmo che aveva caratterizzato le reazioni di Sirius e di Ninfadora alla medesima informazione, ma questo a Remus non era dispiaciuto. Tutt'altro. I coniugi Tonks avevano avuto una reazione sensata, e Remus amava le reazioni sensate. Il problema era arrivato con la seconda rivelazione ad effetto fatta da Ninfadora. Quella sì che aveva steso, comprensibilmente a parere di Remus, Andromeda e Ted.
Come era venuto in mente a Ninfadora di definirlo il suo ragazzo? Ragazzo? Già quel termine avrebbe fatto andare di traverso la cena a chiunque, se applicato a un trentasettenne precocemente brizzolato. Il modo in cui Andromeda lo aveva guardato lo aveva fatto sentire un vecchio satiro libidinoso. Abbastanza appropriato, volendo. Solo la creatura coinvolta era sbagliata...
Remus non poteva biasimare la donna, tutto sommato, ma questo non rendeva minore il suo imbarazzo e il suo cocente desiderio di trasfigurarsi seduta stante in... un'aspidistra, magari. Erano carine le aspidistre. E nessuno guardava con disprezzo - o con orrore - un'aspidistra, che lui sapesse...
«Uhm... te la cavi bene con l'Incantesimo Reparo» notò Ted con una certa ammirata sorpresa. «Non è facile riparare una brocca di vetro di Murano senza lasciare segno».
Remus si riscosse, posando con delicatezza la brocca riparata nell'armadio e si strinse nelle spalle. «Ci sono sempre stato abbastanza portato. Per mia fortuna... è utile per un... per uno come me».
Ted socchiuse gli occhi e si chinò per raccogliere un'antica pergamena, guardandosi poi in giro un po' confuso.
«Manca qualcosa all'appello?» chiese Remus, riparando con un colpo di bacchetta ben assestato il portaombrelli di ceramica.
Ted osservò corrucciato il portaombrelli, poi portò la sua attenzione su Remus e annuì. «Sì, il vecchio medaglione che zio Alphard ha regalato ad Andromeda il giorno del nostro matrimonio. Un oggetto... singolare, a mio parere. Andromeda non lo ha mai indossato, che io ricordi, ma ci tiene molto... forse perché è stato l'unico segno di accettazione da parte della sua famiglia» concluse, osservando Remus con una strana espressione.
Remus, un po' imbarazzato da quello sguardo, affondò le mani nelle tasche e dondolò leggermente sui talloni, desiderando sempre più ardentemente di sapersi Trasfigurare in un'aspidistra: avrebbe davvero dovuto prestare più attenzione alle lezioni di Minerva sull'Autotrasfigurazione, invece di perdere tempo con le Rune Antiche...
Quando sentì un insolito scricchiolio provenire da sotto la scarpa destra si accovacciò un po' preoccupato a controllare: a volte si sentiva praticamente coetaneo di Flamel... ma ancora le sue articolazioni non scricchiolavano in quel modo allarmante, di solito.
Infatti, notò rinfrancato, lo scricchiolio era dovuto a una lunga catenella dorata che si era insinuata sotto la sua scarpa. Remus la raccolse e sorrise vittorioso.
«Sai, Ted, credo di avere ritrovato l'ultimo disperso» disse, rimirando sorpreso l'oggetto dorato a cui era attaccata la catenella: un grosso medaglione che, per forma e dimensione, ricordava vagamente un antiquato orologio da taschino; una minuscola fenice di un vivace color corallo ne occupava il centro, sorgendo maestosa da vivide fiamme d'argento, mentre un serpente scuro si snodava, sinuoso, lungo il bordo, formando un perfetto Uroborus.
Gli era familiare quel gingillo.
Lo aveva ammirato innumerevoli volte, accuratamente riprodotto su una delle pagine un po' sgualcite del diario di Althea Black, piacevolmente sorpreso di apprendere che quella che riteneva una leggenda era invece stata una realtà. Del resto, Remus sapeva che spesso le realtà venivano mascherate da leggende per spiegarle - o per nasconderle - a coloro che non potevano comprenderle.
Per i suoi nonni Babbani anche i maghi erano una leggenda. E persino i licantropi...
Con mani un po' malferme, Remus provò ad aprire il medaglione, sgranando gli occhi estasiato quando non ci riuscì.
«No, non si apre» lo avvisò Ted. «Non solo è di un gusto singolare, ma è anche rotto. Pensa che neppure Dora ha mai voluto indossarlo».
Remus sorrise dell'opinione che Ted sembrava avere del gusto della figlia. Poteva anche condividerla. Non che si lamentasse, ma bisognava ammettere che il completino intimo disseminato di draghi - Petardi Cinesi, per la precisione - che si era regalata qualche giorno prima era molto originale, anche se non quanto le mutande con Manticora ringhiante, piazzata in zona tanto strategica quanto delicata, che aveva regalato a lui. Non si vergognava di ammettere che tutto il suo coraggio Grifondoro non era bastato a convincerlo ad indossarle. Aveva sempre sospettato che tale coraggio fosse parecchio sovrastimato, in effetti.
«Alphard ne portava uno simile, sai? Meno appariscente però... non aveva animaletti sgargianti disegnati sopra, se ricordo bene... quando diede quello ad Andromeda lo accompagnò con questa» disse Ted, sventolando la pergamena che aveva appena raccolto. «Un regalo di nozze indubbiamente stravagante. Ma, del resto, zio Alphard era un uomo stravagante, non mi stupisce che anche i suoi doni lo fossero».
Oh, sì. Alphard Black era sicuramente un uomo stravagante - Remus ricordava ancora il suo idealistico discorso sull'Eleganza del Lupo - ma di certo era conscio che quel dono di nozze non era affatto un vecchio medaglione rotto: era una delle due Chiavi del Tempo ancora esistenti all'epoca di Althea. Quella funzionante. E Alphard lo sapeva. Remus non aveva dubbi in proposito. O non gli avrebbe donato quel vecchio diario. I doni di zio Alphard erano molto ragionati. Sapeva perfettamente cosa donare e a chi.
Un po' trasognato, Remus prese la pergamena e cominciò a scorrere rapidamente i segni runici che la ricoprivano.
No, tutto sommato aveva fatto bene a dedicarsi a Rune Antiche.
Certo, sarebbe stato consolatorio potersi Trasfigurare in un'aspidistra, di tanto in tanto... ma potere leggere quella pergamena era di sicuro molto più istruttivo.
L'Incantesimo per azionare la Chiave del Tempo! Quante possibilità gli si spalancavano davanti!
Avrebbe potuto tentare di salvare James; o Sirius; o i suoi genitori... o Silente. Sì, quanto gli sarebbe piaciuto mettere le mani su quel traditore di Piton!
Immerso nei suoi pensieri, Remus trasalì leggermente quando Ted gli prese il medaglione dalle mani e, con un sorriso di sollevata gratitudine, lo ripose nella vetrinetta. «Andromeda si sarebbe arrabbiata molto se il medaglione di zio Alphard fosse andato perso. E non è uno spettacolo edificante Andromeda, quando si arrabbia. Dev'essere il suo retaggio Black... oh, non che mi stia lamentando, sia chiaro. Mi piace così com'è la mia Andromeda, la risposerei immediatamente, che diamine, un po' di fuoco ci vuole in una donna».
Remus annuì, guardando la porta serrata della cucina - l'accesa discussione delle due donne non accennava a placarsi - non poteva dare torto a Ted: un po' di fuoco in una donna piaceva anche a lui.

«Magari questa volta vinceremo» esclamò Ted, lasciandosi cadere sul divano e afferrando un giornale che stava appoggiato a uno dei delicati tavolini appena risanati.

Remus lo guardò pensieroso, riponendo la pergamena nell'armadio e, dopo avere chiuso con delicatezza le antine di cristallo, si avvicinò incerto al divano.
«Be', ci proveremo con tutte le nostre forze» proclamò, cercando di ignorare il soffocante senso di disperazione che lo aveva assalito dal momento in cui Silente era stato ucciso. Si era sentito perso in quel terrificante momento, smarrito. Sbattuto in prima linea, privato della calda, rassicurante presenza del suo comandante, del suo mentore. Si era sentito come quando aveva sei anni e, in una limpida notte di plenilunio, il suo mondo era crollato. Solo Ninfadora riusciva a fargli guardare con speranza al futuro. Quando era con lei, la conquista di un mondo migliore gli sembrava davvero possibile... ma, forse, non era il caso di rendere edotto Ted Tonks sui metodi usati dalla sua bambina per riappacificarlo con il mondo.
«Harry è la nostra speranza» affermò quindi con decisione. Ed era vero. Remus lo sapeva e non solo perché glielo aveva detto Silente.
Ted lo osservò incuriosito prima di aprire il giornale e di fermarsi interessato su una pagina. «Harry? Un nuovo acquisto? Ma sono sicuro che non potrà certo tenere testa a Berkamp» disse convinto. «Me lo sento. Questo è l'anno di quel ragazzo!»
Remus lo scrutò un po' sconcertato. Anche Ninfadora lo sconcertava, a volte. Probabilmente era una caratteristica di famiglia.
«E' un mago di tua conoscenza questo Berkamp, Ted? Non mi pare di averlo conosciuto, ancora. Ma se vuole appoggiare l'Ordine della Fenice è sicuramente il benvenuto».
«L'Ordine...» Ted abbassò lo sguardo, un po' imbarazzato. «No. Ecco, io stavo parlando di...» abbozzò un sorrisetto contrito e concluse in un sussurro: «Calcio. Ma probabilmente tu non saprai neppure cos'è il calcio».
Remus scosse il capo, divertito da quell'uomo biondo e un po' panciuto che, al momento, somigliava tanto a uno scolaretto sorpreso dalla McGranitt in persona mentre tentava di incantare un disegno di Madama Rosmerta in tenuta succinta. «Oh, io so qualcosa sul calcio, invece. Mio padre era un Nato Babbano, Ted. Quando è andato a Hogwarts gli altri ragazzini hanno tentato di convertirlo al Quidditch, naturalmente. E lui si è appassionato velocemente al nuovo sport, diventando un tifoso dei Cannoni di Chudley».
Ted fece una smorfia. «Uh...»
Remus rise: «Già. Ma il calcio è rimasto la sua grande passione. Passione che ha condiviso con me» sorrise al ricordo e, distratto, si sedette accanto a Ted, sbirciando il giornale che questi teneva aperto. «Uno dei miei ricordi d'infanzia più piacevoli riguarda proprio il calcio, sai? Era il 30 di luglio del 1966 - un periodo... complicato, per la mia famiglia - e, allo stadio di Wembley, l'Inghilterra vinse i Mondiali di Calcio. Contro la Germania, 4 a...»
«4 a 2!» concluse Ted, con entusiasmo. «Che partita! Che serata! Chi non se la ricorda... ma tu dovevi essere molto piccolo».
«Avevo sei anni. Ed è curioso che, sia il ricordo più dolce della mia infanzia che quello più amaro, risalgano proprio a quell'anno».
«Quello più amaro?»
Remus scosse il capo e abbozzò un sorriso triste. «Non è importante, adesso. Era una bella serata d'estate, quella della finale. Mancavano un paio di giorni alla luna piena e mio padre sorrideva felice. Erano mesi che non sorrideva felice. Soprattutto se il plenilunio era vicino... forse è per questo che il calcio mi piace quanto il Quidditch».
Ted lo fissò intensamente. «Il plenilunio? Il ricordo più amaro della tua infanzia? Eri già...»
«Sì» rispose secco Remus. Gli occhi di Ted si stavano velando di compassione - succedeva, a volte, quando parlava di quell'argomento con persone particolarmente sensibili - e Remus non sapeva gestirla la compassione. Lo metteva in imbarazzo... tutto sommato preferiva il disprezzo. «Così sei convinto che Berkamp sarà fondamentale per la vittoria del campionato?» chiese quindi a bruciapelo, prima che l'altro uomo potesse approfondire l'argomento.
«Assolutamente sì! Quest'anno il Manchester ci ha fregato... ma il prossimo campionato sarà sicuramente dell'Arsenal!» affermò Ted con assoluta sicurezza, poi squadrò Remus con sospetto. «Di' un po'... non sarai mica un tifoso del Tottenham, tu!».
Remus si affrettò a negare - Ted non aveva reagito con tanto sdegno neppure quando Ninfadora lo aveva informato che quel vecchio, spiantato licantropo era il suo ragazzo - e precisò: «No! Assolutamente no. Papà mi avrebbe disconosciuto in un caso simile! Tifo Arsenal come te. E come lui».
Ted sorrise compiaciuto. «Tuo padre ha dimostrato molto buon senso, nonché un innegabile gusto, nella scelta della squadra del cuore».
«Per quella di calcio sicuramente. Per quella di Quidditch, insomma... ma è stata una scelta obbligata. C'è un motivo ben preciso che lo ha spinto a scegliere quella particolare squadra...»
Ted gemette ed esalò: «Il cannone, suppongo... un simbolo che avvicina i Cannoni e l'Arsenal».
Remus annuì divertito. «Non mi dire che anche tu...»
Ted sospirò affranto. «Eh...» poi si ricompose e, preso un profondo respiro intonò: «And with a cannon on our chest
We play with heart, mind and zest
And we are proud to be Arsenal
In Victory through Harmony». *
Remus rise: Ted Tonks era sicuramente il padre di Ninfadora. Cantava con il medesimo, irresistibile entusiasmo. E con la stessa scarsa intonazione, anche...
«Hai detto bene. Una scelta assolutamente obbligata! Purtroppo non vedo una possibile, prossima vittoria per i Cannoni» affermò Ted mesto quando finì la canzoncina, poi, assestando una manata sulla spalla di Remus, esclamò allegro: «Ma quest'anno l'Arsenal mi darà grandi soddisfazioni. Vedrai se non vinceremo. E, alla fine del campionato, festeggeremo assieme, tu ed io! Davanti a una bella birra di quelle serie... di quelle senza burro, per intenderci!»
Remus annuì, ma chiese titubante: «Pensavo di non piacerti... insomma...»
«Oh, non è che tu non mi piaccia in generale... diciamo che non sei esattamente il genero ideale».
«Genero? Ma io non ho...»
«No, non ancora. Ma ci stai pensando. Oh, non negare! Ho visto come la guardi. E poi, sono sicuro che Dora sia più che decisa ad agire in tal senso. Sì. Ho visto anche come lei guarda te».
Remus tacque e Ted proseguì: «E' identica a sua madre in questo. E io non commetterò di certo l'errore che commise il padre di Andromeda. Tra l'altro non sei neppure il candidato peggiore che ci ha presentato. Anzi... l'ultimo che abbiamo conosciuto aveva una meravigliosa cresta appuntita di un affascinante verde acido, un anello al naso e più che parlare grugniva... ma con grande espressività, eh. Suppongo che i tuoi grugniti non siano particolarmente espressivi».
Remus scosse il capo, avvilito. «No, io... non sono molto bravo con i grugniti, mi dispiace».
«Va bé, sopravviveremo. Seriamente, Remus, non ho nessuna intenzione di perdere la mia bambina... e se questo significa accettare te, lo farò di buon grado. Poteva andare peggio, dopo tutto».
«Già. Potevo avere anche una cresta verde acido e un anello al naso».
«Più che altro potevi essere anche un tifoso del Tottenham...»

«E' inutile, mamma!»

La porta della cucina si spalancò all'improvviso e Ninfadora l'attraversò come una furia, travolgendo la povera aspidistra.
Remus sussultò, osservando affascinato il rosso brillante che caratterizzava i capelli della ragazza: avevano la stessa tonalità della fenice dipinta sulla Chiave del Tempo.
Ted, con un gesto furtivo di bacchetta, sistemò il vaso della pianta.
«Sono robuste le aspidistre» sussurrò divertito. «Le uniche piante che sopravvivono in questa casa. O loro o quelle di plastica».
Remus annuì distratto, osservando un po' intimorito Andromeda che stava varcando la soglia. Sfoggiava la sua solita chioma di un morbido, rassicurante castano, ma non era meno inquietante della figlia. Doveva essere la luce un po' folle che le illuminava lo sguardo, decise Remus, la stessa luce che illuminava, a volte, quello di Sirius...

«Inutile? Oh, no, non credo proprio!» esclamò Andromeda evitando per un soffio uno dei due delicati tavolini per raggiungere la figlia, giunta ormai in prossimità del divano su cui ancora sedeva - ostentando un'invidiabile, olimpica serenità - Ted.

«Be', faresti meglio a crederlo, invece!» assicurò Ninfadora. «Perché questa volta non riuscirai a farmi cambiare idea! Sei riuscita a farmi rinunciare a Manfred! Ma non riuscirai a farmi rinunciare a Remus!»
Remus gemette, cercando istintivamente la bacchetta quando Andromeda lo fulminò con un'occhiata assassina e desiderando più che mai di potersi Trasfigurare in una resistente aspidistra...
«Manfred?» sussurrò poi avvertendo un improvviso attacco di quella che sembrava proprio gelosia. Le aspidistre avevano anche il vantaggio di non soffrire di tali odiosi sentimenti. «Il ragazzo con la cresta verde acida?»
«No» rispose Ted a voce bassissima. «La Manticora di peluches che Ninafadora aveva da piccola. Era ridotta malissimo, faceva anche un po' senso... ma non è stato facile fargliela abbandonare».
«Ah. Una Manticora?».
«Insolito, lo so. Fu un regalo di zio Alphard, nemmeno a parlarne. Tutte le altre bambine impazzivano per creature graziose come gli Unicorni... ma Dora, no».
«Sì, ricordo. A Ninfadora sono sempre piaciuti i mostri».
«Già. Aveva una predilezione per gli Avvincini, a dire il vero... ma pare che peluches di Avvincini non ne esistessero... così si accontentò di Manfred la Manticora».
«Pare che le piacciano anche ora, i mostri» mormorò Remus, sistemando con un colpo di bacchetta il vaso di cristallo appena urtato da Ninfadora.
Ted gli scoccò un'occhiata pensosa, poi si strinse nelle spalle e affermò orgoglioso: «Pare, sì. Ma solo certi tipi di mostri. Quelli meno mostruosi. Infatti non ha mai neppure preso in considerazione un tifoso del Tottenham».

«Oh, no! Ferma lì, signorina!» tuonò Andromeda. «Non abbiamo ancora finito».

«Questo lo dici tu. Io ho finito eccome. Ti ho detto proprio tutto quello che ti dovevo dire e ora me ne vado. Con Remus».
Andromeda le si piazzò minacciosa davanti, le mani sui fianchi. «Se uscirai da quella porta...»
«Cosa? Se uscirò da quella porta cosa, mamma? Mi rinnegherei? Estirperai il mio nome dall'Albero Genealogico per impedirmi di rovinarlo?»
Andromeda vacillò leggermente, come se la figlia l'avesse schiaffeggiata, quindi disse, in un tono diverso, sconfitto: «Ninfadora...»
«Ecco, appunto! Avresti dovuto pensarci prima a preservare la dignità dell'Albero Genealogico! Mi basta un nome tanto assurdo per rovinarlo!»
Così dicendo, Ninfadora afferrò una mano di Remus, baciò fugacemente una guancia al padre e uscì con decisione dalla casa. Travolgendo il portaombrelli non particolarmente sobrio - che, cadendo, finì in mille pezzi - e inciampando nell'antico tappeto persiano.
Remus la sostenne con sicurezza e, ricorrendo a un impeccabile Incantesimo Reparo, sistemò il sinistrato manufatto lanciando poi un sorrisetto timido a Ted che, per motivi a lui incomprensibili, guardava accigliato e triste il portaombrelli riparato.
Prima che potesse sincerarsi di non avere fatto danni nella ristrutturazione, però, Remus venne trascinato bruscamente via da Ninfadora.

*****

Ted osservò mesto il portaombrelli di ceramica decorato da una profusione - francamente eccessiva, a suo parere – di grassocci puttini boccoluti e di opulente ghirlande di frutta.
Ted aveva sempre detestato quel non propriamente sobrio manufatto. Pensava che il posto più adatto per ospitarlo fosse la cantina, ma ad Andromeda sembrava piacere... quindi era stato sistemato in soggiorno in modo che tutti potessero ammirarlo.
Ted aveva tentato in tutti i modi di piazzarlo in postazioni strategiche - vale a dire lungo traiettorie spesso percorse dalla sua distratta bambina - e infatti era stato infranto più volte. Ma mai in modo sufficientemente grave da non poter essere ricomposto con un Reparo ben diretto, purtroppo...
Ma quel giorno ci era andato vicino. Per ben due volte. E per ben due volte Remus Lupin aveva pensato bene di risistemarlo, per Merlino!
Tra tutti i difetti che Andromeda gli aveva immediatamente trovato - Ted non sapeva ancora quali fossero, a dire il vero, ma non dubitava che la moglie ne avesse già scovati almeno una dozzina e che presto li avrebbe minuziosamente illustrati anche a lui - non ci poteva anche essere un assoluto impedimento per l'Incantesimo Reparo?
Sospirando avvilito, il mago distolse l'attenzione dal portaombrelli risanato e la portò sulla moglie.
Aveva un paio di cosette da discutere con lei.
Se Alphard, anni prima, non si fosse imbattuto in un Lethifold affamato, Ted si sarebbe limitato a chiamarlo. Non aveva dubbi che zio Al avrebbe saputo ricondurre alla ragione Andromeda Black ma, non potendo richiamarlo dall'Aldilà, l'ingrato compito sarebbe toccato a lui.
Dopo aver preso un profondo respiro ed essersi preparato alla complicata missione diplomatica che lo attendeva, Ted si alzò dal divano e si avvicinò alla moglie che se ne stava ancora immobile in mezzo alla stanza, scrutando con espressione indecifrabile la porta da cui erano appena usciti Dora e Lupin.
«Dromeda» mormorò con gentilezza.
La donna si riscosse e lo osservò, in attesa. Ted sapeva per esperienza quello che la figlia non aveva ancora capito: l'unico modo per discutere ragionevolmente con Andromeda era quello di mantenere un tono pacato. Se cominciavi ad alzare la voce, potevi dire addio a ogni speranza di farle comprendere i tuoi punti di vista.
«Se n'è andata davvero!» disse la donna, incredula.
«Sì, se n'è andata davvero. Ne dubitavi, forse?»
«Non lo aveva mai fatto! Neppure quando le ho intimato di separarsi da Manfred!»
Ted trattenne un sorriso assolutamente fuori luogo e spiegò con calma: «Non è esattamente la stessa cosa, direi. Oh, non metto in dubbio che Dora fosse affezionata a Manfred... ma sono propenso a credere che quello che la lega a Remus sia di natura un tantino diversa».
«E'... è un Lupo Mannaro, Ted! E' un ibrido! Un mostro!»
«Evidentemente per nostra figlia è solo un uomo. L'uomo che ama».
Andromeda lo guardò incredula. «Ma non può amarlo davvero! Non è... non permetterò a mia figlia di rovinarsi la vita per un... un...»
«Un Abominio? Un essere inferiore? Non vorrei allarmarti, tesoro, ma ti sei resa conto che stai parlando come tuo padre?»
Andromeda sussultò. «Non... la situazione è completamente diversa, Ted! Tu eri solo nato in una famiglia che mio padre riteneva sbagliata! Lui...»
«Lui?»
«Lui è un mostro! La sua semplice vicinanza potrebbe essere devastante per Ninfadora!»
«Mmm, tuo padre pensava la stessa cosa della mia vicinanza. Andromeda, a te piaceva Remus da ragazzino. E lui era già un licantropo all'epoca. Da alcune cose che ha detto, credo che lo sia da quando aveva sei anni».
Andromeda lo guardò allibita. Ted, sicuro di avere scorto un lampo di pena attraversarle lo sguardo, continuò con maggiore serenità d'animo: «Non mi pare abbia mai sbranato nessuno. Non vedo perché dovrebbe cominciare proprio da Dora. Che, permettimi di ricordarti, è un Auror, quindi perfettamente addestrata a fronteggiare ogni genere di situazione».
«Ma lo stare con lui le metterà tutta la società contro!»
«Tutta la società, dici? Non mi pare che i Weasley, o gli altri membri dell'Ordine, abbiano qualcosa da ridire».
«Tutta la società... che conta».
«Oh, ecco. La società che conta... era il medesimo timore che tuo padre aveva quando gli hai presentato me».
«Ma è diverso! Tu... lui...»
Ted inarcò un sopracciglio osservando interessato la moglie. Era davvero curioso di sapere come avrebbe concluso la frase.
Ma la donna non la concluse. Si limitò a sbuffare e ad abbassare la testa.
Un po' dispiaciuto, Ted le scostò i capelli dal viso e disse con dolcezza: «Dora sta facendo esattamente quello che hai fatto tu, tesoro: sta combattendo per potere stare con l'uomo che ama. Non imporle di scegliere tra noi e lui. Non farlo, perché sai quale sarebbe la sua scelta, vero?»
Andromeda annuì mesta. «Parli come zio Al, sai?»
«Ci speravo. Avrebbe dovuto essere lui a farti questo discorsetto, infatti. Ricordi che te lo aveva promesso?»
La donna sospirò avvilita. «Ricordo che aveva detto che se mai mi fossi comportata come mio padre ci avrebbe pensato lui a farmi rinsavire» sollevò lo sguardo, fissando il marito, sconvolta. «E lo stavo facendo, vero? Mi stavo comportando come mio padre».
«Ti stavi comportando in modo abbastanza simile, sì...» convenne Ted con cautela. «Così, ho dovuto pensarci io a farti rinsavire. Ma pare abbia funzionato ugualmente. Sei rinsavita, vero?»
«Sì. Quindi secondo te dovremmo accettare il Mannaro...»
«Remus. Dovremmo accettare Remus, Dromeda. Per non perdere anche Dora. Mi sembra un sacrificio ragionevole. Ovviamente, se il ragazzo...»
«Ragazzo
«Be', ha una decina di anni meno di me, eh... e, visto che io sono nel fiore degli anni, lui non può che definirsi un ragazzo».
Andromeda sorrise divertita, e Ted si sentì al settimo cielo: era la cosa che preferiva, riuscire a fare sorridere Andromeda.
«Giusto. Ma dicevi?»
«Oh, sì, dicevo: ovviamente, se il ragazzo oserà fare del male alla nostra bambina andrò da lui e lo Trasfigurerò in... un'aspidistra, lasciandolo poi in balia di Dora!»
Andromeda lo abbracciò ridendo. «Sì, ti ci vedo proprio».
Ted ricambiò l'abbraccio e chiese: «Mi sembri un po' scettica. Vuoi insinuare che non ne sarei capace?»
Andromeda si scostò leggermente e, scrutando il marito negli occhi, spiegò divertita: «Ti conosco, Ted ma potrei anche concederti il beneficio del dubbio se non ti avessi visto mentre, invece che scagliare lontano gli gnomi che infestano il giardino, tentavi di convincerli a trasferirsi altrove».
«Ah...» l'uomo abbassò lo sguardo, un po' imbarazzato.
«Ma non ti preoccupare. In caso ci andrei io da lui a Trasfigurarlo. Ma non in un'aspidistra, no, sono resistenti le aspidistre. Lo Trasfigurerei in un delicato portaombrelli di ceramica, per lasciarlo poi in balia di Ninfadora».
Ted rise, accarezzando con tenerezza i capelli della moglie, quindi aggiunse: «A proposito di portaombrelli... Remus ha il requisito fondamentale per essere un buon compagno per Dora. Sa eseguire un Incantesimo Reparo praticamente perfetto!»
Andromeda annuì, quindi chiese: «Ma tu credi facciano davvero sul serio?»
«Sì, oh sì. Dora lo guarda come tu guardi me».
«Già... e lui ha per lei lo stesso sguardo ebete - per dirla con Sirius - che tu sfoggi solo quando guardi me».
«Io non ho mai uno sguardo ebete!»
«Uhmf... saresti più credibile se non lo avessi anche adesso, mentre affermi di non averlo, sai?»
«Va be', lasciamo perdere... comunque penso che, visti i peculiari gusti di Dora, ci sarebbe anche potuta andare peggio».
Andromeda squadrò il marito con aria scettica. «Peggio di un Lupo Mannaro? E come? Pensi che avrebbe potuto innamorarsi di un Dissennatore?»
«No. Di un tifoso del Tottenham...»
 

Casa Lupin, 7 luglio 1997 A.D.

Remus inspirò l'aria profumata di pino e di salmastro, tentando di scacciare il fastidioso senso di panico che minacciava seriamente di sopraffarlo.
Erano anni che non si sentiva così nervoso. Probabilmente dalla volta in cui Sirius, James e Peter lo avevano circondato comunicandogli che avevano fatto un'interessante scoperta su di lui. Aveva da poco compiuto dodici anni, all'epoca, e avrebbe tanto voluto sapersi Trasfigurare in un'aspidistra...
Sbirciando impaziente l'orologio che portava al polso, entrò nella piccola radura che usava per Materializzarsi - non era saggio, in quel periodo, non dotare le abitazioni di Incantesimi Anti-Materializzazione - e si preparò ad una snervante attesa: la puntualità non era esattamente la caratteristica più spiccata di Ninfadora... anzi.
Sospirando alzò gli occhi, perdendosi nella contemplazione del cielo terso, illuminato da una minuscola falce di luna crescente.
Sembrava così innocua, al momento, la luna. Così bella e delicata... era quasi impossibile associarla a tutti i problemi che riusciva a causargli.
Un improvviso schiocco lo riscosse dalle sue rimuginazioni e Remus non poté impedirsi di sorridere quando Ninfadora comparve all'improvviso, abbattendo l'unico cespuglio presente nella radura. Aveva un talento innato per abbattere cose, Ninfadora, Remus doveva proprio ammetterlo.
Divertito, le si avvicinò, posandole una mano su una spalla. «Sei riuscita ad arrivare, noto».
Ninfadora sussultò, impugnando istintivamente la bacchetta magica. «Fermo... oh, Remus, sei tu?»
Remus si scostò appena in tempo per evitare che la bacchetta della ragazza gli finisse in un occhio: gli mancava solo di sfoggiare un occhio magico come quello di Malocchio... utile, indubbiamente, ma lui era troppo rispettoso della privacy altrui per poter convivere con un simile ammennicolo. C'erano cose del suo prossimo che, decisamente, preferiva ignorare.
«Certo che sono io. Mi vedi, no?»
«No che non ti vedo. E' buio pesto!»
«Oh» un po' a disagio, il mago prese la mano della ragazza; lui ci vedeva perfettamente, al buio, gli bastava un minimo di luce lunare per vedere come se fosse giorno, e tendeva a dimenticare che per i normali esseri umani non era così.
Tonks esplose nella sua irresistibile, contagiosa risata. «Ora ti riconosco, però. Quegli occhi luminescenti non possono essere che i tuoi! O sei tu, oppure io sto parlando con un grosso gufo. Ma tenderei ad escluderlo. Non sono molto loquaci, i gufi».
Remus annuì, imbarazzato. Non gli piaceva che la gente notasse la stranezza dei suoi occhi. Occhi che riflettevano la luce lunare come quelli del predatore notturno che era.
Distolse rapido lo sguardo, resistendo caparbio quando Tonks gli afferrò il mento tentando di costringerlo a guardarla.
«Non stai cercando di nascondermi i tuoi occhi, vero? Lo sai che mi piacciono. Li trovo anche molto utili. E' comodo riuscire a rintracciarti anche al buio».
Remus sorrise, guardando infine la ragazza. «Ninfadora...»
«Non chiamarmi così, Remus! Come te lo devo dire: il mio nome è Tonks!»
Remus si strinse nelle spalle e chiese: «Allora, pronta per vedere la mia... tana?»
«Certo che sì» affermò lei, afferrando saldamente il braccio dell'uomo. «Sono anni che desidero vedere la tua tana... Sirius ne raccontava meraviglie».
«Sirius era poco attendibile, temo. Quando è venuto a stare a casa mia era reduce da mesi passati in una grotta nei pressi di Hogsmeade e da dodici anni passati ad Azkaban... mentre quando ti parlava dei giorni passati qui era rinchiuso a Grimmauld Place, e credo che quasi ogni posto gli sarebbe sembrato fantastico, confrontato a Grimmauld Place» disse Remus, incamminandosi sul viottolo di terra battuta e lasciandosi guidare dal ritmico rumore della risacca.
Quando sbucò dal folto del bosco, costeggiò l'alta scogliera raggiungendo una casetta a due piani circondata da un minuscolo giardino, trasformatosi, dopo mesi di totale abbandono, in una specie di giungla in miniatura. Poco male, a Remus non erano mai piaciuti i curatissimi giardini all'italiana... era più propenso ad apprezzare boschi incolti, lui.

«Ohi! Buona sera, giovane Lupin!» urlò una voce allegra, subito accompagnata da un sincopato abbaiare. «Speravo proprio di trovarti in casa!»

Remus rivolse un sorrisetto contrito a Ninfadora, quindi dedicò la sua attenzione all'uomo basso e rotondetto che, armato di grossa torcia abbagliante, si stava avvicinando trascinando per il guinzaglio un cagnetto alquanto riottoso.
«Buona sera a lei, signor Peabody. Raspberry...» salutò poi, allungando una carezza distratta al cagnetto che, smesso di abbaiare isterico, aveva cominciato ad annusarlo circospetto. «Posso fare qualcosa per lei?»
L'ometto annuì con convinzione e, frugando in una busta di plastica, estrasse un grosso tomo porgendolo a Remus. «Sì... questa mattina la signorina Gordon è venuta in negozio e ha appoggiato questo sul bancone per prendere il portafoglio. Raspberry, qui, lo ha visto e, con una certa maleducazione, lo ammetto, ha...» aprì il libro mostrando la rilegatura rovinata da un grosso morso. «Tentato di mangiarlo, direi. Visto che tu sei così bravo ad aggiustare libri, mi chiedevo se...»
Remus sorrise, prendendo il libro dalle mani dell'ometto e studiandolo con attenzione. «Sarà un vero piacere signor Peabody... non sia mai che la signorina Gordon non riabbia il suo libro indietro. Sarebbe capace di tutto».
«Eh» Peabody si tolse il berretto scozzese grattandosi pensoso il cranio pelato. «In effetti ha tentato di mordere Raspberry, sai? Ho dovuto rabbonirla con una generosa fetta di torta alla cannella!»
Remus ridacchiò, poi, scorgendo lo sguardo incuriosito di Ninfadora, spiegò: «La signorina Gordon è una deliziosa vecchina, in genere... ma guai a chi osa toccare i suoi libri... mi ricorda un po' Madama Pince, a volte. Fortunatamente le torte alla cannella del signor Peabody hanno il magico potere di rabbonirla».
L'ometto si sfregò il particolarissimo naso a patata, gongolando orgoglioso. «Le mie torte alla cannella rabboniscono un po' tutti, in realtà. Solo il giovane Lupin, qui, non impazzisce per loro. Passi a trovarmi, signorina... sarò ben lieto di fargliene assaggiare una bella fetta. Ora vi saluto, però... Raspberry è stanco... e io non voglio guastare la vostra serata!»
Si sistemò con un gesto enfatico il berretto e ammiccò a Remus, sollevandosi sulla punta dei piedi per affermare con un entusiasmo assolutamente fuori luogo: «E' davvero carina, ragazzo mio, ottima scelta... mi ero un po' preoccupato, un paio di anni fa, vendendoti girare con quel giovanotto bruno e disordinato che litigava sempre con Raspberry, sai?»
Remus trasalì sorpreso - osservando l'ometto che si allontanò fischiettando lungo la scogliera preceduto da un saltellante Raspberry - e si avvicinò al cancelletto di ferro battuto.
«Sirius litigava con Raspberry?» chiese divertita Tonks.
«Sì, lui... non andavano molto d'accordo, diciamo».
«E' un maschio, Raspberry?»
Remus aggrottò la fronte, pensoso. «Credo di sì».
«Credi? Non mi pare così difficile scoprirlo, sai? Basta controllare se...»
«Sì, Ninfadora, so cosa basta controllare. Ma non sono così intimo con Raspberry, quindi non ho mai controllato. Ma, da come si relaziona con la cagnetta della  sarta, direi che è maschio, sì».
«Uhm, potrebbe essere stata una questione di territorialità, allora» stabilì la strega. «E tu non lo fai?»
«Relazionarmi con la cagnetta della sarta?»
Ninfadora sbuffò spazientita. «Litigare con Raspberry!»
«Ah, no».
«Strano... evidentemente Raspberry non ti percepisce come un pericolo. O forse ha solo paura di diventare il piatto forte della tua cena».
Remus sistemò sotto un braccio il libro della signorina Gordon, poi, notando il sorriso malizioso che era apparso sulle labbra di Ninfadora, sospirò aprendo il cancelletto di ferro battuto.
«Non sa cosa si perde però» affermò la ragazza, avviandosi sul vialetto di ciottoli che, attraversando la minuscola giungla privata che circondava la casa di Remus, conduceva alla porta d'ingresso.
«Raspberry?» chiese Remus confuso.
«No, la cagnolina della sarta con cui non ti relazioni, ovviamente!» concluse seria Ninfadora, scompigliando con allegria i capelli del compagno.
Remus scosse il capo un po' contrariato, sussurrò un Alohomora per aprire il portoncino di legno laccato e si scostò, invitando Ninfadora a varcare per prima la soglia.
La ragazza si guardò attorno incuriosita. «E così questa è la tua tana!»
Remus annuì, osservando costernato l'ampio locale in cui si trovavano.
Si era dedicato agli Incantesimi Casalinghi quel giorno. E il pavimento di legno era più lucido di quanto Remus ricordasse fosse mai stato... ma questo non faceva che far risaltare ancora di più il desolante vuoto che caratterizzava la stanza.
Forse non era stata un'idea tanto brillante invitare Ninfadora a casa sua per fare quello che aveva deciso di fare un paio di giorni prima, constatò lasciando correre lo sguardo sugli scatoloni sparsi per il locale.
No, forse sarebbe stato più saggio proporle di incontrarsi altrove, sospettò, osservando l'alta libreria che occupava un'intera parete della stanza e tentava disperatamente di contenere decine di libri che, stipati in ogni buco disponibile, offrivano una visione abbastanza diversa da quella data dall'impeccabile libreria di Casa Tonks.
Sì, concluse, avrebbe davvero dovuto portarla altrove per fare quello che doveva fare... e avrebbe anche dovuto chiedere a Minerva di insegnargli l'Autotrasfigurazione: un'aspidistra ci sarebbe stata d'incanto nella sua minuscola giungla privata.
Sospirando, Remus pensò che sarebbe stato saggio distrarre Ninfadora, interrompendo così il suo attento esame dei dintorni. «E' la casa dei miei genitori, in realtà. Ci siamo trasferiti qui dopo... be', mia madre sosteneva che era il posto ideale per i miei movimentati pleniluni. La casa è dotata di una soffitta spaziosa ed è abbastanza lontana dal paese da evitare ai miei genitori di doversi inventare macabre leggende di case stregate. E poi non ci sono maghi nei paraggi... pare che pochissimi di loro apprezzino l'idea di avermi come vicino».
«L'ho sempre saputo che il buon gusto è scarsamente diffuso tra i maghi» affermò Ninfadora sorridendo convinta. «Mi piace molto la tua casa. Ti assomiglia».
Remus osservò incredulo la ragazza: non doveva avere questa grande opinione di lui, dopo tutto...
«Mi... assomiglia?»
«Assolutamente sì».
«Uhm... un modo carino per dirmi che sono vuoto e desolante?»
La ragazza gli assestò un colpetto scherzoso sul braccio e sbuffò: «Un modo carino per dirti che sei informale e alternativo, Remus, e che non dai importanza a tutti quegli inutili orpelli che interessano a molti».
«A molti...»
«A molti, sì. Cominciando da mia madre».
Remus annuì pensieroso, appoggiando il libro della signorina Gordon su un grosso scatolone ed estraendo la bacchetta magica.
«C'è comunque un motivo preciso per questo arredamento minimale, Remus? Non che mi dispiaccia, eh... ha un suo indubbio fascino ma, ecco, forse manca un po' di praticità».
Remus si bloccò con la bacchetta a mezz'aria e scrutò un po' esitante la ragazza. Sirius gli avrebbe sicuramente suggerito di inventarsi una storia accattivante per giustificare quella bizzarria - tipo l'ispirazione presa da qualche esotica rivista di arredamento - ma Remus decise di essere sincero. Non poteva mentire. Non a Ninfadora. Non mentre stava cercando di trovare il coraggio per chiederle quello che aveva deciso di chiederle.
«Sì, c'è un motivo preciso» disse quindi, scrutandola intensamente. «Legato per lo più alla mia irritante abitudine di dovere mangiare, di tanto in tanto. E con una certa frequenza, anche, ahimè...»
La strega sussultò stupita e Remus si strinse nelle spalle. «E, visto che il Ministero ha deciso di rendermi praticamente impossibile trovare un lavoro... be', mi sono arrangiato come ho potuto».
«Hai venduto i mobili dei tuoi genitori?»
«Già. E ho fatto qualche lavoretto per la gente del paese. Conoscevano mio padre, e hanno deciso di estendere la fiducia che avevano in lui anche a me. E, a tal proposito...» si voltò verso il libro malandato colpendolo delicatamente con la bacchetta magica, quindi lo studiò critico annuendo poi soddisfatto. «Perfetto. La signorina Gordon riavrà il suo libro intatto e io mi godrò uno dei deliziosi dolci del signor Peabody. E' il pasticcere del paese, sai? Con un po' di fortuna mi pagherà con una delle sue deliziose torte al cioccolato».  
Ninfadora scosse il capo un po' esasperata, avvicinandosi alla libreria riempita all'inverosimile. «Questa non l'hai venduta però. E neppure tutti questi libri».
Remus le si avvicinò e sorrise malinconico. «No, non ho mai trovato il coraggio di farlo. In fondo questi libri non hanno un grande valore economico, ma hanno un immenso valore affettivo. Erano dei miei genitori, che amavano i loro libri più di quanto amassero il loro sofà...»
Ninfadora gli accarezzò intenerita un braccio, prima di prendere un grosso volume rilegato in pelle. «“Incantesimi senza Bacchetta” di Caius Charmed».
Remus annuì. «Ottimo manuale. Spiegazioni molto chiare... potrebbe capirle anche un bambino... era di mio padre. Era lui quello affascinato dagli incantesimi più strani. Mamma preferiva documentarsi sulle creature magiche» affermò,  sfiorando con dolcezza il dorso di una vecchia copia molto vissuta di “Lupi Mannari: questi sconosciuti” di Larentia Lupercus.
Ninfadora gli imprigionò la mano e, dopo avere letto il titolo sorrise. «Questo lo conosco! L'ho anch'io! Ed è quasi altrettanto vissuto. Negli ultimi due anni l'avrò letto una trentina di volte...»
Remus la guardò allibito e lei si strinse nelle spalle. «Be'? Un argomento che, ultimamente, mi ha molto affascinata! Avrei davvero voluto conoscere i tuoi genitori...»
«Saresti piaciuta molto a entrambi».
«Davvero? Peccato non poterti dire lo stesso dei miei genitori».
Remus sospirò, avvolgendo la ragazza in un abbraccio. «E' comprensibile la loro reazione... davvero. Mi sarei aspettato anche di peggio».
«Non è comprensibile affatto! Ti hanno trattato malissimo senza che tu gliene dessi motivo! Be', mamma, almeno...» affermò risentita, stringendosi con più energia al mago. «Scusami, non avrei mai dovuto esporti così alle devastanti intemperanze di mia madre!»
Remus sfregò il naso tra i capelli - al momento di un brillante rosa confetto - della ragazza e cercò di trattenere una risata: le intemperanze di Andromeda non erano state le più devastanti di quell'interessante pomeriggio. Ma qualcosa gli suggeriva che non fosse il caso di farlo notare a Ninfadora.
«Non importa» affermò quindi, sciogliendosi gentilmente dall'abbraccio. «Anzi... quella visita mi ha... motivato ad affrontare un certo discorso».
Era vero. Probabilmente non avrebbe mai trovato il coraggio di farle quella sconsiderata proposta se non si fosse imbattuto nella Chiave del Tempo.
Ninfadora sollevò di scatto lo sguardo, i capelli virati a un rosa pallidissimo, e fissò Remus con occhi allarmati. «Ma non... E' per questo che mi hai portato qui, vero? Per dimostrarmi... Ma lo sai che a me non importa! Sei povero! Va bene. Lo sapevo già anche prima di vedere la tua casa deliziosamente minimal! Ora non vorrai ricominciare anche con il troppo vecchio e troppo pericoloso, vero?»
Remus scosse il capo e sorrise intenerito. «No, Ninfadora» ignorò lo sguardo minaccioso della ragazza e proseguì prima che potesse interromperlo. «Ho chiuso con quel ritornello, ormai. Ti ho portata qui per quello, in realtà» disse, indicando il grosso acquario che si trovava al centro della stanza, proprio di fronte al camino, dove una persona normale avrebbe posizionato un divano. O un'aspidistra, magari...
Ninfadora lo scrutò sconcertata e Remus, ridacchiando, la trascinò accanto all'acquario, invitandola a sbirciare all'interno: nell'acqua un po' limacciosa nuotava, placido, un Avvincino solitario che, forse disturbato dalle voci dei due umani, cominciò a battere le mani dalle lunghe dita sottili contro le pareti della sua prigione di vetro.
Ninfadora lo guardò conquistata. «Un Avvincino! Vedi che sei informale e alternativo? Di solito la gente ci tiene creature assolutamente banali in questi affari!»
«Indubbiamente, sì. Ma non ti ho portata qui per ammirare l'Avvincino...»
«No?» Tonks aggrottò la fronte, pensosa. «E allora per cosa? Non vorrai mica cucinarlo per me!»
«Cucinarlo... no! Come ti ho detto siamo qui per parlare».
«Degli Avvincini?»
«No! L'Avvincino è solo... un incoraggiamento per me».
«Un incoraggiamento?»
«Già. Forse tu non te lo ricordi, dato che eri molto piccola, ma il giorno in cui zio Alphard mi regalò questo acquario, io ci misi un Avvincino e te lo mostrai. Eravamo a casa di James era...»
«L'anniversario di nozze dei miei! Sì che me lo ricordo! Era la prima volta che vedevo un Avvincino! L'ho adorato! Ti ho adorato! E' stato proprio in quell'occasione che ho cominciato a trovarti più bello di Sirius!»
«Più bello di Sirius? Io?» Remus inarcò scettico un sopracciglio, quindi scosse il capo, indulgente. «Be', non mi stupisce più di tanto, visto che da bambina tendevi a preferire Manfred la Manticora a un Unicorno... comunque, in quella occasione tu mi promettesti che avresti fatto qualsiasi cosa ti avessi chiesto se ti avessi permesso di tenere l'Avvincino».
Ninfadora rise divertita. «Vero! Mamma non ha gradito molto».
«Infatti. Mi vidi costretto a rifiutare l'allettante proposta. Ma tu mi promettesti che sarebbe stata valida per sempre, così...»
«E lo confermo. E' ancora valida: se mi lascerai tenere l'Avvincino farò qualsiasi cosa tu mi chieda!»
Remus annuì e prese un bel respiro, pronto a cominciare il discorso che si era meticolosamente preparato. Peccato che non ricordasse neppure una parola. Probabilmente, le aspidistre possedevano una memoria migliore della sua...
«Allora? Sto aspettando» lo informò impaziente la strega, picchiettando le dita sulle pareti dell'acquario per attirare l'attenzione dell'Avvincino.
«Sì... sto solo cercando le parole... è... complicato».
«Complicato? E che potrà mai essere? Guarda che se vuoi propormi di addentrarci nottetempo nella dimora della Umbridge per rapirla e portarla in dono ai Centauri puoi anche fare a meno dell'Avvincino!»
«Uh... no... non sarebbe una cattiva idea, ma non è quello che avevo in mente».
«Peccato».
Remus abbozzò un sorriso e si avvicinò nervoso alla finestra, ammirando le luci che punteggiavano la parte bassa della scogliera, quindi si voltò e fissò deciso Ninfadora: in fondo che aveva da perdere? Al massimo gli avrebbe risposto di no...
«Ecco... l'altro giorno, quando sono tornato dalla missione a casa dei tuoi, è venuto Kingsley a trovarmi. E mi ha confidato che le cose stanno precipitando al Ministero».
Tonks annuì mesta. «Lo so. Ormai è quasi totalmente nelle mani dei Mangiamorte».
«Già. Pare che molte restrizioni verranno imposte a... be', a tutte le categorie di persone che non stanno particolarmente simpatiche a Voldemort. E questo significa che ulteriori restrizioni verranno imposte anche a me. Quindi, se non ti proponessi ora questa cosa... temo che non potrei farlo mai più. E, in caso tu accettassi, dovremmo anche fare tutto velocemente e in modo molto... intimo».
Tonks lo osservò incuriosita, poi indicò l'Avvincino che aveva ricominciato a nuotare nell'acquario. «Lo sai già che accetterò».
«Lo dici ora... ma, ammesso che possa andarti bene il sottoscritto, probabilmente ti dispiacerà non potere organizzare le cose come si deve».
«Organizzare le cose come si deve? Per la batteria di Merlino, Remus! Ma di cosa stai parlando?»
«Be'... non so di preciso: invitati, vestiti, damigelle... quelle cose lì, insomma. Bill mi ha confessato che Fleur lo sta facendo ammattire».
La strega sgranò gli occhi incredula e, dimenticato l'Avvincino, si slanciò verso il mago, inciampando in uno scatolone e finendo lunga distesa ai suoi piedi.
Prima che questi potesse reagire, Tonks si alzò in ginocchio scrutandolo strabiliata, gli occhi scuri scintillanti di una felicità assoluta. «Vuoi sposarmi?»
Remus sogghignò, accovacciandosi accanto alla ragazza e scostandole con tenerezza i capelli dal viso, deliziato dalle sfumatura intensa di rosa che presero sotto le sua dita. «Sì. Anche se avrei dovuto essere io a porgere tale fatidica domanda, suppongo».
«Supponi?»
«Suppongo».
«Sei una frana nelle supposizioni, Remus».
«Non è vero! In genere è l'uomo a inginocchiarsi e a porgere la fatidica domanda».
«Forse. Ma in genere l'uomo non porta come dono di fidanzamento un Avvincino...»
«Anche questo è vero. Mi sarebbe piaciuto portarti un più classico anello, ma...» sospirò, stringendosi nelle spalle e abbassando lo sguardo, mortificato.
Ninfadora, gli sollevò il viso cercandone lo sguardo e sussurrò convinta: «Un anello è oltremodo banale, Remus. Vuoi mettere un Avvincino? Molto più adatto a un tipo informale e alternativo come te».
Remus sorrise, rinfrancato dalla gioia che illuminava gli occhi della strega. «Devo prenderlo come un sì, dunque?»
Ninfadora gli gettò le braccia al collo, esclamando euforica: «Naturalmente! Mi hai donato un Avvincino!»
Remus, a malincuore, la scostò leggermente da sé. «No, seriamente, Ninfadora. Lascia perdere l'Avvincino. Sai a cosa vai incontro sposando me?»
«Sì. E, seriamente, Remus, non me ne importa proprio nulla» concluse convinta la strega, prima di coinvolgere l'assai poco riottoso mago in un bacio entusiasta.
«Ninfadora...»
«Tonks!»
«Sì, lo conosco il tuo cognome. Ninfadora, dicevo, suppongo non sia il caso» sussurrò Remus cercando di districarsi dall'abbraccio e scostando una mano intraprendente che risaliva audace la sua coscia destra.
«Lo abbiamo già stabilito che sei una frana nelle supposizioni. Certo che è il caso,  visto che ho appena accettato di sposarti!»
«Tu hai stabilito che sono una frana nelle supposizioni. Io non ho mai detto di concordare con questa tua particolare convinzione!» esclamò Remus, tentando di placcare un'altra mano impertinente che gli percorreva intrepida il torace. Merlino! Ma quante mani possedeva Ninfadora? Era forse imparentata con il Calamaro Gigante? «Davvero, sarebbe meglio che ti fermassi. Dobbiamo... parlare...»
Tonks sbuffò frustrata ma concesse una tregua al compagno. «Parlare? Ma non lo abbiamo già fatto?»
«Sì. Ma dobbiamo approfondire l'argomento».
«E' quello che stavo tentando di fare, sai?» fece notare la ragazza accarezzandogli la spalla sinistra. Remus si irrigidì immediatamente, afferrandole la mano.
«Avevo in mente un... er... diverso genere di conversazione, a dire il vero. Che deve assolutamente precedere il genere che hai in mente tu, visto che riguarda proprio le conseguenze a cui potrebbe portare un siffatto genere di conversazione».
Tonks lo guardò sconcertata, poi si illuminò. «Oh, stai cercando di dirmi che non hai previsto nessun tipo di protezione! Nemmeno io... ma a questo punto non ha importanza! Ci sposeremo, no? Ben venga quindi un piccolo Lupin saccente che gironzola per casa!»
Remus sorrise mesto e scosse il capo. «E' proprio di questo che volevo parlare. Se tu mi sposerai... non ci sarà nessun piccolo Lupin - saccente o meno - a gironzolare per casa».
«Pensavo che tu volessi dei bambini, Remus. Guardando con quale abilità li maneggi si direbbe che sei nato per essere padre... ma se non ne vuoi...»
Remus sospirò, sfregandosi la fronte. «Non è che non ne voglia; solo Merlino sa quanto mi piacerebbe avere una piccola peste multicolore che si diverte a devastarmi casa...» sorrise, ignorando l'occhiataccia scoccatagli da Tonks. «Il fatto è che non posso averne, purtroppo. Quelli... come me non si riproducono. Non ho mai sentito di un licantropo che l'abbia fatto».
La strega corrugò la fronte. «Forse solo perché non... esercitano».
Remus ridacchiò. «Ho vissuto per un anno tra i miei simili. E posso assicurarti che... esercitano eccome. Ma nessun membro del branco ha mai avuto un figlio» guardò Tonks con serietà. «Se questo particolare ti ha fatto cambiare idea sull'opportunità di sposarmi non preoccuparti. Lo capisco».
Tonks sbuffò esasperata, i capelli virati a un preoccupante ciclamino. «Non ricominciare, Remus... no che non mi ha fatto cambiare idea! Non mi importa! Anzi, in realtà potrebbe rivelarsi una cosa positiva. Francamente, mi ci vedi alle prese con un neonato? Hai visto con quale frequenza riesco a rompere un piatto... ecco, immaginami alle prese con un neonato tutto scivoloso per via del sapone... e lo so che tu sei bravissimo con l'Incantesimo Reparo, ma pare che con i neonati non funzioni granché».
Remus sgranò gli occhi, allibito, poi si concesse una risata, stringendo Tonks in un abbraccio sollevato. «Merlino, Ninfadora! Ma non c'è proprio nulla in me che non riusciresti ad accettare?»
La ragazza si scostò, scrutandolo pensosa, poi affermò convinta: «Continua a chiamarmi con quell'orribile nome e lo scoprirai!»
Remus scosse il capo e sospirò. «Non ti chiamerò mai per cognome. Detesto chiamare le persone per cognome. Non lo faccio mai».
«Mmm... c'è sempre una prima volta. Lo so che è un po' freddo, ma in casi disperati come il mio...»
«Non c'è nulla di disperato in Ninfadora».
«Se tua madre ti avesse chiamato Ninfadora saresti disperato anche tu».
«Non ne dubito. Non è un nome molto virile Ninfadora...»
La ragazza sbuffò, assestandogli un colpetto alla nuca.
Remus sogghignò. «Va bene... ho notato che tuo padre ti chiama Dora. Non ha il fascino di Ninfadora, ma è di sicuro meglio di Tonks. Che ne dici?»
«Un accettabile compromesso, direi».
«Uh, trattieni l'entusiasmo».
«E' entusiasmo che vuoi? E entusiasmo sia, allora!» esclamò la ragazza gettandosi con slancio al collo del mago che, sbilanciato, cadde all'indietro.
«Adoro questa camicia, sai Remus?»
Remus la guardò accigliato. Non era granché la camicia che indossava. Una normale camicia di jeans con quei detestabili bottoncini a strappo. Ma non poteva indossare vesti da mago quando girava nei dintorni di casa... e quella era l'unica camicia disponibile, al momento.
Ninfadora gli scoccò un'occhiata ammaliatrice, afferrando i lembi della camicia e dando uno strappo deciso. «O, per essere precisi, adoro i suoi bottoni».
Remus guardò esterrefatto le mani della strega che riprendevano il loro audace peregrinare e, pensando confusamente che forse quei bottoncini a strappo non erano poi tanto detestabili, si affrettò a coprirsi la spalla sinistra.
Ninfadora gli scostò con gentilezza la mano e Remus, serrando gli occhi, trattenne il respiro, in attesa dell'inevitabile esclamazione di raccapriccio. La gente emetteva sempre esclamazioni di raccapriccio quando gli vedeva la spalla. Persino la materna Molly lo aveva fatto. A Remus non importava, in genere, ma trattandosi di Ninfadora...
«E' questo il morso, vero?»
Remus trasalì interdetto, sentendo la mano fresca della strega che, con tocco delicato gli accarezzava la cicatrice.  
«Sì. So che non è una bella vista» disse, sbirciando il familiare segno tondeggiante che gli segnava la spalla.
«E' solo una cicatrice».
«E' la cicatrice lasciata da una maledizione, Ninf... Dora. Ora sembra normale, perché il plenilunio è lontano, ma se fosse prossimo...»
«Sarebbe una cicatrice informale e alternativa di un vivido colore argento».
Remus la guardò sorpreso: la gente normale di solito non era molto informata sull'argomento.
Ninfadora sorrise. «Ho letto “Lupi Mannari: questi sconosciuti”, ricordi? Non vedo l'ora di osservarla all'acme del suo splendore. Malocchio morirà d'invidia!»
Remus si chiese il perché, ma preferì evitare di indagare, sussultando quando le labbra di Ninfadora si sostituirono alle dita, accarezzando gentilmente la pelle sensibile che circondava la cicatrice.
«Ummm... Dora» disse con voce malferma e più roca del solito, lo sguardo fisso oltre la testa della ragazza. «Non credo...»
Ninfadora sbuffò contrariata e mille piccoli, deliziosi brividi attraversarono la spina dorsale di Remus. «Cosa c'è ancora? Hai qualche altro segreto di cui mettermi al corrente... non so, forse guaisci nel sonno?»
Remus si sollevò a sedere e scosse il capo, un po' imbarazzato. «No. Sono quasi certo di non farlo. E' solo... l'Avvincino...»
«L'Avvincino?»
Remus annuì. «Sì. Non possiamo farlo qui. L'Avvincino ci sta guardando».
Ninfadora sgranò gli occhi incredula. «L'Avvincino ci sta... guardando? Stai scherzando, vero?»
Remus negò con dignità e Tonks sogghignò divertita. «Ma sei un Lupo Mannaro! Secondo l'esperta Larentia Lupercus...»
«Sì, lo so cosa sostiene l'esperta Larentia Lupercus, a tal proposito. Ma, credimi, ci sopravvaluta parecchio. Forse non è poi così esperta Larentia Lupercus. O magari ha condotto i suoi studi su un gruppo di disinvolti licantropi latini. Io sono un Lupo Mannaro inglese, però: e in quanto tale ho un forte senso della privacy».
Dora scosse la testa esasperata e, alzandosi in piedi, costrinse il compagno a fare altrettanto. «Ti inviterei a casa mia... ma non sono sicura di possedere la lucidità mentale necessaria per una Smaterializzazione. Senza contare che ho poster delle Sorelle Stravagarie ovunque. E se ti turba tanto un Avvincino... hai una soffitta, hai detto?»
Remus annuì titubante, la strega sorrise raggiante e, presolo per mano, lo trascinò verso le scale.
«Ci vado solo nelle notti di plenilunio, Dora, non è molto in ordine. Ma al piano di sopra ci sono delle camere. Ho persino un letto».
La ragazza ci pensò un istante, poi scosse il capo con decisione. «No. Un letto è banale, Remus. Adatto a una coppia da anello di fidanzamento. Noi siamo informali e alternativi, ricordi? Siamo una coppia da Avvincino di fidanzamento, la soffitta ci è più congeniale!»
Remus ricambiò il sorriso, disarmato dalla caparbia dolcezza di Ninfadora e, salite le scale, aprì con mano un po' tremante la porta della soffitta.
Ninfadora osservò con attenzione l'ampia finestra da cui filtrava la debole luce argentata della sottile falce di luna, quindi appellò il morbido plaid scozzese appoggiato su un vecchio tavolo abbandonato in un angolo della stanza e lo stese con attenzione sull'assito un po' graffiato e polveroso.
Sorridendo radiosa vi si inginocchiò sopra, allungando una mano verso Remus.
L'uomo la prese e, ricambiando il sorriso, le si accovacciò accanto.
Sirius non aveva tutti i torti, dopo tutto. Non solo aveva trovato una donna che lo apprezzava in tutto il suo lupesco splendore, ma la donna in questione era davvero la piccola Ninfadora.
Ridacchiando tra sé, Remus non poté fare a meno di pensare che, in un Altro-dove e in Qualche-quando, Sirius stava di sicuro esultando, al momento, assillando James e costringendolo ad ammettere che aveva sempre avuto ragione su tutta la linea: Lunastorta aveva abbassato le sue difese, alla fine e ne era persino felice.
Ed era vero, constatò Remus con un certo stupore, lui era davvero felice in quel momento.
In quella polverosa soffitta, dove la felicità non era mai stata di casa, in mezzo a una guerra assurda, nell'incertezza del futuro che il Ministero aveva in serbo per lui, Remus era davvero felice.
Vergognosamente felice.
Felice come un'aspidistra non avrebbe mai potuto essere, per quanto ne sapeva...


* Inno cantato dai tifosi dell'Arsenal... almeno sul web un sito ne era convinto. Se così non fosse chiedo umilmente perdono a tutti i tifosi dell'Arsenal, maghi o Babbani che siano. Ted e Remus compresi.
Non sono un'esperta di calcio. Men che meno di calcio britannico, ma mi pareva carino trovare un terreno comune tra Ted Tonks e Remus Lupin e, tenuto conto che sono due uomini di ascendenze in qualche misura Babbane... cosa poteva esserci di meglio del calcio? ;)
Visto poi che il simbolo dell'Arsenal è un cannone mi è venuta spontanea l'associazione tra Arsenal e Cannoni di Chudley...
Oh, già che siamo in tema,
Dennis Berkamp è davvero un giocatore di calcio e nella stagione 1997/98 militò proprio tra le fila dell'Arsenal.

 
Ed eccoci alla nona tappa del nosto Viaggio.
Una tappa vista quasi totalmente attraverso gli occhi di Remus, finalmente! ^^
Senza nulla togliere alla folta schiera di Black poco regolamentari di cui mi sono trovata a scrivere, un po' mi mancavano Remus e Tonks!
E così eccoli qui, colti in un momento molto "speciale" della loro vita... un momento di cui J.K. Rowling non ci ha detto moltissimo, purtroppo, così ho deciso di dare anche la mia versione personale.
Versione personale che, mi rendo conto, non è esattamente romantica e sognante (niente cene a lume di candela, niente passeggiate languide né anelli con solitario) ma, tralasciando il fatto che io non sono molto portata a descrivere scene romantiche e sognanti, quel momento topico io lo immagino esattamente così: informale, alternativo e tonksianamente "cataclismico". ;)
Spero che i più romantici e sognanti tra di voi non se la siano presa a male e mi possano perdonare questa rilettura poco ortodossa del momento.
Il Signor Peabody con le sue torte alla cannella è una vecchia conoscenza per quelli che hanno letto "La Chiave del Tempo" che hanno avuto il piacere di incontrarlo vent'anni più vecchio. Mi pareva carino inserirlo anche qui, scortato da regolamentare cagnetto. ^^


  
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