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Autore: Ella_Sella_Lella    03/10/2011    2 recensioni
Perchè non possiamo sempre parlare solo dei buoni.
Le cose brutte nella vita accadono, anche quelle belle, ma scommetteteci tutto quello che avete in tasca, che siano spiccioli, gomme da masticare o l’anello di fidanzamento più costoso del mondo, ai mezzosangue capitano sempre e solamente cose brutte. Prima di tutte e bene che spieghi alle vostre menti, di fragili, ingenui e ciechi, sopratutto ciechi, mortali cosa siano i mezzosangue, sono semplicemente una razza di creature, una spanna più alta degli uomini, una spanna più bassa degli dei, sono il frutto dell’amore proibito tra questi, dei e umani, simili in vizi e pregi, diversi in potere. I mezzosangue sono gli eroi della mitologia Greca, o Romana o Tuscia, alla fine qualunque religione politeista arcaica studierai, comprenderai che esistevano questi fantomatici Eroi, a cui i fumettisti si sono ispirati per descrivere quei divertenti machoman in calza maglia, fico no?
Buona Lettura
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Luke Castellan, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Allora questo capitolo fa schifo. Nolente o dolente devo ammetterlo. Allora per via della tripletta che ho inserito, ovvero Mendosa-Houston- Da decidere. Mentre il nostro caro Carlos (si un incrocio tra Charlie e Leo -.-“) non è così importante. Ian ( di cui sul fandom si è discusso a lungo per il nome) e Trent contando un po’ di più. Come anche Jenny.
Vorrei ringraziare piccolalettrice (perché davvero l’adoro) e Jishiku. E chi ha letto-seguito-preferito (tra cui il mio sostenitore per eccellenza, il mio cuginetto!)
Buona lettura.
Baci baci
EsL
(Datemi buona fortuna per la versione di domani)






La storia mai detta di Mary Uknow





Urge un meccanico d’Emergenza


Erano passati parecchi giorni da quando c’eravamo messi in marcia per il golfo. Io avevo le mani pigiate sullo stomaco per la fame, gli occhi socchiusi per il sonno, aveva sempre dormito male in macchina, i capelli putridi ed i vestiti maleodoranti, perché era da quando avevo lasciato Roma avevo ancora addosso. Aziza invece continuava a cambiare incessantemente la stazione radio, cercando una canzone che le piacesse, ma sembrava davvero che non c’è ne fosse una che gradisse. Luke guidava la macchina, cercando di mantenersi serioso come un pezzo di granito, ma si vedeva che la stanchezza cominciava ad offuscare le sue capacita cognitive. Kenny era seduto in malo modo( tanto che una sua gamba era sulle mie cosce) mentre scarabocchiava con un pastello blu mare su un blocco di fogli, che aveva tirato fuori dalla sua tracolla. Ogni tanto alzava gli occhi e sbirciva dallo specchietto Aziza. Io cominciai a guardarlo, cercando di allungare un poco l’occhio per vedere il frutto di tanta concentrazione; “Non so chi sia” mi disse Kenny, senza avere neanche la necessità di alzare lo sguardo per sapere quello che stavo facendo (Forse solo Az valeva la pena di alarse gli occhi), “Scusa?” chiesi confusa, il bruno sorrise appena, prima di mostrarmi il foglio che raffigurasse un ragazzino: con i capelli leggermente ondulati e d’aspetto latino. “Sai com’è funziona il mio potere?” mi domandò lui, risistemandosi il blocco sulle gambe, lo guardai con ovvietà, “Bene, io sono in grado di vedere un tot di futuri che avverranno in base a determinate scelte. Tra essi mi muovo a probabilità” mi spiegò, con gli occhi scuri scintillanti, io annui, “Non ho bisogno di disegnarle, sono solo situazioni e posso sceglierle io quando vederle o meno. Come le profezie del Oracolo” ci tenne accora a precisare. Mossi le labbra appena guardato questa volta il blocco, poi Kenny, “Altre volte le visioni mi arrivano di improvviso” rivelò il ragazzo, mostrando l’album, “E le devi disegnare?” terminai io, l’indovino sorrise malandrino. Così ero stata trovata io, ero stata una visione improvvisa, lo stesso per molti altri. Guardai il blocco, prima ancora che potessi formulare pensieri, Ken mi aveva già passato l’album, dandomi il tacito assenso di poterlo guardare.


Cominciai a sfogliarlo all’inverso, la prima immagine che avevo trovato era quella del ragazzino che Kenny aveva appena finito, notai che alle sue spalle c’era del fuoco, cosa che prima non avevo notato. Tralasciai ed andai avanti, senza sapere che in effetti avrei conosciuto presto lui. La seconda immagina raffigurava la porta di Phoenix, molto stilizzata, sorrisi appena ed affianco a quella, c’era un ritratto realistico della signora Shah perfettamente corrispondente, il motivo per cui aveva fatto tanto il malandrino con la mamma di Aziza. Sfogliai, per trovare un foglio pieno di sfumature, con una figura smilza e striminzita, femminile forse, con una scritta sopra, “Dsetoni?” chiesi, cercando di leggere la scritta, Kenny sorrise divertito, poi precisò: “Destino, Mary. Destino” guardai di nuovo l’immagine per comprendere che effettivamente quella era Az, forse, era davvero un pessimo disegno. L’immagine dopo ero io, indossavo la mia divisa da RollerDerby, con il labbro spaccato ed i capelli tutti arruffati, semi nascosti dal casco, l’immagine sembrava una copia davvero perfetta della foto che avevo sul comodino che Fred mi aveva fatto all’ultima partita che avevo giocato. Il resto dei disegni erano una serie di volti(c’era anche Jazz, fra gli ultimi, cioè i primi disegnati), luoghi e situazioni vaghe. Fino a che non avevo trovato il disegno diverso dagli altri. Si percepiva che era diverso. Dall’attenzione. Non era stato fatto di fretta e furia con un colore molto calcato e pieno di ripassi, ma con la matita dolce e morbida, in alcuni punti anche cancellato a sua volta perfezionato, si capiva che non era stata una visione che Kenny aveva dovuto sfogare, ma un desiderio che aveva voluto imprimere. Raffigurava una ragazza dai lineamenti pregiati, il volto dolce, le labbra gonfie ed un taglio particolare agli occhi caldi, per il resto assomigliava moltissimo a Kenny, come una sua versione al femminile. “Chi è?” chiesi sollevando appena il blocco, anche Az, che aveva finalmente smesso di armeggiare con la radio, trovato un pezzo di musica pop che non conoscevo, si era messa sull’attenti del discorso. Kenny abbassò lo sguardo, era triste e per la prima volta non per una previsione che riguardava qualcosa di brutto, perché nel resto della mia vita non ho mai, grazie a Crono, visto Kenny triste per un suo motivo personale, se non per quella ragazza. Se lui era triste era perché sapeva cosa ci sarebbe accaduto, per questo prima che partissi per il labirinto mi aveva stretto così forte chiedendomi di non andare, perché sapeva, per questo a Lui non aveva detto niente, perché Kenny era a conoscenza di chi di noi due da lì sarebbe uscito vivo. “Mia sorella” bisbigliò il veggente, prima di muore le mani, probabilmente aveva valutato l’idea di strapparmi i fogli dalle mani, ma c’aveva ripensato, forse. “Era mia sorella gemella Jenny” mormorò cercando di essere un po’ più ottimista, “Jennifer Cassandra James”, avrei voluto tappezzarlo di domande, non so perché, su dove fosse, come fosse, perché l’avesse disegnata, ma una sola parola di quella frase mi aveva bloccato: Era, passato ed allora avevo deciso di non fare domande e di non forzare Kenny a parlare. Perché parlare al passato faceva male a tutti, buoni, cattivi o ignavi. “Era bella” bisbigliai comunque, il ragazzo accennò un sorriso dolce amaro, “Troppo” bisbigliò poi, carico di angustia, come se la causa del passato fosse l’eccessiva bellezza. L’elfo formato gigante dal posto del guidatore tossì, gli rivolsi tramite lo specchietto uno sguardo, scoprendo che aveva puntato i suoi occhi eloquenti su di me, impartiva silenzio. Lo ascoltai. Senza aggiungere altro ripassai il blocco con i volti al proprietario.


Passarono altri minuti, avevo la testa posata sul finestrino, sempre più esausta. Si era formato tra noi quattro un silenzio pesante e spesso, che veniva spezzato solo dai vari commenti di Aziza sulle canzoni che passavano no-stop. Penso che in un clima di eccessivo silenzio diventasse nervosa, sentiva l’impellente bisogno di far cessare quella quiete, ogni tanto trotterellava con le dita sopra la radio, decidendosi se cambiare frequenza o meno. “Sia dannato Zeus” bisbigliò Kenny, prima di cominciare ad offendere i numi in malo modo, “Ma che …?” stavo dicendo, quando il radiatore della macchina decise di partire per una tangente tutta sua. “Aspetta non me lo dire, siamo a piedi?” chiesi io, Luke si limitò a ringhiare. Az spense la radio, “Che facciamo Castellan?” domandò con delicatezza, mentre il biondo, con le mani ancora posate sul volante che cercava una soluzione, non doveva mostrarsi impreparato, che comandante sarebbe stato?


Kenny si perse per qualche istante a contemplare il vuoto, poi decise di informarci che non troppo lontano c’era un autogrill, “Perfetto così possiamo anche mangiare” dissi io, incurante che eravamo ancora a piedi sull’autostrada, “Mary ha ragione” biascicò Luke, per niente contento di darmi man forte, forse sarà stato a causa del fatto che mi fossi imposta su di lui o ad altri fattori esterni (la mia disattenzione e capacità zero di fermi i fatti i miei?) ma io e Luke aveva già cominciato il declino nella nostra breve amicizia, che sprofondava ogni istante di più in una certa intolleranza, reciproca. Aziza batté una mano sulla spalla di Luke, con una dolcezza così stucchevole (D’accordo lo dico ora da morta e non lo ripeterò mai più, ogni qual volta che qualcuno scherzasse o fosse troppo amichevole con Luke, per me diventava lievemente intollerante); “Scendiamo dall’auto e spingiamola” esclamò poi con una contentezza troppo forzata la figlia del destino, scivolando fuori dalla macchina, così facemmo tutti poi e di forza cominciammo a spingere la macchina fino alla stazione di servizio non troppo lontana.


Arrivati all’autogrill Luke scomparve per racimolare abiti per me e lui, per poi cercare soluzioni per la macchina, visto che sia Kenny sia Aziza avevano avuto il buon senso di portarsi qualcosa dietro, io con il veggente e la figlia del destino invece entrai per procacciarmi cibo, e si il termine da me usato l’ho trovo (ora) molto corretto, visto lo stato in cui ero, un animale che bramava cibo. “Cosa volete?” domandò Kenny, accarezzandomi i capelli castani, “Qualunque cosa” rispose Az, mostrando anche lei un certo languorino, visto il modo in cui fissava le patatine sullo scaffale, lui le sorrise languido. “Potrei addentarti una delle tue gambe” mi lamentai solamente io. L’indovino scelse il cibo che potevamo prendere, quantità industriali di gelato, patatine, rigorosamente, alla paprica e biscotti e fu compito mio quello di pagare, in mancanza di monete, convinsi il ragazzo foruncoloso al bancone che noi avevamo già pagato. L’elfo malefico commentò il cibo con sprezzo, “Tutto molto salutare” constatò, con faccia schifata, io lo guardia, “Puoi anche non mangiare se vuoi” gli feci notare, ma visto il famelico sguardo da coiote, direi che non si sarebbe fatto problemi.


Dopo aver divorato schifezze di vario genere, ero stata costretta a cambiarmi dietro l’autogrill con Luke. Mentre Ken si era offerto di far compagnia ad Az. Cosa del tutto scontata, pensai allora, ma come sempre, con il tempo si illumina la mente. “Non migliora l’odore” dissi, “Comunque” annusandomi appena le ascelle, l’elfo congiuratore rispose solamente: “Direi che puoi resistere fino a Panama” con voce davvero seccata ed irritata, emisi uno sbuffo adirato. Finito il cambio di abiti, Luke prima di tornare dagli altri prese ad armeggiare con una bottiglietta d’acqua, che aveva rubato, ed una moneta d’oro. “Chi cerchi di contattare?” domandai, avvicinandomi appena, Luke come sempre non rispose, limitandosi ad invocare l’aiuto di Iris per parlare un certo Trent Hudson. Dal messaggio visivo, io e il figlio di Ermes, avemmo la visione di un ragazzo dai capelli scuri corti, le orecchie un po’ a sventola la pelle chiara come la polvere di luna, gli occhi azzurri come il ghiaccio, aveva i muscoli sulle braccia ed indossava una canottiera aderente grigia, come se non si rendesse conto che fosse in pieno inverno, sembrava molto preso in quello che stava facendo, lavorare con un cacciavite e del metallo. “Trent” disse Luke cercando di riprendere il suo solito modo garbato ed affabile, il ragazzo sollevò appena gli occhi, “Saccottino ripieno , ciao …” esclamò con un sorriso ilare, prima di vedere anche me, “Ti sei trovato una nuova ragazza?” chiese Trent ma non sembrava malizioso o che altro, solo divertito, divenni rossa, “No, idrocefalo” disse con nervosismo l’elfo. Il pallido ragazzo sorrise giocondo, come se le male parole di Luke non l’avessero nemmeno sfiorato, “Allora è un onore conoscerla Sorbetto alla Fragola” lo guardai confusa notando che effettivamente era la seconda volta che usava per chiamare qualcuno un riferimento al cibo. “Si … hem … è un piacere anche per me” bisbigliai io a disaggio, “Trent” lo richiamò all’attenzione Luke, schioccando le dita, “Si capo?” chiese subito il bruno guardando il biondo, “Ho bisogno di qualcuno che mi sistemi l’auto” disse il biondo, “Dove siete?” domandò Trent, Luke gli disse il punto esatto.


Prima che il ragazzo potesse dire altro, fuori campo si era udita un’altra voce, “Fabbro, mi devi arrotare le frecce” era una voce guizzante e imponente, anche lievemente roca, “Lasagna, sto parlando con il Saccotino Ripieno e il Sorbetto alla Fragola” rispose solamente Trent, Luke roteo gli occhi, “D’accordo l’ultimo nome mi manca” constatò il proprietario della suddetta voce, prima che nel campo visivo comparisse una qualche specie di statua greca che era stata inspiegabilmente animata. La pelle era chiara come la porcellana, gli occhi blu come il mare estivo, i capelli biondo grano, lisci che gli scendevano delicati sul volto d’angelo, l’unica imperfezione in quella divina bellezza, che superava di anni luce anche Luke (che in denotati era similissimo) erano le sopraciglia un po’ troppo folte. “Cosa abbiamo qui?” domandò retorico puntandomi gli occhi addosso, non c’era nulla di delicato nel suo sguardo, nulla di sobrio ed elegante, come avrei potuto pensare a prima vista, ma era carnale e, l’ammetto, mi mise in soggezione, “Ian calma i tuoi bollenti spiriti” lo richiamò Luke, con sguardo severo. Luke e Trent ripreso a parlare di quanto tempo c’avrebbe impiegato quello ad arrivare, mentre Ian depositate le frecce sul tavolo non era andato via, ma aveva continuato a fissarmi in un modo che mi aveva terribilmente messo a disaggio, preferivo quasi, quasi, la compagnia di Jazz. Vorrei anticiparvi tanto su Ian, ma è meglio lasciarlo a tempo debito.


“Non ci serve che venga Glen” esclamò Kenny, sorprendendoci alle spalle, Trent sorrise, prima di salutare Kenny, invece che con una parola inerte al cibo, ma con il suo secondo nome, “Eleno” esclamò il fabbro, così appurai che i due avevano lo strano vizio di chiamarsi per il loro secondo nome. “Perché?” domandò Luke, guardando il veggente che ora con orgoglio esibiva il disegno completo del ragazzo con dietro il fuoco, con tanto di nome e cognome: Carlos Mendosa (Anche se ammetto di essermi sbagliata a leggere il cognome la prima volta). Kenny non smise di sorridere, “Questo ragazzino sarà il nostro meccanico” esclamò indicandolo bene, “Può superare Trent? Un figlio di Efesto?” domando Luke, Kenny sorrise, poi rispose: “Direi che sono alla pari”. Luke intese immediatamente. Mendosa, non era altro che un’altra piccola particella del nostro percorso. “D’accordo …” disse Luke prima di rivolgere lo sguardo di nuovo a Trent ed Ian, “Come sta venendo il lavoretto che ti ho assegnato?” domandò l’elfo congiuratore, ammiccando al figlio di Efesto, che sorrise radioso, prima di auto-elogiarsi rivelando che il suo lavoro stava venendo una meraviglia ed aveva ragione, Luke accennò un sorriso orgoglioso, poi chiese ai due se per caso fosse arrivato qualcun altro degli altri, “JazzMan è arrivato con ChrissyBoy dritti dritti da Lima” rispose con nonchalance Ian, come se la conversazione con il suo superiore non lo interessasse, ma l’unica cosa abbastanza degna dei suoi occhi sublimi era la mia persona. “Adoro quel pazientissimo latino” disse Kenny, probabilmente a me, perché credo fossi l’unica che lo stava ascoltando, “Ci vediamo al più presto!” disse Luke asettico, prima di chiudere la conversazione Trent ci aveva salutato con i buffi sopranomi che dava alla gente, Ian aveva chiesto al da-quel-momento-secondo-posto-di-estrema-figosità di portarmi a Panama tutta intera. E credeteci o meno, se con Jazz fu antipatia a pelle, con Ian fu inquietudine pelle.


Quando ritornammo sulla parte anteriore della stazione di servizio, Az era appoggiata su una colonna e parlava con un ragazzino dalla pelle bronzea, gli occhi marroni, caldi come il cioccoloato ed i ricci nerissimi, indossava abiti slargati per la sua tagliata, un cappotto sgualcito, poteva avere massimo tredici anni non di più. “Kenny, Mary, Castellan! Lui è Carlos!” esclamò Aziza, riferendosi al ragazzino, che era esattamente uguale al disegno di Kenny; “Che fortuita coincidenza” esclamò ironico Luke, avvicinandosi appena, Carlos ci sorrise radioso. Il ragazzino d’origine latina era molto timide, teneva gli occhi puntati sulle scarpe e non sembrava ben disposto a parlare molto, ma sorrideva molto e sembrava così incredibilmente cortese. Penso abbia già detto che lui era esattamente come noi, figlio di un dio e di un umano, perché fosse lontano da casa sua, che vi dico fosse in città del messico e perché scappasse, non vi è dato saperlo, più che altro perché Mendosa non l’ha mai voluto spiegare, era il suo piccolo segreto che si era portato fino alla tomba.


“Quindi dove vai?” chiese gentilmente Kenny, mentre sgranocchiava dei dolcetti avanzati, “Non importa” rispose lui, prima di muovere le labbra con un segno di disapprovazione, “Non so come, non ho abbastanza soldi per l’autobus” rispose Carlos, ribaltando le tasche vuore, “Ti daremmo volentieri un passaggio, ma la nostra auto è andata” dissi io, “L’abbiamo dovuto spingere per due chilometri” si lamento Az, mostrando le mani ancora arrossate. Gli occhi del ragazzino luccicarono come stelle a quella notizia, “Mio zio Juan aveva un officina, sono abbastanza bravo con i motori” ci disse Carlos, ma non sembrava così sicuro delle sue parole, come se in realtà fossero frutto di un elaborata bugia. “Chaz …” lo chiamò Kenny, il latino alzò appena gli occhi, “Posso chiamarti Chaz, vero?” domandò il veggente, con sorriso caramelloso, Carlos annui, il ragazzo dai capelli bruni sorrise davvero cordiale e malandrino insieme, chiedendomi come fosse possibile, poi chiese: “Da quando sai di essere un semidio?” Carlos era diventato bianco come uno straccio, ci aveva guardati spaventati, chiedendosi magari se fossimo mostri, si forse le labbra, crucciò le folte sopraciglia scure, cercando di spingere la Foschia via dagli occhi. Luke sorrise, onesto, senza finta costruzione, si chinò su di lui con un movimento fluido e rassicurante, gli posò una mano sulla spalla, poi disse: “Siamo come te” e con quel tono dolce e confortevole, che non sapevo da dove avesse tirato fuori, l’elfo sadico congiuratore aveva catturato un’altra falena nella sua tela di ragno. Il biondo con i ragazzini ci sapeva fare.


Alla fine Carlos si era unito alla causa e ci aveva rivelato di essere un figlio di Efesto, Luke gli aveva assicurato che a Panama, sulla principessa Andromeda, c’era una grande officina ed armeria ed un altro figlio di efesto con cui avrebbe potuto lavorare, Trent. Il biondo e il meccanico lavoravano sulla nostra auto, il tredicenne si occupava di riparlarla, sotituendo pezzi che Luke accuratamente rubava dalle altre auto parcheggiate nel punto di ristoro. Io, Ken ed Az eravamo lotani da loro, seduti su una panchina che li guardavamo. Kenny aveva ripreso a disegnare questa volta usando un carbonciono; “Secondo te, quanti anni ha?” mi domandò Aziza, voltandosi con i suoi occhi mielosi verso di me, “Tredici” risposi io, trovandola un età plausibile, era piccolo, prima di rendermi conto che fino al settembre precedente anche io avevo tredici anni ( di fatti quattordici gli avevo compiuti a settembre, il mio penultimo compleanno), “Secondo me, dodici, altrimenti è un nano!” esclamò visibilmente irritata, feci mente locale cercando di ricordarmi se età o altezza era tra uno degli argomenti che il biondo mi aveva elencato con cui non parlare mai con Az. “Perché te la prendi così a male?” domandai, Az mi guardò, “Quanti anni mi dai?” mi chiese, anche Ken alzò gli occhi, per la prima volta avrebbe potuto giocare anche lui a quanti anni mi dai, essendo Aziza per lui un buco nero, “Sedici?” proposi io dopo averla studiata, era più alta di me di dieci centimetri, più modellata fisicamente e doveva sposarsi, minorenne o meno, dubito che Soraya l’avrebbe data in sposa prima, “Tra i quindici e i diciassette?” chiese Kenny, più che altro speranzoso, “Il ventisette dicembre ne compio tredici” rispose lei, abbastanza frustrata. La guardai sconvolta. Era più piccola di me? (si l’espressione che feci fu uguale a quella che feci quando lui mi disse che Clarisse La Rue aveva quattordici anni, ovviamente quando io andavo per i quindici) E stava per sposarsi? Non riuscivo neanche a formulare una domanda-imprecazione-frase che voleva essere. Ero sconvolta, con tanto di bocca semi aperta. “Non è giusto” si lamentò Kenny attirando la nostra attenzione, ci voltammo tutte e due verso di lui, “Sei troppo piccola” disse, strizzando gli occhi, Az diventò violentemente rossa, sotto lo guardo malandrino e quel commento di Ken, incrociai le mani e gli chiesi quanti anni avesse lui, “Il prossimo marzo ne compio diciassette” rispose facendomi la linguaccia, ridacchiai. Aziza non disse niente, era seduta accanto a me che si torturava le mani, veramente imbarazza dall frase a sproposito di Ken, le sorrise, abbracciandola. Era così dolce.


Non giudicate male Kenny, se togliete i mesi che facevano l’uno di marzo e l’altra di dicembre, erano solo tre anni e Az per Ken era la più grande benedizione che potesse esistere a questa terra e lui l’aveva capito subito. Ogni volta che Kenny era minimamente vicino ad Aziza, lui poteva essere un ragazzo normale, lei era una sorpresa, qualcosa da scoprire, insomma era il classico genere di ragazza, che rendeva il tuo futuro un eningma, il mio Lui, ed era normale che l’unica persona che desse un mistero ed un brivido alla sua vita lui non l’avrebbe fatta scappare via. Mettetevi nei suoi panni Ken vedeva ogni cosa cosa, nella vita per lui non c’era più enigma, ed un uomo privato della curiosità e della paura del futuro non era più tale, Aziza gli resituiva quel bricciolo di umanità che credeva di aver perso. Si guardarono tra di loro e si sorriso dolcemente, ed anche abbastanza intimamente, che quasi mi sentì in colpa ed essere in mezzo. Luke si parò davanti a noi con guardo serio, “Hey Tre Grazie andiamo?” domandò retorico ed infastidito, non da noi, ma dalla stessa frase detta, probabilmente, Kenny sorrise beffardo, “Io faccio Thalia?” propose irriverente, rimediandoci un buffetto da Luke. Non capì allora, capisco ora, esattamente come ogni volta.
   
 
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